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Premessa

Al Forum sociale europeo di Malmö, negli incontri organizzati dal gruppo italiano insieme ad associazioni e gruppi francesi, svedesi, ungheresi e turchi, si è parlato di città. La discussione ha visto la partecipazione di persone anche di altri paesi e ha attraversato il forum dei movimenti di lotta urbana e il forum sociale conclusivo. Non vi è stata solo la presentazione di situazioni di disagio e di esperienze di lotta per una città migliore: è stata anche l’occasione per lanciare una serie di iniziative unitarie che mettano in rete le diverse realtà.

Diritto alla città” e “città come bene comune” sono le due parole d’ordine che sintetizzano gli obiettivi cui finalizzare l’impegno comune. “Zero sfratti” degli abitanti dalle case, dagli spazi pubblici, dai quartieri e dalla città, difesa del ruolo del lavoro e dei suoi diritti, contrasto alle iniziative di privatizzazione degli spazi e dei beni pubblici sono gi impegni di lotta più immediati. Ma è stato considerato altrettanto indispensabile aiutare i movimenti a dirigere la loro attenzione dal locale al nazionale e al globale, dal settoriale al generale: la strategia del neoliberalismo è unitaria e si colloca a differenti scale, bisogna perciò saper costruire una strategia alternativa e utilizzare tutti i livelli in cui si colloca quella che si vuole combattere.

Uno strumento decisivo è stato considerato la messa in comune delle risorse, per sostenere le lotte e per far convergere gli sforzi di elaborazione necessari per dare uno sbocco positivo ai movimenti per una città giusta e solidale. Un manifesto/appello chiede l’adesione a questo progetto comune di tutte le associazioni, strutture, gruppi, esperti e singoli cittadini che ne condividano le finalità e che siano disposti a condividerne gli impegni.

Ne riportiamo di seguito il testo, già condiviso da eddyburg.it, la rete delle Camere del lavoro della Cgil (Bologna, Ferrara, Modna, Reggio Emilia, Venezia, Vicenza), l'associazione Lavoro in cammino, l'International Alliance of Inhabitants (IAI), Initiatives Pour un Autre Monde (IPAM) e Association Internationale de Techniciens, Expert set Chercheurs (AITEC).

Il documento, tradotto in varie lingue, è inviato a tutte le associazioni, gruppi e individui che hanno partecipato - al Forum Sociale - alle iniziative sulla città. Sarà possibile seguire lo svolgimento delle attività inerenti la costituzione di questo nuovo Forum per il diritto alla città sulla pagina dell’'ESF

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IL DOCUMENTO CONCLUSIVO

Verso un forum permanente per il diritto alla città

1. La città nel neoliberalismo

1.1 – L’analisi conferma che in ogni parte d’Europa (dall’Est al Centro e all’Ovest, dal Nord al Sud) il neoliberalismo sta producendo ovunque gli stessi effetti sulla città e sulla condizione urbana. La segregazione, la gentrificazione, la distruzione dei patrimoni comuni e dei quartieri popolari, la privatizzazione degli spazi pubblici, lo sfruttamento economico dei beni culturali crescono di giorno in giorno. Le conquiste del welfare state nelle città è messo in discussione: è il caso del diritto alla casa, della gratuità dei servizi pubblici per l’infanzia e per salute e così via. La condizione delle fasce più deboli è sempre peggiore.

1.2 – Il lavoro è parcellizzato, precarizzato, sradicato. I diritti conquistati in due secoli di lotte operaie sono negati, i salari decrescono: si gioca la concorrenza della mano d’opera dell’Est e del Sud del mondo per ridurre i salari, ma i prezzi delle merci sono ovunque quelli del mondo dei ricchi. Il lavoro diventa sempre più una variabile totalmente subordinata alla produzione di ricchezza per i più ricchi.

1.3 – Per il neoliberalismo la città è una merce, i cittadini sono dei clienti. I diritti politici si affievoliscono, la partecipazione è sostituita dalla propaganda dall’alto. Il diritto di critica è minacciato quanto l’accesso all’informazione. Il destino della città è deciso dai centri di potere della globalizzazione economica. Lo spazio urbano è disseminato da infrastrutture dell’economia globale: sedi delle grandi imprese, complessi alberghieri, centri congressi, banche internazionali; questi feudi dell’economia-mondo formano una città nella città, autonoma e dominatrice.

2. Qualche principio

2.1 – S’impone una visione olistica dei problemi. Il neoliberalismo impone la sua strategia configurando l’insieme della società e della città. Le differenti questioni della condizione urbana (espulsione, segregazione, gentrificazione, privatizzazione ecc.) sono i differenti aspetti d’una medesima strategia. Il campo di riflessione e azione che voglia affrancare la città dal destino che il neoliberalismo gli prepara deve essere la città nel suo insieme.

2.2 – La città non è una merce: la città è un bene comune. La città che vogliamo si fa carico delle esigenze e dei bisogni di tutti gli abitanti, a partire dai più deboli. Dobbiamo poter assicurare a tutti un alloggio ad un prezzo commisurato al loro reddito. Dobbiamo poter garantire a tutti l’accessibilità confortevole ai luoghi di lavoro e ai servizi comuni. Questi sono aperti a tutti gli abitanti quale che sia il loro reddito, l’etnia, la cultura, l’età, la condizione sociale, la religione, l’appartenenza politica.

2.3 – La politica cittadina è responsabilità dei cittadini. La città che vogliamo è il luogo d’una vera democrazia, non solo rappresentativa ma anche associativa. È attorno al potere municipale che s’intessono le reti delle persone e delle associazioni che formano la trama socio-spaziale della città. L’urbanistica e la pianificazione assumono il ruolo principale. Hanno come compito di produrre la città: lo spazio nel quale i cittadini s’identificano e il sistema di distribuzione dei vantaggi a quelli che ne hanno il più evidente bisogno. Quelli che provengono dai quartieri più sfavoriti sono quelli che hanno il diritto all’attrezzatura migliore, agli spazi pubblici più largamente dimensionati, allo sforzo più intenso per il miglioramento degli alloggi. La città deve essere pensata e organizzata per il bene del maggior numero degli abitanti, controcorrente rispetto alla logica urbana che ci viene presentata come naturale: quella dell’accaparramento della città da parte dei più abbienti o dei più intraprendenti.

2.4 – Nella città le esigenze dell’urbanità e quelle del lavoro trovano un terreno di sintesi. La città deve essere il luogo dove si sperimentano e si praticano le possibilità d’una economia alternativa a quella del neoliberalismo,un’economia che abbandoni lo spreco delle risorse, che sappia distinguere tra i consumi necessari al benessere delle persone e quelli imposti dalla produzione, che sappia promuovere l’uso dei prodotti del territorio, che valorizzi le applicazioni del lavoro alle funzioni necessarie allo sviluppo della personalità, all’accrescimento della capacità di comprendere, di partecipare, di godere.

3. Che fare

3.1 - In tutte le città d’Europa agiscono movimenti che lottano contro l’espulsione degli abitanti dalle case e dai quartieri dove vivono, contro la privatizzazione degli spazi e dei servizi pubblici e per il loro accrescimento, contro la distruzione e la commercializzazione del patrimonio urbano. È un punto di partenza: bisogna collegare tra loro questi movimenti, aiutarli a prendere coscienza dello spessore delle questioni e dei legami con tutti gli altri aspetti della strategia neoliberale, nonché di condividere obiettivi e strumenti.

3.2 – Finalità delle azioni concrete alla quale le nostre associazioni s’impegnano e a cui chiediamo alle altre associazioni, strutture, gruppi, esperti e singoli cittadini di associarsi è quella di combattere, nell’immediato, l’espulsione degli abitanti dagli alloggi, dagli spazi pubblici, dai quartieri centrali, dal lavoro, e di conquistare per tutti gli abitanti il diritto di cittadini.

3.3 – Ma al tempo stesso ci proponiamo di lavorare per svelare le connessioni tra le parti e il tutto. La nostra attenzione deve andare dal locale al nazionale e al globale, dal settoriale al generale. La strategia del neoliberalismo si colloca a differenti scale: bisogna perciò divenire capaci di utilizzare tutti i livelli in cui si colloca la strategia che si vuole combattere.

3.4 – Per iniziare, ci impegniamo (e chiamiamo gli altri a farlo):

- a presentare le reti e le organizzazioni esistenti che condividono i nostri obiettivi, stabilendo legami tra loro

- a indicare le risorse che ogni organizzazione può condividere con le altre o può mettere a loro disposizione;

- a sottolineare le azioni locali o nazionali che hanno bisogno di un aiuto internazionale;

- a presentare le diverse forme di azione che possono essere efficaci;

- a organizzare iniziative di rilievo europeo.

4. Come fare

4.0 – Tre direzioni di lavoro possono essere perseguite in parallelo: l’importante è decider chi si fa carico di ciascuna di esse e chi collabora.

4.1 – Costituire un coordinamento efficace per un lavoro che possa continuare nel tempo; abbiamo deciso in proposito di:

- costituire subito un forum permanente, utilizzando il sito web ESF e connettervi tutte le risorse informatiche disponibili; una mailing list, da realizzare nell’immediato, sarà aggiornata sistematicamente;

- organizzare, nel giro di sei mesi, un laboratorio che abbia come obiettivo di fare un bilancio delle attività messe in comune e di definire una strategia più globale (progettare e realizzare la città quale la vogliamo).

4.2 – Ampliare il numero delle persone, delle associazioni, dei gruppi che condividono i nostri obiettivi. Ci impegniamo, a questo proposito, ad organizzare in tutte le città d’Europa in cui sarà possibile farlo una settimana di dibattiti sui nostri temi, in accordo e collegamento con le iniziative già lanciate dalla International Alliance of Inhabitants, con No Vox International e con Habitat International Coalition. Proponiamo anche che il 24, 25 e 26 novembre, giorni dell’incontro informale dei ministri europei per la casa e la città a Marsiglia, sia un giorno di mobilitazione in ogni paese.

4.3 – Organizzare la presenza dei nostri temi, analisi, denunce, iniziative sulla stampa internazionale e negli eventi internazionali.

