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Su proposta del ministro per le Politiche agricole, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge quadro sulla valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo del suolo. L’obiettivo – meritorio – dell’iniziativa è porre un freno a quella che Italo Calvino, nel suo romanzo La speculazione edilizia, chiamava “la febbre del cemento”: la bramosia di edificare anche dove e quando non serve, alimentata dall’alleanza tra il potere politico-amministrativo, ampiamente inteso, e l’insieme degli operatori economico-professionali del settore dell’edilizia. A leggere sul sito del Governo il comunicato che illustra il contenuto del disegno di legge, si resta sorpresi da una certa veemenza del lessico: l’obiettivo è “di disincentivare il dissennato consumo di suolo”, al quale ci si è abbandonati finora (nel comunicato si ricorda che “in Italia ogni giorno si cementificano 100 ettari di superficie libera”). La novità del ricorso ad aggettivi con forte connotazione negativa è il segno della necessità di porre un argine a quella parte dell’edificazione gonfiata da aspettative speculative.

Buoni propositi in attesa di fatti

Per perseguire i suoi buoni propositi, il ddl prevede il ricorso ad alcune misure puntuali e a uno strumento di pianificazione di portata più generale. È da quest’ultimo che ci si attende il maggior contributo alla salvaguardia del suolo agricolo, contenendone la trasformazione in edificabile; ma è anche quello che suscita qualche perplessità. Quanto alle iniziative di carattere specifico, sono diverse e i risultati che sarà possibile conseguire dipenderanno dal come ognuna sarà attuata. Viene vietato, per almeno dieci anni, il cambio della destinazione d’uso dei terreni agricoli che hanno usufruito di aiuti di stato o comunitari (art. 3); si incentiva il recupero del patrimonio edilizio rurale (art. 4); presso il ministero delle Politiche agricole è istituito un registro dei comuni virtuosi che economizzano il consumo del suolo agricolo (art. 5); si abroga (art. 6) la normativa che autorizza i comuni a impiegare una parte (arrivata fino al 75 per cento del totale) degli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente.

Oneri di urbanizzazione per strade e scuole

Quest’ultima previsione è particolarmente rilevante. La distrazione di una quota degli oneri di urbanizzazione dalle loro finalità naturali di finanziare la realizzazione di strade, fognature, acquedotti (opere di urbanizzazione primaria), scuole, palestre (opere di urbanizzazione secondaria), è stato un modo per addolcire l’opposizione o ottenere l’assenso dei cittadini alla trasformazione di terreno agricolo in aree edificabili anche quando non servivano. Ai cittadini si è proposto uno scambio tra espansione edilizia e minori tasse per pagare i servizi di cui beneficiano. Nell’immediato hanno la percezione di un vantaggio, perché non mettono in conto che essi stessi e i loro figli e nipoti dovranno pagare i costi dell’accresciuta domanda di servizi indotta dalla nuova edificazione. Il solo impiego di una quota degli oneri di urbanizzazione per coprire la spesa corrente amplifica di per sé il “dissennato consumo di suolo”. Quando viene edificata una nuova area, le opere di urbanizzazione devono essere comunque fatte, se non si vogliono costruire ghetti senza strade, scuole e servizi. Poiché il comune non può sostenerne la spesa, vengono realizzate dalle imprese coinvolte nelle lottizzazioni, le quali vengono compensate con premi di superfici edificabili.

Chi decide quanto costruire

Restituire la totalità degli oneri di urbanizzazione alla loro originaria finalità è senz’altro opportuno, non è, però, sufficiente a bloccare il consumo del territorio originato dalla speculazione – che, infatti, avveniva anche quando gli oneri non erano destinati in parte a spesa corrente. Per questo il governo propone un intervento molto più radicale, ma sulla cui efficacia e operatività è difficile scommettere. Con un decreto interministeriale (Agricoltura, Ambiente, Infrastrutture e trasporti) “è determinata l’estensione massima di superficie agricola edificabile sul territorio nazionale” (comma 1, art. 2 del Ddl). In sostanza, tenendo conto del terreno agricolo disponibile, di quanto già edificato, degli immobili non utilizzati, della domanda di case e infrastrutture, vengono calcolati dei “numeroni” su quanti metri quadrati di abitazioni, capannoni, strade eccetera devono essere costruiti in Italia. Questa superficie agricola edificabile viene ripartita tra le Regioni, le quali, a loro volta, la suddividono tra i comuni, considerando anche la loro popolazione. Il ddl non dettaglia i criteri per la determinazione, con cadenza decennale, dell’estensione di superficie agricola edificabile a livello nazionale, né quelli per sua ripartizione ai livelli territoriali sottostanti. Il meccanismo, però, richiama alla mente la pianificazione di stampo sovietico e rischia di produrre effetti inefficaci e paradossali non dissimili da quelli che si verificavano in Urss: là i campi venivano annaffiati anche mentre pioveva, perché così era programmato, da noi si corre il rischio che a Regioni e comuni con un sovrappiù di capacità edificatoria rispetto alle esigenze, facciano da contrappunto Regioni e comuni con un deficit, perché quella è la situazione determinata dalla ripartizione territoriale dell’ammontare nazionale di suolo agricolo edificabile (ammesso, e non concesso, che tale ammontare rifletta il reale fabbisogno del paese).

Una misura transitoria

La procedura che dovrebbe disegnare la geografia delle aree edificabili nel nostro paese sembra macchinosa e foriera anche di innescare una conflittualità tra territori e tra livelli istituzionali. Di certo, se mai sarà attuata, comporterà una spoliazione delle competenze in materia di pianificazione urbanistica ora esercitate da Regioni e (soprattutto) comuni, senza, tuttavia, la certezza di conseguire l’obiettivo. L’intervento dello Stato potrebbe essere molto più efficace se, in attesa di una più ponderata riforma delle norme sul governo del territorio, inducesse le amministrazioni comunali a una maggiore parsimonia nella definizione e attuazione delle previsioni dei loro strumenti urbanistici. Un buon passo avanti, per esempio, potrebbe essere una misura transitoria che consenta ai comuni di approvare nuovi piani attuativi di aree già edificabili solo successivamente alla totale attuazione di quelli approvati in precedenza. In questo caso, anche le aree già trasformate in edificabili dal Prg, sfuggirebbero alla “dissennata cementificazione” finché non vi fossero reali bisogni da soddisfare e non fosse possibile farlo in altro modo. Sembra una piccola cosa, ma potrebbe dare grandi risultati.

Osservazioni al disegno di legge in materia di valorizzazione aree agricole e di contenimento del consumo di suolo.

Art. 1 Si propone una definizione più mirata delle motivazioni a cui risponde la legge:

1. La presente legge detta principi fondamentali per la conservazione e la valorizzazione dei terreni agricoli, al fine di promuovere l'attività agricola -necessaria anche nel contenimento dissesto del territorio - riconoscendole un ruolo fondamentale per il perseguimento di un rapporto equilibrato tra sviluppo delle aree urbanizzate e aree rurali, al fine di contenere e progressivamente azzerare il consumo di suolo libero, nonché per la tutela del paesaggio in attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio e dell'art. 9 della Costituzione.

