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Le cause del declino che investe il sistema paese sono molteplici:

- la specializzazione dell’Italia in settori esposti alla concorrenza dei paesi emergenti e la sua de-specializzazione in settori ad alta tecnologia;

- la piccolissima dimensione aziendale e la definiva scomparsa di grandi imprese, l’elevato peso dei settori protetti in cui si lucrano rendite elevate e il conseguente abbassamento della propensione a competere;

- l’arretratezza, la protezione e l’alto costo dei servizi acquistati dalle imprese (energia, trasporti, servizi bancari e assicurativi) e dai lavoratori (distribuzione commerciale) che tengono alto il costo del lavoro e basso il salario reale;

- una domanda/offerta di conoscenza tecnologica inadeguata a un maggior sviluppo delle alte tecnologie; un’offerta di formazione inappropriata e una scarsa attenzione ai “giacimenti nascosti” (giovani e donne) dell’offerta di lavoro;

- alti costi e bassa qualità delle infrastrutture (logistica, acqua, ambiente);

- un sistema legale e amministrativo costoso e confuso, anche per eccessi di decentramento regionale;

- un’inadeguatezza delle competenze degli organi di governo dell’economia;

- un sistema fiscale che penalizza il reddito di impresa rispetto alla rendita finanziaria.

p. 119-120

Dobbiamo infine attuare una nuova politica della concorrenza che miri a:

- ridurre le rendite e la convenienza all’impiego di capitali nei settori che le alimentano tali rendite (immobiliare, autostrade, ecc.);

- favorire l’emergere di nuove attività di servizio avanzate in settori a forte domanda e aperti a grandi innovazioni tecnologiche e organizzative (sanità, ambiente, sicurezza, formazione, logistica, ecc.);

- ridurre il costo dei servizi alle imprese e ai lavoratori (energia elettrica, distribuzione commerciale, professioni);

- favorire la trasparenza e la legalità dei mercati per incentivare gli imprenditori a concorrere attraverso l’innovazione e la qualità del prodotto;

- una nuova governance per le politiche di sostegno alla competitività e allo sviluppo.

(p. 121)

Il governo di centrodestra ha attuato condoni edilizi, ha realizzato tagli dei finanziamenti per gli enti locali e per il trasporto pubblico, ha favorito un’abnorme crescita delle rendita immobiliare, ha ridotto i fondi per la difesa del suolo; ha indebolito la tutela del paesaggio e del patrimonio storicoculturale, le politiche di governo del territorio e di gestione urbanistica attaccandone sistematicamente la gestione ed il controllo pubblico. Ha alimentato altresì un drastico peggioramento delle condizioni sociali indebolendo le politiche di coesione ed inducendo nuove criticità in numerose aree urbane.

p. 144

In questi anni si è realizzato un drammatico impoverimento del potere d’acquisto dei redditi medio-bassi. Ma è anche stato riconosciuto un vantaggio fiscale alla rendita piuttosto che ai redditi prodotti dalle imprese. Dobbiamo invertire questa situazione attraverso una politica fiscale che realizzi:

- il sostegno alle responsabilità familiari attraverso la riforma degli assegni al nucleo familiare con una correlata revisione dell’IRPEF, ispirata al recupero di una maggiore progressività fortemente ridotta dalle riforme del centrodestra; a tal fine, si dovrà mettere in atto il principio della universalità del diritto di ricevere contributi alle responsabilità familiari, anche se in modo selettivo rispetto al reddito e alle condizioni economiche. Attualmente questo diritto è riconosciuto solamente ai lavoratori dipendenti. Al posto degli attuali assegni e delle attuali deduzioni sarà organizzato un unico trasferimento condizionato dalla situazione economica familiare;

- la restituzione del fiscal drag;

- la uniformità del sistema di tassazione delle rendite finanziarie a un livello intermedio tra l’attuale tassazione degli interessi sui depositi bancari e quella sulle altre attività finanziarie, con l’esclusione dei redditi di piccoli patrimoni , in coordinamento con l’imposizione societaria e la tassazione di dividendi e plusvalenze azionarie;

- la riforma del catasto in modo da rendere coerenti i valori e le rendite con i valori di mercato dei cespiti immobiliari e la contestuale revisione delle aliquote al fine di non inasprire il prelievo complessivo, soprattutto sulla prima casa;

- il ripristino della tassa di successione per i grandi patrimoni.

p. 203-204

La legge obiettivo è nel mirino. Il problema del centrosinistra è ora valutare opera per opera nel settore delle grandi infrastrutture. Sul Ponte di Messina l'Unione si ritrova: non si deve fare. Sul tavolo del programma non ha trovato posto invece il concetto di Pil ambientale

Il tema ambientale ha fatto discutere molto il centrosinistra, nella fase di preparazione del programma elettorale. Non ci sono stati scontri diretti come su altri argomenti, come per esempio la legge 30 (superarla o abrogarla?) o le tematiche relative alla Moratti. Ma le idee sono diverse e su alcuni punti non convergenti. In sostanza si sono sviluppati due tavoli paralleli che hanno affrontato tutte le tematiche ambientali e le tematiche più o meno collegate, come quella relativa alle infrastrutture, per esempio. E ora, dopo la presentazione della delega ambientale del governo Berlusconi (circa 700 pagine), le carte sono ancora più scompaginate. Nella bozza provvisoria del programma dell'Unione ci sono solo degli enunciati generali e non si è arrivati alla definizione di una vera e propria proposta legislativa in campo ambientale. Ci sono cioè linee guida e non riferimenti normativi precisi, né definizioni di competenze del futuro governo ambientale.

Su alcuni punti il centrosinistra ha trovato una sintonia perfetta. Sui parchi, sulla distruzione ambientale attuata durante i cinque anni di governo berlusconiano, sull'assenza di misure serie in termini di protezione idrogeologica, non ci sono stati problemi nella discussione sul programma. Altra cosa, invece, il discorso sui temi legati alle scelte sulle infrastrutture, alle scelte strategiche in campo energetico e più in generale al concetto di sviluppo. Nei due tavoli paralleli che hanno discusso dell'ambiente non sono riuscite per esempio a entrare le nuove proposte sul Pil ambientale, che pure hanno un grande consenso a livello di parlamentari del centrosinistra. Esiste infatti la proposta - avanzata tra gli altri da Valerio Calzolaio dei Democratici di sinistra - di inserire nel prossimo Dpef, il documento di programmazione economica e finanziaria, il concetto di «Pila», ovvero il Pil ambientale. La proposta è stata sottoscritta da almeno cento deputati, ma non è poi stata tradotta in proposte concrete da inserire, nero su bianco, nel programma elettorale dell'Unione.

Il concetto di «Pila» è infatti alquanto ambizioso perché pone la questione di un modello di sviluppo economico diverso da quello attuale. Si arriva alla provocazione di dire che il Pil potrebbe anche subire piccoli incrementi o addirittura leggere diminuzioni, in cambio di una «Pila», ovvero di un Pil dell'ambiente che invece deve crescere costantemente. Se crescerà questo nuovo indicatore, dicono i sostenitori della proposta, è chiaro che l'economia italiana e la società nel loro complesso miglioreranno. «Non si tratta affatto di una sostituzione del Pil con la Pila - spiega Calzolaio - quanto piuttosto di un affiancamento dei due indicatori, quello tradizionale che misura lo stato di salute dell'economia e il nuovo Pil ambientale».

Ma se questi sono discorsi di fondo, «strategici», la polemica politica nel centrosinistra si concentra anche sulla legge sulle infrastrutture e sulla legge obiettivo. Un'abrogazione totale viene giudicata impossibile. Devono essere valutati i progetti singoli, opera per opera. Su questo punto, nell'Unione, le idee non convergono, anche se ci sono state già autorevoli prese di posizione. Lo stesso leader, Prodi, ha detto in più di un'occasione che il Ponte sullo stretto non si farà.

Scritti sul PIL li trovate nelle cartelle Il nostro pianeta (gli scritti Ecco il PIL degli ambientalisti leggeriIl patto è scaduto, e gli articoli di Giovanni Sartori, Umberto Garimberti, Tommaso Padoa Schioppa, Marcello Cini, Serge Latouche, Guido Viale e altri) e nella cartella Carla Ravaioli

L'Unità, 2 febbraio
Assalto all’ambiente: ecco la legge «ecomostro»
di Maria Zegarelli

La destra in Senato dice sì alle nuove norme su acqua, aria e territorio - Le Regioni: ricorreremo alla Consulta. CORSE FRENETICHE in queste ultime ore di attività parlamentare: durante la notte la commissione Ambiente al Senato ha dato l’ok definitivo allo schema di decreto legislativo che attua la legge Delega Ambientale. Dopo un ultimo scontato passaggio in Consiglio dei Ministri, che dovrebbe avvenire entro i prossimi giorni, il sacco all’Ambiente sarà completo. Si tratta di un provvedimento nato senza la necessaria e prevista concertazione, criticato duramente da opposizione, sindacati, Enti locali e ambientalisti. Ieri la Regione Emilia Romagna ha detto no al decreto con una risoluzione del centro sinistra e ha invitato la giunta ad attivarsi per ricorrere «in ogni sede» contro il governo. E intanto l’Ue ha aperto una nuova procedura d’infrazione per il mancato rispetto delle norme sui rifiuti (ricomprese anche nel decreto), come contestato nel ricorso del Wwf.

Più che come un testo unico, secondo il centro sinistra in commissione Ambiente alla Camera, si tratta di un «mero assemblaggio, per di più confuso e pasticciato, di singoli testi pensati separatamente». Dure le critiche, arrivate dopo l’ok del Senato: «Un provvedimento che smantella, nella sostanza, l’autonomia dei Comuni esautorandoli della gestione dei servizi essenziali per i cittadini quali rifiuti e acqua», ha commentato Dario Esposito, presidente dell’Anci. «Anche la maggioranza chiede al governo profonde modifiche al decreto, in particolare sul danno ambientale pubblico - dice Fausto Giovanelli, capogruppo Ds in commissione Ambiente Senato - trasformato da principio generale della legislazione nazionale e europea in una funzione della nuova direzione generale del Ministero, creata apposta per il capo di Gabinetto di Matteoli». Per il senatore verde Vauro Turroni, «per l’Italia si tratta di un ritorno al passato».

Il testo unico riscrive le norme su sei materie: difesa del suolo, tutela dell’aria, danno ambientale, procedure di valutazione ambientale, rifiuti e bonifiche, tutela e gestione delle acque.

Difesa del suolo, lotta alla desertificazione, tutela delle acque e gestione delle risorse idriche. Recepisce la direttiva 200/60 in materie di acque «che prevede l’istituzione di Autorità di bacino distrettuali e la definizione dei distretti idrografici». La critica: lo schema di decreto unifica difesa del suolo, tutela delle acque, gestione delle risorse idriche, ma di fatto ripropone, aggravandola, la separazione di questi diversi settori. Non dà una risposta unitaria neanche sotto il profilo delle responsabilità e delle politiche ambientali. Prevede un forte accentramento di competenze e funzioni che erano già state trasferite alle Regioni o alle Autorità di Bacino dalla legge 183/89. Le Regioni, nella reale gestione di tutto ciò, saranno esautorate, pur avendo competenza in materia. Forte probabilità di contenziosi.

Tutela dell’aria. «Riordino e coordinamento di tutte le misure concernenti la prevenzione dell’inquinamento dell’aria; promozione del ricorso alle migliori tecniche disponibili; introduzione di una durata fissa per l’autorizzazione pari a 15 anni». Le critiche. Non sono stati rispettati i criteri previsti nella legge Delega perché il decreto si concentra solo sulle emissioni inquinanti di impianti industriali e civili, cercando di impedire alle Regioni di stabilire limiti più severi. Non tratta tutti gli aspetti che contribuiscono a garantire la qualità dell’aria e la sua tutela.

Danno Ambientale. «Viene definita la nozione di danno ambientale e una nuova disciplina in materia per conseguire l’effettività delle sanzioni amministrative e viene applicato il principio di chi inquina paga...». Le critiche. Il decreto abroga l’articolo 18 della legge 349/86 senza sostituirlo con norme adeguate alla nuova giurisprudenza e alle norme comunitarie. Inoltre, si prevede l’istituzione presso il Ministero dell’Ambiente di una nuova direzione Generale che dovrà occuparsi del danno ambientale. Si priveranno le associazioni ambientaliste della possibilità di presentare autonomamente ricorso contro chi inquina: potranno farlo soltanto attraverso il ministero.

Valutazione di impatto ambientale (Via), valutazione ambientale strategica (Vas) e Autorizzazione ambientale integrata (Ippc). «Integrale recepimento di quatto direttive, scansione puntuale dei procedimenti di Via per garantire il completamento di tutte le procedure in tempi certi». Anche per la Via ordinaria «verrà esaminato il progetto preliminare. Definizione dei meccanismi di coordinamento tra Via e Vas e tra Via e Ippc. Introduzione di un sistema di controlli successivi». Le critiche. Il decreto si preoccupa di accorciare i tempi di attesa per i pareri senza distinguere tra opere diverse per tipologia e complessità. Complessivo appesantimento procedurale e restringimento degli spazi di informazione e partecipazione.

Rifiuti e bonifiche. «Per le bonifiche vengono confermati sostanzialmente i parametri in vigore per la definizione di “sito inquinato” e per la successiva bonifica viene compiuta un’analisi di rischio».Confermato il meccanismo dell’accordo di programma, istituita un’Authority per acque e rifiuti. Spariscono il Comitato di vigilanza e l’Osservatorio nazionale sui rifiuti. Le critiche. Modifica la norma nelle parti che più funzionavano. Compresse le funzioni regionali e locali. Nessuna possibilità di intervento sull’attribuzione privata della gestione dei rifiuti urbani ad un soggetto diverso dal Comune.

il manifesto, 1 febbraio

Ambiente, delega allo sfascio

di Luca Fazio

Passa alla Camera il decreto legge di Matteoli. L'Unione: «E' uno scempio, la aboliremo»

Un altro compito per il centrosinistra. L'infinita opera di demolizione che l'Unione di governo è costretta a promettere (per ora sulla carta) ieri si è arricchita di un nuovo «pilastro» da eliminare dopo il 9 aprile. E' tutto scritto su un volume di 700 pagine scritto dal ministro caterpillar all'Ambiente Altero Matteoli, un monumento alla distruzione ambientale che nelle prossime settimane verrà sicuramente illustrato nel salotto di Bruno Vespa per dire agli italiani che «carta canta» e anche questa è fatta. L'Unione però ha già risposto: quel testo unico della Delega ambientale, che in teoria dovrebbe rendere più trasparente e snella la legislazione sulla tutela e la salvaguardia del territorio, verrà stracciato pagina dopo pagina. Sarà. Nel frattempo il tomo dello «scempio», come lo definiscono ambientalisti e alcune Regioni italiane, la quali hanno già preannunicato ricorsi alla Corte costituzionale, ieri è stato approvato dalla Commissione ambiente della Camera e presto (anche il Senato dirà sì) tornerà per la terza volta all'esame del Consiglio dei ministri. Insomma, si tratta di un altro spot di fine legislatura che però rischia di trasformarsi nell'ennesima mina da disinnescare al più presto.

Il ministro Altero Matteoli è soddisfatto ma mantiene un profilo piuttosto basso, forse perché si sente ministro uscente anche se con il suo decreto sottobraccio. «Credo che non ci sia stata una norma in Parlamento - si congratula - che abbia avuto così tanti passaggi istituzionali nel suo iter come la legge delega». L'Unione, unita per davvero, invece promette sfracelli, e qualcuno azzarda anche un improbabile appello a Silvio Berlusconi affinché blocchi questo schema di decreto, «siamo ancora in tempo per avviare l'elaborazione di un nuovo testo, basterebbe un atto di buonsenso per bloccare questo provvedimento che non introduce una riforma ma un vero e proprio stravolgimento della legislazione in materia di rifiuti, bonifiche, danno ambientale, difesa del suolo, acque, valutazione di impatto ambientale e tutela dell'aria» (Roberto Della Seta, Legambiente).

Senza alcun appello, taglia corto Pietro Folena (Prc) secondo cui «queste leggi vergognose» verranno abolite. «Con il decreto - precisa Folena - si privatizza un bene pubblico, l'ambiente. Si permette di inquinare dietro pagamento di una concessione, e in questo modo fiumi, laghi e terreni potranno essere privatizzati allo scopo di versarci veleni. Inoltre, si generalizza il metodo seguito per la Tav per cui non solo le grandi opere ma anche altre meno importanti avranno la valutazione di impatto ambientale da organismi centrali e non saranno più coinvolte le popolazioni locali».

Ermette Realacci (Margherita) si dà un compito arduo per il futuro, «riparare i guasti prodotti dal governo Berlusconi», e indica l'ambiente come una priorità assoluta. Il presidente onorario di Legambiente parla di «controriforma scriteriata, pericolosa e confusa, che non trova consenso in quasi nessun settore». Il verde Marco Lion fa indirettamente riferimento alla tesi secondo cui la Delega ambientale è stata scritta unicamente per favorire le industrie e le cosiddette «lobby» dell'inquinamento, il «mondo produttivo» o inquinante che dir si voglia. «Le nuove norme - dice - sono un attentato all'ambiente e all'impegno di chi ha contribuito a costruire una seria normativa ambientale. La destrutturazione della tutela ambientale sarà devastante ed è stata architettata per favorire interessi palesemente di parte».

Il capogruppo Ds alla Commissione ambiente della Camera, Fabrizio Vigni, forse con un eccesso di ottimismo sostiene che c'è «una unica via se si vuole evitare un danno così grave per l'ambiente: il governo ritiri immediatamente questo decreto e affidi al governo che verrà il compito di dare all'Italia una moderna ed efficace legislazione ambientale».

Introduzione

Le possibilità di un futuro migliore e di rilancio dell’Italia, nella nuova fase dell’economia globalizzata, sono strettamente legate alla capacità di valorizzarne potenzialità e vocazioni, con una visione in grado di promuovere e indirizzare l’innovazione necessaria per cogliere le nuove sfide come opportunità.

I beni comuni ambientali, indispensabili alla vita, alla sua qualità e allo sviluppo stanno diventando risorse scarse, sottoposte a pressioni globali e a prelievi crescenti, alimentati da modelli di produzione e di consumo insostenibili che si stanno rapidamente estendendo in varie parti del Pianeta. Le tutela dei beni comuni ambientali è un cardine della civiltà nella nostra epoca.

Il Protocollo di Kyoto rappresenta un modello generale per orientare lo sviluppo sociale ed economico.

Tutto ciò costituisce il contesto fondamentale delle nuove sfide che l’umanità deve affrontare. Cogliere la portata di queste nuove sfide è condizione necessaria per affrontarle, ma anche per conquistare un ruolo avanzato, offrire nuove risposte e nuove opportunità, cooperare ad un più esteso ed equo accesso ai benefici dello sviluppo e rispondere alla domanda di un numero ormai rilevante di consumatori maturi.

Il made in Italy associato nel mondo al vivere bene, alla bellezza ed alla qualità culturale e ambientale di uno straordinario Paese, a fronte delle nuove sfide, può avere grandi potenzialità perché risponde ad una domanda crescente di migliore qualità della vita, può ritagliare spazi per beni dove pochi altri possono competere e contribuire ad un quadro di coesione e cooperazione internazionale.

Una parte rilevante del nostro sistema produttivo è costituito da piccole e medie imprese che operano spesso in distretti con una forte caratterizzazione territoriale. Lo sviluppo locale caratterizzato da territori di qualità è una leva fondamentale per il rilancio del Paese. L’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili valorizzano la vocazione di un Paese che deve ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e rappresentano possibilità di importanti sbocchi anche all’estero. L’uso efficiente delle materie prime, la minimizzazione dei rifiuti ed il potenziamento del riciclo, come già ampiamente provato in importanti settori, hanno una crescente importanza non solo ambientale, ma anche economica.

Attività il cui rilievo è in aumento, come quelle agroalimentari e quelle turistiche, possono crescere e reggere una competizione internazionale sempre più accesa puntando sulla qualità integrata, multifunzionale, capace di promuovere la qualità dei singoli territori e delle loro reti.

Materiali, prodotti e processi produttivi, beni e servizi di elevata qualità ambientale,riconosciuta e garantita, costituirebbero per la filiera italiana un fattore di tipicità, di difesa legittima dalla concorrenza sleale da prodotti di bassa qualità e di valore aggiunto anche sui mercati internazionali.

In settori d’importanza rilevante come le infrastrutture ed i sistemi di mobilità, cruciali per la qualità delle città e del territorio, per quella dei crescenti spostamenti di merci e passeggeri, la qualità ambientale costituisce un criterio di riferimento fondamentale per una effettiva valutazione del rapporto costi-benefici, per un impiego razionale delle risorse, per la scelta delle priorità, per modalità decisionali in grado di valorizzare la partecipazione dei cittadini.

Il centrodestra al governo con le politiche dei condoni, con numerosi interventi normativi fino al decreto legislativo che attua una estesa controriforma, ha abbassato i livelli della tutela dell’ambiente e dei beni culturali, ponendosi in aperto contrasto con l’Unione Europea, anche con numerose norme che vanno riviste o sostituite.

Gli indirizzi,le direttive, i regolamenti e le risorse finanziarie dell’Unione Europea che puntano sull’elevata qualità ambientale e dei territori, rappresentano per il nostro Paese un utile quadro di riferimento, di indirizzo, di politiche e di misure per il suo rilancio.

Ad essi devono ispirarsi incisive politiche pubbliche con riforme della normativa, con un utilizzo razionale delle limitate risorse finanziarie disponibili, utilizzando incentivi economici e fiscali, strumenti volontari, di valutazione e contabilità ecologica, migliorando strutture tecniche e sistemi di monitoraggio e di controllo, promuovendo formazione e ricerca, accesso alle buone pratiche ed alle migliori tecnologie disponibili per attivare una chiave fondamentale per il rilancio del Paese: l’innovazione ecologica.

1. Trasporti, infrastrutture e politiche di mobilità (*)

  1. IL QUADRO ODIERNO

I cittadini e le imprese del nostro paese si confrontano con una rete di infrastrutture satura, inadeguata e pesantemente sbilanciata a favore del trasporto su gomma e con servizi insufficienti a soddisfare le esigenze di mobilità delle persone e delle merci. Questo scenario sta producendo effetti particolarmente negativi con un drammatico numero di morti per incidenti stradali, nonché sul fronte dei costi del trasporto e dello sviluppo economico, dell’impatto ambientale anche in termini di consumi energetici ed emissioni di gas serra, della sicurezza e della vivibilità soprattutto nelle aree urbane e metropolitane dove si sviluppa quasi il 70% degli spostamenti di tutto il territorio nazionale.

2. IL FALLIMENTO DEL GOVERNO BERLUSCONI

Gli italiani non si spostano meglio di 5 anni fa: con il governo della destra la situazione è ulteriormente peggiorata. Il trasporto pubblico è stato indebolito. Di un’efficace politica di viabilità non vi è stata traccia. La Legge Obiettivo per la realizzazione delle grandi opere si è rivelata un fallimento: pochissimi i cantieri aperti mentre gli investimenti pubblici per le infrastrutture si sono ridotti. Si sono prodotte preoccupanti forme di indebitamento che peseranno sul nostro futuro. Si è abbandonata ogni corretta forma di programmazione delle opere coerente con il Piano Generale dei Trasporti e Logistica (d’ora in avanti PCGTL) e di relazione con gli enti locali. La legislatura si chiude con un dato paradossale: per effetto della gravissima situazione finanziaria dell’ANAS si stanno bloccando perfino i cantieri avviati dal precedente Governo.

3. I CONCETTI ISPIRATORI DELLA POLITICA DELL’UNIONE

Centrali nel programma dell’unione sono gli interventi e gli investimenti per le città per il potenziamento del trasporto pubblico locale collettivo.

Al fine di ridurre il trasporto su gomma, con obiettivi quantificati e verificati, occorre incrementare il trasporto ferroviario, marittimo, l’intermodalità e la logistica. Fondamentale è un quadro organico di misure e risorse destinate a garantire la sicurezza stradale.

L’unione si impegna a individuare sulla base delle risorse finanziarie realmente disponibili le priorità da realizzare nel campo delle infrastrutture e in coerenza con il PGTL e con particolare riguardo al Mezzogiorno.