Malmoe, 20 settembre 2008

CONCLUSIONS

Towards a forum for the right to the city

1. The city in the midst of neoliberalism

1.1 – Analysis confirms that in Europe (from Eastern to Central and in the West, from North to South), neoliberalism is having the same effects on cities and living conditions everywhere. Segregation, gentrification, destruction of common heritage sites and popular quarters, privatization of public land, and economical exploitation of cultural heritage are on the rise daily. The victories of the Welfare State in the city are back in doubt: for example, the right to housing and to free public health and childcare services. The situation of low-income households is getting worse.

1.2 – Work is fragmented, precarious and scarce. Rights won thanks to two centuries’ worth of militating laborers are denied, salaries are going down: laborers in the East and South are being played off against each other while prices are set by the wealthy. Work is becoming more and more of a variable completely subordinate to the production of riches for the richest.

1.3 – For neoliberalism, cities are merchandise; their citizens-users, consumers. Political rights are losing their strength; propaganda from high up has replaced participation. The right to free speech is threatened, as is access to information. The fate of a city is determined by the strength of economical globalization. Urban areas are scattered with implants of global economy: home offices of major companies, hotels, congress centres, international banks; these holdings of the world economy make an autonomous and dominant “city within a city”.

2. A few principles

2.1 An holistic view is essential. Neoliberalism is forcing itself on all of society and the city. The various issues of the urban condition (evictions, segregation, gentrification, privatization, etc.) are different facets of the same strategy. The whole of the city must be involved if it is to escape the fate that neoliberalism seeks to impose upon it.

2.2 – A city is not a consumable good: a city is common property. The city we want takes into consideration the needs and demands of all its citizens, starting with the weakest. We must be able to offer housing at an affordable rent for every income. We must be able to guarantee everyone comfortable access to workplaces and public services. These should be available to every inhabitant, regardless of income, origin, culture, age, social class, religion, or political leanings.

2.3 – The policy of a city is the responsibility of its inhabitants. The city, as we envision it, is a place of true democracy, not only representative but associative. The networks of people and of associations that make up the socio-spatial web of the city must be built around the municipal power. Urban development comes first. It must create the city: a space the citizens can identify with, as well as a sytem of distribution of advantages to those most in need. The residents of disadvantaged neighbourhoods are those who have the most right to the most advanced equipment, the largest public areas, and the greatest effort to improve housing conditions. The city must be conceptualized and thought out with the good of the majority in mind, as opposed to the present urban logic: that by which the city is seized by the wealthiest and most resourceful.

2.4 – In the city, the demands of urban living and work find common ground. The city should be the place where an alternative to neoliberalism can be tested and practiced: an economy which doesn’t waste resources, which can distinguish necessary goods from those imposed by producers, which promotes local produce, which values those applications of work necessary to personal growth, and to increasing the ability to understand, participate, and enjoy.

3. What must be done?

3.1 In all European cities movements are fighting against eviction of inhabitants from their homes and neighborhood against privatization of land and public services and for their further development, as well as against the destruction and commercialization of urban heritage sites. That is the starting point: these organizations should be united and share goals and means, as well as be aware of the difficulty of the issues and links with all facets of the neoliberalstrategy.

3.2 The goal of all concrete actions of our associations is to resist eviction from homes, public spaces, central neighbourhoods, and work, and to win citizens’ rights for all inhabitants.

3.3 However, at the same time, we wish to work to reveal the links between the parts and the whole. Our attention is fixed on the local to the national and the global, from the sectorial to the general. The neoliberal strategy operates on different scales: it is therefore imperative to be able to combat it on all scales.

3.4 To begin with, we plan to (and we invite all others to join in that goal):

- introduce the organizations and networks that share our aims, to each other, to facilitate cooperation and participation between them;

- indicate the resources each can share with the others and make these resources available to all;

- highlight the local or national actions that would be in need of international assistance;

- present different forms of action which could be effective;

- organize pan-European initiatives.

4. How to do it?

4.0 - Three directions can be taken at once: the important thing is to decide who should head each and who should collaborate.

4.1 – Begin an effective effort that can continue indefinitely:

- a permanent forum on the ESF site which will list all available computer resources; a mailing list, to be assembled immediately, will be updated systematically;

- in 6 months, a workshop will take place to evaluate common activities and to decide on a global strategy (conceptualize and create cities as we imagine them).

4.2 – Increase the number of people, associatons, and groups that share our aims. We take it upon ourselves, in that regard, to organize in all European cities where it will prove possible, a week of debates on our themes, in accord and communication with all initatives already started by the IAI, with No Vox International and with HIC. We suggest as well that the 24, 25 or 26 of November be a day of mobilization in every country (these are the days of the informal meeting between the European ministers of housing in Marseilles.

4.4 – Arrange the mention of our themes, analyses, claims, and ventures in the international press and at international events.

Malmoe, September 20th 2008

DOCUMENT CONCLUSIF

Vers un forum pour le droit à la ville

1. La ville dans le néoliberalisme

1.1 - L’analyse confirme qu’en Europe (de l’Est au Centre et à l’Ouest, du Nord au Sud), le néoliberalisme est en train de produire partout les mêmes effets sur la ville et sur les conditions d’habitat. La ségregation, la gentrification, la destruction des patrimoines communs et des quartiers populaires, la privatisation des espaces publics, l’exploitation économique de l’héritage s’accroissent de jour en jour. Les conquêtes de l’Etat providence dans la ville sont mises en doute: c’est le cas du droit au logement, de la gratuité des services publics de la petite enfance et de santé par exemple. La situation des ménages aux plus faibles revenus empire.

1.3 – Le travail est parcellisé, précarisé, déraciné. Les droits conquis au cours des deux siècles de luttes ouvrières sont niés, les salaires baissent: on joue la concurrence de la main d’oeuvre de l’Est et du Sud du monde tandis que les prix des marchandises sont fixés par les riches. Le travail est en train de devenir – et ce, de plus en plus - une variable totalement subordonnée à la production de richesse pour les plus riches.

1.2 - Pour le néoliberalisme, la ville est une marchandise, les citoyens-usagers sont devenus des clients-consommateurs. Les droits politiques s’affaiblissent ; à la place de la participation, c’est la propagande par le haut. Le droit de critique est menacé autant que l’accès à l’information. Le destin de la ville est décidé par le pouvoir de la globalisation économique. L’espace urbain est parsemé d’implantations de l’économie mondiale: sièges de grandes entreprises, complexes hôteliers, centres de congrès, banques internationales; ces fiefs de l’économie-monde forment une ville-dans-la-ville, autonome et dominatrice.

2. Quelques principes

2.1 Une vision holistique des problèmes s’impose. Le néoliberalisme impose sa stratégie à l’ensemble de la société et de la ville. Les différentes questions de la condition urbaine (expulsion, ségrégation, gentrification, privatisation etc.) sont les différents aspects d’une même stratégie. Le champ de réflexion et d’action d’une stratégie voulant affranchir la ville du destin que le néoliberalisme lui prépare doit être l’ensemble de la ville.

2.2 La ville n’est pas une marchandise: la ville est un bien commun. La ville que nous voulons part des exigences et des besoins de tous les habitants, à partir des plus faibles. Nous devons pouvoir assurer à tous un logement à un loyer à la mesure de son revenu. Nous devons pouvoir garantir à tous une accessibilité confortable aux lieux du travail et aux services communs. Ceux-ci sont ouverts à tous les habitants, quels que soient leur revenu, leur origine, leur culture, leur âge, leur condition sociale, leur religion, leur appartenence politique.

2.3 – La politique de la ville relève de la responsabilité des citoyens. La ville, telle que nous la voulons, est le lieu d’une réelle démocratie non seulement représentative mais aussi associative. C’est autour du pouvoir municipal que doivent se tisser les réseaux de personnes et d’associations qui forment la trame socio-spatiale de la cité. L’urbanisme et l’aménagement prennent la première place. Ils sont en charge de produire la ville: l’espace auquel s’identifient les citoyens en même temps que le système d’attribution d’avantages à ceux qui en ont le besoin le plus évident. Les ressortissants des quartiers les plus défavorisés sont ceux qui peuvent prétendre à l’équipement le plus perfectionné, aux espaces publics le plus largement dimensionnés, à l’effort le plus intense en matière d’amélioration des logements. La ville est à penser et à organiser pour le bien du plus grand nombre, à contre courant de la logique urbaine que l’on nous présente comme naturelle: celle de l’accaparement de la ville par les mieux nantis ou les plus débrouillards.

2.4 Dans la ville les exigences de l’urbanité et les exigences du travail trouvent un terrain d’entente. La ville doit être le lieu où l’on expérimente et où l’on pratique les possibilités d’une économie alternative à celle du néolibéralisme: une économie qui abandonne le gaspillage des ressources, qui sache distinguer entre les consommations nécessaires au bien-être des personnes et celles imposées par les producteurs, qui sache promouvoir l’usage des produits du marché local, qui valorise les applications du travail aux fonctions nécessaires à l’épanouissement des personnalités, à l’accroissement de la capacité de comprendre, de participer, de jouir.

3. Que faire ?

3.1 Dans toutes les villes d’Europe agissent des mouvements qui luttent contre l’expulsion des habitants du logement et du quartier où ils vivent, contre la privatisation des espaces et des services publics et pour leur développement, contre la destruction et la commercialisation du patrimoine urbain. C’est là un point de départ: il faut relier ces mouvements, prendre conscience de l’épaisseur des questions et des liaisons avec tous les autre aspects de la stratégie néolibérale, partager objectifs et outils.

3.2 Le but des actions concrètes que nos associations engagent, et auxquelles nous invitons d’autres associations, structures, groupes, experts et citoyens à se joindre, est celui de combattre, dans l’immédiat, les expulsions des logements, des espaces publics, des quartiers centraux, du travail, et de conquérir pour tous les habitants les droits de citoyens.

