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Mauro Baioni e Carla Maria Carlini
Consumare stanca
9 Aprile 2016
Consumo di suolo
Quel che c'è da sapere sul consumo di suolo, attraverso gli articoli e i documenti pubblicati in

Quel che c'è da sapere sul consumo di suolo, attraverso gli articoli e i documenti pubblicati in eddyburg.it. Intervento alla rassegna Leggere la città, Pistoia, 9 aprile 2016.



Premessa

Apparentemente, tutti d’accordo: occorre fermare il consumo di suolo. Alle parole, tuttavia, non seguono fatti concreti. Salvo rare eccezioni, i comuni non rivedono i piani urbanistici, le regioni non modificano le leggi e i programmi infrastrutturali e in Parlamento si trascina l’esame di un disegno di legge dai contenuti farraginosi che, quand’anche approvato, difficilmente consentirà di cambiare rotta.
Intanto il tempo passa: ben undici anni, da quando eddyburg, per primo, si è occupato del consumo di suolo, cui ha dedicato la prima edizione della scuola estiva di pianificazione. Da allora, abbiamo pubblicato oltre 170 articoli per descrivere l’entità e gli effetti della dissennata espansione del costruito, per dare voce alle molte iniziative contro la cementificazione ingiustificata e per formulare proposte di legge che, senza indugi, mettano fine al consumo di suolo. Possiamo essere soddisfatti per l’accresciuta attenzione dell’opinione pubblica e per il lavoro fatto dagli esperti, ma siamo ancora ben lontani da provvedimenti efficaci per contrastare il fenomeno. È utile perciò ricordare le questioni salienti, attraverso una visita guidata agli articoli del sito che aggiorna quella pubblicata dieci anni fa.
Consumo di suolo: quel che c’è da sapere

Il consumo di suolo è la misura dell’espansione delle aree urbanizzate a scapito dei terreni agricoli e naturali. Dieci anni fa non esistevano misurazioni attendibili, mentre oggi almeno questa lacuna è colmata. Ispra redige un rapporto annuale; Inu, Legambiente e Politecnico di Milano hanno istituito un osservatorio. Docenti universitari, tra cui Paolo Berdini, Bernardino Romano (con il WWF) e Paola Bonora, hanno coordinato accurati studi e ricerche. Alcune strutture regionali, su tutte quelle di Piemonte e Lombardia, sono impegnate in un monitoraggio costante che fotografa con precisione il disastro prodotto negli ultimi trent’anni.

Più di 20.000 kmq, l’equivalente di una regione come l’Emilia Romagna o la Toscana: a tanto ammontano le superfici urbanizzate nel nostro paese, e il dato è sicuramente sottostimato. Un valore elevato, soprattutto se consideriamo la qualità del territorio compromesso. Le ricerche di Legambiente sulle coste italiane e sulla Valtellina e il rigoroso lavoro di Antonio Di Gennaro ci ricordano che il suolo non è consumato in modo uniforme: il tributo pagato dalle pianure, dalla costa e dai fondovalle ha oltrepassato i livelli di guardia, con la compromissione di ecosistemi naturali, paesaggi storici e terreni agricoli di straordinario valore produttivo.

Casa dopo casa, capannone dopo capannone, l’espansione urbana si diffonde come fosse un virus. La stretta relazione tra consumo di suolo e dispersione insediativa è stata ampiamente documentata su eddyburg, tra gli altri, da Edoardo Salzano e Maria Cristina Gibelli, curatori della pubblicazione No sprawl per i tipi di Alinea.
Tutti i settori trainanti dell’economia italiana alimentano la bulimia costruttiva, in un perverso intreccio tra rendita fondiaria e conquista di nuovi mercati. Lo testimoniano innumerevoli episodi descritti su eddyburg, riguardanti centri commerciali, strutture ricreative, nuovi insediamenti turistici. È il segno di un’arretratezza generale del mondo produttivo, ancora restio - con poche eccezioni - a contrastare il declino con un impiego più efficiente delle risorse esistenti. Anche le cosiddette grandi opere giocano un ruolo fondamentale: impegnano direttamente centinaia di ettari e favoriscono la costruzione di nuovi insediamenti, lontano dai centri urbani. Lo spiega su eddyburg Anna Donati.
Dalla Tav alle autostrade, dall’aeroporto di Firenze fino all’Expo di Milano, le storie seguono tutte la stessa trama: decisioni opache, forzature procedurali, privatizzazione dei ricavi e socializzazione dei costi collettivi e, a dispetto di ogni ragionevolezza, unanime sostegno politico degli amministratori di turno.