Al comma 2, si ritiene più opportuna la seguente definizione: Le politiche di tutela e valorizzazione del territorio e del paesaggio agricolo e di contenimento del consumo del suolo e di sviluppo territoriale sostenibile sono coordinate con la sono attuate mediante la pianificazione paesaggistica prevista dalle disposizioni della Parte Terza del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.

Al comma 3, si ritiene fortemente limitativa la definizione di aree agricole in rapporto alla loro destinazione in seno agli strumenti urbanistici vigenti. Occorre infatti tenere presente che in tutta Italia gli strumenti urbanistici vigenti hanno fino ad oggi previsto ampliamenti dell'urbanizzato in funzione di scenari di sviluppo economico e demografico largamente eccedenti le verosimili proiezioni, generalmente basandosi sull'assunto che i nuovi bisogni insediativi fossero sempre e comunque corrispondenti ad ampliamenti dell'urbanizzato, considerando il tessuto urbano come 'consolidato' non solo nel suo perimetro ma anche nelle sue funzioni, e trascurando così sistematicamente i vuoti funzionali lasciati alle spalle dai nuovi fronti urbani. Pertanto, la gran parte delle aree considerate “urbanizzabili”, non solo non saranno realisticamente urbanizzate, ma in molti casi risulta opportuno vengano fatte oggetto di revisione, onde verificare se i bisogni insediativi ivi localizzati non possano trovare altra, e più idonea, localizzazione all'interno del perimetro del tessuto urbano consolidato. Inoltre, il concetto di piani urbanistici 'vigenti' senza alcuna indicazione di soglia temporale fa sì che la semplice acquisizione dell'attributo di 'vigenza' di un piano urbanistico, indipendentemente da quando venga approvato, determina il venir meno automatico della attribuzione di area agricola: non è pertanto superflua la specificazione di una 'vigenza' entro l'entrata in vigore della presente legge, o comunque una scadenza temporale adeguatamente ravvicinata. Si richiede in ogni caso di definire le aree agricole in funzione del loro stato di fatto (come già avviene ad esempio nella legislazione della regione Lombardia), includendo anche le aree forestali:

“Ai fini della presente legge costituiscono terreni agricoli tutte le superfici interessate dalla presenza di suoli produttivi o comunque vegetati, coltivati, incolti o forestali, comunque non interessate libere da edificazioni e infrastrutture allo stato di fatto. Sono fatte salve le aree per le quali sono stati rilasciati titoli edilizi alla data di entrata in vigore della presente legge”

Art. 2 commi 1-4 e 9-10 Si riterrebbe molto opportuno, in incipit, introdurre un riconoscimento e una attribuzione valoriale al suolo: il suolo è un bene comune e una risorsa naturale fondamentale della Nazione. La progressiva espansione di aree urbanizzate e di usi del suolo concorrenti con la produzione vegetale determina effetti ambientali estremamente gravi ed una erosione irreversibile delle potenzialità produttive derivanti dalle lavorazioni agricole e forestali dei suoli e delle vegetazioni

La definizione di una soglia massima di superficie agricola 'edificabile' e il meccanismo di applicazione prospettato dalla norma (secondo una logica discendente, dal Governo, alle Regioni, ai Comuni) è una opzione di regolazione del consumo di suolo che non ci sentiamo di condividere stante la definizione di cui al primo articolo. In base alla lettera del testo, essa verrebbe infatti definita per sottrazione rispetto al suolo agricolo residuo alle previsioni urbanistiche vigenti in essere o future: ferma restando la possibilità di edificare per effetto di previsioni urbanistiche vigenti, si tratterebbe di una possibilità ulteriore, attualmente non data, di trasformare aree agricole. La proposta diventa ovviamente interessante se la definizione di area agricola viene modificata e resa aderente all'effettiva consistenza delle superfici agricole, e se la soglia di incremento, coerentemente con lo spirito della iniziativa legislativa, viene definita ad un livello molto inferiore al tasso annuo di variazione registrato negli ultimi decenni con riguardo alla componente 'superfici edificate', tenendo conto del patrimonio edilizio inutilizzato, sotto-utilizzato e recuperabile e se la stessa soglia di incremento ricomprende al suo interno anche le previsioni non attuate degli esistenti strumenti di pianificazione comunale. Preme in questa sede osservare come il meccanismo sotteso alla definizione di una soglia massima prescrittiva, concettualmente semplice, sia invece di attuazione estremamente complessa, in considerazione delle competenze pianificatorie concorrenti di Regioni ed enti locali, e della non­linearità del processo pianificatorio, che notoriamente risponde poco a meccanismi di comando-controllo di natura esclusivamente amministrativa. Inoltre, la distribuzione tra tutti i comuni di quote di territorio agricolo edificabile prefigura una attuazione della norma deresponsabilizzante per l'ente territoriale, che si troverebbe a disporre di una aliquota di superficie edificabile, additiva rispetto a quella derivante dalla propria pianificazione territoriale, in ogni caso utilizzabile a prescindere da appropriate valutazioni di fabbisogno locale, la stessa, per essere ritenuta sostenibile (come prima indicato), non dovrebbe essere additiva, ma comprensiva delle previsioni pianificatorie non ancora attuate. Infine, la definizione di una soglia per l'edificabilità dei terreni agricoli, operativa nel suo recepimento da parte del piano urbanistico comunale, affronta solo una parte del problema del consumo di suolo, che avviene certo per progressione di edificazioni, ma anche per altre trasformazioni (reti infrastrutturali, cave, discariche, cantieri, aree attrezzate, ecc.), gran parte delle quali non dipendenti da potestà decisionali di livello comunale, ma ugualmente meritevoli di adeguata considerazione circa l'effettiva inevitabilità del consumo di suolo che ne deriva. Riteniamo in ogni caso che non si possano a priori prevedere limiti, comunque fissati, all'urbanizzazione di suoli agricoli, se, a monte, non si è censito il fabbisogno effettivo e non lo si è rapportato alle potenzialità di reimpiego di spazi già urbanizzati ma inutilizzati o sotto-utilizzati. Riteniamo pertanto che la presente legge debba prioritariamente imporre il censimento del patrimonio edilizio esistente e le sue potenzialità residue, e solo dopo questa varare specifici provvedimenti che concedano aliquote di nuovo consumo di suolo, demandando alle Regioni le modalità attuative, nonché i compiti di verifica e controllo dell'espletamento degli obblighi di censimento da parte dei singoli Comuni, ma stabilendo in ogni caso, fino all'adempimento di tale verifica, una sospensione dell'efficacia di tutti i piani e varianti per gli ambiti la cui attuazione contempli l’esigenza di nuovi consumi di suolo libero, nonché il divieto di approvarne di nuovi.