3.3 Mais en même temps nous nous proposons de travailler pour dévoiler les connections entre les parties et le tout. Notre attention doit aller du local au national et au global, du sectoriel au général. La stratégie du néoliberalisme se situe à différentes échelles: il faut donc se donner les moyes d’utiliser toutes les échelles où se situe la stratégie qu’on veut combattre.

3.4 Pour commencer, nous nous engageons (et nous appelons les autres à le faire):

- à présenter les réseaux et les organisations qui partagent nos objectifs, à faciliter le développement de liens entre eux;

- à indiquer les ressources que chaque organisation peut partager avec les autres et mettre à la disposition de tous;

- à souligner les actions locales ou nationales qui ont besoin d’une aide internationale;

- à presenter les différentes formes d’action qui peuvent être efficaces ;

- à organiser des initiatives d’envergure européenne.

4. Comment faire ?

4.0 – Trois directions de travail peuvent être poursuivies en parallèle: l’important est de décider qui prend en charge chacune d’elles et qui y collabore.

4.1 – Mettre en place un travail efficace qui puisse continuer dans le temps: nous décidons de :

- constituer tout de suite un forum permanent qui utilise le site ESF et y inscrive toutes les ressources informatiques disponibles ; une mailing list, à réaliser dans l’immédiat, sera systématiquement mise à jour;

- organiser, dans six mois, un atelier qui ait pour but de faire le bilan des activités mises en commun et de définir une stratégie plus globale (projeter et réaliser la ville telle que nous la voulons).

4.2 – Elargir le nombre de personnes, d’associations, de groupes qui partagent nos objectifs. Nous nous engageons, à ce propos, à organiser, dans toutes les villes d’Europes où cela sera possible, une semaine de débats sur nos thèmes, en accord et en liaison avec les initiatives déjà lancées par l’Alliance internationale des habitants, avec No Vox International et avec HIC. Nous proposons également que les 24, 25 ou 26 novembre, jours de la rencontre informelle des ministres européens du logement et de la ville à Marseille, soit un jour de mobilisation dans chaque pays.

4.3 – Organiser la présence de nos thèmes, analyses, revendications, initiatives dans la presse internationale et dans les événements internationaux.

Malmoe, 20 septembre 2008

The following appeal was proposed during the Assembly of urban social movements at the European Social Forum, which was held on September 20th in Malmö (Sweden). It will discuss the mobilisation at the time of the summit of European housing ministers which will also be held in Marseille on the 24rd and 25th of November.The first meeting is open to everyone and will be held in Marseille on Tuesday September 30th at 19H00 at the Maison de l'Architecture, 12 boulevard Théodore Thurner, 13006 Marseille. Contacts: Benoit 06 42 70 49 46 and Marc 06 14 61 50 20

European Appeal

24rd and 25th November 2008, everyone together in Marseille:

Against a Europe of speculation, rent increases, privatisation of social housing and urban segregation.

For a Europe for the right to housing and the right to choose one's housing, for the right to a city, to a healthy environment, accessible and renewable energy, for a Europe of solidarity, that fights for housing. European housing and town planning ministers will meet in Marseille on Monday November 24th.

Since their meeting, rent, real estate and land prices have never been so high, yielding unequal private income and speculative profits. The crisis and insecurity touches everyone: tenants' rights are being seriously compromised, getting on the property ladder can only be achieved through serious indebtedness, the so-called urban “revitalisation” is chasing the working class, not only from the city centres, but also from the outskirts. Forced and swift expulsions are being multiplied, social housing is threatened by its financing and its privatisation, repression is battering the people who live in insecure housing.

The ministers are only worried about speculators' profits and banks threatened by the prospect of a real estate crash.

In Marseille, the ministers could not find a better example of the dramatic consequences of the “financialisation” of real estate, town planning and housing policies being pursued for 20 years and putting cities in competition, as desired by Europe, within its framework of the Lisbon strategy.

The city centre of Marseille, a very popular area, is therefore, the object of intense speculation, which is encouraged by local authorities. For example, hundreds of families are being evicted from rue de la République, and many buildings have been deprived of their liveliness to be put up for retail sale at 5,000 EUR/m2. The present owner of the property is a subsidiary of Lehman Brothers, in New York, which is now bankrupt as a result of the subprime crisis. Many houses will, inevitably, be empty for years, unless the local authorities decide to requisition them and convert them into social housing.

Europe has chosen Marseille as the European city of culture for 2013. This is bad news for housing; for each international cultural or sporting event triggers speculation and aggressions against people from working-class neighbourhoods.

To prevent an increasing part of the population from being thrown out into the streets, from facing uncertainty and indebtedness, to prevent the nurturing of urban segregation accompanied by intense violence now and in the future, we are demanding the full recognition of everyone's rights to housing by all levels of institutions, as well as an end to expulsions, the policies of “gentrification” of urban centres and the social cleansing of the working class districts. We are demanding the re-establishment or the maintenance of rent regulations policies and measures to protect tenants.

To finance a real right to housing for everyone, we are demanding a tax on real estate profits at the European level, a permanent action by the European Central Bank to counter the inflation of housing and rent prices, and budget increases.

To implement this, we are demanding that a real public housing service be implemented at the European level instead of the neo-liberal policies and injunctions of the European Commission.

Done at Malmö, during the European Social Forum by the No-vox, IAI, HIC international networks.

A sei anni di distanza dalla prima edizione il «rischio stanchezza» esiste. Lo sanno bene gli organizzatori del quinto Social Forum Europeo (Esf) che parte oggi a Malmo, nel sud della Svezia, intenzionati innanzitutto a recuperare lo spirito delle origini, a rilanciare le lotte sociali in un Vecchio continente in crisi economica e sempre più succube delle politiche sociali imperanti. Si inizia oggi nel tardo pomeriggio con l'inaugurazione ufficiale e si finisce domenica mattina con l'assemblea dei movimenti sociali. In mezzo ci sarà il corteo di sabato e oltre 250 seminari, workshop e assemblee, più di 400 appuntamenti culturali e un numero imprecisato di manifestazioni, e meeting informali, a cui parteciperanno non meno di 20mila persone. Sotto il titolo «Costruire un'altra Europa possibile» si discuteranno i temi più svariati, ma con l'obiettivo comune di «costruire una società più sostenibile, più democratica e più equa», di «cambiare l'Europa», senza limitarsi a «constatare semplicemente la situazione attuale». Un compito arduo, per raggiungere il quale il Comitato organizzatore nordico (Noc) si è impegnato a inserire nuove energie, e a coinvolgere soggetti e paesi rimasti finora marginali. Rispetto alle edizioni precedenti (il primo Forum si è svolto a Firenze nel 2002) avranno maggiore spazio proprio le organizzazioni della Scandinavia, i sindacati, le associazioni femministe e giovanili, i gruppi umanitari e ambientalisti, che metteranno sul tavolo dell'Esf la loro lunga tradizione di lotte sociali e di conquiste in termini di eguaglianza di genere, di ambiente e di stato sociale. Un patrimonio che adesso anche qui nel nord Europa subisce i contraccolpi della globalizzazione e delle sue politiche neoliberiste, ma che nelle intenzioni del Noc può servire ancora da stella polare per quanti credono in un'altra Europa possibile. E poi verranno coinvolte le organizzazioni provenienti dall'Est europeo, con il loro contributo di esperienze politiche «originali» rispetto al resto del continente, e più in generale si tenterà di dare voce ai giovani e alle donne, e ai protagonisti dell'attivismo di base. Per raggiungere gli obiettivi della vigilia le circa 800 organizzazioni arrivate nel sud della Svezia dovranno fare meglio che nelle passate edizioni. Soprattutto - come ha spiegato alla France Presse Susan George, del Transnational Institute - non bisogna commettere gli errori del passato, quando i delegati hanno speso «troppo tempo in spiegazioni, descrizioni e analisi delle diverse crisi», senza arrivare a nulla di concreto. Questa volta dal Forum ci si aspettano meno chiacchiere e più «iniziative, azioni e alleanze forti» con cui dare vita a «un'altra Europa». I buoni propositi rischiano tuttavia di naufragare nella massa di tematiche in agenda nei 5 giorni. Dall'elenco di proposte iniziali (circa 70) il Noc nel corso delle Assemblee europee preparatorie (Epa), tenute a Istanbul, Berlino, Malmo e Kiev, ha tirato fuori una piattaforma per temi, definitivamente sintetizzata in un documento di dieci punti. Dai diritti sociali, allo sviluppo sostenibile, dalla lotta contro le politiche della «sicurezza» a quella contro le discriminazioni, dal pacifismo ai diritti del lavoro, fino alle alternative economiche, alla cultura e all'immigrazione. Ma la vastità del programma e dei temi non spaventa i partecipanti di quello che resta il più grande luogo di incontro per i movimenti sociali e la società civile progressista del continente. Piuttosto il problema sarà quello di non fermarsi a Malmo, di ripartire da qui per ridare centralità ai movimenti, e ricreare il clima di inizio millennio, quando i temi del Social Forum riuscivano a influenzare l'agenda globale.Qui la cartella degli eventi cui partecipa eddyburg

LA REALTÀ

Divaricazione tra crescita economica e benessere sociale

La società in cui viviamo ha consegnato il proprio futuro a un sistema fondato sull’accumulazione illimitata. Non appena la crescita subisce un rallentamento o si arresta, dilaga il panico. La capacità di sostenere il lavoro e di pagare lo stato sociale presuppone il costante aumento del prodotto interno lordo (PIL).La crescita però porta benefici soprattutto ai ricchi, è insostenibile dal punto di vista ambientale e sociale e si accompagna a una progressiva perdita di relazioni umane.

Esaminiamo sinteticamente i fatti:

1. Le statistiche sulla distribuzione del PIL tra capitale e lavoro ci dicono che negli ultimi dieci anni (in Italia negli ultimi trenta) la quota di reddito nazionale che va al lavoro dipendente è costantemente diminuita in tutti i paesi occidentali ed anche in quelli emergenti (Cina e India) e di converso è aumentata la quota di reddito nazionale che va al capitale.

2. Il “peso” ambientale dei nostri modi di vita e la loro “impronta ecologica” risultano insostenibili sia dal punto di vista dell’equità nei diritti di sfruttamento della natura che della capacità di rigenerazione della biosfera. I processi di trasformazione dell’energia non sono reversibili (seconda legge della termodinamica).