4. LE PROPOSTE DI PROGRAMMA DELL’UNIONE

Per le città:

  1. Migliorare la mobilità urbana attraverso investimenti mirati a potenziare l’offerta di trasporto pubblico locale, estendendo le reti tranviarie e metropolitane, (1) ammodernando il trasporto pubblico con vetture meno inquinanti ed estendendo le piste ciclabili, le corsie protette, le zone a traffico limitato e quelle pedonalizzate;
  2. Dare adeguata risposta alle esigenze dei pendolari rafforzando il trasporto ferroviario metropolitano e regionale, accelerando gli investimenti sui nodi, incrementando e ammodernando i treni e prevedendo un’efficace azione di indirizzo e coordinamento, d’intesa con gli enti locali, delle scelte di riconversione delle tracce liberate dall’entrata in funzione dell’alta velocità
  3. Regolare e finanziare i Piani Urbani delle Mobilità da attuare da parte delle amministrazioni locali;
  4. Sostenere la riorganizzazione del trasporto merci all’interno delle aree urbane;

Per il riequilibrio intermodale, il cabotaggio e la logistica integrata:

  1. Valorizzare un sistema logistico fondato sull’integrazione tra strutture portuali, interportuali, aeroportuali con idonei raccordi con le reti ferroviarie e stradali;
  2. Rifinanziare gli incentivi per l’intermodalità e sostenere le attività delle imprese armatoriali finalizzate allo sviluppo del sistema intermodale;
  3. Investire sulle aree portuali e retroportuali nel rispetto dei massimi livelli di sicurezza;
  4. Nel quadro della riduzione del trasporto su gomma e della riduzione dei viaggi senza carico vanno favorite le aggregazioni delle imprese di autotrasporto e va incentivata la costituzione di sistemi logistici;
  5. Aggiornare la Legge di riforma dell’ordinamento portuale (L. 84/94);

Per l’individuazione delle priorità infrastrutturali

  1. La lista di opere della legge obiettivo e’ smisurata e propagandistica: vanno selezionati gli interventi effettivamente essenziali e prioritari sulla base dei criteri successivamente indicati
  2. Selezionare le priorità infrastrutturali tenuto conto delle realidisponibilità finanziarie
  3. Individuare le priorità nelle opere fondamentali per lo sviluppo di aree vaste per risolvere i problemi di mobilità delle persone e delle merci, per favorire le attività economiche e produttive e la vivibilità complessiva del territorio riducendo le esternalità (inquinamento atmosferico ed acustico, congestione del traffico, l’impatto sulla salute pubblica etc).
  4. La loro individuazione e realizzazione deve avvenire alla luce delle risultanze della VAS, dell’attento esame del rapporto costo-beneficio di ogni intervento e delle sua coerenza con gli obiettivi generali e di sistema da perseguire a partire dal riequilibrio modale. A tal fine si impone un confronto approfondito che coinvolga attivamente gli enti territoriali;
  5. Riservare specifica attenzione al recupero e miglioramento della qualitàdell’efficienza e della sicurezza delle infrastrutture esistenti;

Per la sicurezza nei trasporti:

  1. Finanziare adeguatamente il Piano nazionale della sicurezza stradale;
  2. Incrementare gli investimenti per la sicurezza sulla rete ferroviaria;
  3. Investire in nuovi impianti e tecnologie di controllo sulla rete ferroviaria, stradale e per il trasporto aereo e marittimo;
  4. riservare particolare attenzione alla sicurezza del lavoro in tutto il settore;
  5. Assicurare l’organizzazione del lavoro e delle imprese in modo che risulti coerente con i predetti obiettivi
  6. Abolire la norma che eleva a 150 km/h il limite di velocità sulle autostrade;

Per la legislazione sui lavori pubblici:

  1. Modificare profondamente la legge obiettivo in particolare sul rispetto del ruolo degli enti territoriali, il rafforzamento della VIA, il potenziamento delle capacità di controllo, monitoraggio e di vigilanza complessiva della pubblica amministrazione, sul ruolo e sull’operato dell’istituto del General contractor
  2. Riordinare la legislazione sui lavori pubblici in un unico corpo normativo recependo le direttive comunitarie e assicurando una disciplina omogenea delle leggi regionali. Obiettivi fondamentali devono essere la centralità e la qualità del progetto, la trasparenza delle procedure, il rispetto della legalità, la leale concorrenza e l’accelerazione dei tempi di realizzazione dei lavori

Per le Ferrovie

  1. Il governo attuale lascia le ferrovie in uno stato che non soddisfa affatto né utenti né i ferrovieri. Il ruolo delle ferrovie deve essere invece centrale nello sviluppo del trasporto locale e regionale, mentre per le merci si deve perseguire l’obiettivo di diventare un grande operatore logistico integrato a livello europeo. Stante la situazione e gli obiettivi indicati, si rende necessario verificare i modelli organizzativi e gestionali.

Per il trasporto aereo

  1. Intervenire coerentemente alla legislatura del Cielo Unico Europeo anche al fine di supportare le strategie di efficientamento e rafforzamento dei vettori aerei nazionali, garantire la necessaria trasparenza nei rapporti con le società di gestione aeroportuale e sopperire alla carenza di normativa nazionale che disciplina il lavoro e le relazioni industriali.

Il Ponte sullo Sretto

  1. Riguardo al ponte sullo stretto di Messina si assume la posizione delle mozioni parlamentari unitarie dell’Unione che chiedono di sospendere l’iter procedurale per realizzare le priorità infrastrutturali nel Mezzogiorno (sistema autostradale e ferroviario, Salerno-Reggio Calabria-Palermo, reti idriche, Statale Ionica, porti e cabotaggio).

2. Rifiuti e Bonifiche

[omissis - vedi nel testo integrale allegato]

3. Governo del territorio, lotta all'abusivismo edilizio e politiche dell'abitazione

1. IL TERRITORIO E LE CITTA’

Il territorio italiano è un patrimonio di grande valore per la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica, per la presenza diffusa di beni culturali, storici e archeologici: rappresenta quindi una risorsa fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro. Le città italiane dotate di ricchezze culturali, ambientali e sociali sono centri propulsori della vita civile ed economica del Paese.

Il nostro territorio e le città devono affrontare pressioni prodotte dalla crescente mobilità di persone e merci, dall’espansione insediativa, dal dissesto idrogeologico aggravato dai cambiamenti climatici e dalle diverse forme di inquinamento e di produzione di rifiuti.

Nel contempo la campagna e la montagna sono investite da un processo di marginalizzazione e di abbandono.

2. IL FALLIMENTO DEL GOVERNO BERLUSCONI

ll governo di centrodestra ha attuato condoni edilizi, ha realizzato tagli dei finanziamenti per gli enti locali e per il trasporto pubblico, ha favorito un’abnorme crescita delle rendita immobiliare, ha ridotto i fondi per la difesa del suolo; ha indebolito la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-culturale, le politiche di governo del territorio e di gestione urbanistica attaccandone sistematicamente la gestione ed il controllo pubblico. Ha alimentato altresì un drastico peggioramento delle condizioni sociali indebolendo le politiche di coesione ed inducendo nuove criticità in numerose aree urbane.

3. I PRINCIPI ISPIRATORI DEL GOVERNO DELL’UNIONE

Il riordino del governo del territorio deve garantire la qualità ambientale, culturale e paesistica, la biodiversità, il risparmio del suolo, la prevenzione e la riduzione dei rischi. I diversi piani e programmi che intervengono sul medesimo territorio devono essere coordinati ed integrati secondo i principi della sostenibilità, delle prevenzione e della precauzione garantendo trasparenza e partecipazione.

4. LE PROPOSTE DI PROGRAMMA DELL’UNIONE

1. Varare una nuova legge quadro peril governo del territorio quale bene comune nella programmazione e regolazione pubblica delle esigenze insediative ed infrastrutturali che operi secondi i seguenti criteri:

a) evitare il consumo di nuovo territorio senza aver prima verificato tutte le possibilità di recupero, di riutilizzo e di sostituzione;

b) realizzare una gestione integrata che tenga conto della biodiversità, della qualità ambientale, culturale e paesistica, del ruolo multifunzionale dell’agricoltura e insieme della qualità sociale e urbana;

c) promuovere l’efficienza energetica e dell’uso delle risorse idriche e la logistica e i sistemi per la mobilità sostenibile e della prevenzione dei rischi del dissesto idrogeologico, di quelli naturali e tecnologici;

2. Impegno a non varare nuovi condoni edilizi e a potenziare attività e misure di prevenzione, di controllo e dissuasione nonché piani di recupero del territorio anche attraverso l’abbattimento delle opere abusive a partire da quelle realizzate nelle aree vincolate;

3. Promuovere un programma a favore delle città finalizzato in particolare alla tutela ed alla valorizzazione dei centri storici e al risanamento ed alla riqualificazione delle periferie;

4. Varare la proposta di legge con misure per sostenere i piccoli Comuni;

5. Promuovere, nelle aree urbane e metropolitane, l’aumento di parchi, giardini, orti e altre aree verdi;

6. Potenziare il trasporto pubblico locale, metropolitano e regionale con sistemi integrati incrementando la modalità di sistemi su ferro e in corsie preferenziali;

  1. Rendere permanenti gli incentivi fiscali per ristrutturazioni edilizie finalizzandole in particolare al risparmio energetico, alla qualita’ ecologica, alla bioedilizia e alla sicurezza degli edifici;

8.

Promuovere, incentivare e governare il partenariato pubblico/privato definendo regole e modelli, e sostenendo le esperienze di successo nel raggiungimento di obiettivi pubblici;

9. Attuare, in conformità con le indicazioni europee, la Valutazione Ambientale Strategica dei piani e dei programmi;

4. ACQUE, BACINI IDRICI E MARE

[omissis - vedi nel testo integrale allegato]

5. ENERGIA ED AMBIENTE

[omissis - vedi nel testo integrale allegato]

6. BIODIVERSITA’ ED AREE PROTETTE

[omissis - vedi nel testo integrale allegato]

Negli ultimi trenta anni, le società «occidentali» sono state ispirate da principi che sempre di più hanno esaltato il valore dell'individualismo come fondamento dell'organizzazione della società umana. I concetti di benessere e di ricchezza sono stati ridotti a quelli di benessere personale e di ricchezza individuale. La nozione di ricchezza collettiva non fa più parte della cultura sociale ed economica delle nostre società. Ciò che fu definito, fino a non molto tempo fa, il «tesoro pubblico», cioè le risorse finanziarie pubbliche, alimentate principalmente dalla fiscalità generale, è oggi considerato piuttosto come una forma di esproprio operato dai poteri pubblici sulla ricchezza de icittadini. Prelevare una parte della ricchezza prodotta di un paese, via la fiscalità, per finanziare la costruzione e la manutenzione di ospedali, di scuole, di acquedotti, di reti di trasporto urbano è sempre meno accettato come giusto e necessario. La sicurezza collettiva (l'esercito, la polizia) resta un settore dove il finanziamento pubblico è accettato. Per quanto tempo ancora? La maggioranza delle classi dirigenti dei paesi ricchi, imitata dalla classe ricca dei paesi poveri, è riuscita a imporre una visione utilitarista, corporativa e inegualitaria dei beni e servizi considerati essenziali e insostituibili alla vita e al vivere insieme. Secondo questa visione, i costi associati al loro accesso devono essere presi a carico, finanziati, dal consumatore del bene e/o del servizio, perchè, si afferma, anche questi beni e servizi fanno parte del campo dei bisogni e degli interessi individuali e non del campo dei diritti/doveri umani e sociali. Altrimenti detto, non siamo più degli esseri umani, dei cittadini, aventi diritto all'accesso all'acqua potabile, all'alloggio, alla salute, all'educazione perché esistiamo. Siamo stati ridotti a dei consumatori il cui accesso alla vita dipende dal potere di acquisto individuale in un contesto di scambi di merci e servizi obbedienti alla competizione per la sopravvivenza. Nel mentre nello stato detto del welfare, l'accesso a tali beni e servizi era garantito a tutti, anche alle persone deboli, povere; oggi solo i forti, sovente già ricchi, riescono ad avere l'accesso alla vita in maniera adeguata e degna di un essere umano. Le nostre società hanno ritrovato la grande povertà e sono frantumate da vecchie e nuove forme di esclusione, di ineguaglianza e d'ingiustizia. Ognuno di noi è in competizione/rivalità con tutti gli altri nella lotta per l'accesso ai beni essenziali. La società attuale è fondata sul principio dell'inevitabile esclusione dei meno competitivi, dei più deboli. Essa ha fatto della violenza il principio regolatore delle relazioni tra gli individui, i gruppi, le città, i popoli. Oramai, l'altro è necessariamente una minaccia, un nemico, un illegale. Su queste basi è impossibile costruire un vivere insieme «sostenibile», specie sul piano umano, né a livello locale, delle comunità, né a livello nazionale italiano. Figuriamoci a livello continentale o mondiale. Quel che diventa possibile è solo la creazione di mercati, di «città-mercati», e la costituzione di forti centri di potere, di «imperi», fondati sulla logica di conquista e di dominio. In questo contesto, la forza del diritto che ha rappresentato una delle conquiste sociali maggiori del secolo XIX è rimpiazzata dal diritto della forza. L'evoluzione della società italiana degli ultimi anni ne è un caso emblematico E' urgente ripartire dal vivere insieme sulla base della (ri) costruzione e della promozione di beni comuni quali l'acqua (contro la sua «petrolizzazione» e «cocacolizzazione »), la conoscenza (non si può accettare l'appropriazione privata dei saperi e la mercificazione dell'educazione, in particolare dell'università), la salute (opposizione alla privatizzazione del sistema sanitario), il territorio (contro l'attuale dissesto idrogeologico generale), la bellezza (risanare il patrimonio del paesaggio e dei beni culturali). Una vita umanamente degna e un vivere insieme costruttivo sono un diritto universale e un dovere collettivo. Da qui, l'inevitabilità della responsabilità e della cura comuni di tutti i beni e servizi essenziali e insostituibili alla vita. Il prossimo governo nuovo ha una grande principale sfida storica da raccogliere: deve diventare il primo governo dei beni comuni.

Quando l´attuale presidente del Consiglio, davanti a 12 milioni di testimoni, ha condannato la pretesa della sinistra di «rendere uguale il figlio del professionista al figlio dell´operaio», egli è andato al fondo delle cose. Come in un testamento, ci lascia una straordinaria sintesi del senso della lunga rissa scatenata contro la Costituzione dalla sua coalizione di estremisti. Perché qui, in quella condanna – mai udita in questo Paese da quando si cominciò a costruire lo Stato unitario (e neppure, perfino, in regime fascista) – c´è la rivelazione del «programma». Un programma che non ha nulla a che fare con il liberismo fiscale e neppure con la devolution e le altre slegature dell´organizzazione della Repubblica racchiuse nel container in attesa di referendum costituzionale.

È un programma che va oltre perché è un piano di rottura dell´idea stessa di «repubblica», idea che trova svolgimento nei principi fondamentali scritti nella Costituzione. Principi valoriali che, però, non sono stati creati dalla Costituzione ma da essa sono «riconosciuti» e codificati. «Scritti» così come erano stati vissuti nella storia degli italiani, nella narrazione delle loro origini.

Quella rottura si consuma perciò con la chiarezza di una epifania quando per bocca del premier, si dice l´esatto contrario di quello che nella Costituzione è scritto all´articolo 3: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»...

A un programma costituzionale di progressiva eliminazione delle disuguaglianze – anche, com´è ovvio, con misure fiscali di equità – si contrappone, dunque, un concetto di pietrificazione sociale, di «stabilizzazione» classista. E si capisce subito come questo concetto si scontri frontalmente con il criterio costituzionale della progressività dell´imposta (art. 53). Dice questo criterio che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, tenendo conto delle loro risorse, della loro capacità contributiva. Dice anche che i redditi dei contribuenti non possono sopportare spettacolari differenziazioni – come quelle ora esistenti nel nostro sistema fiscale – in ragione della diversità della loro fonte.

Ma vi è di più: quel concetto berlusconista va anche contro il programma di cittadinanza piena e inclusiva che la Costituzione disegna quando «riconosce» (ancora questo verbo: carico di storia e di umiltà statale) e «promuove» le autonomie locali, garantendo ad esse l´integrale finanziamento delle funzioni pubbliche loro attribuite (artt. 5 e 119). Le autonomie locali, dunque. Come indicazione preferenziale delle comunità di vita e di destino, in cui meglio si conosce, per i lunghi secoli della straordinaria storia comunale italiana, la geografia sociale dei bisogni e delle fragilità delle città e dei cittadini. Togliere, dopo cinque anni di strette finanziarie, ancora soldi a questa Italia profonda, mettere con il taglio delle imposte locali (ICI, rifiuti...) le mani in tasca ai comuni, significa rendere ancora più netta e profonda – sopprimendo servizi pubblici – la frattura sociale di questi ultimi tempi: con i ricchi più ricchi, i poveri più poveri e la classe media sempre più sullo scivolo.

Si capiscono, allora meglio certe espressioni di disprezzo per quegli «altri» che sostengono invece le regole di equità fiscale, di solidarietà, di coesione comunitaria. È la stessa contrapposizione che si trovava in un tempo (per fortuna) passato in certe repubbliche sud-americane. Dove gli «altri» – quelli che si opponevano a forme di Stato e di governo, dominate nei secoli dai caudillos espressi dai «beati possidenti» – erano chiamati semplicemente, «los rotos». Quelli che la nascita, la fortuna, la vita avrebbero semplicemente «rotto». E che, invece, erano, come spesso accadeva, l´anima vibrante, la cultura popolare di quegli Stati lontani.

Ma in quella stupefacente «confessione» di un premier precario risulta anche chiara una congiunzione anti-repubblicana. Da un lato, questo attacco al principio di uguaglianza che la Corte costituzionale, in una sentenza di 40 anni fa, ha propriamente indicato come il «principio che condiziona tutto l´ordinamento nella sua obiettiva struttura». Dall´altro lato, l´attacco, portato per una intera legislatura, alla struttura unitaria dell´organizzazione della Repubblica, ai suoi equilibri, alle sue garanzie, al suo stesso funzionamento: l´attacco che ha prodotto lo squallido disegno di eversione, la devolution Bossi-Calderoli, sotto giudizio referendario.

Questo ricongiungimento dei progetti anti-costituzionali fa anche toccare con mano la necessità di «unificare i processi» alla legislatura che è passata e al governo e alla maggioranza che ne sono stati responsabili. Non si possono tenere distinte, in questo clima, le poste in gioco nel gran risiko italiano. Domani e lunedì sono in ballo quattro scelte decisive: sul parlamento, sul governo, sul presidente della Repubblica, sulla Costituzione. Quattro scelte con un solo voto.

Si voterà infatti per un parlamento che per essere veramente nuovo, dovrà innanzitutto esprimere presidenti di assemblea capaci di ricucire la tradizione garantista interrotta dagli ultimi due. Che dovrà essere capace di esprimere un governo forte e stabile ma anche di controllarlo: perché il potere solitario, anche quando è un potere amico, si logora e si corrompe.

Si voterà poi per un governo che governi secondo l´interesse nazionale, bussola insuperabile nella normale dialettica di coalizione. Che riesca a ricomporre la frattura sociale e la frattura civile, apertesi nel Paese, e la frattura europea, apertasi nell´Unione (riassunta nell´appello-copertina dell´Economist che sta facendo il giro del mondo...).

Ma si voterà anche per un presidente della Repubblica che abbia il compito di continuare l´opera di pacificazione e di concordia nazionale tenacemente perseguita, malgrado tutto, senza dissipare un solo giorno del suo mandato, da Carlo A. Ciampi. Il parlamento che uscirà dalle urne imminenti sarà, infatti, quello stesso che, quindici giorni dopo, voterà per l´erede di Ciampi o per Berlusconi.

E si voterà anche per la Costituzione: perché la maggioranza parlamentare che verrà fuori, lunedì alle cinque della sera, avrà poi una fortissima capacità di trascinamento sul referendum di giugno. E quindi questo referendum costituzionale «si farà», anticipato nella sua intima sostanza, anche esso, domenica e lunedì.

Allora: un parlamento, un governo, un presidente della Repubblica, una Costituzione. Tutto si tiene in brevissimo spazio. Mai un voto sono decise tante cose incrociate per il destino nazionale.

Il 2 di giugno del 1946 nacque la Repubblica e si cominciò a scrivere la Costituzione come sua ragione di esistenza e insieme come programma per il suo futuro. 60 anni dopo, il 2 giugno 2006, rischiamo di avere, con un governo complice, una specie di nuova forsennata monarchia al Quirinale. E in più il rischio di una Costituzione «incostituzionale» perché fatta contro il nucleo dei principi e dei valori che da allora ne formano l´identità e le danno la carica propulsiva.

Nel vicino weekend degli Ulivi noi decideremo su tutto questo. E ci ricorderemo certo della parabola del «figlio dell´operaio» e del «figlio dell´ingegnere» raccontataci dal signor presidente del Consiglio.

Il paradosso della campagna elettorale si può sintetizzare così: la Casa delle Libertà più che il governo in carica appare come lo sfidante che mette a nudo le contraddizioni del programma dell'avversario. E riesce ad evitare che si parli del suo. Le 208 pagine del documento dell'Unione sono state vivisezionate e utilizzate dalla controffensiva polista. L'economista Giacomo Vaciago su Europa ha raccontato che qualcuno ha fotocopiato la pagina 130 e l'ha fatta circolare tra i tassisti, tradizionalmente contrari alla liberalizzazione delle licenze. Dei propositi per i prossimi cinque anni di un nuovo governo di centrodestra, invece, poco si discute. Persino i candidati dell'Unione giocano di rimessa. Puntano sulle emozioni restando imprigionati in uno schema che considera il 9 aprile un referendum anti-Berlusconi. L'abc dell'alternanza prevederebbe un altro schema: l'opposizione che aspira a conquistare la maggioranza incalza il governo uscente e ne sminuzza il programma.

Anche perché il programma elettorale 2006-2011 della Casa delle Libertà di spunti ne offre. Il dettaglio più interessante lo si trova al capitolo «Finanza pubblica»: si parte sostenendo che il patrimonio pubblico (Eni, Enel, immobili, spiagge, caserme, etc.) è superiore al nostro pur mostruoso debito, 1.800 contro 1.500 miliardi di euro. L'ipotesi di lavoro che ne consegue è di «collocare e valorizzare sul mercato» almeno il 40% di questo patrimonio stimando di portare a casa per questa via la bella cifra di 700 miliardi di euro. Come? Offrendo «ai risparmiatori e investitori maggiori e migliori opportunità di impiego privato dei loro capitali». La proposta non è nuova di zecca e, come ha scritto sul Corriere del 25 febbraio Massimo Mucchetti, assomiglia molto all'idea formulata qualche mese fa da Giuseppe Guarino, giurista ed ex ministro delle Finanze. Che suggeriva di mettere tutti gli asset pubblici in una holding — maliziosamente la chiameremo Nuova Iri — che potrebbe indebitarsi emettendo obbligazioni presso i piccoli risparmiatori e incassare fino ai 700 miliardi di cui sopra.

Di altre entrate che non derivino da «azioni contro l'evasione fiscale» nel programma non vi è traccia, quindi la Nuova Iri assolve un ruolo-chiave. Serve ad assicurare indirettamente la copertura per un costoso programma elettorale. Sommando gli esborsi per il bonus bebè, gli incentivi alla natalità, la costruzione di asili, il sostegno alle infrastrutture e la riduzione di 3 punti del cuneo fiscale, si arriva a una stima di maggiori uscite che varia dai 35 ai 40 miliardi di euro. Per avere un termine di paragone il taglio di 5 punti del cuneo fiscale, sponsorizzato dall'Unione e la cui copertura è tuttora un rompicapo, costa «appena» 10 miliardi di euro. Ma chi paga gli investimenti previsti dal programma della Casa delle Libertà? I risparmiatori che dovrebbero acquistare i bond lanciati dalla Nuova Iri. Basta dunque emettere della carta per quadrare il cerchio dei conti pubblici e addirittura finanziare nuovi interventi di spesa? Il dubbio è lecito. Per convincere i risparmiatori a sottoscrivere una quantità straordinaria di titoli di una sola società dovrebbero remunerarli adeguatamente, probabilmente anche più degli stessi Bot. Si configura così una partita di giro a somma negativa: per abbassare il debito pubblico si fanno pagare più oneri finanziari allo Stato, anche se nella veste di proprietario della Nuova Iri. Il successo di quest'operazione segnerebbe il trionfo della finanza creativa, ma a Bruxelles e Londra resterebbe il legittimo sospetto di un utilizzo a copertura di spesa e non solo per cancellare parte del debito.

CI sono momenti, durante questa campagna elettorale che è drammatica nella sostanza più ancora che nei toni, in cui si apre come una voragine e dentro la voragine precipita tutto quello che dovrebbe contare: il significato autentico del voto che stiamo per dare, la capacità di esprimere un giudizio complessivo su come siamo stati governati e su come vorremmo esserlo, la sostanza stessa della politica e della democrazia. I manuali e le tradizioni liberali ci dicono una cosa essenziale sul nostro sistema politico, che rischiamo di perder di vista: ridotta all’osso, la democrazia è la facoltà, data al cittadini, di mandare a casa chi ha governato male.