A valle del censimento, la quantificazione di fabbisogni che richiedono un consumo di nuovo suolo agricolo deve essere effettuata tenendo conto delle vigenti previsioni di carico insediativo dei piani urbanistici (prevedendo, nel caso che queste siano superiori, una adeguata rimodulazione delle previsioni di crescita).

commi 6-8 La funzione di 'monitorare il consumo di superficie agricola sul territorio nazionale e il mutamento di destinazione d'uso dei terreni agricoli' appare impropriamente attribuita ad un Comitato interministeriale costituito ad hoc, quando invece si tratta di funzione che appare più appropriatamente attribuibile ad una istituzione di studio e statistica territoriale quale, ad esempio, ISTAT, che già opera in questo campo e che il Senato della Repubblica ha recentemente indicato come istituzione di riferimento per il rilevamento e il monitoraggio del consumo di suolo. Quanto si richiede è, piuttosto, che le legende, le scansioni temporali, l'accuratezza e il grado di risoluzione delle misure vengano predeterminati in accordo con i criteri adottati da altre istituzioni e centri studio (ISPRA, JRC, Servizi tecnici delle Regioni, AGEA, CRCS-Politecnico di Milano), già attive in questo campo, onde individuare un protocollo comune di rilevamento e monitoraggio, scalabile fino al livello comunale e coerenziato con i sistemi di misura in essere negli altri Paesi UE. Si richiede inoltre una classificazione nazionale organica e coerente dei suoli agricoli in base alla classe agronomica, adottando per esempio il criterio introdotto in Piemonte da IPLA.

Si propone invece di attribuire a detto comitato la funzione di coordinare e monitorare l'attuazione della strategia nazionale per la riduzione del consumo di suolo, nonché di prevedervi la partecipazione di tre rappresentanti rispettivamente designati dalle organizzazioni agricole, delle associazioni riconosciute di protezione ambientale, delle istituzioni scientifiche

Art. 3 Si propone di prolungare ad almeno 20 anni il divieto di mutamento di destinazione per i terreni che hanno beneficiato di aiuti di Stato e Comunitari relativi alle misure di miglioramento del paesaggio agrario (molte delle quali prevedono interventi di natura agropaesistica e forestale la cui maturità interviene ben oltre i 5 anni dall'impianto).

Al comma 1, si ritiene pertanto più opportuna la seguente definizione:

I terreni agricoli in favore dei quali sono stati erogati aiuti di Stato o aiuti comunitari non possono avere una destinazione diversa da quella agricola per almeno venti anni dall’ultima erogazione salve più restrittive disposizioni esistenti. Fino alla realizzazione dell'intervento edilizio, sui terreni oggetto di trasformazione urbanistica sono comunque consentiti, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti, gli interventi strumentali alla coltivazione del fondo, all’allevamento del bestiame, alla silvicoltura, nonché quelle funzionali alla conduzione dell’impresa agricola e alle attività di trasformazione e commercializzazione dei propri prodotti agricoli.

Art. 4 Si fa presente che relativamente al contributo di costruzione citato al comma 3, il riferimento di legge corretto deve includere anche l'art. 19 del DPR 6 giugno 2001, n 380, per gli edifici non destinati a residenza.

Per le finalità del presente articolo, devono essere destinate ai Comuni specifiche risorse anche per la redazione di piani di recupero, corredati da studi di fattibilità, che prevedono la riqualificazione e rivitalizzazione dei medesimi centri e nuclei abitati.

Art. 5 Il registro dei comuni deve evidenziare pratiche urbanistiche effettivamente virtuose nei confronti della riduzione del consumo di suolo: per questo l'approvazione di strumenti urbanistici privi di ampliamenti di aree edificabili può rappresentare il requisito minimo di ingresso al registro, ma il punteggio di merito comporta ulteriori e più incisive azioni, che vanno dalla riduzione/stralcio degli ambiti edificabili già previsti negli strumenti urbanistici vigenti alla adozione di regolamenti edilizi che prevedano la riduzione dell'impermeabilizzazione, alla attivazione di misure agroambientali compensative delle trasformazioni urbanistiche. I comuni iscritti al registro devono beneficiare di priorità nell'erogazione di trasferimenti per la redazione di piani di recupero dei centri e nuclei abitati, ovvero di accesso a fondi istituiti ad hoc in materia di manutenzione del territorio.

Art. 6 L'articolo è fortemente condiviso nelle sue sottintese finalità, quanto si auspica è senz'altro la soppressione dell'abnorme facoltà concessa ai comuni di distogliere risorse dalla copertura dei costi di interventi di urbanizzazione alla copertura di spese correnti, ripristinando appieno lo spirito della legge 10/1977, art. 12. Nella versione originaria del 1977 (L. 10/1977) tale articolo prevedeva l'"utilizzo per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, per il risanamento dei complessi edilizi nei centri storici, per l'acquisizione di aree da espropriare". La modifica intervenuta nel 1986 (D.L. 318/1986 convertito in L. 488/1986) introduceva l'espressione “nonché nel limite massimo del 30% per le spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale". L'art. 136 del D.P.R. 380/2001 tuttavia ABROGAVA integralmente tale fondamentale articolo. A fronte di quanto testé ricostruito, l'abrogazione della norma citata dal disegno di legge (peraltro trattasi di norma prevista a scadenza il 31.12.2012) non appare sufficiente: tale norma infatti stabilisce unicamente limitazioni alla discrezionalità concessa al comune dal testo unico dell'edilizia per come modificato nel 2001. La abrogazione di tali norme perciò non impedisce al comune di impiegare, anche al 100%, le entrate da oneri ai fini di coperture di spesa corrente. Ciò che è richiesto pertanto, in aggiunta alla abrogazione contemplata dal DdL, è il ripristino del disposto dell'art.12 l.10/1977, nella versione anteriore all'abrogazione intervenuta nel 2001, opportunamente attualizzata. La formulazione aggiornata e corretta che proponiamo è la seguente:

"i proventi derivanti dai titoli abilitativi edilizi e dalle specifiche sanzioni di cui al D.P.R. 380/2001 sono versati in un conto corrente vincolato presso la tesoreria comunale e sono destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria -tra cui le bonifiche ambientali/di aree inquinate e la messa in sicurezza del territorio e delle discariche ­per il risanamento dei complessi edilizi e la riduzione dei rischi (sismici in primis), per l'acquisizione di aree ed immobili da espropriare, nonché, nel limite massimo del 30%, per le spese di manutenzione del patrimonio comunale (tra cui , e nel limite massimo di un ulteriore 20%, per la bonifica ambientale e messa in sicurezza del territorio e delle discariche"

La nostra proposta riprende in altre parole la versione modificata nel 1986 della cd. 'Legge Bucalossi', ma estende le possibilità di utilizzo delle risorse, fermo restando il divieto di utilizzo a copertura delle spese correnti, prevedendo che il risanamento possa essere non solo per i centri storici ma per tutti i complessi edilizi, alla luce delle tantissime aree degradate e/o da bonificare collocate anche in posizioni periferiche, ed inoltre inserendo la possibilità di espropriare anche gli immobili (oltreché le aree). Il mantenimento della facoltà di utilizzo del 30% per la manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio comunale appare opportuno per sanare troppe situazioni di degrado e obsolescenza del patrimonio edilizio comunale, tenuto conto del difficile contesto di trasferimenti di risorse ai comuni a fronte di esigenze impellenti di miglioramento dell’efficienza energetica e di messa in sicurezza statica e sismica. Rispetto all'epoca in cui fu varata la legge 'Bucalossi' inoltre, si vuole prevenire un eccesso di investimenti in nuove opere pubbliche (che anch'esse sovente determinano rilevanti ed evitabili consumi di suolo agricolo), privilegiando invece la manutenzione del patrimonio e del territorio esistente.

