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Attilio Giordano
Che siate pro o contro la TAV, forse volete sapere chi la paga
3 Marzo 2006
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La vera storia del Trasporto ad Alta Velocità (perché dicono “la” TAV e non “il” TAV?). Ci si domanda perché tante brave persone non abbiano capito. Da Venerdì di Repubblica, 3 marzo 2006

ROMA. La prima immagine è quella di uno scontro: da un lato la modernità, l'ìnteresse europeo, il benessere dei viaggiatori, il traffico di merci che passa da fumosi tir a treni poco inquinanti; dall'altro un esercito di valligiani che protestano perché non vogliono opere «nel loro cortile», eccitati da capopopolo di estrazione no global. La seconda immagine è una scelta illustrata più o meno così: ìnsomma, volete i treni veloci oppure no?

Pochi- poco ascoltati, poco intervistati - hanno cercato di opporsi a questo modo di affrontare la questione Tav in Val di Susa e, in generale, la questione come si è sviluppata nel nostro paese. Facendo dei conti, verificando le prospettive del traffico (di passeggeri e di merci), svelando la bugia che sta alla base di tutto l'affare Tav. Uno di questi è di sicuro Ivan Cicconi, ingegnere bolognese, direttore di Quasco, una società mista pubblico-privata che si occupa, tra l'altro, di appalti e trasparenza. Dice Cicconi: «Il sistema Tav, solo per le nuove tratte, costerà oltre 50 miiardi di euro. La sua sostenibilità finanzíaria può essere garantita solo da uno Stato impazzito che voglia imporre, dal 2010 in avanti, manovre finanziarie di qualche miliardo di curo l'anno, ogni anno, per almeno trent'anni». Ma di questo, si è parlato? Magari per confutarlo? Secondo il ministro Lunardi la Tav in Val di Susa «è ormai solo una questione di ordne pubblico». Secondo molti altri, invece, è soprattutto una questione di soldi.

Tutto il sistema Tav italiano è basato su un equivoco. Nasce, infatti, sostenendo che le nuove linee ferroviarie saranno il frutto di investimenti pubblici (al 40 per cento) e privati (al 60 per cento). Facendo ancora un passo indietro, nasce con una decisione curiosa. Come ricorda Claudio Cancelli, docente del Politecnico di Torino, in un libro a più voci che uscirà a giorni ( Travolti dall'Alta Voracità, Odradek edizioni, Roma), «in Italia ci si era orientati su treni veloci ad assetto variabile, i pendolini». Con questi treni, tra l'altro frutto dalla creatività italiana, si potevano raggiungere i 200 chilometri all'ora riducendo del 30 per cento i tempi di percorrenza. Senza dover costruire nuove linee. Semplicemente, potenziando quelle esistenti. «Che, per guadagnare qualche altra decina di minuti, ci si lanciasse in un investimento di 50 miliardi di euro, sembrava incredibile» ricorda il professore. Invece è accaduto. «Un mistero: persone che hanno apparentemente programmato un disastro economico, sapendo di farlo». Qual è il trucco? Che le perdite venivano addossate alla comunità e i guadagni sarebbero andati a chi gestiva l'affare.

Infatti di quel 60 per cento di investimento privato non c'è ombra. «Privato» si considera l'apporto di una Spa, formalmente privata, le Ferrovie, che tuttavia ha un unico azionista, il Tesoro. Con un'aggravante: lo Stato si addossa gli interessi sui prestiti fatti alla società e li paga alle banche di anno in anno. E questa è la sola voce nel bilancio pubblico, il resto avviene «fuori», in un'area che è privata solo apparentemente.

L'ideatore del meccanismo è il ministro Cirino Pomicino, nel 1991. Ma i governi Berlusconi ufficializzeranno il metodo, legalizzandolo e rendendolo infallibile. Un metodo che si sintetizza così: le Ferrovie, attraverso la Tav Spa, danno incarico di costruire le linee a un general contractor, che poi appalterà i lavori a terzi. Il general contractor, tuttavia, non ha alcuna responsabilità nella gestione finanziaria, detto altrimenti: non mette soldì, non gestirà l'opera, non rischia sul rapporto costi-guadagni. E, dunque, ha tutto l'interesse - come osserva Ivan Cicconi - a far lievitare tempi e prezzi. Cosa che puntualmente accade: dal 1991 al 2005, le tratte Tav vedono crescere i tempi di anni e i costi - in media - del 316 per cento, come calcolato da Quasco sui dati forniti dagli stessi interessati e ritenuti ottimistici. Significa un aumento di oltre tre volte il previsto, contro una media europea di crescita pari al 30 per cento. Basta fare un raffronto: in Francia l'alta velocità costa 15 milioni a chilometro, in Spagna ancora meno. Da noi ? Trentotto a chilometro.