3. Al trionfo dell’economia corrisponde la progressiva scomparsa della dimensione sociale. La crescita della ricchezza si accompagna ad una progressiva perdita di relazioni umane fondamentali: amicizie,affetti, legami disinteressati.

4. I caratteri del neoliberalismo generano instabilità nei rapporti internazionali tuttora dominati dalla spirale guerra/terrorismo e dallo scontro latente tra le diverse “locomotive dello sviluppo”. La moltiplicazione e la diffusione geografica dei conflitti armati negli ultimi venticinque anni costituisce la continuazione della politica neoliberista “con altri mezzi”.

Dunque appare evidente che crescita economica e benessere sociale si stanno divaricando.

Il capitalismo d’oggi

All’origine dei fenomeni succintamente descritti vi è la forma attuale assunta dal capitalismo. Un sistema economico sociale che ha innalzato sull’Olimpo una nuova divinità, sconosciuta sinora a tutte le religioni rivelate: il Dio Mercato che tutto mercifica.

Per una lunga fase in Europa il capitalismo, regolato e temperato dalla forza del movimento operaio e dalle sue espressioni sindacali e politiche, aveva prodotto un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia e dei ceti popolari. Compito del movimento sindacale e dei partiti della sinistra era quello di promuovere lo sviluppo perché solo attraverso una maggiore produzione di ricchezza si creavano le condizioni favorevoli per una migliore ripartizione della crescita.

La caduta del muro di Berlino arrivò come una conferma delle virtù superiori del capitalismo e aprì una nuova fase della sua storia: l’allargamento del mercato mondiale a tutti i paesi, il predominio della dimensione finanziaria su quella concreta, la riduzione del ruolo dello stato nazione e la creazione di un immenso, globalizzato, mercato del lavoro. Mezzo miliardo di lavoratori occidentali sono stati messi in concorrenza con un miliardo e mezzo di lavoratori orientali con la conseguenza che il lavoro si paga a prezzi sempre più bassi mentre le merci si pagano a prezzi dei paesi più “sviluppati”.

E così tutte le conquiste storiche del movimento dei lavoratori sono state velocemente messe in discussione. Esemplare la sconvolgente direttiva europea sull’allungamento degli orari di lavoro. Non solo, le politiche neoliberiste, nelle stesse società ricche, hanno generato nuove forme di povertà, marginalità ed esclusione sociale.

In sostanza, il welfare è stato, anche nell’Europa socialdemocratica, parzialmente smantellato e, soprattutto, è ripresa – dopo quasi mezzo secolo- una divaricazione/polarizzazione crescente tra le fasce di reddito medio alte e la maggioranza della popolazione.

Per dare una risposta al disagio sociale il Washington consensus continua a ripetere: bisogna rilanciare la crescita economica e reggere la competizione asiatica attraverso l’aumento della produttività del lavoro e il taglio della spesa sociale. La risposta dei principali governi europei si esprime attraverso la nota ideologia Sarkoberlusconiana: “se vuoi guadagnare di più devi lavorare di più”.

Entra in crisi il luogo di lavoro

come luogo delle relazioni

Storicamente il luogo di lavoro, e la fabbrica in particolare, ha rappresentato il luogo d’incontro, di solidarietà, di rapporti sindacali, d’interessi comuni, di amicizia. Oggi la fabbrica è cambiata.

Tutte le forme di relazioni sociali sono diventate più rade e più fragili. Le attività di gruppo che hanno sempre formato una parte intrinseca della socialità del lavoro risultano difficili. Si stenta persino a mettere insieme una squadra sportiva. La ragione principale non sta nel cambiamento degli stili di vita: la causa principale sta nei contratti di breve durata, nel precariato, nella dispersione del lavoro, nell’affidamento a imprese esterne, diverse dall’impresa che controlla la fabbrica, di segmenti sempre più ampi del processo produttivo interno.

Oggi può accadere che su cento lavoratori in attività entro una fabbrica, ma anche in un cantiere, in un dato giorno, appena un terzo o un quarto siano dipendenti fissi dell’impresa cui la fabbrica stessa fa capo. Gli altri sono lavoratori che oggi ci sono ma domani, o tra una settimana o un mese, non ci saranno più, o verranno sostituiti da qualche faccia nuova. Per alcuni sarà scaduto il contratto, quale che fosse, da interinale, da apprendista, da collaboratore o da contratto a tempo determinato. Ad altri, dipendenti da imprese terze, subentreranno in fabbrica i dipendenti da nuove imprese.

La fabbrica così da luogo canonico di permanenza e stabilità, si trasforma in luogo di frettoloso passaggio. E’ un cambiamento epocale.

Nella vecchia fabbrica fordista tutto si faceva in casa. Tutti dipendenti a tempo indeterminato. Chi entrava in queste fabbriche spesso ci rimaneva una vita ed era dunque interessato a lottare per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Si determinarono così le condizioni per lo sviluppo di una fortissima solidarietà di classe guidata da un’idea di uguaglianza.

Il postfordismo è il rovesciamento di questa impostazione. Conviene esportare fuori dalla fabbrica una serie di funzioni, si risparmia. È una corsa alla riduzione delle dimensioni produttive, la fabbrica snella tende a procurarsi all'esterno ciò che prima produceva all'interno.

La fabbrica si disperde sul territorio

Nasce così l'impresa a rete, il lavoro si disperde nel territorio. Prima le reti erano corte, distrettuali, oggi le reti diventano sempre più lunghe, tendono a stendersi ed articolarsi su scala planetaria, connettendo segmenti di produzione, saperi tecnologici e reti commerciali, dislocate magari in continenti diversi.

Il cambiamento è reso possibile dalla rivoluzione delle nuove tecnologie dell’I.C.T. che velocizzano le comunicazioni e dalla ricerca del capitale di luoghi di produzione a minor costo del lavoro.

Così la fabbrica postfordista esternalizza, il lavoro si disperde nel territorio. In molte regioni, come nel Nord Italia, nascono come i funghi i capannoni in mezzo alla campagna , dove il terreno costa meno.

La fabbrica just in time elimina il magazzino perché esso viaggia sulle nostre strade congestionate che a loro volta attirano attività commerciali, il tutto genera una mobilità multidirezionale delle merci e delle persone, quasi sempre su mezzi privati che congestiona il traffico e soffoca la nostra esistenza.

Una mutazione gigantesca, formata dalla somma di trasformazioni diffuse e capillari, ha investito negli ultimi decenni particolarmente il Nord Est d’Italia. Un diluvio di cemento che ha deturpato uno dei paesaggi più belli d'Europa. Si affermano nuovi modi di costruire. Le strade-mercato, una successione lineare di fabbriche ed edifici mostra che ha invaso ormai l’intera pianura padana. Più in generale, quello che un tempo era campagna è diventato un paesaggio reticolare della piccola impresa disseminato di case laboratorio. Nuovi monumenti suburbani crescono come funghi, sono i centri commerciali che sostituiscono le vecchie piazze cittadine.

Un modello di urbanizzazione costoso in termini di distruzione di suolo agricolo, di aumento di spese di energia e di tempo nonché insostenibile da un punto di vista ambientale e scarsamente competitivo rispetto ad altri modelli territoriali. Una dispersione insediativa per la quale gli americani coniarono il termine “ sprawl town”, letteralmente: città sdraiata sguaiatamente.

L’habitat dell’uomo

diventa una marmellata

In sostanza, l’ambiente della vita dell’uomo diventa una marmellata; è sempre più privo di forma e memoria dei luoghi, è vissuto come alienante soprattutto dalle nuove generazioni. Ecco una delle cause della crisi del luogo dell’abitare.

Dalle città stanno scomparendo i luoghi d’incontro, anche per effetto della prepotenza del traffico automobilistico. Le piazze sistematicamente trasformate in parcheggi ne sono una manifestazione esemplare. Sono state il gioiello e il simbolo delle città come bene comune, come “casa della società” secondo la bella definizione di Salzano. “Hanno costituito il luogo nel quale gli abitanti diventavano cittadini, s’incontravano, si scambiavano informazioni, condividevano sentimenti ed emozioni: erano un crogiuolo di diverse esperienze, condizioni, età, mestieri. Oggi sono distrutte dall’invasione delle automobili. Analogo destino hanno avuto le strade. I grandi viali erano caratterizzati da grandi marciapiedi(…)..Le strade strette tra le case a due tre piani, nei paesi e nei centri storici, erano i luoghi dove i vicini si sistemavano a crocchio sulle sedie, fuori dall’uscio di casa per conversare” (Salzano, 2007).

Tutto ciò tende a divenire luogo di parcheggio. Tra i molti primati negativi, l’Italia ha anche la più alta quota di automobili private e la più bassa per traffico assorbito dai mezzi pubblici. Non solo perché non s’investe nel trasporto pubblico ma anche perché continua a mancare una pianificazione urbanistica tesa a contenere la dispersione insediativa e a favorire un’organizzazione del territorio fondata sulla vicinanza delle residenze ai luoghi quotidianamente frequentati (scuole, servizi, luoghi di lavoro), sulla conseguente facilità degli spostamenti pedonali e ciclabili e sulla coincidenza dei nodi del trasporto collettivo.

Le città si allargano, si “sdraiano sguaiatamente sul territorio”, perché tanti cittadini vanno a vivere in luoghi nei quali gli i prezzi delle case siano meno elevati di quelli nella città. Tutto ciò ha effetti pesanti sul sistema territoriale e su quello sociale: una crescita esponenziale della mobilità privata, una spinta vera all’isolamento, una segregazione dei ceti cui gli alti costi impediscono di accedere alla vita in citta.

Come riconquistare i diritti

per la città e per il lavoro?