Oltre a ciò, riteniamo che si debbano prevedere opportune compensazioni per prevenire uno stato di sofferenza delle risorse finanziarie a comporre il bilancio di parte corrente, fino ad oggi (impropriamente) coperte dall'utilizzo degli oneri. Riteniamo che il recupero di gettito a livello di ente locale possa avvenire attraverso premialità in virtù delle quali, nella misura in cui un dato Comune dimostri di tutelare e valorizzare il suolo agricolo, ad esso derivino precisi ritorni, ad esempio in termini di maggior partecipazione al gettito fiscale derivante da imposte sul reddito, IMU e ex-ICI.

Ci auguriamo che le presenti osservazioni possano essere tenute in considerazione e cogliamo l’occasione per porgere i nostri più cordiali saluti.

Per il Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio

Roberto Burdese, Damiano Di Simine, Alessandro Mortarino

Qui in eddyburg è scaricabile il testo integrale dell'ultima bozza(9.10.2012 del disegno di legge

INFO

Che cos'è il Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio

Il Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio è stato costituito formalmente il 29 Ottobre 2011 a Cassinetta di Lugagnano (Milano). Si tratta di un aggregato di associazioni e cittadini di tutta Italia (sul modello del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua), che, mantenendo le peculiarità di ciascun soggetto aderente, intende perseguire un unico obiettivo: salvare il paesaggio e il territorio italiano dalla deregulation e dal cemento selvaggio. Vi aderiscono attualmente oltre 12.000 persone a titolo individuale e 828 Organizzazioni (84 associazioni nazionali e 744 tra associazioni e comitati locali), tra cui tutte le principali realtà italiane operanti nel campo della salvaguardia del territorio, dell'ambiente, del paesaggio, dei suoli agricoli (l’elenco aggiornato è visibile nel sito Salviamo il paesaggio.

Consumo del suolo, Catania: con ddl approvato in CdM vogliamo cambiare modello di sviluppo del Paese (14/09/2012)

"Grazie alle misure contenute nel disegno di legge contro il consumo del suolo, approvato oggi dal Consiglio dei Ministri, facciamo un decisivo passo in avanti per raggiungere l'obiettivo di limitare la cementificazione sui terreni agricoli, in modo da porre fine a un trend pericoloso per il Paese. Questo provvedimento tocca temi molto sensibili, come l'uso del territorio e la sua corretta gestione, ma coinvolge anche la vita delle imprese agricole e l'aspetto paesaggistico dell'Italia. Riguarda il modello di sviluppo che vogliamo proporre e immaginare per questo Paese, anche negli anni a venire".

Lo ha detto il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania, intervenendo nel corso della conferenza stampa che si è tenuta a Palazzo Chigi - alla presenza del presidente Mario Monti - al termine del Consiglio dei Ministri, durante il quale è stato approvato il disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo.

"Abbiamo introdotto - ha spiegato Catania - un sistema che sostanzialmente prevede di determinare l'estensione massima di superficie agricole edificabile sul territorio nazionale. Questa quota, quindi, viene ripartita tra le Regioni le quali, a caduta, la distribuiscono ai Comuni. In questo modo otterremo un sistema che vincola l'ammontare massimo di terreno agricolo cementificabile distribuendolo armonicamente su tutto il territorio nazionale. Vogliamo - ha aggiunto Catania - interdire i cambiamenti di destinazione d'uso dei terreni che hanno ricevuto i fondi dall'Unione Europea, infatti abbiamo previsto che queste superfici restino vincolate per 5 anni. Inoltre, il provvedimento interviene sul sistema degli oneri di urbanizzazione dei Comuni. Nella normativa attualmente in vigore è previsto che le amministrazioni possono destinare parte dei contributi di costruzione alla copertura delle spese comunali correnti, distogliendoli dalla loro naturale finalità, cioè il finanziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Questo fa sì che si crei una tendenza naturale delle amministrazioni e dei privati a dare il via libera per cementificare nuove aree agricole anche quando è possibile utilizzare strutture già esistenti. Le nuove norme avranno sicuramente un impatto su questo fenomeno".

Di seguito, in sintesi, i punti principali del provvedimento:

1. Vengono definiti "terreni agricoli" tutti quelli che, sulla base degli strumenti urbanistici in vigore, hanno destinazione agricola, indipendentemente dal fatto che vengano utilizzati a questo scopo;

2. Si introduce un meccanismo di identificazione, a livello nazionale, dell'estensione massima di terreni agricoli edificabili (ossia di quei terreni la cui destinazione d'uso può essere modificata dagli strumenti urbanistici). Lo scopo è quello di garantire uno sviluppo equilibrato dell'assetto territoriale e una ripartizione calibrata tra zona suscettibili di utilizzazione agricola e zone edificate/edificabili;

3. Si introduce il divieto di cambiare la destinazione d'uso dei terreni agricoli che hanno usufruito di aiuto di Stato o di aiuti comunitari. Nell'ottica di disincentivare il dissennato consumo di suolo la misura evita che i terreni che hanno usufruito di misure a sostegno dell'attività agricola subiscano un mutamento di destinazione e siano investiti dal processo di urbanizzazione;

4. Viene incentivato il recupero del patrimonio edilizio rurale per favorire l'attività di manutenzione, ristrutturazione e restauro degli edifici esistenti, anziché l'attività di edificazione e costruzione di nuove linee urbane.

5. Si istituisce un registro presso il Ministero delle politiche agricole in cui i Comuni interessati, i cui strumenti urbanistici non prevedono l'aumento di aree edificabili o un aumento inferiore al limite fissato, possono chiedere di essere inseriti.

6. Si abroga la norma che consente che i contributi di costruzione siano parzialmente distolti dalla loro naturale finalità - consistente nel concorrere alle spese per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria - e siano destinati alla copertura delle spese correnti da parte dell'Ente locale.

La Libera Università di donne e uomini si richiama ad Ipazia protagonista di quella rivoluzione scientifica e filosofica che, iniziata nel 200 a.C., ad Alessandria, viene cancellata, con il suo assassinio, dalla violenza del potere nel 415 d.C. La Libera Università intende intrecciare generi e generazioni, culture e saperi in modalità relazionali per dare spazio al dialogo, al confronto, in uno scambio dei ruoli, così da rendere pratica effettiva l'essere-insieme. Si vuole in tal modo creare uno spazio d'incontri, per contrastare la desertificazione culturale e cognitiva dei luoghi tradizionali di trasmissione delle conoscenza, per favorire attivi filoni di ricerca, e contrastare, in generale, quei processi sociali, politici e culturali disgregativi che fanno riemergere la violenza in tutte le sue forme.