Le conseguenze di questo dissennato modo di procedere sono descritte con grande efficacia nell’inchiesta di Michele Buono e Piero Riccardi per la trasmissione Report (su eddyburg un commento di Norma Rangeri), nel documentario Il suolo minacciato di Nicola Dall’Olio e negli interventi di Carlo Petrini e Tomaso Montanari.
SOS Consumo di suolo

In tutto il paese, la cittadinanza attiva è impegnata nel contrastare il perverso intreccio tra affari e politica che impedisce di mettere fine al consumo di suolo. Le storie raccolte nel sito rappresentano solo un piccolo campione di un più vasto movimento d’opinione. Solo nel 2008, tuttavia, si è ipotizzata una forma organizzativa più stabile, per mettere in rete le iniziative.

Tutto è cominciato a Cassinetta di Lugagnano, un piccolo comune della pianura milanese, per iniziativa di un giovane sindaco, Domenico Finiguerra. L’approvazione del piano regolatore dimostra la possibilità di soddisfare i bisogni sociali senza previsioni di espansione (su eddyburg, tra gli altri, articoli di Giorgia Boca, Francesco Erbani e un’ampia intervista allo stesso Finiguerra).

Il successo mediatico dell’iniziativa è il preludio per diffondere un appello al quale rispondono centinaia di associazioni che si costituiscono nel movimento Stop al consumo di territorio. Il movimento e il successivo Forum Salviamo il paesaggio, sono tuttora attivi e costituiscono un punto di riferimento per le iniziative di contrasto al consumo di suolo, in tutta Italia.
Una legge nazionale ci vuole, ma quale?

Le istituzioni non sembrano però intenzionate a fare proprie le richieste di cittadini e movimenti. Con il tempo aumenta il numero di politici che si dichiarano favorevoli a mettere un freno al consumo di suolo, a sinistra e a destra. Ma è poco più che un flatus vocis.
Se si deve agire per via normativa, servono chiarezza e semplicità. eddyburg, nel 2006, ha formulato una proposta di legge organica in materia di pianificazione territoriale, all’interno della quale sono contenute le seguenti disposizioni.

1. Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.
2. Le leggi regionali assicurano che, sul territorio non urbanizzato, gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, né demolizioni e ricostruzioni, o consistenti ampliamenti, di edifici, se non strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all'estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalle leggi.

Non occorre aggiungere altro: il recupero dell’esistente ha sempre priorità sull’espansione e – nel territorio non urbanizzato – di norma è vietato costruire se non in funzione delle esigenze di produzione agricola. Eventuali eccezioni devono essere motivate, pena la loro illegittimità.
La proposta di eddyburg è presentata in Parlamento, ma - com’è noto - la riforma urbanistica viene indirizzata su un binario morto.
Nel 2012, il Ministro delle politiche agricole Elio Catania presenta un disegno di legge specifico sul contenimento del consumo di suolo. L’iniziativa ottiene il plauso della stampa, ma non appena si rende disponibile l’articolato, si comprende che la via intrapresa è tortuosa, ricca di insidie e destinata all’inefficacia. Tutto si incentra sulla definizione di una quota massima di territorio potenzialmente urbanizzabile da ripartire tra le regioni e – all’interno di ciascuna di esse – tra i comuni.
L’esame del Ddl prosegue lentamente, interrotto dai sussulti politici: al governo Monti subentra quello guidato da Enrico Letta e, ora, da Matteo Renzi. L’impianto originale si arricchisce di disposizioni sulla rigenerazione urbana, l’impiego degli oneri di urbanizzazione, l’individuazione di compendi agricoli neorurali. Crescono i dubbi che si produca un esito contrario alle intenzioni iniziali, come spiegato su eddyburg da De Lucia, Gibelli, Agostini e Lungarella.