Non crea felicità, perché la felicità è individuale e gli uomini liberi si associano di solito per far fronte a un male o correggere errori, essendo mali ed errori più certificabili del bene. Sono le ideologie o la pubblicità che promettono le fatali rive del sentirsi-bene collettivo. In una campagna elettorale si esaminano naturalmente i candidati oppositori, ma l’attenzione si concentra su coloro che hanno avuto il comando. Hanno fatto leggi benefiche, e compiuto il loro dovere? Hanno tenuto parola? Sono stati onesti i loro deputati? Tutto questo si domanda il cittadino, nella cabina elettorale, quando c’è democrazia e non s’aprono voragini.

Siamo in tanti ad aver dimenticato che questi sono gli interrogativi ed è il motivo per cui la campagna è così stordente, accecante. Se da giorni e giorni siamo sommersi dalla paura di veder tassati dalla sinistra bot, cct, case, successioni, è perché l’essenza della scelta democratica ci sfugge, e una confusione enorme s’è installata nelle teste. Accettiamo che i governanti si presentino come oppositori, eterni ribelli a una sinistra che di fatto ci dominerebbe, e che come oppositori siano dunque esentati dall’obbligo di render conto di tutto quello che hanno fatto nella loro legislatura. E accettiamo che gli oppositori rispondano di disastri di cui non sono responsabili. Render conto di quel che si è fatto si dice in inglese accountability, che non è solo assumersi responsabilità ma permettere che quest’ultima sia contabilizzata. Quando si vota in democrazia, il governo non può presentarsi alla maniera di Berlusconi, Fini o Casini: come fosse vergine, e per cinque anni non avesse detto né commesso alcunché.

I primi ad accettare questa stordente campagna che confonde i ruoli sono gli oppositori. Invece di incalzare il governo su quello che ha fatto, il centrosinistra si sente in dovere di rispondere e giustificarsi sui propri vizi, su proprie ataviche tentazioni.

Si è fatto mettere in un angolo su bot e cct - poteva parlare genericamente di sacrifici - e il più delle volte neppure spiega come mai queste o altre privazioni saranno necessarie. Lo sono perché le finanze sono di nuovo gravemente danneggiate, come certificato da Banca d’Italia. Perché una vera liberalizzazione non c’è stata, perché privatizzato è stato il monopolio dei tabacchi e nient’altro, perché ci sono servizi pubblici non rinunciabili. La destra aveva promesso una rivoluzione liberale: non c’è stata.

Il centro sinistra potrebbe andare al fondo della questione, e spiegare perché non c’è stata: perché il governo ha speso energie approvando leggi ad personam, fatte con l’intento di proteggere personaggi condannati o sotto processo per corruzione (anche corruzione di giudici con soldi Fininvest, nel caso Previti) o per collusione con la mafia (Dell’Utri): leggi che la sinistra condannò, e di cui misteriosamente non parla più. Perché il monopolio sulle televisioni private (cui si aggiunge la Rai, controllata da Berlusconi-capo del governo) è stato tutelato da ogni concorrenza (il fallimento della Sette è frutto di congiunte manovre di Berlusconi e Tronchetti Provera). E ancora: l’Unione poteva ricordare che su 25 deputati condannati per corruzione, 21 sono nella maggioranza. Poteva elencare i ministri che hanno dovuto dimettersi (Ruggiero, Siniscalco), i giornalisti che non hanno potuto restare al proprio posto (De Bortoli al Corriere, Biagi e Santoro alla Rai). Poteva dire che non si vota per un governo che annovera ministri, come Calderoli, che dicono ai giornalisti: «Glielo dico francamente, la legge elettorale l’ho scritta io ma è una porcata. Una porcata fatta volutamente per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti col popolo che vota» (Rimando il lettore alla definizione - filologicamente ineccepibile - che Giovanni Sartori ha dato della parola porcata, Corriere della Sera, 28-3). Ma soprattutto avrebbe potuto parlare del male che affligge la nostra democrazia: il conflitto d’interessi, lo scandalo di un magnate dell’informazione che governa senza abbandonare le sue tv. Non tutti per la verità sono così inibiti. Non tacciono i libri (l’ultimo è quello di Alexander Stille, Citizen Berlusconi, Garzanti 2006). Non tacciono, all’estero, né i politici né la stampa. L’ultimo numero della Zeit denuncia il conflitto d’interessi e ricorda che Berlusconi non è un Arlecchino ma un politico pericoloso implicato in 14 processi.

Dico che la sinistra avrebbe potuto ma è ovvio che può ancora. Basta abbandonare l’insipienza che l’ha afflitta anche in passato, quando pensò di sorvolare sul conflitto d’interessi nell’illusione di fabbricarsi un avversario azzoppato (questo fu l’inciucio). Basta non farsi imprigionare dalla moda, tutta italiana, di considerar ormai scontata l’anomalia berlusconiana o la partigianeria dei giudici. Una moda che conferma quello che Nanni Moretti ha detto nei giorni scorsi: l’esperienza Berlusconi non finirà, neppure se vincesse la sinistra. Ha scolpito gli animi, la politica, il pensare. Ci ha resi indifferenti ai dilemmi etici, alla commistione politica-affari, alla menzogna, ben più che nel passato. Ha screditato durevolmente la giustizia, il pluralismo in tv. Ha «abbassato lo standard della moralità», scrive Stille. Ha ricoperto con fitta nebbia parole ormai del tutto vacue come moderatismo, centrismo, liberalismo. La destra si diceva moderata: non ne ha dato prova. Il suo moderatismo è stato estremista, a meno di giudicare moderato un ministro che si vanta d’aver escogitato porcate per rendere ingovernabile un’Italia di centrosinistra.

Prodi, a mio modesto parere, non ha bisogno di parlare di felicità: è un terreno sdrucciolevole, abbiamo visto. Basta che elenchi le leggi ad personam, i ministri che hanno agito o parlato senza serietà, le televisioni che palesemente non hanno informato. Non può lasciarsi intimidire e anestetizzare come si è lasciata intimidire e cloroformizzare gran parte della classe dirigente.

Anche noi giornalisti siamo parte di questa classe dirigente: talmente scafata, navigata, che di sensibilità etica e democratica ne possiede ormai poca. Siamo divenuti un ibrido singolare, per metà trepidi per metà strafottenti; quasi ci vergogniamo di menzionare conflitti d’interessi, giustizia, monopolio televisivo. Quasi ci siamo scordati che entrare in politica senza aver personali interessi è una regola base in democrazia, non qualcosa di sinistra o destra. Soprattutto quando gli interessi berlusconiani concernono l’informazione e giù per li rami telefonia mobile, provider internet, cinema, videonoleggio, assicurazioni sulla vita, fondi comuni, sport, editoria. Fare giornalismo corretto non può ridursi a incalzare prevalentemente la sinistra e non chieder conti alla destra.

L’episodio Berlusconi-Annunziata vale la pena meditarlo come lezione. Un governante ha deciso che in caso di domande sgradite s’alza, minaccia, se ne va. È un ricatto cui non converrà cedere con alcun governo, e a esso non ci si sottrarrà dirottando l’impertinenza quasi solo sull’opposizione, o su Prodi che questa prepotenza la rifiuta. Al duello Prodi-Berlusconi vedremo se l’intimidazione funziona o no, a cominciare dai tempi distribuiti.

Infine ci sono i cittadini-elettori. L’inquietudine sul fisco si capisce: l’Unione è stata demente a incuter tanta paura, senza neppure offrire un grande obiettivo nazionale come ai tempi dell’euro. Ma la trappola è in agguato anche per loro, anche per loro si tratta di riscoprire il tribunale elettorale e quel che dice Karl Popper: «La democrazia è il diritto del popolo di giudicare e di far cadere il proprio governo. È il solo strumento noto per mezzo del quale possiamo tentare di proteggerci contro l’abuso del potere politico; essa significa il controllo dei governanti da parte dei governati. E poiché il potere politico può controllare il potere economico, la democrazia politica è anche il solo mezzo di controllo del potere economico da parte dei governati. Senza controllo democratico, non ci può essere alcuna ragione al mondo per cui qualsiasi governo non debba usare il suo potere per fini molto diversi dalla protezione della libertà dei suoi cittadini» (La società aperta e i suoi nemici, Armando, 1996).

Ma un’altra cosa dice Popper, fondamentale: le istituzioni democratiche non possono migliorare se stesse, perché il problema del loro miglioramento riguarda in prima linea noi cittadini. Contrariamente a quello che ha scritto con malinconica trepidazione Luigi La Spina, venerdì su La Stampa, non credo che siamo condannati a esprimere pregiudizi piuttosto che giudizi, il 9-10 aprile, anche se il rischio è grande. Abbiamo tutti gli elementi per giudicare il governo. Abbiamo la memoria, la capacità di far di conto e il senso comune, se come elettori non trascuriamo il nostro turno di guardia.

QUANDO Silvio Berlusconi, nel corso delle sue infuocate declamazioni, afferma che i comunisti mangiano (o magari fanno bollire) i bambini, nessuno ci crede veramente e la cosa finisce lì. Se afferma invece che Bertinotti vuole reintrodurre l'imposta di successione su patrimoni anche medio-piccoli, pari a 350 milioni di vecchie lire, il cittadino medio ne rimane immediatamente turbato, comincia a fare i conti su quanto gli toccherebbe pagare; e una parte del ceto medio, essenziale per il suc-cesso elettorale dell'Unione, raffredda di colpo i propri entusiasmi per il cambiamento.

Alla distanza, così com'è naturale in una democrazia, il tema fiscale emerge come una delle maggiori determinanti della decisione di una fascia importante di cittadini non tanto di appoggiare questo o quello schieramento quanto di recarsi o non recarsi a votare. Nei giorni scorsi, l'Unione ha sicuramente avuto serie incertezze, se non ambiguità, in questo campo estremamente sensibile, lasciando i suoi possibili elettori privi di alcuni elementi di giudizio e suscitando malumori e disorientamenti. Nasce di qui la tentazione, avvertita in alcuni sondaggi, di seguire i segnali, al contrario robustamente positivi, anche se del tutto irrealistici, lanciati dalla Casa delle Libertà, di rifugiarsi per un momento in un'Italia economica che non esiste e in cui tutto va bene, invece di affrontare una situazione reale con le sue difficoltà e zone d'ombra ma anche con le opportunità di cambiamento.

Dopo un’attesa che è durata oltre una settimana, le incertezze hanno cominciato a diradarsi soprattutto nella giornata di ieri, a seguito di doverose puntualizzazioni in base alle quali il programma economico dell'Unione appare impostato su tre pilastri. Il primo è l'uniformazione della tassazione dei redditi da capitale, il secondo la riduzione di cinque punti percentuali del cuneo fiscale, il terzo la lotta all'evasione. Dei tre, il primo è quello meglio specificato e complessivamente più ragionevole: sembra infatti rispondere contemporaneamente a criteri di efficienza, legata a un'unica aliquota, e di equità in quanto si realizzerebbe una minore imposizione fiscale sui redditi minuti dei conti correnti e una maggiore imposizione sui redditi di capitale. La riduzione del cuneo fiscale appare anch'essa ragionevole e corrisponde a un «mix» efficienza-equità ma non tutto è ancora chiaro sul modo in cui sarà finanziato e su quali voci avverrà la decontribuzione. In ogni caso, la politica dell'incoraggiamento fiscale al lavoro a tempo indefinito e il disincentivo alle formule precarie sono una linea più che ragionevole di fronte allo spettro di una precarietà eretta a modo di vita, con i risultati che si vedono in questi giorni in Francia.

Rimane largamente da chiarire il terzo pilastro, quello della lotta all'evasione fiscale, assai facile da enunciare ma più difficile da tradurre in risultati concreti, soprattutto in tempi relativamente brevi. La lotta all'evasione è un obiettivo largamente condiviso ma indicazioni maggiori sono importanti per un cittadino medio che teme di dover subire accertamenti rigorosi per piccole cifre e di dover assistere alla possibilità di «fuga» per contribuenti di maggiore dimensione.

Romano Prodi ha più volte dichiarato che le decisioni cruciali sono di sua competenza e proprio la persona di Romano Prodi - nonostante le evidenti falsità sul suo conto distribuite a piene mani nella polemica politica che l'hanno indotto a sporgere querela contro il presidente del Consiglio - rappresenta una garanzia per quella parte dell'elettorato che inclina verso l’Unione e che è ancora alla ricerca di rassicurazioni contro un’eccessiva inclinazione a sinistra, ossia un eccessivo accento sulla redistribuzione dei redditi invece che sulle prospettive di crescita dell'economia.

Questi elettori non hanno bisogno che venga loro «indorata la pillola»: l'italiano medio sa benissimo che le cose non vanno molto bene, che suo figlio ha, oppure avrà, difficoltà a trovare un lavoro soddisfacente e ha dimostrato in passato di saper tenere comportamenti responsabili e di accettare anche sacrifici fiscali per migliorare questa situazione. Vuole però il ritorno alla crescita e al cuoco Prodi non chiede la ricetta della torta, ma la lista degli ingredienti e la garanzia che a cucinare sarà veramente lui.

mario.deaglio@unito.it

L'immagine è la riproduzione del quadro "L'esattore delle tasse" di Jan Massys


Nei giorni pari il Cavaliere fa il lupo, nei giorni dispari l’agnello. Oggi è dispari, perché è cominciato il lamento sulla sorte delle sue tre televisioni. "Le minacciano – dice Berlusconi – e questo dimostra che siamo ancora una democrazia incompiuta". In realtà il suo impero cresce, le televisioni godono di ottima salute, e non le minaccia per fortuna nessuno. Semplicemente, il leader della destra italiana potrebbe perdere le elezioni, anche se tutto è ancora incerto. Ma questo basta perché tre intellettuali come Giuliano Ferrara, Piero Ostellino e Sergio Ricossa – dopo anni di ascetico silenzio sull’intreccio costituente tra la destra e le sue televisioni – facciano immediatamente eco al lamento berlusconiano, con un pubblico appello che chiede a Prodi un impegno a non varare alcuna legge che obblighi Berlusconi a scegliere tra azienda e politica.

Tutto questo, in realtà, ci porta direttamente davanti al peccato originale del decennio italiano: il conflitto d’interessi del Cavaliere. E cioè, per dirlo in termini di scuola, quell’insieme di cointeressenze proprietarie e di responsabilità politiche che coabitano nella figura e nell’azione del presidente del Consiglio, perché non si è voluto liberare delle prime mentre acquistava le seconde. È un conflitto plastico, nella sua evidenza clamorosa e conclamata, talmente esteso e su materie così sensibili da profilarsi come una turbativa strutturale del sistema politico e istituzionale italiano. Si può provare a parlarne seriamente come di un grande nodo della democrazia italiana, fuori dalla propaganda elettorale? Si può addirittura tentare di farne un tema bipartisan, fuori dalla ricerca di vendette assurde e vantaggi impropri, nella convinzione che sia interesse generale della nostra democrazia risolverlo?

Il conflitto d’interessi entra pesantemente nella politica italiana con l’ingresso in campo di Silvio Berlusconi. Non è vero che esistono nel nostro Paese altri conflitti tra potere privato e responsabilità pubblica anche solo lontanamente paragonabili a questo.

Né è vero che esistono in altri Paesi casi di Primi Ministri, o candidati a quella carica, che abbiano contemporaneamente in dote un impero industriale, finanziario e mediatico, accanto ad un partito. Lasciamo stare, per rimanere al nocciolo del problema, la disparità (economica, finanziaria, di mezzi di pressione) tra le forze politiche che pesa oggettivamente su ogni confronto elettorale. E tralasciamo anche, per brevità, l’analisi concreta dei molti interessi industriali, assicurativi, editoriali, finanziari, sportivi, che Berlusconi porta con sé ogni volta che siede al tavolo del Consiglio dei ministri, che deve pur deliberare su quelle materie. Limitiamo dunque l’analisi al campo più sensibile, quello delle televisioni, che coincide in gran parte con la percezione popolare dell’identità imprenditoriale del Cavaliere.

La questione, a mio parere, pone problemi rilevanti e oggettivi sotto due aspetti: uno in termini di fatto, e uno in termini di principio. Dal punto di vista dei fatti, purtroppo, c’è in questi giorni solo l’imbarazzo della scelta. Dall’8 al 21 marzo, le tre reti di Berlusconi (visto che lui ne è ancora il proprietario) si sono comportate così: Tg4, 82,7 per cento del tempo alla Casa delle libertà, 17,03 all’Unione; Studio Aperto, 79,3 contro 19,4; Tg5, 61,2 contro 38,6. Nello stesso periodo preso in esame, in Rai il Tg1 ha concesso il 54,6 per cento del tempo informativo alla destra contro il 45,2 alla sinistra, il Tg2 il 55,7 contro il 43,9, il Tg3 il 49,1 contro il 50,9. Nel dettaglio, sul telegiornale più importante delle reti Mediaset (il Tg5) dall’8 al 14 marzo Forza Italia ha avuto 50,30 minuti contro gli 8,55 dei Ds e i 4 della Margherita, mentre per An i minuti sono stati 23,49. Infine, i leader: dall’11 febbraio al 12 marzo il Tg5 ha ospitato il Cavaliere per 2 ore, 3 minuti e 11 secondi, contro i 20 minuti e mezzo di Prodi.

Ora, bisogna rispondere subito a un’obiezione classica della destra: con lo stesso controllo sull’apparato televisivo Berlusconi ha perso nel ‘96, e ha ancora perso ultimamente in tutte le elezioni, dunque è inutile scandalizzarsi per l’abuso tivù del premier. È un’obiezione che non prova nulla. Si potrebbe rispondere, usando quel metro, che senza lo strapotere televisivo avrebbe perso di più, avrebbe perso altre volte. Ma soprattutto, in termini di sistema, non importa il punto d’arrivo dell’uso televisivo distorto, perché è inaccettabile il punto di partenza. Meglio: in una democrazia liberale non è accettabile (non è nemmeno concepibile) che uno dei due contendenti parta per la gara con il vantaggio garantito dalla condizione proprietaria di tre televisioni. E non è accettabile, per un pensiero liberale, che durante la gara le usi in questo modo totalmente squilibrato a suo vantaggio. Un solo dato a consuntivo. In sei settimane di campagna elettorale del 1994 – l’anno mitico della "discesa in campo" – Berlusconi parlò sulle sei reti televisive nazionali per 1.286 minuti, mentre per il suo rivale, Occhetto, i minuti furono 395.

Una domanda. C’è in giro qualche liberale che considera equa, ragionevole, democratica o anche semplicemente decente questa proporzione che squilibra di per sé una campagna elettorale? Perché nessuno ha sentito il bisogno di dire una verità fondamentale, quasi tautologica, eppure taciuta in Italia, e cioè che il conflitto d’interessi berlusconiano è gravissimo anche e proprio per l’uso concreto e materiale che se ne fa a vantaggio del Cavaliere? È un vantaggio, vorrei far notare, preliminare, quasi una precondizione, come se fosse un dono di natura, un talento particolare, uno stato di grazia. Così connaturato ed intrinseco, consustanziale, che ha consentito a Berlusconi, il 26 gennaio del 1994, di fondare insieme Forza Italia, la destra che non esisteva, la sua identità di politico e la futura premiership non con un congresso di partito o un confronto pubblico, ma con una videocassetta, strumento e simbolo di un’alterità onnipotente e post-moderna, tutta giocata nell’iper-realtà dello spazio televisivo.

C’è poi, più importante dei fatti, la questione di principio. È chiaro, almeno per me, che Berlusconi ha vinto per un insieme di ragioni che stanno nella politica, non nella tivù. Ma abbiamo visto che non importa la spinta grazie alla quale si taglia il traguardo, se le condizioni di partenza sono comunque disuguali e il vantaggio di uno dei contendenti è chiaro e può essere squilibrante al momento del via. Ma c’è di più. Il punto topico di ogni ciclo politico, cioè la sfida elettorale, è sempre più confiscato dalla televisione, in anni in cui è scomparso il comizio, il volantinaggio, il contatto casa per casa, persino l’intervista, e sopravvive a stento qualche manifesto, a far da quinta slabbrata al vero paesaggio politico, quello televisivo. Questa legge proporzionale, addirittura, è una prova al quadrato della politica-tv: cancellando le preferenze, ha cancellato anche i candidati e ha abolito addirittura la campagna elettorale vera e propria, a favore di una surroga verticistica tra i leader, tutta nazionale, piramidale, e interamente giocata sullo schermo e sotto le luci della televisione.

Si deve dunque ragionare sulla televisione come moderna agorà, cioè lo spazio privilegiato dove si svolge il mercato – delicatissimo e decisivo – del consenso, il luogo politico dove si forma quel soggetto fondamentale e sensibile delle società contemporanee che è la pubblica opinione. Ora, come è possibile che in Italia quel mercato così cruciale sia l’unico che non è regolato, ai fini di renderlo libero? Di conseguenza, siamo l’unico Paese dell’Occidente dove un soggetto politico di assoluta rilevanza che guida un partito, guida la maggioranza del Parlamento legislativo e guida il legittimo governo del Paese, controlla nello stesso tempo anche l’universo televisivo: le tre reti private per via proprietaria, le tre reti pubbliche per via politica. È qualcosa che la nostra democrazia – abituata alle peggiori lottizzazioni, di destra, di centro e di sinistra – non ha mai conosciuto. Peggio, è qualcosa che non conosce nessuna democrazia occidentale.

È evidente che in termini di principio questa anomalia non è accettabile. È chiaro che non è un problema giocobino, ma una questione liberale. È pacifico che Berlusconi e la sua maggioranza non lo hanno voluto affrontare, perché l’attuale legge sul conflitto d’interessi è una burletta. Né lo vogliono affrontare oggi, nel momento delle geremiadi anticipate contro la sinistra liberticida. Ma chiedere a un leader che vuole concorrere per le due più alte cariche del Paese di liberarsi dal carico confliggente delle sue aziende, di scegliere tra la dimensione politica e quella imprenditoriale non è un gesto illiberale: è un gesto di chiarezza e di garanzia per tutti. E tuttavia, senza arrivare a questo: si può correggere l’anomalia separando seriamente – dico seriamente – la proprietà dalla gestione? Che cos’ha da dire in proposito la destra, visto che l’anomalia è evidente ed è un problema della democrazia, non della sinistra? Che proposta hanno gli intellettuali preoccupati solo dell’inesistente "esproprio"? Dopo dodici anni, può il partito-azienda aiutare l’azienda ad essere un po’ meno partito, almeno nella divisione degli spazi? Ecco la questione capitale. Tocca alla destra rispondere, se vuole essere credibile.

Anche perché in tutti questi anni tra i tanti appelli terzisti o pseudoliberali che spuntano ad ogni elezione, ne è mancato uno di poche righe, semplice e tuttavia doveroso: «Poiché il conflitto d’interessi esiste, ed è un’anomalia evidente, Silvio Berlusconi prenda un impegno d’onore a non usare le sue televisioni in modo da squilibrare – dalla maggioranza o dall’opposizione – il normale confronto politico». È certo una dimenticanza, che però è durata dodici lunghi anni. Con la televisione accesa.

La tabella è un'elaborazione di Eddyburg sui dati dell'articolo

Mi capita sott'occhio un mio pezzo di cinque anni fa, in cui dicevo di una burrascosa segreteria DS svoltasi all indomani della sconfitta elettorale. «Colpa nostra», aveva affermato qualcuno dei partecipanti, evocando le risse interne, i personalismi, le rivalità, le ostinate difese della propria piccola identità di gruppo, che avevano impedito un minimo di coesione tra le sinistre. Santa verità, notavo. Cui però a mio parere andava aggiunta «una grave sottovalutazione del pericolo Berlusconi». A conferma della quale citavo una serie di occasioni - articoli, interviste, dibattiti - in cui principale bersaglio delle sinistre radicali erano il governo di centrosinistra e le sue malefatte. Malefatte non certo immaginarie, intendiamoci. Ma si dimenticava di ricordare che Berlusconi vincendo avrebbe fatto - aveva già fatto - di molto peggio. E non ci si avvedeva di fornire così fior di argomenti da un lato alla strumentalizzazione della controparte, dall altro ai propositi degli astensionisti

Puntualmente tutto si ripete oggi. Se ne mostra ben consapevole Umberto Eco con il suo appello: un testo di lucido realismo, che non discute le ragioni dei delusi dalle varie sinistre, ma li invita nonostante tutto a votare, ricordando che «se si lasceranno trascinare dal loro scontento, collaboreranno a lasciare l'Italia in mano di chi l'ha condotta alla rovina». Un invito che immediatamente più d'uno a sinistra (Gianfrando Pasquino in testa) ha respinto come imperdonabile offesa al proprio senso critico, cui «mai si rinuncerà». E' la stessa posizione diversi giorni prima sostenuta da Alberto Burgio, il quale rifiutava come «intolleranza» e «riflessso autoritario» qualsiasi dubbio sull'opportunità di discutere in questo momento l'operato delle sinistre. Come se il rischio di aiutare in tal modo l'avversario non si fosse già dimostrato tutt'altro che una futile ubbìa.