Grazie a tutti/e quelli/e che hanno partecipato, in qualsiasi forma, alle giornate sulla "Città reale /Città possibile", tenute al Giardino dei Ciliegi nell'inverno del 2005, contribuendo così, direttamente e indirettamente, a questa carta dei desideri. Un particolare grazie ai colori e ai sogni delle alunne e degli alunni della seconda Media Scuola Città pestalozzi per il loro viaggio nella città di oggi e in quella di domani, che vorremmo all'altezza dei loro sorrisi.

Desideriamo anche esprimere il nostro debito alle/ai molte/i, le cui idee e il cui ricordo – dalla letteratura alla politica, dall'urbanistica alle arti - sono la trama e l'ordito di questo nostro tentativo, anche se le nostre lacune non sono certo a loro imputabili.

Premessa

Oggi, all'inizio del nuovo secolo, la città del welfare, incarnazione di un ideale di governo e progettazione dello spazio urbano volto a produrre integrazione sociale e a scongiurare gli effetti negativi prodotti dalle leggi di mercato, è in crisi. E' stata travolta dalla delocalizzazione, dal ridimensionamento produttivo, dall'evaporarsi delle politiche pubbliche e dalla corsa alle privatizzazioni. Si hanno così diverse conseguenze, fra cui un’accelerata mutazione dell’organizzazione spaziale della città, dove siti industriali e commerciali si svuotano ma sono consegnati nuovamente alla speculazione immobiliare. Le relazioni umane, sociali e culturali si lacerano, mentre sulla base di posizioni ispirate dalla mondializzazione, le città tendono a rap¬portarsi fra loro come imprese private in con¬correnza, favorendo di conseguenza quella politica che considera il progetto, urbano o territoriale che sia, un ostacolo alle op¬portunità da cogliere, e l'edificazione un'esclusiva questione pri¬vata. Tale affermazione in realtà può essere rovesciata: costruire è sempre un atto pubblico, perciò inevitabilmente politico. Proprio per questo la crisi della città – cui le forze del mercato (immobiliare ma non solo) rispondono con nuove cementificazioni, con nuovi insediamenti spesso blindati, sprechi di risorse naturali e soffocamento urbano – può essere affrontata solo a condizione che il potere decisionale torni in mano pubblica.

La crisi della città

La struttura urbanistica delle città italiane arriva al 1860 quasi immutata rispetto alla loro fisionomia rinascimentale e barocca: dopo l’Unità, protagonista d'ogni ampliamento e d'ogni trasformazione è la rendita fondiaria urbana, vale a dire la differenza tra il valore agricolo iniziale e quello assunto dal terreno una volta reso edificabile dal Comune e dotato d'infrastrutture. Da allora la rendita fondiaria è strumento insostituibile di ogni avvenimento urbano, e addirittura ragione d’essere del sorgere di nuovi quartieri, di nuove case. La città realizzata sotto il dominio della rendita, diventa così elemento portante di una sintesi politica, capace di condizionare l'economia, la correttezza amministrativa, il rapporto fra i poteri, l'esercizio effettivo della sovranità popolare.

Infatti, molte delle patologie, di cui soffrono le nostre città, sono dovute alla pressoché perenne e devastante vendita all'incanto dei suoli che ha segnato l'assetto urbano e territoriale del nostro Paese fin dai primi anni dell'Unità politica, dove i pubblici poteri hanno semplicemente accompagnato qualsiasi modernizzazione, rendendo tutto vendibile, prostituendo il territorio e l'ambiente, i luoghi pubblici e le istituzioni (Franco Cassano).

A questa lunga tradizione va aggiunta oggi l'esplosione della crisi ambientale. Le modifiche climatiche, l’effetto serra, il buco dell’ozono, segnalano che la questione è ormai ineludibile poiché il sistema natura mostra evidenti limiti d’autoregolazione a livello globale e locale, con rischio per la salute del singolo e per la stessa sopravvivenza della specie umana. Il nesso tra “stato sociale” e “stato ecologico” dovrebbe risultare ovvio poiché il cittadino/la cittadina in quanto soggetti di diritto alla salute devono poter godere un’aria e un'acqua che non inquinino, mangiare cibi che non avvelenino, avere un lavoro che non faccia morire di cancro. Il diritto alla salute non comporta solo assistenza e terapia, come è noto, ma anche prevenzione e la prima prevenzione è salvaguardare l'ambiente.

Lo sfruttamento dell’uomo sulla natura è un aspetto del più generale sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della conseguente ricerca di una diversa ragione dello sviluppo. Un discorso ecologico cioè non può essere disgiunto da un discorso sociale , e viceversa. Perciò l’innovazione delle procedure urbanistiche va considerata, valutata e giudicata all’interno di un programma sociale centrato su nuove regole di convivenza.

I tessuti urbani del nostro presente globalizzato sono alterati dal declino della grande fabbrica, dalla riduzione sia degli impianti produttivi sia dei lavoratori, e dall'apertura di fabbriche in paesi dal costo del lavoro e protezione sindacale più bassi (delocalizzazione). Come conseguenza, anche per la voluta assenza di politiche pubbliche, si determina una profonda mutazione della città: siti industriali e commerciali si svuotano senza essere tuttavia consegnati nelle mani dei cittadini per diventare luoghi di sviluppo diversi all'interno delle città, accogliendo funzioni di interesse culturale o di altro genere, e supplendo anche alla carenza di edilizia residenziale di tipo popolare, che non necessariamente deve essere rappresentata da casermoni. Sono invece nuovamente ceduti alla sistematica edificazione poiché la crescita economica per molti oggi passa necessariamente attraverso l'apertura della città all'impresa globale.

Essendo la mentalità dominata dalla logica d'impresa, emergono anche nei centri minori sia le regole di gestione ricalcate sul modello aziendale, sia il mito immorale della competizione: le città conducono, infatti, una politica economica senza esclusione di colpi l’una nei confronti dell’altra, offrendo il possibile e l'impossibile alla transnazionale o all'immobiliare di turno, rap¬portandosi così fra loro come aziende private in con¬correnza. In questa realtà fatta di integrale ade¬sione agli interessi economici finanziari e speculativi, l'Ente locale, mentre diventa sempre più liberista sul ter¬reno sociale, è fervente interventista sul piano dell’economia e dei mercati, anche attraverso nuovi Piani regolatori e Piani strutturali, vere e proprie "offerte" al mercato di aree edificabili.

Eppure la città non è solo lo spazio della rappresentazione del denaro, poiché non ospita solo attività economiche ma ben più vaste costellazioni umane. Nella dimensione spazio-temporale le città non sono solo vetro, mattoni e cemento ma carne, sangue, grumi di esistenza, memorie, labirinti di strade e corpi: sono storia. Appena si varca la soglia di casa, andando per la città, in quello spazio sostanzialmente plasmato dal potere e dalla speculazione, s'incontrano corpi ed esistenze, desideri e bisogni che considerano l'economia un semplice mezzo della vita umana e non il suo fine ultimo.