I privati sono una bugia. Lo scopre, con sconcerto, il ministro Claudio Burlando (con il governo Prodl), appena insediato, nel 1996: «Si è detto che c'erano privati disponibili a fare investimenti» dichiara «ma quando siamo andati a vedere abbiamo constatato che era una cosa falsa... È bene che si sappia che la quota pubblica è finita, e il 60 per cento dei privati non si è mai visto». Solo quattro anni dopo, il ministro Pier Luigi Bersani azzera i contratti, elimina il general contractor e toma alle gare per i lavori ancora non avviati, tre linee su sette. Ma dura poco. Il nuovo ministro, Pietro Lunardi, rimetterà tutto a posto, tutto come prima. A partire dal '93 lo Stato paga gli interessi bancari (interessi intercalari), che nel 2009-2010 arriveranno a otto miliardi di euro (Quasco). Ma quando il servizio sarà attivato, quando sarà per esempio completata la linea in costruzione, le banche chiederanno la restituzione del prestito, del capitale. A chi? Alla Tav Spa, cioè alle Ferrovie garantite dal Tesoro. In pratica, a noi.

Il meccanismo è criticato dall'Antitrust (nel '94 e nel '96). Dalla Corte dei Conti (nel 2004). Da tutti coloro che guardano ai numeri e non alle promesse di un brillante, e velocissimo, avvenire. Ma con la Torino-Lione si va anche oltre. Non si dà risalto, per esempio, al fatto che, per superare le perplessità francesi, Berlusconi e Lunardi si sono impegnati a sostenere ì due terzi della spesa per il tratto comune, quello internazionale, nonostante sia la parte francese a essere più lunga. «Si occultano così» rileva Cicconi, «spese aggiuntive per oltre 2 miliardi di euro». L'importante è fare l'opera. Ma c'è una complicazione.

L'alta velocità Torino-Lione sarebbe «mista», ma dedicata soprattutto alle merci. L'alta velocità francese, invece, esclude le merci, è solo per i passeggeri. Anche chi è favorevole, in linea di principio, comincia a porsi la questione. E non sono no global. Il sociologo Luciano Gallino, per esempio, chiede «quali siano le analisi economiche, quali gli strumenti legislativi, per assicurare che, una volta compiuta la grande opera, il traffico merci si sposti realmente, dalla strada alla rotaia». Ancora su Travolti dall'Alta Voracità, un altro studioso, il fisico torinese Angelo Tartaglia, fa due conti: sui Tgv francesi «i passeggeri sono quarantamila al giorno, con un esercizio grossomodo in equilibrio». Nel tratto più frequentato (in previsione) della Tav italiana, la Bologna-Firenze, se ne prevedono ventimila. La linea della Val di Susa ne raggiungerebbe cinquemila, considerando i treni sempre pieni e «favoleggiando un forsennato pendolarismo». Ma lì, si dice, viaggeranno soprattutto merci. Il che, però, presenta un altro problema: con quelle non si può viaggiare a velocità davvero alta, per via del peso. E, soprattutto, «non c'è alcuna domanda potenziale per trasportare merci a quella velocità», chiarisce Tartaglia.

I conti non tornano, come si vede. Almeno per noi. Tornano, conclude Tartaglia, «per tutti coloro che sono coinvolti nella progettazione, pubblicizzazione, realizzazione dell'opera». Loro vedono un interesse immediato e certo. «Un fiume di denaro fornito e garantito dallo Stato», Chi lo restituirà?

LA UE TOGLIE FINANZIAMENTI AL PROGETTO

BRUXELLES. La linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino-Lione rischia grosso. La grande opera europea, parte dei corridoio Lisbona-Kiev, potrebbe infatti perdere molti dei finanziamenti europei. II colpo viene dalle nuove prospettive finanziarie (quello che I'Ue spenderà tra il 2007 e il 2013) approvate dai capi di Stato e di governo europei lo scorso dicembre, ora al vaglio dei Parlamento europeo. II premier britannico Tony Blair è infatti riuscito a imporre l'aumento dei fondi per la ricerca e lo sviluppo sottraendo risorse ad altri settori. E tra i capitoli più danneggiati ci sono le Ten, acronimo in inglese per Reti trans-europee. Sono le infrastrutture per i trasporti alle quali la Commissione Prodí aveva destinato venti miliardi di euro, ridotti a otto dal futuro bilancio Ue. Alla Commissione europea, e soprattutto nell'ufficio della coordinatrice per la linea Lione-Torino, Loyola de Palacio, sperano ancora che il progetto venga finanziato al cinquanta per cento dall'Europa. Ma la proposta dell'esecutivo comunitario formalmente prevede che l'Unione Europea possa concedere fondi «fino» al cinquanta per cento, lasciando quindi spazio a drastiche riduzioni. Questo significa che la Tav in Val di Susa potrebbe costare alle casse italiane più del previsto. Cifre alla mano, I'Ue parteciperà alle spese solo per la costruzione dei 79,5 chilometri dei tratto Bussoleno-Saint Jean de Maurienne (il tunnel), il cui costo totale previsto è di sei miliardi e settecento milioni di euro. (Sergio Cantone)

Nell'immagine Paolo Cirino Pomicino,inventore del "sistema TAV"

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