Un vagone di critiche.

Al proposito può forse servire una rapida carrellata sui motivi di critica verso l'Unione e il suo programma più spesso ricorrenti (e che, premetto, sono in gran parte da me condivisi). Vado a caso, brutalmente sintetizzando. Ambigua la posizione sulla Tav. Vero, ma Berlusconi ha invece in proposito idee chiarissime, e vincendo direbbe senza esitare: «si esegua». Contenti? Prevista un'abrogazione solo parziale della legge 30. E la destra, che l'ha voluta e imposta, la cancellerebbe tutta intera e con entusiasmo, vero? Incerta la data del ritiro delle truppe italiane dall Iraq. Perché, da Berlusconi, che gli italiani in Iraq ce li ha portati e se ne vanta, potremmo aspettarci un ritiro immediato? Imperdonabile il compromesso a proposito dei Pacs. Una vittoria di quelli che con disinvolta eleganza parlano di froci e culattoni, darebbe forse migliori garanzie? Nessuna rimessa in causa del finanziamento delle scuole private. Ma con Berlusconi di nuovo al governo si potrebbe al massimo scommettere sull'ammontare di ulteriori largizioni, non credete? Idee poche e confuse in fatto di ambiente. Anche questo è vero, e anche qui la risposta è che Berlusconi ha al contrario idee chiare e incrollabili, cementificazione intensiva della penisola, grandi opere utili solo alla sua grandeur, abusi condonati entusiasticamente: non ve lo ricordate quando dichiarava con convinzione che non sono gli umani a nuocere alla natura, è vero piuttosto il contrario? Scarsissima la presenza femminile nelle liste elettorali, troppo timida e incerta l'intera politica di genere. Già, e con un governo fatto di «celoduristi», di clericali superbigotti, di fascisti orgogliosi di esserlo, come non sognare politiche alla Zapatero?

Situazione eccezionale

Si potrebbe continuare a lungo a questo modo - botta e domanda - a proposito di droga, migranti, cpt, scuola, università, ricerca, liberalizzazioni, democrazia sindacale, linea economica complessiva..., tutte le materie per cui si sono levate voci di delusi e insoddisfatti dal programma dell'Unione.

Materie tutte, o quasi tutte, disciplinate in base a leggi varate proprio dal governo Berlusconi, che mai ovviamente si sognerebbe, una volta tornato in carica, di correggerle nel senso desiderato dai contestatori. I quali d'altronde, mentre esprimono la loro critica su questo o quel problema, sembrano dimenticare l'eccezionalità della situazione complessiva: l'Italia precipitata ai minimi nella valutazione internazionale, la Costituzione gravemente intaccata in alcuni suoi principi portanti, il sistema giudiziario stravolto dalle tante famigerate «leggi ad personam», una nuova legge elettorale che vieta ai cittadini la scelta delle persone ritenute valide a governarli, la distanza tra ricchi e poveri fortemente aumentata non solo per via dell'economia in sofferenza ma anche di una politica finanziaria tutta a favore dei ceti alti. Mentre il premier con entusiasmo annuncia il proposito di portare a compimento l'operazione intrapresa. Di perfezionare cioè quel processo di corruzione polivalente (materiale, mentale, sociale) che sta facendo del nostro paese l'espressione esemplare di una cultura secondo cui tutto si può, anzi si deve, vendere e comprare. E chi ancora avesse dubbi ln proposito si legga Ahi serva Italia, prezioso libretto-testamento di Paolo Sylos Labini, appena uscito.

Infine. Davvero riesce difficile capire chi guarda con sospetto o giudica del tutto negativamente la dichiarazione di voto del Corriere della Sera a favore del centrosinistra. E' un fatto che ci condizionerà, si dice, che sposterà ulteriormente verso il moderatismo la politica dell'Unione.

Certo, non sono cose senza prezzo. Ma (come sopra) è davvero strano che nemmeno ci si domandi quale pò pò di «condizionamento» rappresenterebbe un altro governo Berlusconi, quale prospettiva aprirebbe, non già di accentuato moderatismo, ma del peggiore oltranzismo nell'indiscusso predominio del mercato, nell'incondizionata protezione del privilegio, nella servile subalternità all imperialismo americano. Tutti noi che sentiamo la necessità di un mondo diverso, e crediamo doveroso impegnarci per renderlo possibile, non possiamo non ritenere la cacciata di Berlusconi come il primo imprescindibile gesto proprio di questo impegno. E ringraziare chi ci dà una mano.

«Le vere scelte si faranno dopo il 9 aprile», ha scritto il direttore del . Proprio così.

IL SESSO, la mamma e le tasse. È qui, nell’"area distonica", sugli argomenti che colpiscono l’inconscio dell’elettore emozionandolo senza che se ne accorga – e soprattutto sulle tasse – che la campagna elettorale di Prodi e del centrosinistra ha offerto pericolosi argomenti alla disinvolta propaganda berlusconiana, che ne sta approfittando a manbassa.

Delle persistenti tempeste ormonali del premier uscente e del vigoroso affetto di sua mamma Rosa, non a caso, sappiamo quasi tutto.

Le tasse modello-Berlusconi, poi, sono ormai addirittura un "must" della nostra comunicazione elettorale sia subliminale (guardate il mio occhio strizzato: sono troppe, fate bene a non pagarle) ed esplicita (meno tasse per tutti). Il modellino aggiornato di George Bush nel 1988: «Read my lips: no more taxes».

La regola elettorale, insomma, è semplice: fregatene del programma e delle compatibilità di spesa, punta piuttosto sul pensiero emotivo-persuasivo, crea pathos, colpisci l’inconscio, se vuoi vincere le elezioni. E soprattutto, evita di essere troppo preciso. Cosa che il programma dell’Unione non ha fatto, annunciando al colto e all’inclita un’armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie e inchiodando così da giorni e giorni Romano Prodi, che sesso e mamma giustamente considera cose private, e tutta la coalizione di centrosinistra, a tentare di smentire l’impressione inevitabilmente indotta dagli avversari che «armonizzazione» sta per: più tasse sui Bot, sui Cct, sui conti correnti, insomma, alla fine, più tasse per tutti, a cominciare dagli adorati elettori-evasori incerti del centrodestra, per far contenti i comunisti Bertinotti e Diliberto.

Nel cuneo propagandistico, s’è inserito rapido e querulo il ministro Tremonti, commercialista principe dell’elusione fiscale, che per primo, quando ancora era un apprezzato editorialista del Manifesto, scoprì, allora con scandalo, che gli italiani avevano cominciato a votare non più con la testa, non in base a una contrapposizione tra «polarità ideologiche», come lui le chiamava, ma col portafoglio. Così, a corto di altri argomenti, con l’insistenza di un Superbone un po’ molesto e con la complicità di Vespa che a "Porta a porta" gli ha fatto ripetere per circa quindici volte in diretta lo stesso concetto di fronte a un Rutelli annichilito, il ministro "genio" ha fatto passare l’idea che se gli italiani voteranno Prodi, da lunedì 10 aprile saranno tutti più poveri perché, per finanziare la riduzione del cuneo fiscale, saranno colpiti gli interessi sui titoli di Stato e chissà che altro.

Nessuno dal centrosinistra ha avuto la prontezza di rispondergli: «Mica siamo scemi!». Così il piccolo trucco elettorale tremontiano è diventato il grande slogan berlusconiano preferito per colpire l’"area distonica" degli elettori: «Read my lips: no more tax cuts», sarebbe se parlasse George Bush. Non più tagli con Prodi, come con il liberale Berlusconi. Anzi lacrime e sangue per i nostri cari evasori e niente più condoni e sanatorie.

Falso: niente condoni sì, caccia agli evasori sì, ma nessuna vessazione del Bot people. È così, stando al programma. Queste le promesse, se si leggono senza la lente berlusconiana.

Ma c’è la presunzione negativa sulla sinistra e le tasse, che rende verosimile la campagna tremontian-berlusconiana, la quale presuppone una sorta di «conservatorismo compassionevole» in materia fiscale e di welfare. Ad aggravare i sospetti, la fama del precedente ministro delle Finanze del centrosinistra Vincenzo Visco, descritto da Tremonti come un Dracula alla presidenza dell’Avis e un borioso intellettuale. Ma che Mario Monti, che nessuno può avere il coraggio di descrivere come un pericoloso comunista, accredita da grande tecnico e grande democratico, «personalità solida fino a essere ruvida, una determinazione meticolosa e inflessibile, che sembra trarre forza da convincimenti interiori più che dall’approvazione altrui». Certo, poco propenso all’"area distonica". Forse proprio quello che ormai manca nella politica italiana. Perché, se qualcuno vi promette, tra sesso e famiglia, meno tasse, non esultate. Non accettate gli slogan berlusconiani, perché i fatti ormai dimostrano, senza bisogno di citare i dati ormai noti del professor Luca Ricolfi sul rispetto del «Contratto con gli italiani» firmato da Berlusconi, che il «pensiero emotivo» produce soltanto quello che il professor Salvatore Bragantini ha chiamato «dumping politico». Peggio se vi parlano della «Curva di Laffer», secondo la quale i tagli fiscali stimoleranno l’offerta, senza creare alcun buco nei conti. Balle. Come dicono gli americani, quando dici una stupidaggine, è meglio che almeno tu non ci creda.

Ecco, in questa campagna elettorale deborda il «dumping» di «informazione politica» per così dire sulle tasse. Ma mentre Berlusconi e Tremonti sono ormai addestrati alle "aree distoniche" del popolo delle partite Iva, che mutò lo scenario nel 1994 e nel 2001, Prodi di stupidaggini non riesce a dirne, di astuzie, vivaddio, ne ha poche in materia fiscale. Come insegna Paul Krugman, sa che la politica fiscale, se usata per fini elettorali, è come la morfina. Ma se uno ha mal di testa prende l’aspirina e non la morfina.

Se Prodi, come promette, tasserà le rendite finanziarie saranno quei centinaia di milioni di euro lucrati dai Ricucci e dai furbetti del quartierino che volevano scalare "Il Corriere della sera", Telecom e magari la Fiat. Non i Bot delle famiglie medie.

Se reintrodurrà l’imposta sulle successioni sarà sui grandi patrimoni, non sull’appartamento di periferia.

Il sesso, la mamma, le tasse, l’identità nazionale. Ma le tasse sono il Calvario preferito dagli italiani, quello che produce la solidarietà tra presunte vittime. Dopo cinque anni all’insegna di «meno tasse per tutti», ora tutti sanno che non c’è più disonestà intellettuale, non c’è più «dumping elettorale» che possa raccontare le favole.

In una campagna elettorale velenosa e definitiva, ecco un grande ritorno: la guerra dei Bot. Il panico finanziario. Il terrore via bancomat. Chi si ricorda dei vecchi tempi precedenti l'euro (il celebre «Bassolì, hai fatto crollare la lira», detto al neosindaco di Napoli dall'erede Mussolini in tv), dei Bot-people, del tormentone di Bertinotti rovesciato satiricamente in «tassiamo la Nato e usciamo dai Bot»?

Nell'anno 2006 molto è cambiato: i titoli del debito pubblico rendono un quinto di quello che davano allora, la metà di essi è piazzata all'estero (dunque non è tassata in Italia), la lira non crolla più perché non c'è, i capitali non «fuggono» ma legittimamente viaggiano nel mercato europeo unificato in tutto tranne che nel fisco, i piccoli risparmiatori sono sempre più piccoli e i grandi rentiers sono sempre più grandi. Eppure, lo spettro ritorna: la sinistra vuole stangare i risparmiatori, già le banche (quali?) segnalano al Cavaliere un fuggi-fuggi. E la reazione del centrosinistra è spesso specularmente irrazionale: chi nega tutto, chi ammette qualcosa, chi cambia discorso. A Porta a Porta Rutelli è arrivato persino a negare che mai uno stato possa concepire l'idea di tassare i Bot.

Ma i Bot sono tassati già, come tutti i titoli pubblici, con una ritenuta secca alla fonte del 12,5%. Lo stesso succede per le rendite finanziarie che vengono da obbligazioni e azioni, mentre se la cavano esentasse le plusvalenze azionarie, che siano piccine o gigantesche, dei quartierini o dei quartieroni. Agli interessi sui conti correnti bancari e postali va peggio, con un'imposta del 27%. Di qui lo slogan di Prodi: riordino della tassazione sulle rendite, da portare tutte mediamente sul 20%. Cioè comunque meno di quanto tutti noi paghiamo sui nostri salari. Comunque troppo, a quanto pare, per poterne parlare chiaramente, senza isterici attacchi e altrettanto isteriche smentite.

Usciamo da un ciclo economico - e politico - durante il quale il lavoro si è impoverito e la rendita è ingrassata. Che al termine di una così chiara redistribuzione della ricchezza e del reddito a una coalizione che si dice anche di sinistra possa venire in mente di proporre un leggero ritocco alla tassazione delle rendite, per tirarne fuori una parte dei soldi che servono per pagare altre politiche (a partire dal popolarissimo taglio del cuneo fiscale), non dovrebbe far scandalo. Né c'è il pericolo di un crollo finanziario legato alla fuga dei Bot-people, visto che la gran parte dei proprietari del nostro debito pubblico viene dall'estero - in base al grazioso principio europeo per il quale ciascun paese è un paradiso fiscale per i finanzieri dell'altro.

Il vero pericolo è un altro: che di fronte al can can di Berlusconi e alleati, l'inchiostro del programma dell'Unione sbiadisca ancora di più e che si dimentichi quello che lo stesso Prodi ha detto ieri: «L'85% dell'intero patrimonio finanziario è posseduto dal 10% delle famiglie più ricche».

Se si deciderà di rassicurare anche queste - oltre che, come è giusto, i piccoli risparmiatori - bisognerà dire allora da dove verranno le risorse per finanziare tutte le belle politiche promesse: i 2.500 asili nido, il taglio di cinque punti del cuneo fiscale, l'aumento dei fondi per la ricerca, eccetera eccetera. A meno di non voler fare i berlusconiani a tempo scaduto.

Queste elezioni del 9-10 aprile proprio non mi piacciono. Per niente e in niente. Se ne scrivessi, direi male di tutti. Perciò lascio perdere. Il che non mi vieta di inquadrarle e di metterle in prospettiva.

In passato esistevano veri leader. Un vero leader crede nei suoi ideali, combatte le sue battaglie elettorali con la sua testa, e non è disposto a qualsiasi bassezza pur di vincere. Invece in questa elezione trionfano più che mai i guru, i sondaggi e i colpi bassi. E i candidati sono finti nel senso che i loro discorsi sono scritti da altri, da specialisti in discorsi, e che quel che debbono dire o non dire è stabilito dai loro maghi e sondaggisti. Il momento della verità dovrebbe essere quello dell'incontro alla pari, in televisione, dei candidati massimi. Ma anche questo momento della verità non riesce a rivelare più di tanto. I contendenti si fanno allenare dai rispettivi «consigliori» e vengono più che altro imbottiti di punch lines, di battute a effetto; così il loro problema, al dibattito, è di ricordare al momento giusto la battuta prefabbricata da recitare.

In materia di duelli televisivi

America docet; e la dottrina americana è che in ultima analisi vince il candidato che ispira più «fiducia». Beninteso fiducia visibile, fiducia telegenica. Ma se è così, allora ci dobbiamo davvero spaventare. Perché i grandi imbroglioni sono tali proprio perché ispirano fiducia. Se non ispirassero fiducia sarebbero soltanto dei pataccari, dei furfantelli di poco conto. Ma se la fiducia è un'apparenza infida, allora di cosa ci possiamo fidare?

Come si dovrebbe sapere, esistono due tipi di comportamento elettorale: il voto retrospettivo e cioè sul consuntivo di quel che un governo ha fatto; e il voto, che dirò per simmetria proiettivo, di chi invece si regola sul preventivo, sui programmi e sulle promesse elettorali. Ma in queste elezioni il frastuono dei media raccomanda ossessivamente il voto sul programma. Il voto retrospettivo sui fatti, malfatti o non fatti del governo uscente viene dichiarato sterile e ridicolizzato come voto «dietrologico»: il che lascia il nostro povero elettore in balia delle sue facoltà divinatorie. Davvero povero elettore.

Per carità, ognuno è libero di votare con i criteri che vuole. Ma allora va anche lasciato libero di votare per premiare o, viceversa, punire chi ci ha governato. Chiedevo sopra come ci possiamo salvare dall'imbroglione che ispira fiducia. La risposta è di non badare alle sue promesse e di giudicarlo sul suo operato. E, a dispetto dei «programmisti », io mi regolerò così.

Mettiamo, per illustrare, che io sia un buon cittadino (che pertanto si sente in dovere di votare) «indeciso». Se leggo il programmone di quasi trecento pagine prodotto dal pensatoio prodiano temo che non mi sentirei di sottoscriverlo. Quel programmone è — come era previsto e prevedibile — un indigeribile pasticcio cucinato da troppi cuochi (undici, per l'esattezza). Ma fortuna vuole — per Prodi — che io non creda molto ai programmi. Non perché siano necessariamente disonesti. Però sono sempre gonfiati; e oggi sappiamo anche per certo che chi eredita il governo eredita un immenso debito (in prossimità del 110% del nostro Pil) e casse vuote, vuotissime. Il che mi riporta — per indurmi a votare — allo sputacchiatissimo voto punitivo. Che non sottintende che io rinunzi a sperare. Sottintende però che io debba intanto punire e rimandare a casa chi ci ha così bene disastrati da ultimo. Almeno questo.

Titolo originale: Visiting U.S., Berlusconi gets a warm endorsement from Bush – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Il primo ministro italiano Silvio Berlusconi, che sta combattendo un’aspra campagna elettorale per la rielezione, è stato salutato martedì dal Presidente George W. Bush come “forte ” e fonte di necessaria stabilità per il governo italiano.

Ma Bush e Berlusconi, la cui alleanza trae forza dall’ampio ruolo italiano nella coalizione per l’Iraq, hanno parlato cautamente della guerra.

Bush ha detto che le recenti violenze lasciano gli iracheni di fronte alla scelta fra “caos o unità”.

E Berlusconi ha confermato il piano per ritirare le ultime truppe italiane dall’Iraq entro la fine dell’anno.

L’esponente italiano, in visita per tre giorni negli USA, chiaramente contava su un sostegno politico nella sua campagna contro Romano Prodi, il candidato di centro-sinistra ex presidente della Commissione Europea, che guida i sondaggi.

Le elezioni si terranno il 9 aprile.

Le relazioni di Berlusconi con alcuni paesi europei sono tese: Roma è furiosa per un tentativo francese di bloccare l’acquisizione italiana della compagnia energetica francese Suez: il che rende le relazioni con gli USA ancora più importanti.

Bush ha ampiamente accontentato Berlusconi, dicendo: “Il primo ministro è un leader forte. È un uomo di parole. Ha portato stabilità nel governo italiano” in quanto primi ministro in carica più a lungo in Italia dalla seconda guerra mondiale.

Fermandosi appena prima di un aperto sostegno politico, Bush ha aggiunto: “Ovviamente, per un presidente americano è importante lavorare con qualcuno in modo continuativo”.

Evitando la domanda di un giornalista italiano su come cambierebbero le relazioni se vincesse Prodi, Bush si è avvicinato in punta di piedi a un sostegno. “È molto più facile costruire politiche comuni” ha detto, “quando ci si rapporta con la stessa persona da un anno all’altro”.

È stato riferito che Bush abbia ritardato di qualche ora la partenza per il viaggio in India e Pakistan per accontentare il suo alleato nella guerra in Iraq.

Bush e Berlusconi sono entrambi conservatori saliti al potere nel 2001. L’Italia ha inviato 3.000 uomini in Iraq dopo l’invasione USA e ne tiene ancora 2.600.

Così in un momento in cui molti italiani si oppongono aspramente alla guerra, lamentano lo sprofondamento economico del paese, deridono i problemi legali di Berlusconi e dicono che le affermazioni del primo ministro sono ridicole – ha fatto voto di astenersi dal sesso durante la campagna elettorale e si è paragonato a Gesù Cristo – la calda accoglienza della Casa Bianca è stata molto gradita.

L’incontro, comunque, è avvenuto solo pochi giorni dopo l’attentato con bombe ad una importante moschea in Iraq, che ha provocato centinaia di morti per ritorsioni e aumentato i timori di una possibile guerra civile.

Alla domanda se la violenza influisse sul morale delle truppe USA, Bush ha invece risposto che agli iracheni si presenta una scelta.

”La scelta è tra il caos e l’unità” ha detto. “La scelta è fra una società libera o una dominata da persone malvagie che uccidono degli innocenti”.

Bush aveva sentito sette leaders iracheni dopo l’attacco alla moschea, e ha dichiarato: “Capiscono la serietà del momento. Hanno fatto la loro scelta, che è di lavorare verso un governo di unità”.

Berlusconi e Bush hanno dichiarato di aver discusso di Iran e del ruolo della NATO in Afghanistan.

Dovevano anche discutere la vittoria elettorale del gruppo militante Hamas nei territori palestinesi. Berlusconi ha dichiarato a Newsweek in una recente intervista che voleva spiegare a Bush le intenzioni del presidente russo Vladimir Putin che ha invitato i di Hamas a Mosca.

”Credo sia questa la strada per iniziare i negoziati” ha dichiarato alla rivista. “Conto anche sul fatto che gli esponenti di Hamas ora comprendano di avere responsabilità di governo”.

In una ostentazione di indipendenza, Berlusconi la scorsa settimana si è distinto auspicando la chiusura “il più velocemente possibile” del centro di detenzione USA di Guantánamo Bay, Cuba. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha fatto la medesima richiesta prima della sua recente visita alla Casa Bianca.

Oltre all’incontro alla Casa Bianca, il primi ministro è stato invitato a parlare alle camere riunite al Congresso mercoledì mattina.

Si tratta di qualcosa meno di un discorso in sessione congiunta, ma un onore generalmente riservato agli alleati più stretti: come il leader di un’altro paese chiave della coalizione, il Primo Ministro britannico Tony Blair.

Più tardi Berlusconi pranzerà col numeroso gruppo italo-americano del Congresso.

Durante la giornata riceverà poi lo Intrepid Freedom Award a bordo della portaerei Intrepid, nave della seconda guerra mondiale ora ancorata a New York. Il riconoscimento, della privata Intrepid Foundation, viene conferito ad esponenti nazionali o stranieri che “promuovono e difendono i valori della libertà e democrazia”.

Berlusconi è stato al centro di una piccola polemica dopo la sua ultima visita alla Casa Biabca, quando ha affermato che Bush gli aveva che avrebbe preferito la sua rielezione. Un portavoce della Casa Bianca ha dichiarato più tardi che “come sempre, gli USA non interferiscono negli affari interni di altri paesi, specialmente in periodo di elezioni”.

here English version

L'impegno che le forze della sinistra italiana devono porsi è quello per un diverso sviluppo. Uno sviluppo non più basato sulla cieca crescita, ma sul rispetto dell'ambiente in tutti i suoi aspetti: che punti quindi sulla riqualificazione delle città e la dotazione degli spazi e dei servizi essenziali, sul risanamento dei centri storici, sul consolidamento degli abitati a rischio sismico, sulla difesa del suolo e sul recupero diffuso del territorio, sul restauro dei beni culturali, sull'istituzione di parchi e aree protette e loro gestione, sul rimboschimento e via dicendo. Solo gli attardati maitres à penser che scrivono sui giornali, completamente spiazzati dalla rigogliosa ventata ambientalista, possono scrivere vaneggiando che dissesto e inquinamento sono «prezzi da pagare al progresso»: la semplice verità è che non è possibile nessun progresso senza rigorosa salvaguardia dell'ambiente e risparmio delle risorse, nessuno sviluppo economico senza politica ecologica.

È necessario che la sinistra impari a fare i conti ecologici. Calcolare cioè quanto ci è costato lo «sviluppo» deforme degli anni passati, basato sull'ignoranza e il disprezzo del territorio e dell'ambiente: gli ingenti costi sociali scaricati sulla collettività dalla rapina del suolo e delle risorse. Sapere dunque quante migliaia di miliardi ci è costato il dissesto idrogeologico, l'inquinamento delle falde idriche, l'avvelenamento dei corsi d'acqua, lo sparpagliamento dei rifiuti tossici, la congestione e la paralisi delle città, la terziarizzazione dei centri storici, quanto ci costerà il risanamento delle aree devastate dall'abusivismo, ecc.: e per converso sapere quali benefici economici, quanti posti di lavoro saranno creati dallo sviluppo tutto diverso per il quale Occorre battersi.