E tuttavia la città è stata sempre piegata alla speculazione edilizia e alla rendita fondiaria; l'urbanistica contrattata favorisce le cordate economico-finanziarie e i condoni; l'espansione della rendita viene sempre pagata dai ceti sociali più sfavoriti e sottrae risorse per impieghi produttivi; i piani per l'edilizia economica e popolare sono ormai archeologia e gli Istituti delle case popolari non sono più titolari di politiche e di finanziamenti ad hoc. Inoltre alla “rendita assoluta” della fase espansiva a macchia d’olio si è aggiunta la “rendita differenziale” (o "relativa") che agisce su ogni singolo terreno o unità immobiliare, secondo l'ubicazione e/o in base al prestigio percepito. Infine va considerato che la valorizzazione fondiaria viene determinata dallo sviluppo generale della città ed è quindi una ricchezza collettiva di cui s'impossessa il solo proprietario.

Per tutte queste ragioni riteniamo che la generalizzata domanda di servizi collettivi e di trasformazioni ambientali, sia riassumibile nella più generale questione della qualità della vita, dove il problema ambientale confluisce. Se lo spreco di energia è grave, lo spreco di spazio lo è altrettanto in quanto la quantità di territorio disponibile è un bene limitato e irriproducibile. Dobbiamo convincerci che la rigorosa tutela della natura è garanzia di progresso sociale ed economico; che i vincoli sono un essenziale servizio pubblico; che la salvaguardia dei valori paesistici, culturali e l’uso parsimonioso del territorio, sono una priorità assoluta, alla quale va subordinata qualsiasi ipotesi di trasformazione.

Pianificare per ricostruire società

In Italia il dominio della rendita fondiaria ha comportato la rinuncia da parte di molti ceti politici agli obiettivi di pianificazione democratica. Questo dipende dal fatto che un piano vieta, almeno in linea di principio, mediazioni, eccezioni, modifiche continue fino allo stravolgimento, appoggi clientelari, deroghe, abusivismi . Se poi il Piano, oltre che avere una sua correttezza tecnico-scientifica, fosse anche aperto alla corresponsabilità attuativa e gestionale delle/dei cittadine/i, difficilmente si potrebbe attuare uno sfruttamento personale su quel bene collettivo che è una città. Si comprende facilmente, allora perché i piani siano stati visti da un lato come il "libro dei sogni", e, dall'altro come siano stati bruciati a favore della contrattazione caso per caso.

La ragione dello scadimento culturale e politico della materia urbanistica e architettonica sta essenzialmente nel fatto che, anche dentro la sinistra, neoliberismo, deregolamentazione e privatizzazione ad oltranza hanno messo radici. L'urbanistica guidata dal piano regolatore, nonostante la complessità delle sue regole, fornisce un sistema di garanzie, ma è stata progressivamente sostituita dalla discrezionalità cioè dalla contrattazione con la proprietà immobiliare che fa evaporare la pianificazione territoriale. Capofila di questa tendenza è il Comune di Milano dove, al di là della terminologia tecnico-giuridica adottata, i progetti e i programmi pubblici e privati non sono tenuti ad uniformarsi alle prescrizioni del piano regolatore, ma, al contrario, è il piano regolatore che si deve adeguare ai progetti, trasformandosi in una specie di ufficio del catasto che registra le trasformazioni edilizie contrattate e concordate (Vezio De Lucia).

Sostenuta in particolare dal mondo accademico, questa modalità si è affermata in larga parte d'Italia. Senza voler assumere l'ordinamento urbanistico tradizionale come se fosse un valore in sé, poiché il PRG è uno strumento molto spesso utilizzato con procedure oggettivamente indifendibili e presenta delle indubbie rigidità, tuttavia va evidenziato come l'urbanistica contrattata faccia prevalere l'interesse privato su quello pubblico. Questa si manifesta ogni volta che l'iniziativa sull'assetto del territorio è presa per la pressione diretta o con il decisivo condizionamento di chi detiene il possesso dei beni immobiliari, quando insomma comanda la proprietà e non il Comune (Salzano).

Il piano regolatore è stato fino ad ora uno strumento di tutela ma anche, come si è accennato, uno strumento rigido ed immobile. In particolare non rispecchia le caratteristiche dinamiche del territorio, se con questa parola non intendiamo solo un'unità spaziale ma un risultato complesso di fattori culturali, sociali ed economici; tutti fattori dipendenti in sostanza dalla popolazione che lo abita, la quale si modifica nel tempo, non solo in termini numerici, ma soprattutto in termini di distribuzione qualitativa. Inoltre è uno strumento di contrattazione individuale che prevede solo le "osservazioni", per di più a posteriori: il Comune apre di fatto una "trattativa privata" che mette il cittadino di fronte alla possibilità di contrattare unicamente sul singolo appezzamento o su ciò che lo riguarda molto da vicino. Questo fa sì che emergano solo interessi particolari e bisogni individuali (dei piccoli proprietari come dei grandi) ai quali l'amministrazione pubblica, al massimo, può contrapporre od imporre delle motivazioni di "utilità collettiva". Ma la verità è che, non presentando alcuna fase procedurale durante la quale chiamare i singoli a ragionare come comunità sullo sviluppo complessivo del loro territori, non permette agli interessi individuali di maturare, attraverso il confronto, il dialogo, l'informazione e di comporsi in un disegno comune che arriverebbe così a rispecchiare, senza doverlo imporre, una "Città come Bene Comune". Infine è uno strumento non in grado di correggersi per come è stato concepito. E' così in contrasto con il concetto stesso di sviluppo sostenibile, che prevede sì che le scelte iniziali debbano essere chiare, i principi condivisi e gli obiettivi rispettati, ma anche che i processi debbano essere flessibili ed in grado di assorbire nuove informazioni man mano che la situazione si sviluppa: è il concetto di feedback, particolarmente interessante nei processi di progettazione urbana sostenibile, perché prende atto del fatto che le condizioni possano variare in corso di realizzazione, e che vadano continuamente monitorate per trovare soluzioni senza però compromettere scelte, principi, obiettivi.

Nonostante questi limiti del Piano Regolatore, non ci separiamo dall'idea della centralità della pianificazione territoriale che possiamo ben dire decisiva affinché il "fare città" sia nelle mani dei/delle cittadini/e.

Di fronte alle idee dominanti dello sfruttamento (territorio come serbatoio di risorse) e della competitività (territorio come merce), la pianificazione del territorio perciò deve tornare ad incidere nella riproduzione dei cosiddetti «valori d'uso», per avviare forme e pratiche di «fare società» e riportare il confronto politico al centro di una necessaria ricomposizione di un collettivo sociale. Occorre dunque pensare ad un "processo di pianificazione ambientale" che "per la sue caratteristiche di continuità, autocorrezione, e adattabilità, diventi una funzione permanente del territorio. Si va progressivamente affermando il piano-processo, che trova la sua forza nella capacità di adattamento ai mutamenti continui di una realtà complessa ed in continua evoluzione» (Fernando Clemente). Di fronte al caos della città contemporanea - che non è una fatalità naturale, ma l'effetto di politiche diverse, tutte comunque indirizzate verso una identica azione di utilizzo dello spazio urbano – occorre parlare di urbanizzazione capitalistica. Non significa voler apporre un'etichetta per dar vita ad un affresco immobile e astratto, anzi è voler fare emergere dal territorio analizzato – al quale non si può guardare come fosse una cartolina - relazioni sociali e rapporti di produzione, perché il territorio stesso è soggetto e prodotto del processo di produzione: un processo costituito da divisione sociale del lavoro, da accumulazioni, da rapporti e, soprattutto, da «risorse» o meglio da «valori d'uso», che sono allo stesso tempo «oggetti materiali» e fattori della produzione di città (trasporti, spazi pubblici, scuole, strade, rete idrica, gas, elettricità, telecomunicazioni, servizi e attrezzature in genere, ecc. ).