“La città può diventare di nuovo l’ambiente favorevole alla vita dell’uomo se saremo capaci di restituirle la sua natura originaria di casa della società: (…). La città nel suo insieme e le sue parti vitali devono quindi essere viste, sentite e organizzate come beni comuni. Beni quindi, e non merci: prodotti e servizi che valgono di per se, non in quanto possono essere scambiati con altri o con la moneta. Comuni quindi, e non individuali: elementi materiali e immateriali che solo temporaneamente e occasionalmente possono essere goduti o fruiti da uno dei membri della comunità, ma che appartengono alla comunità nel suo insieme.” (Salzano 2007).

Questi principi comportano la necessità di compiere determinate scelte. La principale è che le trasformazioni della città debbono avvenire secondo un piano, un disegno e un programma unitario rispondente agli interessi della collettività e non già - come oggi avviene correntemente in Italia – agli interessi della rendita immobiliare.

L’accesso alla casa per tutti – il diritto alla casa - e il diritto alla città per tutti è un grande tema, particolarmente in Italia: un tema controcorrente. Molte ordinanze dei “sindaci sceriffo” ci dicono invece che questi diritti oggi sono negati a chi per reddito o per etnia o per condizione sociale, per religione o per recente immigrazione è considerato pericoloso semplicemente perché diverso, e quindi emarginato e segregato in parti separate della città, nei nuovi ghetti. A questi corrispondono i “ghetti dei ricchi”: villaggi recitanti e video sorvegliati dove le famiglie benestanti si rinchiudono, segregandosi dalla paura di dover condividere i propri privilegi con gli abitanti delle aree vicine.

I costruttori della “fabbrica della paura” chiedono braccia per accudire i nostri vecchi e per i lavori più dequalificati nelle nostre fabbriche, ma una volta terminato il turno di lavoro si pretenderebbe che scomparissero dalla nostra vista. Essi sono ormai parte essenziale di un lavoro che si disperde in mille rivoli in un territorio sempre più ampio e contemporaneamente assistiamo ad una concentrazione finanziaria e dei centri di comando.

Questo cambiamento rende più ardua la tutela dei lavoratori non solo perché il lavoro è disperso nel territorio, ma anche perché all’interno dello stesso sito convivono lavoratori con contratti diversi. Dentro le mura di una stessa fabbrica lavorano lavoratori stabili con contratti a tempo indeterminato insieme a lavoratori somministrati a pseudo soci di pseudo cooperative super sfruttati, spesso impegnati nella logistica, e ancora tempi determinati e altre numerose forme di precariato. Questo fenomeno non riguarda solo l’industria, è pervasivo di tutti i settori produttivi e dei servizi pubblici e privati.

LE POLITICHE CONTRATTUALI PER IL LAVORO

Il lavoro frantumato

In Italia, in questi ultimi anni, al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego ha corrisposto l’esternalizzazione di molti servizi a privati e a pseudo cooperative, nei comuni e province, nelle Unità sanitarie locali, nello stato e nel parastato.

Nello stesso luogo di lavoro operano fianco a fianco lavoratori con diverse tipologie contrattuali e magari dipendenti da diverse imprese con la conseguenza che ad essi vengono riconosciuti diritti del tutto diversi sia sul piano salariale che sul piano normativo.

Molto spesso noi siamo in grado di contrattare solo per i lavoratori stabili e a tempo indeterminato. E così veniamo accusati di difendere i presunti privilegi dei lavoratori dotati di diritti a scapito dei giovani e dei precari. Prima frantumano il lavoro, lo deprivano di diritti e poi lo usano per erodere le mura della cittadella dei diritti.

Mentre noi vogliamo estendere i diritti a chi ne è privo, loro tentano di far credere che togliendo i diritti a chi ancora li ha, sia possibile migliorare le condizioni di chi non ne ha, quasi che la cosa funzionasse sulla base del principio dei vasi comunicanti.

Ma non basta la denuncia per difendere le nostre conquiste, occorre riqualificare la nostra contrattazione per riunificare ciò che l’impresa frammenta per indebolirci.

Rilanciare e riqualificare

la contrattazione aziendale

In questi anni le condizioni di lavoro sono peggiorate. E’ necessario perciò riqualificare la contrattazione aziendale sull’organizzazione del lavoro, sui carichi, sui ritmi, sugli orari, sulla salute e la sicurezza.

La riconquista di un potere d’intervento delle rappresentanze sindacali unitarie nei luoghi di lavoro (R.S.U.) su questi temi è la condizione per esercitare nei fatti i diritti sanciti dalle leggi e dai contratti, altrimenti destinati a rimanere sulla carta. Così come è essenziale tornare a rivendicare quelle conoscenze ed informazioni che permettano di ricostruire il ciclo produttivo frammentato.

Ma non basta più la contrattazione nel luogo di lavoro, e dentro il luogo di lavoro, solo per il nucleo di lavoratori stabili. È indispensabile ricomporre tutto ciò che è stato decentrato, terziarizzato, esternalizzato attraverso una contrattazione di sito e di filiera, capace di ricomprendere tutto il ciclo del prodotto o del servizio, riunificando la rappresentanza unitaria dei lavoratori che vi sono coinvolti.

Una contrattazione che sappia parlare a tutta quella vasta variegata gamma di lavoratori che operano dentro lo stesso luogo di lavoro indipendentemente dal tipo di contratto o dell’impresa alla quale appartengono. Il tutto nel quadro di un rinnovato ruolo centrale del Contratto collettivo nazionale di lavoro con funzione sovraordinata. Questa è la sfida per il futuro. Alcune esperienze ci dicono che è possibile. E’ questo un segno di speranza per tutti noi.

La contrattazione sociale territoriale

Il secondo terreno d’iniziativa è rappresentato dalla contrattazione sociale territoriale, ovvero la connessione tra la contrattazione aziendale e il territorio, con un duplice obiettivo: riprendere il controllo sull’intero ciclo produttivo - ovvero l’intera filiera di fabbricazione di un prodotto o erogazione di un servizio spesso dispersa nel territorio -e la saldatura tra i diritti del lavoro e i diritti di cittadinanza in materia di salute, di scuola, di servizi sociali e via dicendo. A questo scopo alcune Camere del lavoro (strutture territoriali della CGIL) si sono dotate di Consigli di zona, organismi di partecipazione democratica dei delegati di luogo di lavoro. Altre, da tempo sviluppano una interessante contrattazione territoriale. Il territorio in quanto spazio fisico sempre più strettamente interconnesso con le dinamiche produttive diventa decisivo sia per riprendere il controllo della filiera sia perché la contrattazione di luogo di lavoro possa disporre di una iniziativa esterna in materia di formazione, ricerca, politica industriale. Oppure, per l’importanza di accompagnare la contrattazione del salario con una contrattazione sociale in grado di ottenere risultati su materie come gli asili nido, i servizi di assistenza, la sanità, la casa, i trasporti, i beni comuni prodotti dai servizi pubblici locali (acqua, ambiente, energia), l’integrazione dei migranti, la vivibilità urbana, anche attraverso la richiesta al sistema delle imprese di contribuire al finanziamento del welfare locale.

È un salto culturale, politico e organizzativo quello che noi proponiamo: la saldatura tra la contrattazione di secondo livello e la contrattazione nel territorio. È questa una proposta di allargamento del campo d’azione del nostro lavoro sindacale per tenere insieme il luogo di lavoro e la sua inscindibile relazione con il contesto territoriale, nei suoi diversi aspetti di organizzazione e pianificazione dello spazio urbano, di equilibrio ambientale, di qualità ed efficacia del welfare locale.

Perché nascondono il lavoro dipendente?

Da troppi anni viviamo in una realtà virtuale, quella che ci viene rappresentata dai media. Per anni ci hanno raccontato che gli operai erano una specie in via di estinzione e che più in generale il lavoro dipendente sarebbe stato destinato ad essere sostituito dal lavoro autonomo. Chi non capiva questi processi veniva dipinto come vecchio ed incapace di comprendere la modernità.

È successo esattamente il contrario: tra il 2000 e il 2006 gli operai sono aumentati del 13% raggiungendo quota 8 milioni, il 35% degli occupati. Nello stesso periodo gli imprenditori sono invece diminuiti del 34% passando da 525.000 a 346.000. Vale a dire la supposta centralità dell’impresa corrisponde all’esercizio di un comando di una minoranza che si restringe sulla maggioranza.

L’aumento del lavoro operaio, seppur diversamente distribuito tra agricoltura, industria e servizi si situa all’interno di una più generale tendenza all’espansione del lavoro dipendente in Italia, in Europa e nel mondo. Su un totale di 22 milioni e 900 mila occupati i lavoratori dipendenti in Italia risultano essere 16 milioni 900 mila, il 73, 5 %. Nel Veneto delle partite IVA la percentuale è addirittura superiore.

Dunque il lavoro dipendente non solo non scompare ma al contrario aumenta, si estende e si diversifica mentre come dice Censis, anche quest’anno abbiamo assistito ad una riduzione del lavoro autonomo. Perché allora ci rappresentano quotidianamente un’altra realtà?

La ragione è semplice. Se si riesce a far credere che la tendenza dell’economia è quella all’estinzione del lavoro dipendente, cade la necessità di rappresentarlo. Quindi cade anche la distinzione tra destra e sinistra che nella rappresentanza del lavoro trova la sua ragione costitutiva.

Ne consegue che per la politica diventa centrale la rappresentanza dell’impresa e del lavoro autonomo.

Gli operai non compaiono mai nel mondo delle immagini costruite dai media. Eppure, tutte le cose di cui siamo circondati e che usiamo quotidianamente sono uscite da una fabbrica. Di li vengono l’auto il frigorifero, il telefono e il televisore. Da una fabbrica sono usciti pure la tazzina di caffè che abbiamo sorseggiato e il tavolo su cui l’abbiamo posata, il computer col quale abbiamo scritto questa relazione e la carta su cui l’abbiamo stampata.