Postilla

Così si concludeva la prefazione al libro di Vezio De Lucia, Se questa è una città, scritta da Antonio Cederna nel 1989. L'attualità delle considerazioni di Cederna è nota a tutti coloro che si interessano di urbanistica. Altrettanto condiviso il rammarico di non poter più confidare sulla sua prosa acuminata, così efficace nel mettere alla berlina l'ipocrisia, il conformismo e l'ignoranza, purtroppo ancora ampiamente diffusi nel nostro paese.(m.b.)

Titolo originale: A “martyr” with some method in his madness – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

I MUSULMANI offesi dalle vignette sul loro Profeta devono essere rimasti sconcertati nel sentire che il primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, si era paragonato a Gesù. Prova che l’Occidente è incorreggibilmente empio? O una nuova prova del fatto che Berlusconi, dopo aver vantato la superiorità culturale dell’Occidente dopo l’11 settembre, sia un vero “crociato”?

In verità, nessuna delle due cose. Nonostante – o forse proprio perché – la Cristianità sia tanto al centro della società europea occidentale, i latini spesso mostrano una noncurante familiarità col suo lessico e i suoi simboli che può sorprendere i popoli più a nord. In francese o in spagnolo, una prova o un tormento si chiamano “Calvario” come il luogo in cui fu crocefisso Gesù. E gli italiani definiscono un disgraziato un “povero Cristo”. Questo aiuta a spiegare l’affermazione di Berlusconi: “Sono il Gesù Cristo della politica. Sono una vittima paziente. Sopporto tutto. Mi sacrifico per tutti”.

Ma gli oppositori definiscono Berlusconi il primo ministro più al servizio di sé stesso della storia d’Italia: un uomo il cui governo ha approvato ripetutamente leggi che favorivano i suoi interessi d’affari, cambiandone altre per assicurarsi di non essere condannato per nessuna delle accuse per cui è stato processato. E pure Berlusconi frequentemente si dipinge come un martire: un uomo che, se non lavorasse come no schiavo giorno e notte per il bene dei suoi amici italiani, potrebbe rilassarsi e godere la sua immensa fortuna personale.

Stavolta, comunque, ha fatto qualcosa di più che non semplicemente lamentarsi del suo destino. Le affermazioni incredibilmente offensive per cui il primo ministro è famoso servono ad uno scopo che di solito passa inosservato: concentrano l’attenzione su di lui, escludendo i suoi avversari politici. Berlusconi ha usato questa tecnica con buoni risultati prima dello scioglimento delle camere l’11 febbraio, che prepara la strada alle elezioni generali del 9-10 aprile. Non essendo riuscito a scalfire le regole che impongono un identico tempo in onda per tutti i partiti politici nel corso della campagna, Berlusconi ha capitalizzato il suo accesso senza confronti ai mezzi di comunicazione prima dell’inizio formale della campagna. Ha una posizione di controllo sulle tre principali reti della televisione privata e, in quanto primo ministro, può decidere il destino delle tre gestite dallo stato.

Per più di tre settimane, gli spettatori italiani hanno visto Berlusconi parlare dei risultati del suo governo, talvolta per ore e ore. Ad un certo punto Romano Prodi, l’ex presidente della Commissione Europea, che mira a sloggiare Berlusconi, si è lamentato del fatto che, nelle due settimane precedenti, il primo ministro avesse avuto 24 volte lo spazio televisivo riservato a lui. Le tattiche choc del primo ministro comprendono il paragonare i propri risultati al governo con quelli di Napoleone, o il promettere che si asterrà dal sesso fino al giorno delle elezioni.

Un modo un po’ brutale di suscitare attenzione, forse. Ma ha funzionato. Prima che Berlusconi si imbarcasse nel suo blitz sui mezzi di comunicazione, la sua coalizione seguiva l’opposizione a sei punti percentuali di distanza. Un sondaggio pubblicato dal quotidiano il Corriere della Sera indica che, alla fine di tutto, il distacco si era ridotto a circa quattro.

Alla fine, l’11 febbraio, i suoi avversari pensavano di avere una buona occasione, e hanno scelto la giornata per lanciare il proprio programma. Berlusconi ha avuto il suo guizzo da “Gesù Cristo” e quelle 379 pagine di buone intenzioni sono state affogate dalle polemiche sulla sfacciataggine del primo ministro.

Se dovesse davvero preoccuparsi, è altra questione: il programma dell’opposizione presto è diventato oggetto di imbarazzo. La sua lunghezza testimonia i problemi di Prodi nel mantenere compatta l’Unione, la spaventosamente composita alleanza che guida. Da un lato comprende un trotzkista che difende il diritto dei resistenti di attaccare i soldati italiani in Iraq. Dall’altro include ex democristiani che in molte situazioni sarebbero considerati a destra del centro.

Il programma, pieno di modifiche dell’ultima ora, comprende i piccoli progetti di tutti i sette partiti che l’hanno firmato. Promette che le truppe italiane saranno ritirate dall’Iraq, ma secondo i tempi dettati dalle “necessità tecniche” che garantiscono “condizioni di sicurezza”: una posizione poco diversa da quella del governo. Schiva il problema se continuare o meno la galleria ferroviaria attraverso le Alpi a nord di Torino, nei pressi dei luoghi delle Olimpiadi invernali. Cosa che non è passata inosservata alla stampa, e fra le proteste dei Verdi italiani, che pure appartengono all’Unione, Prodi ha detto che proseguirà ad ogni costo.

L’episodio ha lasciato una preoccupante impressione di divisione, e distratto l’attenzione dal fulcro del programma: un’attenta analisi del declino economico del paese e un programma per invertire la tendenza. Prodi si era già impegnato a tagliare il costo del lavoro di cinque punti percentuali. Il programma aggiunge una riforma fiscale per abbassare i contributi previdenziali dei dipendenti, aumentando gli stipendi netti. Si tratta di provvedimenti vigorosi e ambiziosi. Ma una scossa all’economia stagnante richiede anche di attaccare gli interessi consolidati delle professioni, dei sindacati e del settore pubblico, che la sinistra troverà difficile gestire. Il suo principale impegno per l’occupazione è quello di ridurre il numero dei posti di lavoro precari.

Una domanda più ovvia, è quanti elettori si prenderanno la pena di leggersi un programma lungo come un romanzo. Berlusconi ha usato un approccio più immediato. Anziché fare tira e molla con gli alleati, ha semplicemente svelato il suo programma prima di consultarli. Ignorando i brontolii di dissenso, si è impegnato a cercare il loro sostegno ad un piano su otto punti fondato sui tagli fiscali. Promette anche un milione mezzo di nuovi posti di lavoro, pensioni più alte, più sicurezza urbana, libri di testo per le scuole gratuiti, fine dell’attesa per entrare in ospedale e un piano per la vendita delle case dello stato agli inquilini. Messi di fronte a questo fatto compiuto, i suoi alleati politici hanno ceduto. L’evidente contrasto fra l’unità della destra e la confusione della sinistra è penoso da vedere. Col vantaggio che scivola via, la sinistra non si può permettere di mettere di nuovo un piede in fallo.

here English version

Ali Tariq si sorprende per le manifestazioni musulmane davanti alle ambasciate. Scrive: non hanno, i musulmani, altri e più minacciosi nemici di un vignettista? Eccome. Li hanno addosso: dagli eserciti che hanno fatto la guerra in Iraq e in Afganistan per gli interessi geoeconomici dell'occidente, ai governi arabi che la appoggiano mentre deprivano i loro popoli di tutti i diritti e dell'accesso alla ricchezza del proprio paese, alla supponenza europea nei loro confronti pari soltanto alla codardia verso Bush. Ma contro questo schieramento nemico non hanno né gli strumenti né la forza per reagire. Incassano il peggio, cresce l'esasperazione e mettono fuoco ad alcune tranquille ambasciate che non c'entrano molto. Potrebbero fare di più contro i loro nemici veri e astenersi da una protesta deviata dunque vana e che li isola? Non so. Si può rimproverare loro di non essere all'altezza dello scontro? Si può. Ma una soggettività complessa e all'altezza della sfida presente andava da tempo seminata e alimentata, sostenuta da una solidarietà. Nulla di questo è avvenuto. Che è successo dei tentativi delle loro dirigenze laiche? Chi ha difeso il popolo in questo senso più avanzato, i palestinesi? L'occidente, miope, se ne è guardato bene. Gli Usa hanno utilizzato l'Iraq contro l'Iran e oggi un islam contro l'altro, finendo con il cacciare tutto il Medioriente nel fondamentalismo. E quale alleato avrebbe oggi in Europa un islam che si proponesse di sbaraccare la «guerra infinita» tagliando alle radici il fondamentalismo e la sua coda terrorista? Nessuno. Mi si nomini una sola cancelleria che lo farebbe, un movimento sociale che lo sosterrebbe non solo a parole. Io non ne vedo. Ma non è questo deviare della protesta e della mobilitazione dal vero nemico un vizio soltanto loro, del quale hanno qualche giustificazione. È proprio anche delle nostre società.

Già negli anni `70 Franco Fortini scriveva, sulle tracce di Turkey, che quel che era una volta una discesa in piazza del popolo per ottenere un diritto negato o esigere un bisogno, tende a diventare oggi un'autorappresentazione, puro mezzo di visibilità che poi sparisce per repressione, isolamento,stanchezza.Non è lo stesso la aspirazione attuale di alcuni gruppi molto minoritari a passare da invisibili a visibili, attraverso presenze che più possono essere mediatizzate, a prescindere dall'obiettivo che li ha mossi? E pazienza quando tendono soltanto a questo. Ma sempre più spesso alcuni di essi parassitano movimenti più vasti, che si aggregano fuori di loro, per coinvolgerli in scontri più accesi sia perché li considerano politicamente opportunisti sia per provocare una reazione della polizia. Della quale nulla giustifica l'intervento repressivo. Ma intanto esso ricade inesorabilmente sulle folle mosse da un intento unitario più puntuale, pacifico e tale da mettere in difficoltà i poteri. Non è avvenuto questo con la manifestazione anti Tav della Val di Susa? È il vecchio vizio di chi si definisce avanguardia. La sua vera radice, anche se non confessata, sta nell'impotenza a incidere il blocco avversario. Di qui la tentazione a ripiegare su un simbolo. Il nemico sono oggi gli Stati uniti e le multinazionali, complesso di enormi dimensioni e capacità non solo repressive. La Coca Cola, che è una multinazionale e simbolo della penetrazione americana attraverso i consumi, ha sponsorizzato le Olimpiadi. Né la Coca Cola né le Olimpiadi in quanto tali si potevano attaccare, per cui ci si è attaccati al loro ultimissimo anello: il tedoforo.

La stampa ha dato loro più corda che mai, Repubblica e Co rriere hanno titolato per tre giorni la prima pagina: «Torino sotto assedio» per cambiare nel corso d'una sera con: «Torino in festa», facendo finire in un trafiletto interno le poche decine di ragazzi, nessuno dei quali aveva le mani sporche di sangue né di quattrini, che si ritiravano mestamente. L'impotenza si trova nemici e identità sostitutive.

Anche il mio amato Valentino Parlato rischia di farsi prendere da amico del leopardo. Prima che tutti i nostri valorosi colleghi si lanciassero alla ricerca di tutte le tensioni nella coalizione, di destra, sinistra o centro che siano - chi mai, salvo il rispetto, aveva dedicato tre colonne al coerente trotzkista Ferrando? - siamo stati noi, a dirci acerbamente delusi dal programma di Prodi. Io mi sono letta quel malloppo - più voluminoso e meno firmato di quello de l'Ernesto - senza delusione alcuna. Non mi ero affatto aspettata di più, come poteva essere? La coalizione si è data e si è formata su un obiettivo primario: battere la Casa delle Libertà. E non è poco, è una condizione della democrazia.

Soltanto con Berlusconi fuori di scena si potrà ricominciare a parlare di politica. Adesso devi badare a quel che dici, ogni differenza di idee è materia di gossip, ogni, dio non voglia, divergenza è enfatizzata come lacerazione incombente e quindi incapacità di governare. Che la Casa della Libertà abbia governato con Bossi e Fini assieme non importa, e giustamente. Avevano in comune l'attacco alla Costituzione, al lavoro e alla cultura, la privatizzazione di tutto e un colpo decisivo allo stato sociale. Questo li teneva uniti. Sulla sponda opposta, da Rutelli a Bertinotti via Prodi e D'Alema hanno in comune la restaurazione di quel che della Costituzione resta, l'abolizione del conflitto di interessi, l'autonomia della magistratura e della Rai e dell'informazione, un qualche equilibrio fra impresa e lavoro. Non è molto, ma va in direzione del tutto diversa. Che poi Rutelli frascheggi con la Udc non importa granché. A breve termine non andrà molto lontano.

Che Prodi sia tirato da una parte e dall'altra, specie da un'Europa senza più trattato né crescita, non sorprende; nella coalizione la crisi dell'ipotesi liberista che sottendeva la Ue è più visibile e più urgente. Che il rapporto con gli Stati uniti e la guerra infinita diventerà terreno bruciante è prevedibile. Che Rifondazione e la Margherita abbiano un'idea diversa della società, del lavoro e della persona, e che i Ds siano stretti a evitare gli errori che li hanno portati a perdere il governo è sicuro. In un paese che Berlusconi ha trovato guasto e ha guastato ulteriormente, a dinamica produttiva e crescita zero, a egoismi crescenti e senso della solidarietà in gran parte perduto, la partita sarà più difficile che non fosse cinque anni fa. Anche da questo è venuta, penso, la difficoltà di indicare quattro precisissime scelte, al di là del restauro di uno stile istituzionale e della divisione dei poteri. Le Tav sono più d'una.

Sarà sul terreno che, stabilito un qualche orizzonte di rimedi al quinquennio, si disegnerà l'approdo. È mia ostinata persuasione che sarà il rapporto di forza e creatività sociale e intellettuale a deciderne le tappe. Per questo darò il voto a Bertinotti pur sapendo che il governo non sarà il suo, e pur essendo meno vicina a lui che non fossi qualche anno fa.

In questo transito ciascuno di noi, manifesto incluso, sarà costretto a uscire dalla denuncia e dalle vaghezze, capire le priorità e valutare chi mobilitare - il terreno politico che abbiamo scelto sta nella società, non passa per il parlamento e non ne sottovaluta la funzione. Intanto importa che la maggioranza non sia più quella di ora. Se Berlusconi dovesse passare ancora una volta non ci resterebbe - la rivoluzione non essendo all'o.d.g - che elevare alte strida.

Che cosa hanno detto il candidato premier, il Segretario dei DS, l' Assessore ecologista, e il Presidente del F-VG che ha perso l'aroma. La precisazione dell'esperto e la postilla di eddyburg

Dal Mose al rigassificatore
quelle 129 trappole a sinistra
di Lucio Cillis

ROMA - Di trappole, disseminate lungo tutto lo Stivale, ce ne sono almeno 129. Sono opere pubbliche "a ostacoli", quelle che nel censimento del Nimby Forum (osservatorio dei contenziosi al quale aderiscono aziende e istituzioni coinvolte dai "no") sono per la loro presenza sui media, le più contestate dai comitati locali.

Una forza trasversale, che per difendere il proprio "giardino" (Not in my backyard, ovvero Nimby) ha contrastato diverse opere pubbliche del governo in carica e non guarderà in faccia nemmeno un eventuale esecutivo targato Prodi. Molti di questi nodi rischiano di trascinare in snervanti confronti e contenziosi politici tutto il centrosinistra, in mancanza di un progetto partecipato e pensato da tutte le anime che vi convivono.

Sono opere pubbliche non necessariamente imponenti e non sempre di alto impatto. I rigassificatori, ad esempio: una necessità che per il centrosinistra (in prima linea i due cervelli economici di Margherita e Ds, Enrico Letta e Pierluigi Bersani) è oggi in tempi di crisi di gas, irrinunciabile. Ma che nel caso del "no" all´impianto di Brindisi, vede il sindaco della città Domenico Mennitti (Forza Italia) e il governatore della Puglia Nichi Vendola (Rifondazione) schierati dalla stessa parte della barricata.

E se c´è la Tav in Val di Susa, o il Mose a Venezia, in Lombardia spunta l´autostrada Milano-Bergamo-Brescia, contestata da 35 sindaci, anche di centrosinistra. Per non parlare del percorso del corridoio Tirrenico, l´autostrada Livorno-Civitavecchia: i due progetti che si sono affiancati fino ad oggi sono stati osteggiati con forza da Verdi e ambientalisti che chiedono a gran voce di puntare tutto sul raddoppio dell´Aurelia e non su un percorso da realizzare più a ovest secondo la giunta regionale guidata da Claudio Martini (Ds) o addirittura in Maremma come nel progetto di Lunardi.

Il carbone è invece, l´esempio eclatante di un´altra spaccatura difficilmente sanabile. La rivolta di Civitavecchia e del presidente della Regione Lazio Marrazzo (alla guida di una giunta di centrosinistra) contro la centrale, fa il paio con l´impianto di Porto Tolle, a Rovigo. Anche qui, ora che il carbone torna in auge, è stata la rivolta di ambientalisti, comitati e Verdi della zona, a "svegliare" gli altri partner della coalizione e a riportarli alla lotta al carbone.

Sulla strada delle proteste si incontra, infine, anche "il vento", vecchio cavallo di battaglia degli ecologisti. La costruzione di nuove centrali eoliche - spesso cattedrali nel deserto che, secondo i detrattori, deturpano il paesaggio - sono di fatto bloccate in Sardegna e Puglia, due Regioni guidate dal centrosinistra. E al grido nimby, altri progetti sono stati drasticamente ridotti anche nella progressista Basilicata.

Tav, il rilancio di Prodi "Si farà, punto e basta"

di Marco Marozzi

MADRID - Lo dice prima di pranzo: «La Tav si fa. Punto e basta». In Italia in molti lo applaudono. Ma altri da sinistra lo attaccano. Lui però, prima di cena, raddoppia: «Il corridoio 5 è nel programma dell´Unione come tutti i grandi collegamenti europei. Quindi, non c´è discussione su questo punto». Romano Prodi si gioca sul treno ad alta velocità il ruolo di leader del centrosinistra. Volontà di mostrare che è lui ad avere la parola decisiva per far scendere sulla terra, fra spine e speranze, le 281 pagine del programma dell´Unione. Avviso ai suoi che la riforma elettorale «è un insulto» ed è meglio stare attenti: «Il proporzionale spinge i partiti a diversificarsi il più possibile. E questo li premia con i media». Così eccolo prendere di petto il nodo Val di Susa e le divisioni fra alleati. «È una polemica fuori posto. - taglia corto - Le grandi infrastrutture europee vengono portate avanti e tra queste c´è il Corridoio 5. E quindi la Torino-Lione». Lo dice da Madrid, arrivato per incontrare gli italiani di qua, raccontare a una cena di imprenditori spagnoli cosa farà se andrà al governo, partecipare a un Forum sull´Europa. Lo dice subito prima di andarsene a pranzo con Loyola de Palacio, sua commissaria Ue ai trasporti e adesso coordinatrice per il Corridoio 5. Incontro previsto da tempo, ma su cui - guizzo fra fato e simboli - ieri sono esplose le gran discussioni italiane sull´assenza della Tav nella Magna Charta del centrosinistra. Anche su questo, Prodi sceglie il decisionismo: «Il programma è la cornice, il quadro lo decido io». No, non importa «nessuna integrazione» come ancora ieri chiedevano il presidente del Piemonte e il sindaco di Torino, Mercedes Bresso e Sergio Chiamparino. «Le speculazioni non hanno né peso né giustificazione» trancia le polemiche un Prodi rilassato nonostante la levataccia da Bologna. «Noi non abbiamo scritto le cose analitiche nel programma, però la decisione di andare avanti con le infrastrutture europee è una decisione che avevamo preso ed è ribadita».

L´impegno dei capi dell´Unione, per il Professore, è nell´adesione generale al testo presentato sabato. «Nel programma - manda a dire ai critici - c´è scritto che i collegamenti europei si fanno. E io credo che il Corridoio 5 sia uno dei più importanti. Francamente bisognerà fare anche quelli che ci portano verso nord perché del Brennero abbiamo assolutamente bisogno. Ma l´incrocio tra est-ovest e nord-sud è indispensabile per non essere isolati». Nessuna telefonata da Madrid verso i contestatori. «Non ho parlato con Rifondazione, con i Verdi perché ho ridetto quello che c´è scritto nel programma. E mi basta». La Tav, insiste, «è una priorità». «Certo, siamo per analizzare i problemi con le comunità interessate. Non come il governo attuale che ha imposto tutto senza confronto. Pochi giorni ho discusso con i sindaci della Val di Susa: hanno apprezzato l´atteggiamento, ma nessuno ha messo in dubbio l´opera». «Occorre aprire un dialogo con le comunità locali come sempre si fa in questi casi. Ho in mente l´esempio della Bologna-Firenze: riunioni fiume che hanno portato anche alla modifica degli aspetti di sicurezza. Bisogna anche pensare a compensazioni per le comunità che sopporteranno pesi così rilevanti». Prodi mostra fiducia e lancia confronti. «Nessuno chiede il programma al centrodestra. A me fa piacere, vuol dire che non se lo aspettano» dice agli italiani di Madrid. «Fino a quattro giorni fa mi rimproveravano tutti che non c´era il nostro programma. Ora mi dicono che è troppo lungo. Non c´è una virgola di demagogia. Abbiamo fatto un programma di governo». Rassicura: «Mastella e Bertinotti sono legati da un giuramento». Promette: «Se vinciamo, dal partito democratico non si torna indietro».

"Ma nel testo l´omissione è voluta"

Targetti, tecnico di area ds e coautore del programma:

si parla solo del Corridoio 5

ROMA - «La realizzazione del percorso del treno ad alta velocità nella Val di Susa non è esplicitato nel programma dell´Unione».

Quindi non è una svista?

«Assolutamente no. Non c´è stato accordo».

Il professor Ferdinando Targetti, tecnico di area ds, è stato il coordinatore del tavolo di programma che si è occupato di "Problematiche industriali e infrastrutture".

Professore, il fatto che la Tav non sia esplicitata nel programma significa che non sarà realizzata?

«Significa che ancora non lo sappiamo. Quel punto è rimasto in sospeso».

Durante i lavori del tavolo come è stata affrontata la questione alta velocità e Corridoio 5?

«Sono due passaggi diversi. Con l´assenso di tutte le anime dell´Unione è stato dato il via libera all´integrazione dell´Italia con le grandi reti europee. Significa che il Corridoio europeo numero 5, l´arteria un po´ treno un po´ autostrada che collegherà Lisbona con Kiev, sarà realizzato e passerà a sud delle Alpi, dove previsto».

E il secondo passaggio?

«Non è stato esplicitato e il mezzo e il metodo con cui verrà realizzato il Corridoio 5».

Se non con l´alta velocità, come?

«Ad esempio rafforzando la rete ferroviaria già esistente. Ci saranno nuovi studi e saranno coinvolti cittadini e enti locali».

Prodi oggi dice che la Tav si farà punto e basta. E´ andato oltre il programma?

«Questo nel programma non c´è».

(c. fus.)

Fassino: "Alleati, stop alle furbizie

o i cittadini non si fideranno"

di Gianluca Luzi

ROMA - «Penso che dobbiamo ristabilire delle regole. Ogni posizione è legittima, ma poi a un certo punto si deve decidere e non può che prevalere un criterio di maggioranza. Ogni minoranza ha diritto di esprimere le proprie posizioni ma non ha diritto di paralizzare una maggioranza, altrimenti non si governa e i cittadini non si fidano». A otto settimane dal voto la pazienza di Fassino viene messa ancora una volta alla prova da una lacerante disputa sulla Tav. Ma il segretario dei Ds non ha dubbi: discutere con tutti «per dare risposte alle paure», approfondire tutto quello che c´è da approfondire, ma la Torino-Lione si deve fare perché serve all´Italia e all´Europa.

Segretario Fassino, non siete neanche al primo tornante e rischiate già di andare fuori strada?

«Diciamo una cosa subito con chiarezza: l´alta velocità in Val di Susa non è una ferrovia locale e neanche soltanto il tratto di una ferrovia italiana. Stiamo parlando di quel grande corridoio paneuropeo che parte da Lisbona e Londra, i due rami si unificano a Lione, attraverso la Val di Susa entra in Italia, prosegue fino a Trieste e poi Lubiana, Budapest, Kiev, Mosca. Quindi un´opera strategica per l´Italia e per l´Unione europea. L´Italia non può permettersi di stare fuori da questa rete senza pagare un prezzo economico e sociale molto alto. Il punto, quindi, non è se fare la Tav o non farla perché sarebbe un grave errore e un danno per il paese non realizzare quest´opera. Il punto vero è come farla».

Difficile, considerando l´ostilità delle popolazioni locali.

