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Enzo Collotti
Memoria. Ricordiamo! Ma senza ambiguità
11 Febbraio 2011
Italiani brava gente
A proposito di foibe, di deformazioni della storia e di altri esercizi di lobotomia della memoria. Il manifesto, 11 febbraio 2011, e qualche link in calce

Non si è ancora spenta l'eco della Giornata della Memoria che già incalza la ricorrenza del giorno del Ricordo, senza che si sia riflettuto a sufficienza sulla confusione che si è rischiato di creare (e che almeno per una parte politica si è voluta creare deliberatamente) fra le due circostanze, allo scopo di sdrammatizzare il crimine dello sterminio degli ebrei ad opera di nazismo e fascismo e di enfatizzare viceversa il dramma delle foibe istriane come simbolo italiano dei crimini del comunismo. Tuttavia non è a questo nodo irrisolto che oggi intendiamo rivolgere la nostra attenzione, anche se esso si presta singolarmente a rappresentare in modo emblematico l'ambiguità o meglio ancora l'agnosticismo storico e storiografico della cultura politica che oggi predomina nel nostro paese.

Torniamo al giorno del Ricordo. Non riprenderemo cose che abbiamo ripetutamente ricordato proprio su questo giornale per contribuire a evitare e a controbattere le strumentalizzazioni e le menzogne degli irriducibili di una memoria a senso unico che sarebbe ipocrisia non definire filofascista. Siamo come sempre convinti che non si debba approfittare della data del 10 febbraio per rinfocolare il dolore e il risentimento dei familiari delle vittime né tantomeno per speculare sulla sorte delle centinaia di migliaia di persone che a seguito degli assetti postbellici sono state costrette a rifarsi una esistenza fuori dai territori d'origine. Non è una storia unicamente italiana, è una storia comune a molta parte della società europea sconvolta dal secondo conflitto mondiale ma con una specificità italiana che si richiama al passato fascista. Opportunamente il presidente della Repubblica invita a non strumentalizzare il ricordo, anzi a superare ogni tentazione strumentalizzatrice. Nessuno come noi è consapevole che questa è l'unica condizione perché si verifichi l'auspicio del presidente che le circostanze all'origine del ricordo del 10 febbraio entrino durevolmente nella memoria non solo ufficiale ma in quella collettiva di Italia, Slovenia e Croazia. Ma perché questo accada e non sia soltanto un superficiale gesto diplomatico bisogna che sull'oggetto del ricordo non rimangano ambiguità o mezze verità: si ricordino senza mezzi termini gli antecedenti delle stragi del 1943-'45. Bisogna che la storia della dominazione italiana della Venezia Giulia, sulla quale studiosi italiani e sloveni negli ultimi decenni hanno fornito contributi illuminati, diventi conoscenza di dominio pubblico, sottratta alle ipoteche di una vecchia storiografia nazionalista e alla propaganda di nuovi irriducibili nostalgici. Mascherati da democratici: come definire, se non maschera, l'atteggiamento di ieri del presidente della Camera Gianfranco Fini che in modo a dir poco negazionista ha annunciato a Trieste che bisogna revocare le onorificenze a Tito e ad altri dirigenti della lotta partigiana jugoslava contro l'occupazione nazifascista che riempì i Balcani di stragi rimaste assolutamente impunite?

Tra breve uscirà un importante studio sul «fascismo di confine» cui auspichiamo larga diffusione perché la riflessione storica di lungo periodo e di larga impostazione possa contribuire a uscire dal provincialismo e dalle strettoie dei patriottismi di confine. Ma vogliamo ricordare anche che sui resti del campo di concentramento di Arbe manca tuttora un segnale, un cippo o altro, che menzioni le responsabilità del fascismo e per esso dello stato italiano.

Come non consentire con le considerazioni del presidente della Repubblica sulla comunanza di interessi e sulle prospettive di pace che dovrebbero indurre i popoli e gli stati sulle due sponde dell'Adriatico a collaborare e a trovare motivi per compiere un cammino comune. Purtroppo esiste ancora una questione balcanica e i bombardamenti della Nato non hanno contribuito a scioglierne i nodi, forse ne hanno complicato l'intreccio. La distruzione della Jugoslavia ha scatenato le ambizioni di influenza delle potenze; gli stati minori che ne sono derivati vivono di indipendenza apparente, le nazionalità in nome delle quali si sono inventati interventi umanitari si rispettano solo perché si trovano sotto libertà vigilata dalla presenza di contingenti militari internazionali. Dare loro una prospettiva positiva sarebbe urgente e necessario, ma l'Unione europea sinora non ha dato segnali forti di preoccuparsene.

Sull’argomento vedi anche in eddyburg gli articoli di Corrado Staiano, Claudia Cernigol, Simonetta Fiori, Enzo Collotti, Giacomo Scotti, Paolo Rumiz.

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