Le cose uscite da una fabbrica spesso (non sempre) ci rendono la vita più comoda. Ma quanto più cresce il numero di lavoratori globali e la ricchezza da essi prodotta tanto più il capitale ha bisogno di oscurare, manipolare e infine cancellare la presenza dei produttori di tale ricchezza. Scrive Paolo Ciofi: “La rutilante invasività dell’immane raccolta di merci penetra in tutti i pori della società e tenta di sedurci ogni istante dai teleschermi in ogni angolo del pianeta, ma dei lavoratori – della loro vita, dei loro pensieri, dei loro sentimenti, delle loro azioni – raramente si trova traccia. Non solo sui teleschermi, o nella realtà immaginaria costruita dai media secondo gli stereotipi dell’ideologia dominante. E non solo nel senso comune diffuso dalla cultura di massa, ma anche nell’assetto della società reale, come pure nei sistemi politici emersi dalla transizione del “secolo breve” verso il nuovo secolo. E’ il dominio onnivoro delle merci, cioè delle cose, sugli esseri viventi. Il massimo dell’alienazione” (Ciofi, 2008).

Infatti, anche l’originaria liberazione dai bisogni, conquistata con la crescita del reddito, muta la sua natura se si trasforma in una nuova schiavitù verso necessità crescenti e perennemente insoddisfatte. La creazione di nuovi bisogni a mezzo di bisogni – alimentata dalla nuova religione della crescita – somiglia alla ruota in cui corre inutilmente il criceto, per non generare frustrazione. La stessa rapidità con cui i beni si trasformano in rifiuti mostra come la positività originaria dello sviluppo degrada rovesciandosi nel suo contrario.

Al tempo stesso, la riduzione dei cittadini a puri agenti produttori e consumatori, per tenere insieme la macchina economica, corrode il tessuto connettivo della vita sociale, atomizza gli individui. Per dirla con Piero Bevilacqua, trionfa l’economia e muore la società (Bevilacqua, 2007). Un’inversione dei fini che si consuma sotto i nostri occhi. Con il dissolvimento della società anche i collanti ideali che hanno sinora tenuto insieme i partiti si disfano, lo stesso cemento di partecipazione e controllo, su cui regge la democrazia si sgretola. Ma nella società pulsa anche il cuore della nostra felicità terrena: la fitta rete di rapporti interpersonali, l’amicizia, la solidarietà, l’amore, il senso stesso della vita. La società, dunque è un bene inestimabile, un patrimonio storico che ereditiamo quale risultato di una gigantesca opera collettiva. E’ un bene tecnicamente irriproducibile che non si compra in alcun supermercato.

Un bene che non possiamo sacrificare sull’altare del Dio Mercato. Gli uomini e il loro benessere devono tornare ad essere il fine e non il mezzo, lo strumento di una crescita economica peraltro sempre più insostenibile per il nostro pianeta. Si riaffaccia dunque il tema del come e cosa produrre.

VI SONO SEGNI DI SPERANZA?

Sul versante del lavoro

Sul versante del lavoro rimane forte la volontà della CGIL di riaffermare il proprio ruolo di sindacato generale dei diritti e della solidarietà. Per noi rimane centrale il CCNL come strumento fondamentale di solidarietà tra grande e piccola impresa, tra nord e sud del paese.

Non possiamo accettare una deriva verso l’aziendalizzazione della contrattazione - e quindi del sindacato - pena un’ulteriore frammentazione delle tutele tra chi è più forte ed è in grado di difendersi e chi è più debole ed è esposto alla riduzione delle tutele. Lontana è invece, purtroppo, la necessaria prospettiva di una contrattazione su scala europea.

Sul versante del territorio

Sul versante della difesa del territorio, negli ultimi anni sono nati in Italia alcuni movimenti a forte caratterizzazione territoriale. La tendenza in atto è tesa a superare la loro connotazione localistica, individuando categorie interpretative più ampie entro cui collocare le loro rivendicazioni, e costruendo nel contempo una rete di collegamenti e di sinergie tra esperienze simili.

E’ il caso, ad esempio, delle lotte contro le centrali termoelettriche, le discariche e gli inceneritori, le grandi infrastrutture stradali e ferroviarie, la militarizzazione del territorio, la chiusura di presidi sanitari, la privatizzazione dell’acqua e il potenziamento del welfare locale.

Tali movimenti, sempre più diffusi, valorizzano forme di democrazia diretta per contrastare la privatizzazione e il saccheggio del territorio. Operano come insediamenti specifici a forte radicamento territoriale. Sviluppano forti legami sociali, rivendicano trasparenza e diritto all’informazione e si avvalgono di competenze tecnico scientifiche.

A fronte di una capacità dei movimenti di mettersi in rete non corrisponde ancora pienamente una capacità del movimento sindacale territoriale di porsi in una relazione feconda con essi. Il mondo del lavoro, tranne alcune importanti eccezioni, sulle questioni territoriali sembra procedere ancora su binari separati da quelli dei movimenti. Analogamente vi è un distacco da parte dei movimenti rispetto alle rivendicazioni propriamente sindacali.

I due mondi non si fondono appieno nel territorio. Tuttavia, in alcuni casi di maggiore resistenza e capacità creativa, alcune realtà locali acquistano una funzione emblematica, che esce dai confini propri ed entra nell’arcipelago delle lotte che acquistano tanta autonomia e tale continuità da rappresentare i semi riconosciuti di un’alternativa antineoliberista. Quando scatta questo innalzamento di livello, anche la separazione del mondo del lavoro e di altri soggetti si affievolisce e la ricomposizione produce un fatto politico che oltrepassa la vita e l’estensione sociale dei movimenti.(Agostinelli, 2008)

Il caso di Vicenza

Un esempio è rappresentato da quello che è accaduto negli ultimi anni a Vicenza : un movimento sviluppatosi contro la militarizzazione della città. Partendo da un fatto locale (la realizzazione di una nuova base militare USA) il messaggio è diventato globale immediatamente e ovunque riconoscibile

Dopo essere stata palcoscenico della destra di Berlusconi e Bossi, un’altra Vicenza è scesa in campo. La città nella quale ho operato fino a qualche mese fa vive da oltre due anni in un fermento politico e culturale senza precedenti. In brevissimo tempo è diventata un luogo di partecipazione e di azione politica davvero sorprendente. L’incontro tra comitati civici, gruppi pacifisti, associazioni, singoli cittadini e, naturalmente, la Cgil, ha prodotto un movimento che ha riscosso simpatia e solidarietà su scala nazionale e internazionale. Un movimento costituito da una pluralità di soggetti di varia ispirazione politica e culturale, e da cittadini di diversa condizione sociale.

Senza rinunciare alle nostre differenze, abbiamo saputo dialogare e lavorare insieme per ribadire il nostro netto NO alla nuova base militare americana.

CHE FARE

Tre principi di fondo

da cui partire per il domani

Sulla base dell’esperienza che ho vissuto a Vicenza, dove lotte sindacali e lotte cittadine si sono unificate per un obiettivo comune, traggo tre principi di fondo, che possono costituire la base per costruire un domani migliore.

La Terra. Intesa come difesa del nostro spazio sociale e ambientale, ma anche come difesa di un bene comune, della nostra identità collettiva, della nostra qualità della vita. La presenza di tante donne e mamme che portano i loro figli alle manifestazioni testimonia che questa lotta viene condotta anche in nome delle generazioni future.

La Pace. Intesa come ripudio della guerra, secondo il dettato della Costituzione italiana. Intesa anche come volontà dei vicentini di impedire che questa città sia trasformata nella base logistica più importante dell’esercito americano per i teatri di guerra del martoriato Medio Oriente.

La Democrazia. Intesa come volontà dei cittadini di non delegare il proprio destino a istituzioni sempre più autoreferenziali. L’esempio più clamoroso è quello dell’ex sindaco di Vicenza, il quale da un lato riconosce che la stragrande maggioranza dei cittadini è contraria alla base, e nello stesso tempo si fa di questa stessa base convinto assertore.

Unire il “rosso” e il “verde”

Il tema della difesa del territorio come bene comune, nell’accezione patrimonio fisico, sociale e culturale costruito nel lungo periodo, se messo in correlazione con le dinamiche del postfordismo, può essere terreno per costruire una moderna critica all’attuale fase dello sviluppo capitalistico.

Lo sfruttamento dell’uomo sulla natura è un aspetto del più generale sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della conseguente ricerca di una diversa ragione dello sviluppo. Un discorso ecologico cioè non può essere disgiunto da un discorso sociale e viceversa.

Quindi se la coscienza di luogo è minacciata dalle devastazioni ambientali prodotte dal capitale, mi chiedo se su questo terreno non sia possibile costruire una nuova coscienza sociale: l’interesse generale contrapposto all’interesse egoistico di pochi.

È necessario un incontro tra il movimento sindacale e i comitati, le associazioni, i gruppi, spesso nati spontaneamente attorno a un evento, una minaccia, un progetto. Una nuova coscienza collettiva che nasca da questo incontro non può che essere fondata sulla consapevolezza dell’impossibilità del mercato di risolvere i problemi derivanti dal carattere intrinsecamente sociale e collettivo della città e del territorio, in contrasto con il carattere individualista proprio dell’ideologia che sta alla base del sistema capitalistico, ovvero dell’attuale sistema economico sociale.

Come ha detto recentemente Alberto Asor Rosa “La cosa, se si entra nel merito, è tutt'altro che semplice: una classe operaia ecologista ancora non s'è vista ma neanche s'è visto un militante ecologista capace di «pensare» la questione sociale contemporanea. E pure sempre più avanza la consapevolezza che il destino umano risulta dalla composizione, meditata e razionale, delle due prospettive e cioè, per parlarne in termini politici, dalla sovrapposizione e dall'intreccio del «rosso» e del «verde»” (Asor Rosa, 2008).

Le contraddizioni su cui far leva

Quali le contraddizioni su cui fare leva? Sul versante dei rapporti di produzione la contraddizione tra capitale e lavoro, seppur nelle nuove condizioni, non ha mai cessato di operare. Sul versante della difesa del territorio come bene comune ancora una volta faccio ricorso alle posizioni espresse da Salzano..

La privatizzazione del suolo urbano è la prima contraddizione tra il sistema economico sociale e la città perché chi governa in nome dell’interesse collettivo non è libero nelle sue operazioni.