«Si deve affrontare un nodo che ormai si pone non solo in Italia ma in qualsiasi paese ogni volta che si deve fare una grande opera, sia una centrale elettrica che un impianto di smaltimento rifiuti o una ferrovia veloce. Si è diffuso nel mondo un atteggiamento di diffidenza o di rifiuto: fatela dove volete ma non nel mio giardino. Di fronte a questo atteggiamento bisogna evitare due reazione sbagliate. La prima è di farsi paralizzare dalla paura e dall´eventualità di rischi prima ancora di verificare se i rischi ci siano davvero. E il secondo è di alzare semplicemente le spalle come se le inquietudini e le paure non dovessero ricevere delle risposte. Invece si tratta di fare la Tav in modo sicuro e non devastante. Bisogna liberarsi da letture ideologiche che non aiutano e non servono. La Tav non è l´ultimo simbolo dello Stato Imperialista delle Multinazionali, come qualcuno pensa. E´ un´opera che serve allo sviluppo economico e sociale del nostro paese e dell´Europa».

Per ora l´opposizione dei movimenti locali resta piuttosto forte.

«Se oggi siamo in questa situazione c´è una responsabilità molto seria di Lunardi e del governo di centrodestra che in nome di quel decisionismo sbrigativo che è tipico di chi non tiene in considerazione i cittadini e le loro inquietudini, ha avviato l´opera senza dare corso a tutte le valutazioni di impatto ambientale e sociale. E invece se vogliamo costruire una alta velocità sicura dobbiamo fare tutti gli accertamenti. che naturalmente vanno consentiti e non impediti in nome del pregiudizio ideologico».

La sinistra più radicale continua a dire che la Tav in Val di Susa non è nel programma dell´Unione.

«C´è qualcuno che fa il furbo. Perché a pagina 138 del programma dell´Unione sta scritto in modo chiaro che "priorità della politica dei trasporti e della mobilità è l´integrazione del sistema di mobilità italiano nelle grandi reti europee". Siccome il Corridoio numero 5 è uno degli assi delle grandi reti europee, è chiaro che questa formulazione significa che noi intendiamo realizzare il Corridoio numero 5 in tutte le sue tratte».

L´obiezione è che nel programma si parla di Gottardo e Brennero, non di Torino-Lione.

«Il riferimento che viene fatto in questo testo a Gottardo e Brennero è esemplificativo, non esclusivo. C´è scritto: "dare priorità alle direttrici vicine alla saturazione, come ad esempio quelle verso il Gottardo e il Brennero". Ripeto, c´è qualcuno che fa il furbo».

Un avvertimento a Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio?

«Non è un avvertimento, è una considerazione. Se qualcuno pensa che andiamo al governo per non fare le cose, si sbaglia. Abbiamo il dovere e la responsabilità di realizzare le opere necessarie a sostenere lo sviluppo economico e sociale del paese. Naturalmente abbiamo il dovere di farlo nella sicurezza dei cittadini».

E i tempi? Le discussioni portano via tempi lunghissimi.

«Quello che è accaduto dimostra che il decisionismo che passa sulla testa dei cittadini poi i tempi li allunga. Perché se Lunardi avesse discusso con i sindaci della Val di Susa e avesse fatto tutte le verifiche, adesso non dovremmo ricominciare daccapo. E non si sarebbe determinata un´ostilità che per superarla ci vorrà più tempo di quello richiesto per ottenere consenso».

Intanto lei se la deve vedere con Ferrando e Caruso alla testa dei no global e nelle liste di Rifondazione comunista.

«Ogni partito è sovrano nello scegliere i propri candidati, ma è responsabilità di ogni leader chiedere ai propri candidati coerenza con gli obiettivi e il programma dell´Unione. Le dichiarazioni di questi giorni di Ferrando e Caruso sono inconciliabili con la politica dell´Unione».

Cosa le hanno detto Bertinotti e gli altri oppositori della sua intenzione di fare la Tav?

«Risposte piuttosto imbarazzate con argomenti assai deboli, ma noi non possiamo chiedere un voto per governare l´Italia trasmettendo l´idea che abbiamo paura di mettere in campo grandi opere. Metterebbe in discussione la nostra credibilità».

Berlusconi si vanta spesso delle sue Grandi Opere. Volete fare a gara a chi ne fa di più?

«Sfatiamo il mito delle Grandi opere del centrodestra. La verità è che negli anni del centrodestra la legge obiettivo è stata un fallimento. Hanno elencato 125 opere di interesse strategico, ne hanno finanziate non più di una quindicina e si sono aperti i cantieri di tre o quattro. Lo stato di avanzamento dei lavori riguarda l´1,5 per cento dell´investimento globale. Quasi tutto quello che Berlusconi inaugura sono progetti e finanziamenti dei governi di centrosinistra».

Mercedes Bresso: "Conta quello che dicono il leader dell´Unione e il segretario Ds" - Verdi e Prc non arretrano "Sarà dura, altre le priorità"

ROMA - Chiusura netta. Senza se e senza ma. È la risposta a Romano Prodi dei due alleati Alfonso Pecoraro Scanio. Secondo il leader dei Verdi «Prodi conferma che il programma non si tocca e in quel programma c´è scritto che le priorità sono il Gottardo e il Brennero e il potenziamento della linea ferroviaria in Val di Susa». Pecoraro interpreta così le parole del Professore. «Una cosa è riconoscere che il corridoio 5 deve essere realizzato, potenziando la linea ferroviaria esistente, una è pensare che si possa insistere sul mega tunnel contro le popolazioni». Anche il segretario di Prc invita al dialogo con la gente del luogo. E invita, come ha già fatto nell´intervista di ieri a Repubblica, a «non alzare bandiere» magari oscurando gli altri risultati di un progetto ispirato alle posizioni di una sinistra riformatrice: «Sei mesi fa pensavano tutti che non avremmo mai trovato un´intesa sull´Iraq e invece l´intesa c´è: ritiro nei tempi tecnici. Nel programma, c´è l´abrogazione della riforma Moratti, della Bossi-Fini e dopo 20 anni tornano al centro i lavoratori con il riconoscimento del valore assoluto del contratto di lavoro a tempo indeterminato». Sulla Tav Bertinotti ripete: «Siamo per rispettare quello che c´è scritto nel programma. L´Alta velocità è un tema rimasto fuori perché non c´è ancora la maturità per una scelta in questa direzione». Dunque, il problema si risolve con il consenso «mentre se qualcuno pensa di risolverle militarmente si sbaglia».

Per Giuliano Amato la tempesta è in un bicchiere d´acqua: «Non sono dissensi così drammatici come spesso vengono raffigurati perché poi, quando si arriverà al concreto, che si parli di Pacs o di Tav, io sono convinto che i margini di consenso saranno superiori a quelli che appaiono oggi». Gli amministratori locali però sono guardinghi, chiedono decisioni nette. Il governatore del Piemonte Mercedes Bresso avverte: «Conta quello che dicono Prodi e Fassino. Permane il problema di un pezzo dell´alleanza che non crede nel progetto e dovrà ricredersi». E il sindaco di Torino Sergio Chiamparino critica il programma del centrosinistra: dovrebbe uscire dalle ambiguità. «Sarebbe opportuna - dice - una precisazione formale: se non si vuole un emendamento aggiuntivo, almeno se ne faccia uno soppressivo, nel senso che si tolgano gli esempi. Com´è oggi tutto resta indefinito, c´è una priorità della rete infrastrutturale europea e non ci sono particolari riferimenti».

Illy: "Prodi rifaccia il programma basta ai ricatti di Bertinotti"

di Alberto Statera

«Caro Romano, il tuo programma va preso e rifatto, sei ancora in tempo per rimetterci le mani e farlo rifirmare ai partiti della coalizione.

Altrimenti...» Riccardo Illy, governatore del Friuli Venezia Giulia e icona del centrosinistra che vince nell´Italia di destra, può dire le cose più taglienti e dolorose con voce bassa, monocorde e freddezza austroungarica. E annuncia che queste sono le parole che giovedì dirà a Romano Prodi, il quale sabato scorso ha presentato le sue 280 pagine di programma come fosse un gioiellino.

Altrimenti, governatore Illy ?

«Altrimenti, poiché il buongiorno si vede dal mattino, non è proprio un gran bel giorno. Con quel programma, che prevede quasi tutto e quasi niente, è facile preconizzare un leader debole e un governo inconcludente. Ammesso che il Centrosinistra la smetta di fare di tutto per non consentire a Berlusconi di perdere».

Cosa c´è che non va in tutte quelle pagine?

«Sarebbe più facile enumerare le poche cose che vanno. Non vanno i mille paletti infilati dall´ala sinistra della coalizione e in particolare da Bertinotti, che ne fanno un programma generico, a dispetto delle 280 pagine, con un´impostazione del tutto timida e parziale».

Ne dica uno di paletto bertinottiano.

«Non c´è alcun riferimento esplicito all´Alta Velocità e men che meno al progetto prioritario numero 6, la tratta da Lione al confine dell´Ucraina».

Prodi dice che è una svista.

«Allora rimedi subito alla svista. Ma io non credo che sia una svista. Il fatto è che Bertinotti, che tra i suoi candida Caruso, la firma sulla Tav non la metterà mai. Per cui anche il sincero impegno di Prodi non basterebbe, perché in un governo di coalizione il leader non governa senza la coesione della sua maggioranza. Poi fosse solo la Tav».

Che altro c´è o, piuttosto, non c´è ?

«Si abbandona il Ponte sullo Stretto di Messina. Una scelta che non condivido e che appare illogica, perché il Ponte fu avviato dal governo di centrosinistra. Cos´è cambiato ? Il "niet" di Bertinotti. Il Mose non c´è e tutte le altre indicazioni sono generiche, a parte il blocco del Ponte».

Sulle Grandi Opere le piaceva di più la campagna napoleonica di Berlusconi-Lunardi, peraltro largamente fallita?

« Ahimè sì. Alcune opere si sono sbloccate, come l´Alta Velocità Nord-Sud. Non è questione di programmi napoleonici, ma ci vuole la percezione del fatto che gli investimenti nei trasporti, quando l´opera è utile, comportano un effetto di volano, inducono lo sviluppo economico nei territori attraversati».

Ma che ci vuol fare se Bertinotti serve per vincere ?

«Per vincere veramente occorre convincere. Occorre convincere Bertinotti che certe opere sono necessarie non solo per i benestanti, ma anche per i poveri. Con la Tav, per esempio, ci saranno più treni per i pendolari lulle linee normali».

Sulle Grandi Opere a Prodi diamo l´insufficienza, ma c´è anche molto altro. Per esempio, la riduzione del costo del lavoro.

«Io non l´ho vista. Non si dice né quanto, né quando né come. Con una coalizione non coesa, con divergenze forti, o le cose sono scritte e sottoscritte, blindate, o non si faranno mai. Con questa legge elettorale, sia chiaro che ciò che Bertinotti non vota, non si fa. E poi, lo dico da imprenditore, a che serve ridurre del 5 per cento il costo del lavoro se il nostro costo del lavoro è di venti volte superiore a quello della Cina ?»

Sempre meglio di uno schiaffone, presidente Illy.

«Il problema è che il reddito da lavoro è troppo basso perché è falcidiato dagli oneri previdenziali, che vanno abbattuti con coraggio, come diceva Modigliani. Vanno dimezzati o almeno ridotti del 20 per cento. Questo è un problema centrale, insieme ad altri due».

Dica.

«La salute e l´energia. Il capitolo salute è trattato in modo autocompiacente: si dice che più o meno va bene così. Ma è falso. In quasi tutte le regioni la spesa sanitaria cresce del 7-8 per cento l´anno contro l´1 per cento del pil. È una progressione insostenibile, da bancarotta. Quanto all´energia, grande questione mondiale, sembra che si ignori che il prezzo del petrolio è triplicato in pochi anni. Ci vogliono non affermazioni generiche, ma misure adeguate all´emergenza».

Ma insomma, in 280 pagine non c´è proprio niente di buono? «Ci sono alcune evidenti contraddizioni. Per esempio, si dice che le tariffe degli avvocati vanno mantenute e poi che le tariffe minime professionali vanno abolite».

Va bene, governatore, ma sia gentile, ci dica almeno una cosa che condivide.

«C´è il reddito d´inserimento, che somiglia al reddito di cittadinanza che abbiamo fatto in Friuli Venezia Giulia per sostenere chi è indigente perché pensionato, portatore di handicap, oppure temporaneamente in difficoltà perché espulso dal lavoro. Ci sono cose buone per la cultura, come l´aumento delle risorse del Fondo unico per lo spettacolo».

Se Prodi la volesse come ministro, presidente Illy?

«Impossibile. Primo, perché Prodi ha la fila dietro la porta, mentre ancora i partiti si spartiscono i seggi alla Camera e al Senato, con una legge fatta apposta per i partiti e contro i cittadini. Secondo, perché ho preso un impegno con i miei elettori in Friuli Venezia Giulia. Terzo, perché si sarà capito che non sono troppo ottimista sull´efficacia dell´azione di un governo di centrosinistra, se le premesse sono queste».

Appoggerà le liste civiche se si presenteranno alle elezioni?

«Se si presenteranno al Senato, forse con Di Pietro, sarò loro testimonial».

Quindi giovedì a Prodi dirà...

«Gli dirò che è ancora in tempo a riformulare il programma e a farlo firmare nuovamente da tutti gli alleati. Perché: patti chiari, amicizia lunga».

Postilla

Sconcertanti le cose che hanno detto.

Continuano a parlare di TAV (Treni ad alta velocità), quando il progetto su cui si discute è per il trasporto ad alta capacità (TAC): un treno lento per trasportare molte merci (da dove? a dove?), invece di un treno iperveloce per trasportare passeggeri da Kiev a Lisbona e a Londra (o da Torino a Lione).

Continuano a confondere il Corridoio 5 (che è la direttrice di un sistema complesso di infrastrutture su ferro, asfalto, tubo per spostare persone, merci, energia, informazioni) con la modalità tecnica di realizzazione di un elemento di un suo piccolo segmento (la Val di Susa). Uno che le cose le sa (perché ha partecipato alla stesura del prigramma e perché di trasporti ne capisce) si affanna a precisare che le cose sono diverse e che nel programma cìè l’una e non c’è l’altra, ma loro (Fassino) continuano a dire che gli altri “fanno i furbi”.

Continuano a parlare di Nimby, quando è chiaro che la critica alla TAC in Val di Susa è critica di una strategia di sviluppo per la quale c’è sviluppo se l’acqua minerale si sposta da Kiev a Lisbona, la carta igienica da Londra a Trieste - e viceversa: più si sposta più cresce il PIL. E’ critica di un sistema di priorità distorto (prima le Grandi Opere, poi la manutenzione del sistema normale del territorio e delle sue reti). E’ critica di un metodo di decidere arrogante, che trascura le valutazioni tecniche di sistema e la trasparenza sulle decisioni e sulle loro reali motivazioni.

Continuano a difendere le Grandi Opere senza impegnarsi alle politiche necessarie per renderle di una qualche utilità: per esempio, hanno mai detto come faranno a convincere i trasportatori ad abbandonare i TIR per il TAC? E ch’è addirittura chi critica Berlusconi perché ha promesso le GO e poi non ha saputo realizzarle: non solo il “Governatore” (le virgolette sono d’obbligo) del Friuli – Venezia Giulia, ma anche il Segretario dell’erede del PCI.



Speriamo di riuscire a mandarli al governo del paese per cacciarne l’attuale occupante; ma speriamo anche che studino di più e apprendano meglio. Altrimenti, saranno dolori anche dopo la vittoria.

Un altro metodo

Attenti,nell’Unione. La posta in gioco è alta, e non potete rischiare di farci perdere. Ecco come.Da il manifesto

Romano Prodi e Fausto Bertinotti (si nominano due leader per indicare le due aree che coesistono nell.Unione) non sono affatto d.accordo sulla Tav. Francesco Rutelli ed Emma Bonino non hanno trovato un punto di mediazione reciprocamente soddisfacente sui Pacs e sui finanziamenti alle scuole private. L.elenco potrebbe continuare, citando molti dei capitoli in cui si divide un programma di governo (che non equivale affatto al voluminoso «Programma » dato alle stampe dai leader dell.Unione: è cosa meno propagandistica e più seria).

Va da sé che le suddette divisioni, e quelle che prevedibilmente emergeranno nelle settimane che ci separano dal voto, saranno impugnate dalla destra come prova provata della scarsa attitudine al governo di una coalizione tanto divisa quanto quella di centrosinistra. Trattasi di lecita propaganda. Il punto dolente è che di fronte a questa offensiva la stessa Unione barcolla sulla difensiva. Costretta all.angolo dall.accusa di Berlusconi e soci, tenta un.improbabile difesa negando l.evidenza, sbandierando una concordia tanto monolitica quanto inesistente.

Sarebbe infinitamente più onesto, e soprattutto sarebbe politicamente più sano, uscire dall.angolo, rivendicare le divisioni che effettivamente esistono nell.Unione, riaffermare con un po. di coraggio la validità di un metodo che è opposto a quello berlusconiano. Un metodo che fa perno sul dibattito e sulla dialettica e ammette di chiedere lumi agli elettori su alcune scelte: saranno loro, con il voto proporzionale, a decidere su molte delle decisioni ancora in forse, inclusa la Tav e i Pacs. E. la democrazia, che non può essere ridotta alla miseria della scelta «o di qua o di là» una volta ogni cinque anni.

L.errore del centrosinistra non è il rivelarsi diviso su alcune specifiche, per quanto importanti, questioni. E. il cercare di nascondere quelle divisioni con la finzione di un.unità granitica che dovrebbe essere dimostrata dal ponderoso «Programma». Si tratta di un errore grave, anche perché rischia di cancellare il vero e sostanziale pregio di quel «Programma», che non è un manuale delle giovani marmotte da consultare ogni volta che ci si trova di fronte a una scelta, ma un.indicazione di fondo, una cornice, quella sì unitaria, all .interno della quale sarà poi necessario lasciare ampio spazio a una dialettica politica capace di prestare ascolto ai suggerimenti e alle pressioni della base. Interpretato in questo modo, il programma presentato sabato scorso da Romano Prodi rappresenta davvero una rottura con le impostazioni di fondo che hanno guidato la politica del governo Berlusconi e segna anche un passo avanti rispetto alle linee guida dell .Ulivo nel 1996. Se invece si pretende di farne un testo sacro in grado di offrire risposte sul pronto a ogni problema, quel programma diventa, non solo inefficace, ma anche esposto facilmente al contropiede degli avversari.

Anche Romano Prodi ha accumulato negli ultimi giorni alcuni errori seri, che si riassumono nel tentativo di riapplicare al suo schieramento il metodo padronale adottato da Silvio Berlusconi nel condominio delle libertà. Un decisionismo imperioso che rimbalza dalle perentorie affermazioni sulla Tav a quelle altrettanto ultimative sul maggioritario. Ma la forza di Prodi, e quella del centrosinistra, non è nell.imitazione di Berlusconi: risiede tutta, al contrario, nella capacità di offrire agli italiani, prima ancora che contenuti alternativi, un metodo opposto a quello del berlusconismo. Un metodo democratico davvero, non solo per modo di dire.

Il programma dell’Unione su cui sabato hanno garantito la loro adesione i segretari dei partiti che compongono la coalizione di centrosinistra (con l’eccezione di Boselli) è disponibile agevolmente per chi si collega al sito di Prodi o a quello della Fabbrica del Programma ma consta di duecentottantuno pagine. Troppe per l’uomo della strada e per chiunque non dedichi alla politica una parte stabile del suo tempo ma nel suo discorso all’Eliseo lo stesso Prodi ha messo in luce quali sono le priorità del programma e quale è lo spirito che lo pervade.

Ma io ho voluto fare una prova personale e ho passato due ore a leggere la versione integrale del programma.Devo dire, con una certa soddisfazione, che ho trovato nella versione integrale lo stesso spirito di quel discorso e ho pensato che farne una breve sintesi possa essere utile ai nostri lettori.

C'è un punto di metodo che percorre tutto il testo e che vale ricordare subito: Prodi è convinto e lo dice quasi ad ogni piè sospinto che ci vogliono riforme radicali e che in ogni caso delle riforme devono essere protagonisti e non vittime inascoltate tutti quelli,i cittadini, che ne sentiranno gli effetti. Ad esempio, la scuola e l'università non hanno bisogno soltanto di un'attenzione costante che in questi anni è mancato né solo delle risorse che sono mancate in maniera sempre più grande ma devono essere coinvolti attraverso gli insegnanti e i giovani nel processo riformatore. Un lavoro, insomma, per gli italiani fatto con gli italiani.

E la consapevolezza che «non potremo ottenere una ripresa di competitività complessiva del sistema-paese senza profonde innovazioni del sistema produttivo,senza un percepibile miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini,senza un'attenzione nuova alla qualità della vita delle famiglie».

E il primo punto è in assoluto il miglioramento dell'ambiente visto che il degrado dell'ambiente naturale sta letteralmente cambiando la terra sotto i nostri piedi. Ma tutto sarà realizzabile «solo con un governo - ricorda Prodi - che,oltre le idee e alla determinazione nel realizzarle, abbia la capacità di motivare e mobilitare le energie del Paese».

E occorre ridurre l’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente,superare l'attuale legislazione sul mercato del lavoro (legge Maroni) e una politica industriale volta a rafforzare la dimensione e la solidità finanziaria delle imprese. Ma questo deve accompagnarsi allo sviluppo dell'innovazione e della ricerca che ci fa essere il fanalino di coda dell'Europa con l’1,1% delle risorse sul Pil.

La legge Moratti va messa da parte. È una legge sbagliata che ha già prodotto danni notevoli alle nuove generazioni. Gli insegnanti devono partecipare alla riforma della scuola e ai cambiamenti necessari per riportare la formazione ai livelli europei. In un certo senso si può fare lo stesso discorso per il Mezzogiorno che attende con ansia una nuova politica consapevole delle risorse che può offrire e di un nuovo slancio verso la moder nità:anche qui dovranno essere i meridionali con tutti gli altri a mobilitarsi per una nuova stagione di mutamenti.

Il fisco è un altro campo che necessita di grandi interventi. Ci vuole una lotta feroce all'evasione fiscale, la fine dei condoni e si penalizza il reddito personale delle imprese e delle persone mentre non si tassa che in modo ridicola la rendita finanziaria. Bisognerà agire per rendere uniforme il sistema di tassazione delle rendite finanziarie escludendo i redditi prodotti dai piccoli patrimoni frutto del risparmio familiare. Ci vuole una politica efficace di sostegno della famiglia, così come è definita dalla costituzione repubblicana regolando in maniera civile le unioni di fatto a prescindere dal loro orientamento sessuale. Ed è necessario un programma di sviluppo dell'assistenza domiciliare integrata facendo affluire in un Fondo nazionale tutte le risorse impegnate già oggi nel settore.

In politica estera la scelta dell'Europa e del processo di integrazione europea come asse centrale della nostra politica è chiara e limpida. Ma l'altra stella polare è la costituzione repubblicana e la sua difesa contro la scriteriata e pericolosa revisione costituzionale approvata dalla coalizione di destra.

L'impegno a respingere con il referendum di giugno quella revisione e mantenere intatto l'edificio democratico previsto dalla Carta del 1948 è centrale nella parte del documento che si occupa delle strutture centrali del nostro Stato. Naturalmente è impossibile in così poco spazio dar conto delle soluzioni specifiche che il programma dà a questioni importanti che la coalizione dovrà affrontare dal giorno successivo alle elezioni.

Faccio un esempio che mi sembra di particolare importanza perché riguarda una delle questioni centrali di questi anni:il problema dell'informazione e della pubblicità. Qui gli elettori si aspettano nei fatti il ritorno a un carattere genuinamente democratico della comunicazione dopo cinque anni di sostanziale oscuramento dell'articolo 21 della costituzione. Nel testo del programma mi sembra di veder circolare questa esigenza e l'attenzione a proibire ad esempio l'estenzione di posizioni dominanti in settori contigui come quelli delle telecomunicazioni e del comparto radiotelevisivo rispetto al settore dei quotidiani mi sembra un punto di partenza necessario.

Come appare indispensabile tutelare il carattere di servizio pubblico della Rai e la sua indipendenza dal potere esecutivo ma si tratta di un compito difficile per il quale occorre una grande determinazione e una capacità straordinaria di tener fede ad alcuni principi di fondo.

Nel suo discorso all'Eliseo Prodi ha ripetuto due volte la frase «non vi deluderemo» e mi ha ricordato quel che disse Zapatero all'indomani della sua imprevista vittoria nelle elezioni spagnole: «Il potere non mi cambierà». È quello che gli italiani,dopo questi anni, vorrebbero più di qualunque altra cosa.

L’Unione, Per il bene dell’Italia. Programma di Governo 2006-2011

Estratti dal Cap. La nuova alleanza con la natura: ambiente e territorio per lo sviluppo

[...] dobbiamo riconoscere che il territorio è la più importante infrastruttura di un Paese, la sua manutenzione è la più importante opera pubblica: un’opera pubblica redditizia che consente di ridurre i rischi e di risparmiare le spese delle emergenze.