Appare pertanto ancora oggi un valido punto di partenza considerare l'urbanizzazione capitalistica come una «molteplicità di processi capitalistici privati, di appropriazione dello spazio, dove ciascuno di tali processi è determinato dai singoli rapporti di produzione, cioè dalle regole di valorizzazione di ciascun capitale o frazione di capitale» (Edmond Préteceille). All'interno di questo processo la proprietà fondiaria e immobiliare è riuscita a superare il problema dell'appropriazione dello spazio, andando, tra l'altro, ad intervenire pesantemente proprio sulla natura della pianificazione urbana, svilendone i presupposti e depotenziandone le capacità, per avere più facile gioco nel controllo della produzione di quei «valori d'uso» necessari all'appropriazione dello spazio, e alla destinazione dei suoli.

Essendo la città uno spazio dove i problemi privati si connettono a quelli pubblici, riteniamo che nella pianificazione della città e del territorio debba prevalere una visione non tecnocratica ma attenta alle differenze qualitative dei luoghi e dei soggetti, a partire da quelli meno tutelati nelle loro concrete esigenze. Aprire il piano regolatore all'immenso arcipelago complesso dei corpi che abitano lo spazio, vuol dire intrecciare il Piano urbanistico con quello che Silvia Macchi chiama "un piano regolatore sociale", per poter pensare la città insieme ai soggetti reali che la vivono. Per tornare a vedere la policromia umana, è tuttavia preliminare prendere le distanze da qualsiasi automatismo tra crescita economica e qualità della vita, rovesciando la priorità delle leggi economiche in priorità delle persone e dell'ambiente. Per queste ragioni la pianificazione non può esprimersi nell'unica forma del piano urbanistico, ma deve tenere conto della necessità di una interazione tra tutti i soggetti sociali, e della pluralità di esigenze, obiettivi, percorsi e sbocchi. In questo senso il governo locale deve operare per una connessione tra pianificazione urbana e dinamiche sociali e politiche più complessive.

Questo approccio relazionale alla pianificazione, crea le condizioni – in un confronto fra tutti gli attori sociali – per riappropriarsi del territorio, attraverso la pianificazione come processo finalizzato al «fare società», il contrario dell'urbanistica contrattata. Il progetto, infatti, come scrive Dematteis, è una sfera spazio-temporale che mette in relazione i soggetti nelle più diverse accezioni: la razionalità, i desideri, i sentimenti, le passioni, le abilità, la memoria, la creatività. Il progetto della città e del territorio è un progetto collettivo, ossia è un processo di interazione sociale, è una emergenza dell'essere-insieme, è un progetto di società, un progetto politico e culturale.

Il concetto di territorio non serve solo per circoscrivere un'area più o meno omogenea con al centro la città, ma rappresenta la materialità dei 'luoghi' attraverso cui passa la costruzione di una società: rapporti, relazioni, rappresentazioni. Ecco perché un progetto di città è un progetto di territorio e viceversa; ecco perché gli esiti dell'interazione progettuale non riguardano solo le modalità di sviluppo e di organizzazione del territorio, ma le prospettive di costruzione e di 'fare società'. Il territorio infatti è una rete di soggetti politici e sociali, ossia di soggetti progettuali. Il progetto della città è un processo creativo che richiama l'attenzione sull'articolazione e sulla ricchezza della realtà, dello spazio, delle relazioni sociali: esperienze, memorie, emozioni che costruiscono una 'identità relazionale', mutante, plurale in continuo confronto/conflitto con ogni altra identità. Vedere la struttura sociale come sistema stratificato e intrecciato di relazioni è il punto di partenza e di arrivo per una pianificazione come funzione permanente del territorio e come interazione sociale fra tutti i soggetti che vi agiscono. Con questa diversa prospettiva il territorio può tornare ad essere il 'luogo' della ricostituzione del tessuto sociale.

Pertanto il piano deve riportare alla luce quella incorporazione sociale e culturale propria del territorio. Ma per poter fare questo occorre prima di tutto svelare il gigantesco processo di funzionalizzazione del territorio alla competizione globale. Il sistema produttivo è passato da una strutturazione centrata sulla fabbrica, luogo unico della produzione, alla sua dilatazione nel territorio, al punto che l'intero complesso territoriale è diventato luogo di produzione. Perciò Bonomi parla di "territorio come fabbrica" in quanto si è affermata la competizione tra sistemi territoriali, e le nuove configurazioni del territorio sono dettate dai sistemi di scambi produttivi. Ecco perché il territorio è diventato una merce e perché all'interno di questa logica, sul territorio finiscono per prevalere in maniera esclusiva le reti dei soggetti e dei luoghi funzionali alla produzione. Lo scollamento tra il territorio con una sua consistenza fisica, ambientale, culturale, storica, e il territorio come sola rete dei luoghi della produzione competitiva, è a questo punto completo.

Un diverso modo di pensare e vivere lo spazio urbano, rispetto a quello della città come mercato e del territorio come merce, dipende da tutti coloro che abitano, utilizzano e percorrono la città stabilmente e occasionalmente. I tempi e gli spazi della città influiscono sulla vita di tutti, sulla quotidianità e sulla materialità ed ecco perché devono essere i cittadini nel loro complesso i soggetti della pianificazione: una pianificazione plurale e diffusa nel senso della interazione fra diversità. In altri termini la pianificazione è necessaria perché deve regolare ed esaltare le diversità esistenti, non annullarle in un indistinto partecipato (come nel mercato), bensì dare forma ad una eguale partecipazione per costruire un progetto di società da rinnovare continuamente nella sua attuazione. L'obiettivo finale dell'interazione progettuale non è così né un compromesso, né una combinazione di interessi, ma una riflessione critica in divenire, un'attività elaborativa di riflessione sul modello di sviluppo, sui mutamenti in corso, sulle dinamiche sociali e culturali e sui «futuri della città».

Il piano diventa così il prodotto di una pianificazione capace progressivamente di ripensare se stessa perché non causa ed effetto di una proceduralizzazione amministrativa (il piano come regolazione e mediazione tra poteri e interessi), bensì capace di spostare l'attenzione sul carattere dei processi e sui soggetti che vi partecipano. Ecco che allora il piano diventa l'occasione per ricostruire un tessuto sociale attraverso l'interazione di tutti i soggetti, insieme alle istituzioni, recuperando il significato perduto della politica come relazione, confronto, conflitto. Così facendo il piano diventa un momento della pianificazione stessa come interazione sociale di tutti i soggetti che agiscono sul territorio e non solo del tecnico, dell'amministratore e dell'immobiliarista: al centro non vi sono più solo gli strumenti, ma le problematiche dello sviluppo e dell'ambiente, l'azione e le politiche dei soggetti coinvolti.