La seconda contraddizione tra habitat umano e sistema capitalistico consiste nel fatto che quest’ultimo riconosce quale unico valore socialmente rilevante quello economico, inteso come valore di scambio, dimenticando completamente l’altra componente, ovvero il valore d’uso. In altri termini, le cose hanno valore, e quindi meritano di essere considerate, promosse, tutelate solo se possono essere comprate e vendute: non hanno valore in se. In una parola i beni sono ridotti a merce, il territorio è ridotto a merce.

La terza contraddizione è quella che nasce come questione ambientale. Aver ridotto l’intero ciclo economico alla produzione via via crescente di merci minaccia oggi la sopravvivenza delle stesse basi materiali sulle quali poggia l’esistenza dell’umanità sul pianeta terra.

“Ricostruire una città umana significa eliminare la congestione, restituire alle piazze la loro funzione originaria di luogo d’incontro, di scambio di esperienze, significa rendere accessibile per i deboli, come per i forti, i luoghi della vita collettiva ed i luoghi della vita privata, significa fare della città il luogo nel quale i differenti ceti, i differenti mestieri, funzioni sociali, differenti etnie, abitudini, culture si mescolano e si scambiano reciproci insegnamenti" (Salzano, 2007).

La visione è una linea di valorizzazione del lavoro, investendo nel fattore umano. Essa passa attraverso la riunificazione graduale del sapere e del lavoro, la ricomposizione in termini individuali e collettivi del lavoro parcellizzato e frantumato, la liberazione delle potenzialità creative del lavoro subordinato o eterodiretto. In sostanza una cooperazione conflittuale dei lavoratori al governo dell’impresa, partendo dalla conquista di nuovi spazi di autogoverno del proprio lavoro. La visione è un invito alla socialità, se possibile alla socievolezza, la città come luogo della libertà e della crescita personale. E’ una visione che, tradotta nel nostro linguaggio più consueto, si propone di affermare il diritto all’ambiente, alla mobilità, alla casa e ai servizi, al lavoro, alla salute, all’istruzione e alle opportunità formative e culturali.

Quale futuro scegliamo: la metropoli neoliberista

o una città comune e solidale?

Malmö: 19 Settembre, 18h-21h, Möllevången; 21 Settembre, 9h30-12h30, Sofielund

Il Forum Sociale Europeo è l’occasione per i partecipanti per discutere e organizzarci sulla questione: “La fine dello sviluppo urbano: quale metropoli vogliamo?”

Abbiamo bisogno di comprendere meglio gli effetti delle politiche neoliberiste e le ripercussioni del modello di sviluppo della città ultra-liberale, i cui caratteri sono la gentrificazione, l’esclusione sociale ed una crescente disuguaglianza. A partire dagli impatti negativi della città neoliberista sulle persone (crescente precarietà, espulsione, scarsa accessibilità ai servizi pubblici, ecc.) come trasformare e rendere concreta l’affermazione “la città come bene comune” (redistribuzione, solidarietà tra coloro che hanno e quelli che non hanno, tra il centro e la periferia, tra la metropoli e campagna), i partecipanti al seminario cercheranno di proporre approcci e proposte alternative dalla scala locale (partecipazione nei processi decisionali politici e nella pianificazione, lotte e movimenti urbani) a quella globale (campagne e gruppi di pressione internazionali). L’obiettivo è di promuovere una collaborazione internazionale tra movimenti, organizzazioni, gruppi e associazioni per comprendere il fenomeno, le tendenze e costruire delle azioni capaci di contrastare le problematiche emergenti individuate.

L’attività si articola in due eventi:

Seminario, il 19 settembre, dalle 18 alle 21: per presentare e poi discutere insieme: il modello della città neoliberista e i suoi effetti; casi studio in cui gli effetti del neoliberalismo sono evidenti: problemi, testimonianze di lotta e azioni intraprese; e proposte di approcci e azioni alternative: concetti, principi e strategie. Gli interventi saranno tradotti simultaneamente in Inglese, Francese, Italiano, Svedese e Turco.

Workshop, il 21 settembre, dalle 9.30 alle 12.30: per discutere insieme gli esiti del seminario, le azioni e attività programmate dalle organizzazioni partecipanti in ambito urbano per far fronte ai problemi individuati, per stilare una dichiarazione collettiva e un piano d’azione. Il workshop si terrà in lingua inglese.

Organizzazioni partecipanti:

Association Internationale de Techniciens, Experts, Chercheurs (AITEC); Camere del lavoro-CGIL Bologna, Brescia, Ferrara, Modena, Padova, Reggio Emilia, Roma, Venezia e Vicenza; CGIL National Department of Immigration Politics; eddyburg.it; Initiatives Pour un Autre Monde (IPAM); International Alliance of Inhabitants (IAI); Interregional Trade Union Confederation (IRTUC Øresund); Network of the World Forum for suburban Local Authorities (FALP); Lavoro in movimento; LO-distriktet i Skåne; Foundation for Social Search, Culture and Art, Turkey( TAKSAV); Union Of Chambers Of Turkish Engineers And Architects (TMMOB); Zone onlus

Contatti:

Aitec, IPAM, FALP:
helene.aitec@reseau-ipam.org; International Alliance of Inhabitants:
info@habitants.org; CGIL-Camere del lavoro:
andrea_fabbri_cossarini@er.cgil.it; eddyburg.it:
eddysal@tin.it; LO-distriktet i Skåne, IRTUC:
gert@stkbh.lo.dk; TAKSAV, TMMOB:
barisince82@yahoo.com; ZONE onlus:
ilariaboniburini@zoneassociation.org.

PROGRAMMA SEMINARIO

Venerdì 19 Settembre, 18h-21h – Möllevången, Chokladfabriken, Ölhallen

Moderatore: Monique Crinon (Aitec/IPAM)

Introduzione alle attività: Ilaria Boniburini (Zone onlus)

Discorso di benvenuto: Kenneth Bjrkman (LO Skåne)

PARTE 1 - Comprendere le politiche neoliberiste e il loro impatto sulla città

- Gli impatti urbani e sociali delle politiche neoliberiste nell’Europa centrale e orientale: Sonia Fayman (Aitec-France) e Krizstina Keresztely (Aitec/Hongrie)

- Lavoro e habitat: le vittime del neoliberalismo: Oscar Mancini (CGIL-Camera del Lavoro di Vicenza)

PARTE 2 - Casi studio, esperienze, testimonianze di lotta e azioni intraprese

- I processi di rigenerazione urbana nella Trabzon Zağnos Valley e a İstanbul Sulukule; Fahri Ozten (TMMOB)

- Sfide per l’uguaglianza e il welfare nelle città gemelle: Håkan Hermansson (LO-distriktet i Skåne, IRTUC Øresund)

- La contrattazione confederale territoriale delle Camere del Lavoro sulla casa e lo sviluppo urbano: Mauro Alboresi (CGIL-Camera del Lavoro di Bologna)

PARTE 3 - Proposte per contrastare la città neoliberista

- Verso un nuovo patto urbano sociale a partire dai cittadini: l’approccio internazionale dal basso della campagna “Sfratti Zero”: Cesare Ottolini (IAI)

- Sviluppare alleanze con le autorità locali per migliorare la solidarietà: Gérard Perreau-Bezouille, delegato del sindaco di Nanterre, coordinatore di FALP

- La città come bene comune: Edoardo Salzano (eddyburg.it)

PARTE 4 - Dibattito

PROGRAMMA WORKSHOP

Domenica, 21 Settembre, 9h30-12h30, Sofielund, Studiefrämjandet, Sal 204

- Sommario e commenti sul dibattito avvenuto al seminario, sulle questioni emerse durante l’assemblea dei movimenti sociali e durante le altre attività legate alla città e ai problemi urbani svoltesi al Forum Sociale

- Breve presentazione e discussione delle attività programmate dai vari gruppi per contrastare il modello neoliberista e i problemi ad esso legati.

- Stesura di una dichiarazione collettiva e condivisione di un piano di azione per il futuro.

Ulteriori Informazioni

L’aggiornamento del programma, gli abstracts e le relazioni saranno inseriti nello spazio apposito nel sito dell’ ESF:

http://openesf.net/projects/the-city-as-a-common-good/project-home

Ai margini del "Città e territorio festival" di Ferrara si era valutata la possibilità di iniziare delle attività in comune sulla città, in collaborazione tra la CGIL di Vicenza (Oscar Mancini), l’associazione ZONE onlus (Ilaria Boniburini) ed Eddyburg (Edoardo Salzano). Era nata l’idea di partecipare all’European Social Forum (ESF), che si sarebbe tenuto a Malmö (Svezia) dal 17 al 21 settembre 2008. Il tema del Forum di quest’anno è: "Making another Europe possible! East and West together, building alliances for struggles and alternatives". La struttura tematica e il programma del Forum sono consultabili alla pagina ufficiale dell’ESF. Successivamente la partecipazione si è allargata a una associazione costituita da numerose organizzazioni sindacali, Lavoro in movimento (Marco Berlinguer) e alle CGIL di Venezia e Padova.

La partecipazione al Forum Sociale Europeo è stata vista come l’occasione per avviare, con una platea internazionale, ampia e motivata, un lavoro comune sul tema della costruzione di città più vivibili. L’obiettivo assunto è di promuovere la collaborazione di movimenti, organizzazioni e gruppi che possano ragionare insieme sia per comprendere i fenomeni e le tendenze in atto sia per costruire azioni per il superamento dei problemi individuati.

L’attività di massima proposta dal gruppo suddetto al Forum aveva come tema " La città come bene comune. gruppi etnici e sociali insieme per costruire una città vivibile"; era prevista la sua articolazione in due seminari, dedicati rispettivamente a " Quali problemi e quali opportunità" e a " Quali azioni per il futuro". L’attività proposta rientra nell’asse tematico 1: " Working for social inclusion and social rights – welfare, public services and common goods for all" .

Il programma è stato trasmesso a una lista composta da numerose persone e organizzazioni che ci sembravano potenzialmente interessate a partecipare, con una lettera che precisava la richiesta di collaborazione.