Le nostre politiche per il governo del territorio sono orientate a garantire la qualità ambientale, culturale e paesistica, la biodiversità, il risparmio del suolo, la prevenzione e la riduzione dei rischi. Noi crediamo che i principi della sostenibilità, della prevenzione e della precauzione debbano improntare tutti i piani e programmi che intervengono sul medesimo territorio, garantendo la massima trasparenza e partecipazione.

In particolare proponiamo di varare una nuova legge quadro per il governo del territorio che operi secondi i seguenti criteri:

- evitare il consumo di nuovo territorio senza aver prima verificato tutte le possibilità di recupero, di riutilizzo e di sostituzione;

- realizzare una gestione integrata che tenga conto della biodiversità, della qualità ambientale, culturale e paesistica, del ruolo multifunzionale dell’agricoltura e insieme della qualità sociale e urbana;

- promuovere l’efficienza energetica e dell’uso delle risorse idriche e la logistica e i sistemi per la mobilità sostenibile e della prevenzione dei rischi del dissesto idrogeologico, di quelli naturali e tecnologici.

Basta con i condoni edilizi: ci impegniamo a non varare nuovi condoni e a potenziare attività e misure di prevenzione, di controllo e dissuasione, nonché piani di recupero del territorio che passino anche attraverso l’abbattimento delle opere abusive, a partire da quelle realizzate nelle aree vincolate.

La sicurezza passa anche per la cura del territorio e per un efficiente sistema di protezione civile. Intendiamo sviluppare ad ogni livello la cultura della prevenzione, affinchè essa venga interpretata come investimento nel futuro, utilizzando in modo coordinato gli strumenti tipici della pianificazione, riqualificazione, recupero e manutenzione perridurre la vulnearbilità del territorio e del patrimonio edilizio. Vogliamo, in particolare, rafforzare la collaborazione interistituzionale, agendo sulla sensibilizzazione dei cittadini, investendo in nuove tecnologie e nelle ricerche tecnico-scientifiche. Ciò richiede un quadro normativo e procedurale più aggiornato ed omogeneo e, contemporaneamente una struttura flessibile di alta amministrazione, che va potenziata e concentrata sui compiti fondamentali di studio, prevenzione e intervento, per non spostare solo sugli enti territoriali e le comunità locali l'onere organizzativo. Ad un piano di legislatura dovranno concorrere tutti i livelli istituzionali, garantendo l'apporto, accanto alle strutture della Protezione civile nazionale, dei servizi tecnici dello Stato, del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. La prevenzione è, in un paese come l'Italia, una fondamentale opera pubblica, sulla quale vogliamo investire, a partire dal livello della comunicazione, valorizzando sempre di più la risorsa della solidarietà e del volontariato di protezione civile.

Nell'ambito del governo del territorio, un'attenzione particolare intendiamo riservare alla Montagna.

La montagna comprende il 54% del territorio italiano e in area montana risiedono 11 milioni di abitanti. Cinque anni di promesse mancate da parte del governo Berlusconi hanno inciso negativamente sullo sviluppo di questi territori, malgrado vi fossero le condizioni per un’organica riforma della legge n. 97 del 1994 che tenesse conto dei suoi peculiari profili antropici, culturali, ambientali ed economici.

Noi intendiamo perciò avviare una politica nazionale per la montagna coerente e innovativa, capace di valorizzarne le potenzialità economiche, fondata sui principi della sua specificità territoriale, della coesione economica, dello sviluppo sostenibile e della sussidiarietà. Intendiamo a tal fine rilanciare un progetto di governance per la montagna, che prenda le mosse dai principi di adeguatezza e differenziazione e dalla considerazione che i piccoli Comuni italiani, la maggior parte dei quali di montagna, non sono più in grado di rispondere singolarmente alle richieste dei propri concittadini e di erogare servizi fondamentali sul territorio. Per evitare una sovrapposizione di competenze e rendere efficiente ed economicamente sostenibile la gestione associata dei servizi intercomunali sul territorio montano, è necessario rivedere i rapporti istituzionali e gli equilibri interni al sistema Comuni-Comunità montane. Si dovrà prevedere che la Comunità montana sia l’unico strumento associativo dei Comuni montani rivedendone, nel contempo, anche i meccanismi elettivi e di rappresentanza.

Il concetto di “montanità” non può più prescindere da un elemento altimetrico coniugato con il grado di accessibilita` dei territori, con gli indici ISTAT di invecchiamento della popolazione, con le condizioni climatiche, con la pendenza delle superfici e con la durata del periodo vegeta-tivo. Questi criteri saranno definiti dalla normativa nazionale, in quanto unificanti e di principio. Potranno essere meglio dettagliati dalle regioni secondo le loro specificità territoriali. Tutto ciò perché la montagna delle Alpi è diversa da quella degli Appennini e delle Isole e le risorse sono scarse con la necessità di focalizzare gli interventi selezionandone i beneficiari.

Proponiamo inoltre l’istituzione di un fondo perequativo che faccia fronte ai sovracosti strutturali permanenti tipici dei territori montani e l’individuazione meccanismi automatici di alimentazione del Fondo Nazionale per la Montagna che, facendo uscire dalla contrattazione politicoparlamentare la determinazione delle risorse da destinare al sistema montagna, ne riconosca la natura di restituzione di ciò che la montagna apporta alla comunità nazionale. Ci impegniamo a ratificare i Protocolli alla Convenzione delle Alpi, valido strumento per coniugare in modo armonico la tutela degli interessi economici e la cooperazione transfrontaliera con le esigenze di conservazione dell’ecosistema.

Ci impegniamo infine a rilanciare il progetto Appennino Parco d’Europa attraverso un patto tra Comunità montane e Parchi per la qualificazione dell’ambiente appenninico, attraverso la promozione di nuove modalità organizzative del territorio, attuando un piano di sviluppo delle potenzialità della dorsale appenninica integrato e funzionale.

Con riguardo alle aree urbane, ci impegniamo a promuovere un programma per le città e le loro periferie, finalizzato congiuntamente alla tutela e alla valorizzazione dei centri storici e al risanamento urbanistico e sociale delle periferie. In questo contesto, ci impegniamo a:

- riconoscere apposite misure di sostegno e tutela ai piccoli Comuni, con particolare riferimento a quelli con un rapporto penalizzante fra popolazione e dimensione territoriale;

- promuovere, nelle aree urbane e metropolitane, l’aumento di parchi, giardini, orti e altre aree verdi;

- potenziare il trasporto pubblico locale, metropolitano e regionale con sistemi integrati incrementando la modalità di sistemi su ferro e in corsie preferenziali;

- rendere permanenti gli incentivi fiscali per ristrutturazioni edilizie finalizzandole in particolare al risparmio energetico, alla qualità ecologica, alla bioedilizia e alla sicurezza degli edifici;

- promuovere, incentivare e governare il partenariato pubblico/ privato definendo regole e modelli, e sostenendo le esperienze di successo nel raggiungimento di obiettivi pubblici;

- attuare, in conformità con le indicazioni europee, la Valutazione Ambientale Strategica dei piani e dei programmi.

[...]

Alla Conferenza Programmatica dei DS, che si è svolta a Firenze dallì1 al 3 dicembre 2005, è stato presentato tra gli altri un documento sulle politiche abitative, redatto da Luisa Calimani, Francesco indovina, Piergiorgio Bellagamba e altri, firmato da un gruppo di esperti di diversa estrazione. Nell'attenzione riservata a questo documento (che, per la sua ampiezza inseriamo in formato ridotto senza tabelle; il file integrale è scaricabile cliccando in calce ai nomi dei firmatari) i presentatori hanno individuato un segno positivo di attenzione per i problemi sollevati. Speriamo.

DEMOCRATICI DI SINISTRA, DIREZIONE NAZIONALE, Dipartimento Imprese e Infrastrutture, UNA NUOVA POLITICA DELLA CASA. Fra mercato e diritti urbani, dicembre 2005

Premessa

La questione delle abitazioni è un problema strutturale nell'organizzazione della città e nella pianificazione del territorio, rappresenta un costo significativo nei bilanci delle famiglie, collabora a sostenere l'economia e l'occupazione del Paese attraverso il settore delle costruzioni l'unico in crescita negli ultimi anni.La casa è fondamentalmente un problema urbano che si amplifica con la dimensione della città e si acutizza con l'espansione e il degrado delle periferie, colpisce le fasce a basso reddito e determina la condizione di povertà di molte famiglie.

Politiche abitative e politiche urbane



Pur essendo profondamente mutati negli ultimi 10 anni la situazione socio economica e il quadro legislativo di riferimento, non è corrisposto nella politica delle abitazioni un conseguente aggiornamento delle proposte. L'emergenza abitativa, ormai cronica, è stata curata con rimedi (come dimostrano i risultati) assolutamente inefficaci.

La loro riproposizione oggi è ancor più di allora incongruente e incapace di rispondere alle esigenze di soggetti vecchi e nuovi che vivono situazioni di forte disagio e precarietà. E quando alla precarietà del posto di lavoro si aggiunge quella della casa, le condizioni di vita diventano insopportabili.

Ed è proprio l'insicurezza che ha fatto compiere a molte famiglie la "scelta obbligata" dell'acquisto, inducendo a pesanti sacrifici e a un indirizzo a senso unico del risparmio delle famiglie e degli investimenti.

E’ anche una scelta di politica economica. Azioni di promozione ( es. contributi a diverso titolo elargiti, direttamente alle imprese o attraverso buoni casa individuali) possono favorire una scelta sul risparmio degli italiani che si concentri, come è finora avvenuto, prevalentemente nell'acquisto della casa. che condiziona soprattutto le giovani coppie per i prossimi 10 - 20 anni, ma comprime altri consumi; situazione che si aggraverà pesantemente con il previsto aumento dei tassi d’interesse.

La ragione prevalente che spinge la famiglia italiana a indebitarsi presso le banche o le società finanziarie resta l’acquisto e la ristrutturazione di immobili” scrive la Banca d’Italia e le erogazioni per l’acquisto hanno raggiunto la cifra di 55.278 milioni di € nel 2003, per la contrazione di mutui per lo più quindicennali.

Questo fenomeno è tipicamente italiano, perché l’Europa ha un rapporto fra abitazioni in affitto e in proprietà molto più equilibrato. Solo Spagna e Irlanda hanno una percentuale più bassa, negli altri Paesi europei la % di alloggi in affitto è in media il doppio dell’Italia.

Per formulare proposte credibili ed efficaci è necessario saper interpretare i mutamenti, sia riguardo le competenze istituzionali discendenti dal titolo V della Costituzione, sia in merito alla situazione del mercato immobiliare, dei tassi d'interesse, dell'evoluzione della struttura della società urbana, della composizione dei nuclei della familiari, degli strumenti urbanistici nelle strategie della pianificazione.

La questione, mai seriamente affrontata dello sviluppo integrato delle politiche urbane, ha come apice la mancata relazione fra trasporti, infrastrutture a rete e insediamenti urbani, fra residenza, localizzazione dei servizi e posti di lavoro . L’emarginazione localizzativa di quartieri monofunzionali nasce infatti non tanto dalla distanza fisica ai luoghi, quanto dal tempo e dal costo necessario per raggiungerli.

E la costruzione di abitazioni senza servizi ha amplificato queste distanze, appesantito il traffico, aumentato la domanda di mobilità soprattutto nelle aree rarefatte ovvero a scarsa densità edilizia, condannando così all’esclusione i quartieri non serviti da mezzi di trasporto pubblico.

Poiché la presenza di collegamenti urbani efficienti aumenta la rendita, in altri paesi l’impresa costruisce agglomerati di case (che i giapponesi chiamano i quartieri della notte) e a proprie spese, i treni per collegarle ai sevizi e ai luoghi di lavoro. Non è un buon esempio di funzioni integrate nella città, ma in Italia non solo non vi è un mix funzionale in molte parti del territorio anche densamente popolate, ma sono a carico del pubblico le strutture di collegamento e a “carico” del privato i benefici economici del costruire.

La città diffusa, che offre bassi costi dei terreni e quindi delle abitazioni, comporta in cambio maggiori costi collettivi dei servizi a rete.

Un efficace e dominante impegno verso il trasporto su ferro, armatura urbana e territoriale attorno alla quale indirizzare le politiche insediative sarebbe una strategia di “alta qualità” e potenzialità straordinarie sotto l’aspetto ecologico, funzionale, di riduzione della dispersione urbana.

L’integrazione urbana, attraverso l’accessibilità di tutte le parti della città e la permeabilità sociale, oggi preclusa dai differenti costi delle zone urbane che costruiscono ghetti insicuri (per i quartieri periferici ma anche per l’intera città perchè l’insicurezza non ha recinti), si attua soprattutto attraverso il risanamento delle periferie e dei complessi di edilizia residenziale pubblica. E' noto che il degrado sociale e i processi di emarginazione ed esclusione si sviluppano più facilmente in situazioni didegrado urbano. L'ostilità dell'ambiente fisico della città si riproduce spesso nei comportamenti; risanare le periferie significa dare qualità agli spazi urbani, salubrità e bellezza agli edifici, dignità alle persone, scoraggiare comportamenti illeciti, significa mettere in relazione modelli urbani e modelli di vita.

Far parte dell'Europa significa anche offrire una condizione abitativa che renda tutti i cittadini più uguali. La riduzione del "costo casa", la cui incidenza sullo stipendio è in continua crescita, è uno strumento fra i più efficaci per far uscire molte famiglie dalla soglia di povertà. Ma non solo i più poveri sono afflitti dal problema lo sono anche i "ceti medi" sui quali questo costo pesa sproporzionatamente e cresce arbitrariamente.

L’alloggio sociale diventa una risposta indifferibile, in quanto il divario fra domanda e offerta è così alto da non poter essere risolto dal mercato. Questa è una funzione che deve assolvere l’Ente Pubblico. Possono e debbono essere attivate forme di “convergenza”, contributi, strumenti, collaborazione fra pubblico e privato, ma quando l’affitto supera la pensione percepita, la responsabilità di una soluzione spetta all’Ente pubblico e questo vale anche per quel 50% di famiglie in affitto (oltre un milione) che stanno sotto la soglia di povertà.

A queste famiglie il “pubblico” deve dare una soluzione pronta ed immediata, mentre oggi risponde solo con il 7,8% alle domande di alloggio presentate. L’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa per quantità di alloggi sociali: circa un milione, che rappresenta il 20% del totale di alloggi in locazione; percentuale che si abbassa vertiginosamente se confrontata con lo stock complessivo di abitazioni.



L’invecchiamento della popolazione, in progressivo aumento, superiore a tutti i Paesi europei è una altro fattore che concorre a determinare l’esigenza di una politica sociale per la casa, oggi completamente assente

Nel patrimonio di edilizia residenziale pubblica in Italia, vi sono elementi di distorsione che diminuiscono l’efficacia della sua funzione, e sono ancor più pesanti data la scarsa offerta, indebolita da una vendita poco remunerativa e dalla presenza di alloggi occupati abusivamente (2% al nord e centro, 15% al sud), a cui si aggiunge un sottoutilizzo del patrimonio dovuto ad inagibilità e a scarsa mobilità degli inquilini.

Questi elementi, anziché essere corretti e “governati”, diventano un pretesto per negare la necessità dell’edilizia sociale.

Si evince come i valori catastali ai quali è venduta l’edilizia pubblica siano distanti dai valori di mercato, quindi l’acquisto di un nuovo alloggio pubblico equivale alla vendita dai tre ai cinque alloggi ERP costruiti con i soldi dei lavoratori dipendenti ricavati dalle trattenute ex Gescal. A questo si aggiungono vendite eseguite per l’importo di 1000 € conseguenti a provvedimenti regionali

Non sempre ciò che viene costruito corrisponde a ciò che effettivamente serve.

Questo divario è oggi profondo perché la ragione del costruire non sta nel dare risposte alla domanda di abitazioni, bensì nell'interesse ad investire nel solito "bene rifugio" il mattone (o il calcestruzzo) che ha un tasso di redditività più alto e/o più sicuro di altre forme di investimento.



La casa e il mercato immobiliare

L’aumento del valore del patrimonio immobiliare supera la crescita del reddito.

E’ una tendenza provocata dal crollo delle borse che, ad eccezione del Giappone, ha subito un processo di accelerazione in tutto il mondo

Il trionfo della rendita cui stiamo assistendo è parte di quel meccanismo ormai da tempo in atto che vede ridursi progressivamente la quota di reddito destinata al lavoro produttivo mentre aumenta la quota del reddito destinata alla remunerazione del capitale.

In Italia, dove il reddito nazionale cresce di meno, il fenomeno è più evidente; i profitti non sono investiti per aumentare la capacità produttiva, l’aggiornamento tecnologico, la ricerca, bensì nell’acquisto di beni immobiliari.

La speculazione edilizia è diventata il mezzo di arricchimento più remunerativo, se si escludono le attività illecite di cui peraltro il settore immobiliare è il privilegiato riciclatore dei profitti. L’intensa attività di acquisizione di immobili soprattutto nei centri urbani è anche opera di stranieri, asiatici e cinesi in particolare, interessati ad impegnativi complessi immobiliari per i quali offrono vantaggiose condizioni di acquisto.

E' un tema sul quale non solo la Magistratura dovrebbe riflettere ma anche la Politica, per trovare strumenti efficaci di controllo su movimenti e transazioni finanziarie che passano attraverso la compravendita di immobili.

La presenza nelle grandi banche, la scalata al Corriere della Sera, dimostrano come le grosse concentrazioni di imprese immobiliari usino iloro capitali. Non quindi nell'abbassare i prezzi di vendita, non in riqualificazione urbana, non in tecnologie più moderne, ecologiche e a maggior risparmio energetico, ma in operazioni bancarie e in quella che viene definita la finanziarizzazione dell’impresa.

Le trasformazioni urbane

I profitti provengono soprattutto da due importanti operazioni di trasformazione. Quella relativa alla modifica di destinazione d'uso di terreni ai quali viene attribuita una capacità edificatoria che ne incrementa fortemente il valore attraverso una nuova destinazione di Piano (è la rendita che investe terreni agricoli e destinati a servizi pubblici). E quella relativa alla trasformazione di parti già edificate dei centri urbani.

Le trasformazioni edilizie e di destinazione d'uso degli immobili, riguardano il tessuto dell'intera città in maniera diffusa, ma quelle più consistenti, per le quali si utilizzano strumenti urbanistici complessi, interessano aree degradate dove insistono soprattutto attività produttive dismesse. In particolare aree portuali, caserme, scali ferroviari che col tempo sono diventati luoghi centrali, appetibili ai grandi operatori che realizzano interventi di trasformazione che condizionano il futuro di una città, spesso senza un quadro di riferimento complessivo.

Anche i profitti sono consistenti, e gli utili nel settore sono anche quest'anno in crescita insieme al volume d'affari.

Mai una congiuntura è stata così favorevole al recupero di un fabbisogno pregresso anche di edilizia residenziale, sia per alloggi in affitto a canone sociale e convenzionato, sia per la cessione al Comune di alloggi e terreni da destinare all'ERP. Questo "contributo" può essere sostenuto dall'operatore perché è assorbito dai profitti determinati non dal guadagno d'impresa ma dalla rendita prodotta da scelte urbanistiche compiute dall'Amministrazione Comunale.

Le proposte politico-programmatiche debbono quindi tener conto di questo nuovo quadro, comune a quasi tutti i Paesi del mondo.

In Italia:

- la bolla immobiliare cresce nonostante alcune previsioni diverse,

- sono esauriti i fondi ex Gescal, lo Stato ha diminuito le risorse destinate alla casa e i tagli delle Finanziarie agli Enti Locali riducono l'esigua percentuale che Regioni e Comuni destinano a questo settore

- le condizioni del mercato sono peggiorate per gli utenti, migliorate per le imprese/ immobiliari,

- il titolo di godimento delle abitazioni è concentrato al 72% sulla proprietà, 1/5 della popolazione vive in affitto, il 9% ad altro titolo.

- l'utenza è molto diversificata ,per età, etnie, composizione del nucleo familiare, collocazione geografica, reddito

- la popolazione anziana è in progressivo aumento e il costo dell’alloggio, lo sfratto, il trasferimento, la colpisce in modo traumatico

Una situazione così complessa e diversificata richiede risposte articolate, mentre le proposte tendono spesso a riprodurre vecchi schemi.

Dieci anni fa i contributi regionali e statali per l'acquisto della prima casa servivano ad abbattere i tassi d'interesse portandoli ai livelli che già oggi le banche praticano normalmente.

Lo stesso contributo al pagamento del canone di locazione cade in un pozzo senza fondo e contribuisce a sostenere la rendita, perché l'incremento del valore degli immobili ha avuto come conseguente esigenza di remunerazione del capitale investito, un consistente aumento degli affitti.

Le risorse esistenti



Il patrimonio edilizio esistente eccede del cento per cento il rapporto ritenuto ottimale di un abitante/vano. Il numero di alloggi costruiti nell’ultimo decennio è doppio rispetto all’incremento dei nuclei familiari. Eppure nonostante questo non diminuisce la spinta alla nuova edificazione.

L’incremento totale delle abitazioni dal 1971 al 2001 è stato del 56% ma l’incremento delle abitazioni non occupate ha raggiunto nello stesso periodo il 164%

Per arginarla nasce la domanda/proposta di un migliore utilizzo del patrimonio edilizio esistente dove già ora si concentra la maggior parte delle domande di concessioni e autorizzazioni edilizie e l’attività delle piccole imprese di costruzione.

Ed è su, recupero, restauro, risanamentodel patrimonio edilizio, che si dovrebbe applicare un vantaggio fiscale sistematico e consistente, perché produce un risparmio collettivo in termini di consumo di suolo e di nuove infrastrutture, con conseguenze sulla permeabilità dei terreni e sui dissesti idrogeologici.

Il vantaggio fiscale dovrebbe accentuarsi se i miglioramenti apportati dagli interventi sono rivolti alla qualità ambientale dell’immobile e del quartiere.

La normativa dei Piani privilegia, e a volte esaurisce in queste categorie, gli interventi ammessi nei centri storici e nella città consolidata.

Ma l’intervento all’interno dei perimetri dei centri edificati, dove la rendita è più elevata e il terreno si paga, non a metro quadro, ma a metro cubo edificabile, comprende anche la “ristrutturazione urbanistica”, categoria auspicata da molti, urbanisti, imprenditori, frequentemente usata in altri Paesi.

Ma in Italia l’elevato frazionamento della proprietà immobiliare la rende difficile. Per realizzare ristrutturazioni urbanistiche in zone residenziali, che costituiscono la parte prevalente dell’edificato, è necessario il verificarsi di una delle due seguenti condizioni. O l’intervento riguarda immobili di proprietà pubblica (con costi sociali per il trasferimento degli abitanti), o l’aumento di cubatura è tale da rendere economicamente appetibile l’intervento. Ma nella città costruita un forte incremento degli indici di edificabilità provoca spesso l’occupazione dei pochi spazi liberi rimasti in aree già prive di servizi e l’appesantimento del traffico nelle arterie urbane già sature, causato dal maggior numero di abitanti insediabili-insediati.

E’ per questo che in Italia, le trasformazioni di aree residenziali già edificate, è tema di convegni più che di realizzazioni. Lo stesso operatore privato non è sempre disposto ad un’esposizione finanziaria a lungo termine che non risulta garantita, sia per la complessità delle procedure, che per la difficoltà politica dovuta ad un esito non scontato nel consenso dei cittadini che non sempre vedono nell’intervento grandi vantaggi per la collettività in termini di qualità urbana, servizi aggiuntivi, soprattutto spazi verdi.

Si pone quindi in modo pressante la domanda non generica e demagogica del “dove”.

Dove ricavare aree e immobili da destinare all’edilizia abitativa a prezzi accessibili.

Come la Pubblica Amministrazione può assicurare ai cittadini tutti, un bene non voluttuario come la casa.

Quali strumenti oggi consentono di affrontare il problema con sistematicità ed efficacia.



La rendita



Il costo delle aree incide sul metro quadro venduto in misura proporzionale alla vicinanza al centro, ma in media corrisponde a metà del costo finale dell'immobile. Quindi abbattere il costo dell'area (ad esempio nei comparti attraverso la cessione gratuita al Comune) permette di dimezzare il "costo casa" sia nell'affitto che nella vendita, sia per l'edilizia pubblica che privata convenzionata.

La bolla immobiliare (senza precedenti) è servita, almeno si spera, per togliere l’illusione, a chi ancora l’avesse, che basta costruire più case per risolvere il problema.