A oggi, l’esame procede senza correzioni migliorative. Salviamo il Paesaggio ha formulato una meritoria proposta di modifica e integrazione del disegno di legge, ma, come afferma giustamente Eddyburg, prima si mette una pietra su quel documento meglio è.

Nel 2013, un gruppo di amici di eddyburg formula una controproposta, essenziale e rigorosa, nella quale si prevede l’obbligatoria perimetrazione del territorio urbanizzato, al cui esterno sono vietati interventi di nuova edificazione. L’eccezionalità di eventuali deroghe è resa evidente dall’aver subordinato il loro assentimento ad appositi provvedimenti, caso per caso, dei consigli regionali. La salvaguardia del territorio non urbanizzato è considerata parte della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione quindi della legislazione di competenza esclusiva dello Stato anziché della legislazione di competenza concorrente tra Stato e Regione. Per questo, le disposizioni dettate dallo Stato possono avere immediata efficacia.
Regioni, provincie, comuni: nessuno può tirarsi indietro

La Regione Toscana segue una strada simile a quella ipotizzata dalla proposta di eddyburg 2006 e affida ai comuni il compito di perimetrare il territorio urbanizzato nel proprio piano urbanistico. Per legge, all’esterno del territorio urbanizzato sono vietate nuove urbanizzazioni residenziali. Altri interventi possono essere consentiti attraverso rigorose procedure che prevedono, in ogni caso, il potere di veto della Regione. La legge urbanistica regionale, promossa dall’assessore Anna Marson, entra in vigore alla fine del 2014, dopo un lungo e teso dibattito che vede eddyburg schierato a favore della sua approvazione.
Le altre Regioni nicchiano, o peggio, fanno ammuina, come la Lombardia guidata dal gattopardo leghista, dove i movimenti ambientalisti, gli urbanisti e persino il partito democratico (ma solo perché all’opposizione) denunciano il tradimento delle promesse. E come il Veneto, dove ci si guarda bene dal mettere in discussione le espansioni previste nei PRG, sebbene comportino un incremento del 40% dell’attuale urbanizzato, e si consentono deroghe ai piani e aumenti di volumetria generalizzati, spacciandole per interventi di rigenerazione urbana (nel sito, vedi l'eddytoriale n. 168).

Non sono casi isolati, purtroppo. Il quadro complessivo delle iniziative regionali, la maggioranza delle quali è governata dal cosiddetto centrosinistra, è desolante. Qualcosa in più è stato fatto dalle provincie, e sarebbe lecito pretendere iniziative incisive dalle città metropolitane, per ora in stallo dopo l'approvazione della riforma Del Rio.
Infine, i comuni. Nonostante siano l’ultimo anello di una lunga catena decisionale, ulteriormente indebolito dalle controriforme degli ultimi trent’anni, conservano il potere di decidere le trasformazioni ammissibili nel territorio. Per tutti quelli che domandano se esista un “diritto di costruire”, incomprimibile senza costosi indennizzi, valgono le risposte di insigni giuristi come Vincenzo Cerulli Irelli e Paolo Maddalena. Motivatamente, i piani possono essere modificati in senso restrittivo. Volendo, quindi, si possono tagliare le previsioni di espansione, come ha fatto la coraggiosa Isabella Conti, sindaco di San Lazzaro di Savena, suscitando molto clamore nell’area bolognese. Ma anche altri comuni come Cassina De’ Pecchi e Budrio, sconosciuti alle cronache, hanno imboccato lo stesso percorso virtuoso. Continueremo a documentare su eddyburg queste iniziative, affinché siano d’esempio per l’urbanistica e la politica.
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