Nell’Assemblea di Kiev (inizio giugno 2008) l’organizzazione dell’ESF iniziava le operazioni di accorpamento, esaminava le circa 800 proposte pervenute e individuava, a seconda dei temi proposti, gruppi da aggregare per costruire eventi nei quali confluissero associazioni diverse. L’iter dell’iniziativa (dalle premesse alla conclusone di questa fase) è stato espresso in una Newsletter (13 giugno 2008), che è stata trasmessa a tutti gli indirizzi della lista inizialmente formata (vedi Allegato).

Il gruppo italiano si è subito dichiarato disposto ad aderire alla proposta di aggregazione, per più d’una ragione: perché i temi proposti dagli altri gruppi sono molto vicini al nostro; perché l’aggregazione garantisce una platea di partenza, per il dibattito e lo scambio, più ampia; perché il nostro interesse è soprattutto quello di stabilire collegamenti per un lavoro da sviluppare in futuro.

Da allora è iniziata una complessa azione di contatti e scambi di documenti e proposte con i gruppi e le associazioni coinvolti, sia per definire gli aspetti organizzativi sia per mettere a punto titolo, contenuti e modalità di conduzione e svolgimento delle attività.

In conclusione, la nostra proposta iniziale è confluita in un iniziativa che coinvolge sette gruppi e circa 13 organizzazioni di diversa nazionalità, campo di azione e obiettivi. Il tema concordato con le altre organizzazioni che hanno aderito alla proposta di aggregazione è: "Quale futuro scegliamo: la metropoli neoliberale o una città comune e solidale?". L’obiettivo è quello di contribuire a comprendere meglio il modello dello sviluppo urbano neoliberista e gli effetti delle politiche neoliberiste sulle nostre città. A partire dall’analisi del disagio e delle conseguenze negative derivanti dai processi di gentrificazione, crescente esclusione sociale e razziale, aumento dell’ ineguaglianza e precarietà, si vogliono proporre approcci e azioni alternativi alle pratiche dominanti, sia a livello locale che globale.

I gruppi che hanno aderito sono i seguenti:

GR 1, AITEC; AIH; FALP

GR 2, eddyburg.it; CGIL VI, PD e VE; Lavoro in movimento; Zone onlus

GR 3, Union of Chambers of Turkish Engineers and Architects

GR 4¸LO-distriktet i Skåne;

GR 5, TAKSAV

GR 6¸ITUC

GR 7, Network Camere del Lavoro CGIL - Dipartimento Politiche Immigrazione CGIL Nazionali

Il nostro gruppo (GR2) si è assunto il ruolo di coordinare le comunicazioni e il lavoro inerente alla programmazione e preparazione delle attività, di gestire la pagina web del Forum relativa all’iniziativa comune e di formalizzare la registrazione.

L’iniziativa concordata prevede due appuntamenti: un seminario e un workshop, di tre ore ciascuno. Il programma di massima proposto, e tuttora in corso di definizione è il seguente:

Seminario

1. Presentazione con una breve introduzione delle attività.

2. Elementi per capire la città neoliberista e i suoi effetti. Descrizione dei caratteri del modello di sviluppo urbano neoliberista, i suoi modi di riproduzione e gli impatti sulla città e la popolazione: gentrificazione, esclusione sociale, diseguaglianze ecc. Questo intervento dovrebbe essere preparato congiuntamente dai Gruppi 1 e 2.

3. Presentazione di alcuni casi studio nei quali gli effetti del neoliberalismo sono evidenti: analisi del disagio, illustrazione dei problemi, testimonianze di lotta, azioni intraprese ecc. I casi studio saranno presentati dai gruppi 3, 4, 5, 6 e 7.

4. Proposte per approcci e azioni alternative per contrastare le tendenze e i problemi identificati: concetti, principi e strategie di massima. Questa parte sarà argomentata in prevalenza dai gruppi 1 e 2.

5. Dibattito

Workshop

1. Rendiconto sommario del dibattito svoltosi durante il seminario.

2. Presentazione delle attività in corso e programmate dalle varie organizzazioni e gruppi per contrastare il modello neoliberista. È previsto un breve contributo da parte di ciascuna delle organizzazioni.

3. Dibattito sui programmi e le attività di cui sopra e identificazione di possibili azioni e attività comuni.

4. Approvazione del documento/verbale finale.

Una seconda newsletter (5 agosto 2008, in allegato) informa del punto d’arrivo sopra sintetizzato. Nelle prossime settimane daremo conto delle caratteristiche di ciascuno dei gruppi e associazioni che partecipano agli eventi ora descritti, nei nomi delle persone che li rappresenteranno a Malmö, dei materiali che ci saranno inviati e, via via che sarà possibile, dei contenuti degli interventi. Nonché, ovviamente, del programma definitivo.

LA CITTÀ COME BENE COMUNE

GRUPPI ETNICI E SOCIALI INSIEME PER COSTRUIRE

UNA CITTÀ VIVIBILE

Il Forum Sociale Europeo è un’occasione per avviare - con una platea internazionale, ampia e motivata - un lavoro comune sul tema della costruzione di città più vivibili, a partire dal concetto di città come bene comune.

L’obiettivo è di promuovere la collaborazione di movimenti, organizzazioni e gruppi che possano ragionare insieme sia per comprendere i fenomeni e le tendenze in atto sia per costruire azioni per il superamento dei problemi individuati.

il tema dei seminari e dei dibattiti

La città già presenta oggi gravi forme di esclusione economica e sociale che provocano un generale disagio. Le dinamiche migratorie inseriscono in questa situazione ulteriori elementi di complessità, i quali vengono accentuati dall’insistenza sul discorso della sicurezza, fomentato dalle forze politiche nella ricerca di un facile consenso.

Il diverso grado di mobilità, fisica, economica e culturale, espresso dal diverso uso della città, costituisce una delle variabili decisive al fine di cogliere le dinamiche che strutturano le attuali disuguaglianze sociali. D’altra parte la città – per la sua stessa natura, per la sua storia, per i principi della sua organizzazione – è il luogo nel quale si manifestano l’incontro, il conflitto e il superamento di questo e nel quale quindi possono esprimersi lo scambio, il reciproco arricchimento culturale e la definizione delle regole della convivenza. Questa potenzialità è costituita e rappresentata, sia materialmente che simbolicamente, dagli spazi pubblici e dalla loro utilizzazione.

Seminario I: Quali problemi e quali opportunità

Si vuole approfondire l’analisi sui problemi che derivano dal fatto che alle differenze e segregazioni di carattere socio-economico si aggiungono quelle derivanti dalla crescente multietnicità determinata dalle migrazioni di popolazioni attraverso i confini nazionali.

La pluralità dei riferimenti culturali, già tipica della società contemporanea occidentale, e la presenza di sistemi culturali importati dagli immigrati, diversifica ancora di più il paesaggio culturale. Questa potenziale ricchezza, che potrebbe contribuire a trasformare le coordinate di senso in più direzioni, viene a connotarsi invece come uno dei problemi della convivenza tra autoctoni e immigrati. La compresenza di una molteplicità di comportamenti diversi nei confronti delle istituzioni del vivere sociale (abitare, nutrirsi, matrimonio, famiglia, religione, modi di socializzare) provoca incomprensione e conflitto, soprattutto quando tali comportamenti sono visibilmente in contrasto con i principi della cultura in maggioranza. Si realizzano così discriminazioni nei confronti delle minoranze, innescando conflitti di tipo razziale.

È possibile che le diverse presenze concorrano invece a costruire città più vivibili? In altri termini, differenze sociali e differenze etniche possono diventare occasioni per accrescere la vivibilità delle città europee?

II Seminario: Quali azioni per il futuro

Sulla base dell’approfondimento dei problemi e delle opportunità ci si propone di individuare gli argomenti, gli strumenti, le iniziative capaci di far sì che le diverse presenze sociali e culturali concorrano a costruire città più vivibili. Il quadro generale è costituito dall’insieme delle politiche urbane (abitazione, welfare, ambiente, ecc.), ma si ritiene che il centro del ragionamento possa essere costituito dall’uso degli spazi pubblici.

L’uso degli spazi pubblici. I migranti hanno tendenzialmente e per motivi assai diversi, un rapporto stretto con la città in cui vivono e/o lavorano. È un rapporto che può essere qualificante per la città, perché essi spesso recuperano spazi pubblici dimenticati o sottoutizzati, piazze, giardini, strade. Dall’altra parte, abbiamo cittadini autoctoni che, per complesse ragioni, hanno progressivamente abbandonato lo spazio pubblico, o lo frequentano per ragioni strettamente legate al consumo di merci e di eventi. Ma i cittadini autoctoni appaiono sempre più spaventati dall’altro, dallo ‘straniero’.

Sicurezza e benessere. Il tema che recentemente sembra influenzare di più la vivibilità degli spazi di vita, e in particolare degli spazi pubblici è quello della sicurezza urbana. Se è vero che essa è riconducibile ad una percezione di pericolo legata ai profondi mutamenti in atto nella struttura sociale e fisica della città e della società, è anche vero che essa tende sempre più ad essere ridotta e ricondotta al problema dell’immigrazione che viene identificata come sinonimo di disordine, delinquenza e disagio. La domanda di sicurezza, spontanea o indotta, rimette in discussione l’utilizzo degli spazi pubblici, luoghi da sempre capaci di assicurare una migliore qualità alla città, ponendo in primo piano le esigenze di controllo del territorio e la promozione di forme di appropriazione da parte di particolari gruppi.

Pubblico e privato. Il deperimento della sfera pubblica a favore della sfera privata accresce la difficoltà di costruire un dibattito pubblico e riduce quindi la capacità di costruire, attraverso il dialogo e la condivisione, un ‘progetto’ nell'interesse generale dei cittadini: un progetto non proteso verso molteplici interessi particolaristici. Occorre quindi promuovere azioni che rimettano al centro lo spazio pubblico, materialmente e simbolicamente, come spazio di incontro e di dibattito per la costruzione di una città comune.

È possibile attraverso la progettazione condivisa tra autoctoni e immigrati, fisica e immaginaria dello spazio pubblico, e contemporaneamente del dibattito pubblico, costruire città più vivibili? Come?

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