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Marco Ansaldo
Gezi Park è salvo, sconfitto Erdogan
8 Maggio 2014
Spazio pubblico
A Istanbul il Consiglio di Stato dichiara illegale il progetto di pedonalizzazione del Comune. Piuttosto in sordina, si conferma così la tesi originaria di tantissimi osservatori di quanto accaduto nelle cosiddette primavere arabe, con la loro radice urbana.

A Istanbul il Consiglio di Stato dichiara illegale il progetto di pedonalizzazione del Comune. Piuttosto in sordina, si conferma così la tesi originaria di tantissimi osservatori di quanto accaduto nelle cosiddette primavere arabe, con la loro radice urbana. La Repubblica, 8 maggio 2014, postilla (f.b.)

Può respirare ancora il polmone verde di Istanbul. Dove lo scorso anno, nel pieno centro di Piazza Taksim, si riunì una Turchia impegnata a battersi per la difesa dei propri diritti, e migliaia di “uomini in piedi” manifestarono con orgoglio e in pace richiamandosi ai valori della laicità. I 600 alberi di Gezi Park — causa di una rivolta popolare tesa a difenderli dall’abbattimento deciso dalle autorità per far posto a un centro commerciale — sono salvi. il Consiglio di Stato ha infatti dichiarato illegale il «progetto di pedonalizzazione» promosso dal Comune.

Non verrà nemmeno ricostruita la caserma ottomana, come era invece nei piani originari. La decisione, tuttavia, non contempla la retroattività. Per cui il tunnel sottostante alla piazza, dove ora confluiscono milioni di veicoli, rimarrà. Oggi, chi passa fra Piazza Taksim e il Gezi Park attraversa, sopra quella galleria, una spianata di cemento. E’ il luogo dove avrebbe dovuto sorgere il grande “shopping mall”, poi contestato. Non si sa cosa nascerà al suo posto.

Con il respingimento del ricorso presentato dal ministero della Cultura e dal Comune, si mette dunque la parola fine alla vicenda, a meno di clamorosi colpi di scena. E si è data così ragione alla cosiddetta Piattaforma di Piazza Taksim, composta da decine di migliaia di giovani e di persone di varie provenienze politiche e non, organizzatesi spontaneamente in tutto il Paese quando il progetto si manifestò con chiarezza. Gli alberi non verranno tagliati, e il parco non sarà demolito. Una vittoria per il movimento, alla vigilia del primo anniversario dei fatti di Gezi, cominciati alla fine di maggio 2013.

Più di 2 milioni di persone scesero in piazza in tutta la Turchia contro la svolta autoritaria del governo di Tayyip Erdogan. Sette persone morirono negli scontri con la polizia. I social network documentarono con filmati i pestaggi. Violenze che costarono a Erdogan, che impose la repressione, l’esecrazione di Usa, UE, Amnesty e Human Rights. Twitter e YouTube furono così chiusi. Ieri il direttore del nuovo portale di informazione indipendente “ T-24”, Deniz Zerin, dove sono confluiti molti dei reporter licenziati dai media sempre più omologati al pensiero del leader turco, ha accusato la polizia di averlo torturato dopo l’arresto. Pochi giorni fa l’organizzazione americana Freedom House ha messo, per la prima volta, la Turchia nella categoria degli Stati «non liberi» per la stampa. Oggi è il Paese del mondo con il maggior numero di giornalisti in carcere.

postilla

Se l'equazione urbanistica = politica pare piuttosto scontata e automatica, pare anche altrettanto scontato e automatico, alla luce di casi eclatanti come questo di Istanbul (e per estensione a quelli forse meno visibili di tante altre città grandi e piccole) allargare il campo dei due fattori, sino a includere identità urbane e democrazia. Rendendo adeguato riconoscimento anche a chi, come l'economista liberale Edward Glaeser, aveva pur in modo piuttosto distorto, pro domo sua, indicato nell'ambiente delle città non solo il palcoscenico dei nuovi movimenti democratici, da Occupy alle primavere arabe, ma una specie di motore immobile, di mano per nulla nascosta del progresso individuale e collettivo. Esce invece decisamente ridimensionato, ancora una volta, il ruolo propulsivo del grande progetto di trasformazione in quanto tale, quando non sa trasformarsi in piano e processo, non solo cercando consensi, ma anche modificandosi, accettando e includendo spinte diverse. La speranza è che da un lato l'idea di cancellazione dello spazio pubblico, dall'altro la pura conservazione dell'esistente, non si fossilizzino in un muro contro muro senza sbocchi (f.b.)

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