Il permanere del divario fra domanda e offerta ha evidenziato il fallimento della teoria che in un regime di libero mercato l’autoregolazione si matura con la produzione di una quantità del bene emesso che ne condizionerà il prezzo. Oggi siamo di fronte all’aumento del numero di case e al contestuale incremento vertiginoso dei prezzi, peraltro in presenza di una certa stabilità della popolazione e del numero di nuclei familiari.

Questa premessa si rende necessaria per inquadrare il “problema casa” in un ambito di riferimento generale che se non giustamente interpretato conduce a luoghi comuni e “cure” inefficaci, come dimostra la condizione cronica dell’emergenza abitativa.

A chi si deve rivolgere la programmazione e il sostegno pubblico se già il privato offre ai cittadini “abbienti” quanto serve per soddisfare ogni tipo di fabbisogno abitativo?

La complessità del problema è tale da richiedere soluzioni diverse per i vari segmenti della domanda in rapporto alla sua articolazione per fasce d’età, di reddito, composizione del nucleo familiare, dimensione urbana.

Anche il problema immigrazione va affrontato sapendo che ha una sua specificità che somma disagio a disagio.

I bassi tassi d’interesse che hanno reso l’affitto paragonabile al mutuo da contrarre hanno già espanso quanto possibile la proprietà dell’alloggio.

Il 72% di case in proprietà è una soglia che presumibilmente non subirà sostanziali variazioni. Una categoria residuale (rispetto a quella che non accede alla proprietà per ragioni economiche) ritiene comunque inopportuno rendere stabile la propria dimora. Perché ciò irrigidiscefortemente la possibilità di adeguamento alle mutevoli composizioni del nucleo familiare e costituisce un forte freno alla mobilità del posto di lavoro.



Ma la gran parte di quel 20% di famiglie che non ha la proprietà dell’alloggio, per lo più non solo non è in grado di risparmiare ma a volte neppure di pagare un affitto.

Il numero di sfratti per morosità aumentato in questi anni, dimostra che molte famiglie pur di avere un tetto firmano un contratto di locazione che poi non saranno in grado di rispettare.

Condizioni economiche precarie anche temporanee (malattie, perdita del posto di lavoro, allontanamento di un parente portatore di reddito..) rendono necessario l’intervento immediato che non sempre i Comuni riescono a fare, come dimostra l’esecuzione coatta degli sfratti da parte della forza pubblica.

Va quindi costruito un sostegno non effimero ai Comuni affinché possano far fronte a queste emergenze. Sono gli enti locali più vicini ai cittadini (sindaci e assessori alla casa) che affrontano quotidianamente, spesso con senso di impotenza, l'assurdo e doloroso problema abitativo.

Sapervi rispondere è segno di civiltà, contraddistingue una società moderna e solidale, caratterizza una politica di centro-sinistra.



Le proposte

E' certo una questione di risorse, ma non solo economiche.

Queste ultime servono nel primo periodo di Governo per far fronte alle situazioni più gravi in cui versano le famiglie a basso reddito, dando loro un sostegno per il pagamento del canone e delle utenze (in particolare il riscaldamento per anziani e bambini) onde evitare lo sfratto per morosità.

Ma si tratta di provvedimenti congiunturali, che non solo non risolvono il problema in modo strutturale, ma non lo avviano neppure verso una prospettiva di soluzione . Per questa è necessario mettere in moto meccanismi che diano continuità temporale agli interventi, attraverso progetti mirati, flussi finanziari programmati che permettano a cooperative e imprese di attivare sistemi di produzione ecologicamente e tecnologicamente avanzati, assicurino una dotazione di aree pubbliche ai Comuni senza la quale, affermava Giovanni Astengo, nessuna seria politica nella città e nel territorio può avere successo. Esperienze di cessione gratuita di alloggi e di aree da destinare all’edilizia sociale negli interventi di trasformazione urbana, sono gia una pratica di alcuni Comuni.

Sembra essersi persa la speranza che tutti i cittadini di questo Paese, indipendentemente dalla razza e dal reddito, possano godere di una condizione abitativa "normale", senza l'incubo di uno sfratto, senza il sovraffollamento degli studenti e degli immigrati, senza paura. Paura di non riuscire a pagare l'affitto o il mutuo perchè troppo alti rispetto al reddito, paura di essere aggrediti dentro e fuori la propria abitazione (le banlieue francesi non sono poi così lontane).

Forse alla radice dell'incapacità di risolvere il problema c'è la mancata convinzione che la casa è un diritto fondamentale di tutti.

Nessuno (o quasi) metterebbe in discussione che la sanità l'istruzione la previdenza siano diritti che vanno assicurati indipendentemente dalla capacità reddituale. Garantirli a tutti è segno di civiltà di un Paese, dà la misura del buon amministrare la politica e la cosa pubblica.

Questo vale anche per la casa, di cui l’edilizia sociale è l’anello debole che per rientrare in un possibile circuito deve essere inserita fra gli standard urbanistici.

E' a partire da questo presupposto che va impostata una nuova politica abitativa.

E' una filosofia solo apparentemente ovvia, ma in realtà coraggiosa perché propone il superamento delle politiche assistenziali, dei rimedi all'emergenza, della estemporaneità e frammentazione degli interventi.

E' in sostanza il considerare le politiche abitativenon più residuali, maparte delle politiche urbane, dei processi di trasformazione che non ghettizzino per fasce di reddito gli utenti della città ma attraverso l'integrazione di ceti sociali, culture, funzioni, costruiscano una città moderna e solidale.

PROGETTO PER L’ABITAZIONE E L‘ABITARE

L’impegno del nuovo governo sarà finalizzato a migliorare la condizione abitativa e dell’abitare nelle nuove condizioni della città, che non è più soltanto la città concentrata ma anche la città territorio, o, come viene chiamata, l’arcipelago metropolitano.

La nuova condizione urbana non ha, tuttavia, modificato la questione dell’abitazione per una frazione non modesta della popolazione, che al contrario è stata aggravata dalle politiche liberiste, dalla vendita del patrimonio pubblico e dai nuovi stili di vita e di lavoro. Alle tradizionali problematiche delle famiglie a basso reddito, sia sono infatti sommate quelle relative agli immigrati, la crescita della popolazione anziana, la crescita degli studenti fuori sedi e le forme di lavoro precario che richiedono, molto spesso, il trasferimento temporaneo in città diverse da quelle di residenza. Per altro la “fuga” dalla città di molte famiglie, che ha determinato la urbanizzazione diffusa, nella maggior parte dettata dall’insostenibile costo economico della città se ha, forse, permesso di realizzare condizioni migliori per la casa, ha aggravato l’abitare (aumento della mobilità, carenza di servizi ecc.).

Si tratta di attivare una politica di riqualificazione bisognosa di notevoli risorse che non potranno non essere reperite che attraverso una politica fiscale progressiva, con specifico riferimento al settore immobiliare la cui attuale franchigia fiscale ha permesso la creazione di cospicui patrimoni fonte di spericolate e oscure manovre economiche e politiche.

Per affrontare questa situazione appare indispensabile un programma che utilizzi una ricca tastiera di strumenti e che si basi su interventi di emergenza, temporanei e strutturali del sistema di costruzione e di gestione delle trasformazioni urbane e territoriali.

Emergenza: si intende far riferimento a interventi immediati in grado di affrontare le condizioni più critiche. Tra questi si indicano:

- sostegno alle famiglie più bisognose per le quali l’affitto pesa sul reddito familiare in modo insopportabile e alle quali non si è in grado di offrire un alloggio pubblico;

- contributo ai soggetti economicamente deboli, per il pagamento delle utenze in particolare di riscaldamento,

- disponibilità immediata di fondi destinati ad alloggi per far fronte agli fratti esecutivi;

- politiche finalizzate a realizzare il diritto alla casa per gli immigrati. Si tratta di una questione dai molteplici aspetti; civile, sociale, sicurezza, ecc. Questi interventi potranno essere attivati anche nella forma dell’autoprogettazione e autocostruzione;

- recupero dell'evasione fiscale derivante dalla mancata registrazione dei contratti locativi (16% dei casi, 550 milioni di euro) che con il recupero dell'ICI conseguente alla gestione integrata delle funzioni catastali con ordinarie funzioni comunali (proposta ANCI) porterebbe ad un miliardo di euro da destinare alla casa; divieto di esecuzione degli sfratti in assenza di registrazione del contratto

Temporanei: intendendo provvedimenti limitati nel tempo, programmati e in grado di produrre effetti di lungo periodo.

- politiche finalizzate alla realizzazione di residente studentesche, la cui presenza in molte città è elemento di forte distorsione del mercato, fonte di speculazione e di rarefazione dell’offerta di locazione stabile;

- politiche per la realizzazione di residenze per anziani, sia nella forma autonoma sia in quella di case di assistenza (in collegamento con le politiche di WS); che possono dar luogo ad aumenti dell’offerta abitativa e che possono permettere l’acquisizione al patrimonio pubblico di una quota di questo patrimonio nella forma del “vitalizio di assistenza”;

- Interventi di risanamento dei complessi di edilizia residenziale pubblica, attraverso ristrutturazioni urbanistiche, edilizie e di manutenzione permanente e programmata;

- un programma pluriennale di investimenti pubblici per l’edilizia sociale che preveda risorse economiche certe e programmate con la partecipazione finanziaria di Stato, Regioni e Comuni;

- programma pluriennale, con la partecipazione finanziaria di Stato, Regioni e Comuni, per la riqualificazione urbanistica e la dotazione di servizi generali e per la mobilità, delle periferie e dei territori di urbanizzazione diffusa, attraverso progetti integrati non solo nei soggetti ma negli oggetti e negli ambiti in cui ricadono le opere necessarie, conseguenti alla trasformazione.

Strutturali: intesi come provvedimenti stabili e permanenti in grado di evitare, per quanto possibile, l’insorgere di emergenze:

- ogni trasformazione territoriale e ogni ristrutturazione urbanistica dovrà comprendere, gli standard urbanistici fissati in misura minima a livello nazionale e incrementabili da Regioni e Comuni, sulla base delle esigenze locali, fino al 100%. Agli standard tradizionali sarà aggiunto lo standard di “edilizia sociale” commisurato al 20 % del volume edificato/edificabile (sia di residenza che di altre funzioni); nelle trasformazioni urbane sarà fissata la quota di aree da cedere gratuitamente al comune per l’edilizia sociale

- detassazione dei trasferimenti immobiliari nei comparti, estensibile ad altre situazioni (miglior utilizzo del patrimonio edilizio esistente, necessità di vendita determinate dalla mobilità del posto di lavoro, condizioni di rischio ambientale, acquisto della prima casa)

- agevolazioni fiscali concesse per il risanamento di edifici, risparmio energetico, architettura ecocompatibile, per la costruzione di alloggi in affitto a canone sociale e concordato (L. 431), l’edilizia pubblica e per la costruzione di alloggi a riscatto che favoriscono le giovani coppie sottraendole, in un periodo di instabilità economica, all’impegno di un pesante indebitamento a lungo termine che può diventare insostenibile con l’aumento dei tassi di interesse dei mutui

Un impegno europeo dell’Italia affinché la casa sia inserita fra i diritti fondamentali della Carta di Nizza e siano rafforzati i fondi strutturali per la casa e la città.

L’insieme di questi interventi costituirà un unico provvedimento legislativo e di governo collegato eventualmente con provvedimenti relativi al WS. Tale provvedimento, inoltre, deve affermare il principio costituzionale che nessun comportamento illecito in ambito urbanistico ed edilizio sia sanabile attraverso una qualsiasi forma di condono.

Adeguata agli indirizzi sottesi a tale provvedimento dovrà essere la “legge di indirizzo” sul governo del territorio.

Hanno aderito

Luisa De Biasio Calimani(coordinamento), Walter Tocci, Francesco Indovina, Patrizia Colletta Anna Pozzo, Mara Rumiz, Vanni Bulgarelli, Marino Folin, Giulio Tamburini, Vezio De Lucia, Piergiorgio Bellagamba, Vittorio Dal Piaz, Bernardo Rossi Doria, Edoardo Salzano, Marco Mion, Teresa Cannarozzo, Antonio Draghi, Tommaso Giura Longo, Beniamino Tenuta, Sergio Lironi, Cecilia Scoppetta, Camillo Pluti, Manlio Marchetta, Federico Oliva, Laura Fregolent, Gianni Fabbri, Gabriele Righetto, Umberto Cao, Braioni Annamaria, , Giuseppe Soriero, Loredana Mozzilli, Paolo Berdini, Camillo Bianchi, Paolo Urbani, Domenico Santoro, Paolo Ceccarelli, Fernando Maglietta, Adriano Cornoldi, Mariolina Toniolo Trivellato, Stefano Stanghellini, Renato Nicolini, Franco Purini, Alessandro Bianchi, Massimiliano Fuksas

INDICE

Nota introduttiva

Scheda 1 – Una strategia europea per l’ambiente

Scheda 2 – Fiscalità ecologica

Scheda 3 – Protocollo di Kyoto e efficienza energetica

Scheda 4 – Nuova governance ambientale

Scheda 5 – L’innovazione ecologica dell’industria

Scheda 6 – Pianificazione urbanistica sostenibile e governo integrato del territorio

Scheda 7 – Riassetto idrogeologico

Scheda 8 – Mobilità ecoefficiente

Scheda 9 – Valorizzazione del patrimonio naturale

Scheda 10 – Gestione dei rifiuti

Scheda 11 – Gestione dell’acqua

Scheda 12 – Salute e sicurezza nel lavoro

Scheda 13 – Una intesa di sostenibilità per il bacino del Po

Nota introduttiva

Per la redazione di alcune schede ci siamo avvalsi, in particolare, delle elaborazioni congressuali di Sinistra Ecologista.

L’insieme delle schede non esaurisce, ovviamente, il tema della modernizzazione ecologica della nostra economia. E’ solo un primo e provvisorio elenco delle priorità di un programma di governo che abbia al centro l’idea di uno sviluppo sostenibile.

Gli obiettivi, gli strumenti e le azioni indicate nelle schede convergono su un punto fondamentale: l’incremento della produttività delle risorse (umane, ambientali, organizzative) è il fattore decisivo di un’economia più dinamica e competitiva, capace di generare investimenti, lavoro e reddito.

Questo assunto è assai chiaro nei cruciali settori dell’energia e dei servizi a rete. Quando, ad esempio, parliamo di risparmio energetico, non intendiamo soltanto che bisogna usare meno energia, ma usarla in modo più efficiente – cioè produrre più lavoro, più beni e più ricchezza per ogni chilowattora consumato. In termini più generali, il risparmio – ovvero la riduzione degli sprechi e delle rendite – non è tanto una questione di moralità e di etica, quanto una condizione indispensabile per rilanciare la crescita e innalzare il livello del benessere collettivo in un contesto che non può fare a meno della dimensione europea: è questo il messaggio principale che si può evincere dalle schede. L’attuazione del Protocollo di Kyoto, in questa prospettiva, è per l’Italia non semplicemente un vincolo impegnativo, ma una opportunità di innovazione del sistema produttivo, associata alla valorizzazione del patrimonio culturale e naturale del Paese, delle sue città e dei suoi territori.

L’idea dello sviluppo sostenibile, infine, poggia su due gambe, a cui le schede rivolgono una significativa attenzione.

La prima è quella della fiscalità ecologica. La fiscalità è beninteso una, e quella ecologica non è aggiuntiva. La fiscalità è ecologica o meno in relazione alle tariffe dell’energia e dei trasporti pubblici, al prezzo dell’acqua, alle accise sui carburanti, al pricing dei parcheggi, al regime dell’Ici, e così via. In altre parole, non si tratta di introdurre qualche altro capitolo nel carico fiscale, ma di riarticolarlo incentivando gli investimenti nella qualità ambientale e nelle tecnologie pulite.

La seconda gamba è costituita da una coraggiosa riorganizzazione istituzionale che attribuisca alla mano pubblica una reale capacità di programmazione strategica (a partire dalla questione dell’energia), ponendo fine alla confusione di ruoli, interessi, linguaggi oggi esistente nelle diverse responsabilità di governo.

SCHEDA 6 - Pianificazione urbanistica sostenibile e governo integrato del territorio

Primo punto

Le nostre città sono un insieme straordinario di opportunità e di contraddizioni, in vario modo presenti nelle grandi concentrazioni metropolitane, come nei centri di piccole e medie dimensioni. I problemi che le attraversano hanno significativi punti comuni e impongono di realizzare finalmente una politica nazionale per le città e per i loro territori. L’enorme espansione degli insediamenti si è addensata nelle pianure e negli stretti corridoi costieri, è stata funestata dalla speculazione edilizia, dall’abusivismo, dall’uso irrazionale del territorio, dall’urbanizzazione forzata, che hanno prodotto quartieri privi di servizi e di vivibilità, situazioni di esposizione al rischio idrogeologico e industriale. Traffico e mobilità congestionata, inquinamento atmosferico e acustico, rendita immobiliare fuori controllo, aumento del costo delle abitazioni, disagio sociale sono tra i principali problemi che tante città condividono. La ristrutturazione industriale ha lasciato ampie aree disponibili, spesso contaminate, il cui risanamento e recupero possono diventare un’occasione per migliorare la qualità dell’ecosistema urbano e sostenere l’economia delle città. Lo stesso capitale fisico, costituito da ingenti patrimoni immobiliari pubblici e privati, può essere utilmente messo in gioco, per rigenerare investimenti e attività economiche, per rispondere alle urgenze di qualità sociale, per impedire un ulteriore scivolamento dell’economia verso la rendita e la speculazione fondiaria, per adeguare le infrastrutture ambientali urbane. La qualità sociale e ambientale dello sviluppo urbano, il rilancio della funzione propulsiva delle città nell’economia, nella cultura e nella coesione sociale del Paese, implicano la piena assunzione di strategie integrate per lo sviluppo sostenibile dei contesti urbani. Oltre il 70% della popolazione europea vive in città; sarà l’80% entro i prossimi 15 anni. Anche per l’Unione Europea assume quindi crescente importanza l’implementazione di politiche di sostenibilità attraverso azioni di Integrazione della dimensione ambientale nell’ambiente urbano, come indicato nella Decisione del 2001 del Parlamento e del Consiglio, relativa alla definizione di un quadro comunitario di cooperazione. La comunicazione: Verso una strategia tematica sull’ambiente urbano (COM 2004/60) e il lavoro successivo ancora in corso, preludono ad un prossimo provvedimento comunitario per il complessivo miglioramento dell’ambiente urbano. Nella comunicazione viene fatto esplicito riferimento ai problemi dello sviluppo insediativo, alle caratteristiche della pianificazione urbanistica e ai suoi obiettivi.

Secondo punto

La pianificazione urbanistica è quindi uno degli strumenti essenziali per realizzare obiettivi di qualità sociale e ambientale delle città, nel quadro di politiche e azioni di governo integrato del territorio, improntate a realizzare la sostenibilità dello sviluppo. L’uso del suolo ha conseguenze molteplici sugli ecosistemi e sulle scelte di sviluppo socio-economico locale ed è una componente strategica di ogni politica di sostenibilità, condiziona l’attività edilizia, uno dei principali settori industriali del Paese. Non è più proponibile una separazione tra attività tese prevalentemente alla trasformazione urbanistica e un’altra volta a contenere gli impatti delle attività antropiche e a ripararne i danni spesso evitabili, a proteggere beni collettivi, talvolta privi di una specifica tutela giuridica. L’assunzione del principio di sostenibilità e la sua attuazione pratica consente di superare la dicotomia tra tutela e trasformazione, che debbono concorrere insieme a produrre maggiore qualità urbana, sociale e ambientale. Le concezioni e le prassi, effettivamente in contrasto con la prospettiva di sviluppo sostenibile, sono quelle che determinano pianificazione incrementale e speculativa e la scelta degenerativa dei condoni, prassi seguita dai governi di centrodestra. La dispersione degli insediamenti residenziali e produttivi su vaste aree che superano i confini amministrativi dei comuni, la mobilità e la logistica delle merci, il mantenimento delle risorse naturali necessarie alla vita della città, impongono di collegare, anche sul piano normativo, la trasformazione urbanistica al governo integrato del territorio, che non coincide con la sola attività di pianificazione territoriale o urbanistica. Gli strumenti di piano sono tuttavia la condizione per stabilire obiettivi, opportunità, regole sull’uso del suolo, per questo devono essere definiti in modo partecipato coi cittadini. La connessione tra pianificazione urbanistica e ambientale, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, si struttura con l’adozione di politiche maturate in percorsi partecipati autentici e con l’integrazione tra le norme nazionali e regionali, generali e di settore, innovando profondamente metodi e contenuti dell’intervento statale.

Terzo punto

Gli obiettivi proposti dal 5° Aalborg commitment, Pianificazione e progettazione urbana, costituiscono un importante punto di riferimento programmatico:

- rivitalizzare e riqualificare aree abbandonate o svantaggiate;

- prevenire una espansione urbana incontrollata, ottenendo densità urbane appropriate e dando precedenza alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente;

- assicurare una miscela di destinazioni d’uso, con un buon equilibrio di uffici, abitazioni e servizi, dando priorità all’uso residenziale nei centri città;

- garantire una adeguata tutela, restauro e uso/riuso del nostro patrimonio culturale;

- applicare i principi per una progettazione e una costruzione sostenibili, promovendo progetti architettonici e tecnologie edilizie di alta qualità;

Si tratta di impegni che implicano strumenti appropriati e coerenti. Il tentativo del governo di centrodestra di rendere per legge più flessibili e discrezionali le regole, verso una urbanistica contrattata e quasi privatizzata, funestata dai condoni, nasconde il vero nodo: la finalizzazione delle regole. Le regole da sole non producono alta o scarsa qualità urbana. Accanto alle regole servono chiari principi, indirizzi politici e una governance all’altezza della sfida dello sviluppo sostenibile.

E’ inoltre necessario mettere mano, finalizzandoli alle strategie di governo integrato del territorio, alla fiscalità locale e statale e agli oneri parafiscali, connessi agli immobili, alla trasformazione urbanistica e ai servizi ambientali. In particolare il regime dell’ICI e degli oneri di urbanizzazione deve essere riformato e integrato con misure e articolazioni che favoriscano permanentemente il riuso del territorio, la ristrutturazione dell’esistente e penalizzino l’abusivismo, anche per via fiscale, assicurando entrate distribuite equamente sul territorio, anche tra più comuni, spezzando il legame meccanico tra profitti e rendite immobiliari ed entrate ordinarie dei comuni, che può indurre a favorire l’espansione speculativa degli insediamenti.

L’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione implica l’approvazione di una nuova normativa quadro nazionale a sostegno della legislazione regionale più avanzata e delle innovazioni prodotte da città e province nell’azione pianificatoria. La legge quadro deve tra l’altro affrontare:

- le relazioni tra governo del territorio e trasformazioni urbanistiche;

- l’integrazione formale delle norme nazionali di settore e delle funzioni dello Stato, regolandole in relazione alle nuove prerogative costituzionali delle Regioni;

- la riforma del regime dei suoli, con riferimento alla regolazione dei diritti di trasformazione e dei beni collettivi e dell’esproprio;

- il fondamento giuridico dei meccanismi negoziali introdotti nelle norme regionali e di piano locale (perequazione, compensazione), finalizzandoli anche al perseguimento della qualità sociale e ambientale dell’insediamento;

- il regime fiscale e parafiscale locale e statale degli immobili.

Una politica nazionale per le città e la pianificazione sostenibile, inserita in strategie di governo integrato del territorio deve inoltre sostenere:

- le norme regionali volte all’integrazione tra pianificazione urbanistica, territoriale e ambientale, favorendo il superamento della frammentazione tra competenze, soggetti e procedure;

- l’adozione, negli strumenti regionali e provinciali, di ambiti di pianificazione di area vasta, sovracomunale o infraregionale, necessari alla verifica degli effetti delle previsioni insediative e infrastrutturali, dei singoli comuni, favorendo la cooperazione e la co-pianificazione;

- una diversa regolazione delle ricadute sul territorio dei programmi e degli interventi dello Stato e delle Regioni;

- l’applicazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale e sociale dei piani e dei programmi e la valutazione di impatto ambientale dei singoli progetti ove prevista, adottando il metodo del bilancio ambientale dell’intervento, anche finalizzato a incentivare la qualità edilizia, energetica e tipologica degli interventi;

- la qualità sociale dello sviluppo urbano, indicando strumenti idonei a integrare, nei piani urbanistici, le previsioni relative alla dotazione e all’organizzazione dei servizi, finalizzate alla coesione sociale e all’inclusione;

- la predisposizione, come strumento di piano, della carta delle vocazioni storico-ambientali e del paesaggio, a integrazione dalla specifica strumentazione di tutela, ove presente, e a promozione della qualità del progetto di trasformazione anche sul piano delle identità territoriali e della valorizzazione socio-economica del patrimonio storico-ambientale;

- l’architettura contemporanea di qualità, il recupero e l’accessibilità dello spazio pubblico urbano;

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