In questa prospettiva non è più il piano in sé ad essere oggetto di elaborazione, ma è il territorio stesso tramite e attraverso i soggetti che vi abitano e interagiscono. Il piano diviene così un momento del complessivo processo di pianificazione, un momento di formalizzazione del processo (progressivo e continuo) di riappropriazione culturale del territorio.

E' questo il tratto distintivo dello «sviluppo locale», che attiva un processo di responsabilizzazione collettiva del proprio patrimonio a sostegno della qualità del vivere (presente e futura), autodeterminazione del proprio modello di sviluppo, costruzione di reti sociali e produttive in grado di organizzarsi e relazionarsi criticamente e in autonomia con le reti globali.

I concetti di qualità urbana, di sviluppo sostenibile, di ecologia della vita quotidiana sono ovunque sempre più annunciati ma raramente tradotti in coerente azione pubblica. La qualità urbana è qualità d'insieme e non la si raggiunge se non si tenta di governare insieme le diverse parti che compongono la città e i suoi diversi aspetti: da quelli formali a quelli funzionali. E' per questo che la qualità è raggiungibile solo mediante la tecnica della pianificazione urbanistica: una tecnica, un metodo, una procedura che considerando il territorio urbanizzato come un sistema, vuole governare le trasformazioni valutando gli effetti che ogni intervento esercita sull'insieme. Perciò l'urbanistica contrattata è l'elusione della pianificazione. Se gli amministratori cercano oggi la scorciatoia dell'intesa con la proprietà è spesso perché non prendono in considerazione la possibilità di regole nuove e più efficaci anche perché l'impegno rigoroso e costante, necessario per costruire una politica della pianificazione, paga meno e meno rapidamente dell'accordo raggiunto con un potentato economico. Si tratta comunque di un atteggiamento che non solo rende gli amministratori esposti al sospetto e al rischio della corruzione ma li rende rinunciatari rispetto ai reali interessi collettivi di qualità e funzionalità urbana.

Non basta però limitarsi a denunciare un simile atteggiamento. Occorre invece riflettere sulle sue cause. E allora appare evidente che esso è in primo luogo l'effetto di quella decennale deregolamentazione urbanistica promossa dallo schieramento moderato ma tollerata dalla sinistra che ha contrassegnato il decennio trascorso: una campagna che mentre screditava la pianificazione alla quale si arrivava ad imputare anche l'abusivismo edilizio ("abusivismo di necessità"), tendeva a spegnere ogni tensione per una riforma legislativa. E' un atteggiamento che oggi può essere superato solo con un costante impegno politico e culturale che sappia intrecciare la ripresa dell'iniziativa legislativa con le concrete vertenze ed esperienze locali. Sul primo terreno d'impegno, la sinistra può essere determinante per sbloccare finalmente la decennale vicenda degli espropri e dei vincoli urbanistici e per dare all'Italia una legge moderna sul regime delle aree e degli edifici; sul secondo terreno delle mille realtà locali, si misura la capacità della sinistra di fornire risposte adeguate alla crisi delle città, una crisi che è il prodotto di errori culturali e politici, di pigre miopie e di fughe dalla corposità degli interessi (Salsano).

Nelle decine di documenti che formano il nuovo strumento urbanistico di Roma e di Firenze, ad esempio, non c'è nessuna traccia di elaborazione sul consumo del suolo e sui metodi per fermarlo. Anzi è la stessa logica del piano che alimenta il consumo di suolo, poiché il meccanismo di produzione dei beni pubblici (verde, scuole, parcheggi, attrezzature) dipende dall'edificazione privata. Ed è anche evidente l'assenza di indirizzi in materia di politica abitativa, in particolare rispetto alla "domanda povera" (sfrattati, immigrati, senza fissa dimora, nomadi, ecc.) e di quella in ogni caso non opulenta. Un PRG non può certo risolvere tutti i problemi. Infatti se da oltre un decennio assistiamo alla cancellazione del concetto stesso di edilizia pubblica, non è certo l'urbanistica che può invertire questa deriva. Per questo servirebbe una politica che abbia a cuore il destino di tutti coloro che non hanno la capacità di accedere al mitico mercato.

A Firenze e a Roma, mancando questa impostazione, la cosiddetta crescita economica si traduce ineluttabilmente in crescita edilizia e le nuove cubature diventano merce di scambio tra operatori economici e amministrazione cittadina, ma nessuna "compensazione" potrà mai restituire gli spazi aperti e gli orizzonti liberi cancellati dall'edificazione. La mancanza di risorse fornisce il pretesto per ulteriori anche se inedite agevolazioni agli operatori immobiliari e alla speculazione fondiaria: il Comune rende edificabile un suolo, l'immobiliarista cede qualche alloggio per l'emergenza abitativa, non importa dove, non importa come.

L'impegno dev’essere dunque quello di dotare finalmente l’Italia della fondamentale legge che consenta di sottrarre alla taglia della rendita fondiaria terreni e immobili, separando il diritto di proprietà da quello di costruzione e la riaffermazione della politica di piano. Del resto il recupero della pianificazione dovrebbe essere il fulcro di una nuova politica amministrativa, per due ragioni: a) restituire certezza di diritto a tutti gli operatori, indipendentemente dai legami che si costruiscono, di volta in volta, con gli amministratori; b)avere lo strumento indispensabile per governare il territorio anche con risorse scarse.

Proposte

PRIMA PROPOSTA: IL PIANO METROPOLITANO?

Mentre bisognerebbe ripristinare e ampliare l'indipendenza dei comuni minori per valorizzare pienamente la loro specificità collettiva, si tratta di dare alle grandi città l'assetto metropolitano richiesto da quella macchia edificata continua, chiamata "città dispersa". Ciò non attraverso una procedura unificata ma secondo modelli istituzionali pensati a misura di ciascuna area, poiché ogni città è un caso a sé. Il Piano della città metropolitana sarebbe necessario non solo per ragioni di unitarietà del sistema ecologico e ambientale, ma principalmente perché tende a consolidarsi un vasto bacino di pendolarità determinato dal trasferimento di nuclei familiari, da trasformazioni dei modi di produrre e da processi di terziarizzazione, che superano i cristallizzati confini comunali.

Nel 2005, per la prima volta nella storia del pianeta, gli abitanti delle città hanno superato quelli delle campagne (dati ONU), causa ed effetto di quella uscita da un sistema produttivo manifatturiero e della maturazione del processo di mondializzazione economica secondo regole capitalistiche neoliberiste, che produce il proprio territorio e ambiente, e costruisce le proprie forme di territorialità, producendo un modello di città del tutto inedito.

La globalizzazione economica neoliberista ha fatto saltare i confini, facendo perdere di senso qualunque divisione amministrativa. La delocalizzazione dei comparti produttivi e la deterritorializzazione delle categorie di spazio e tempo sono le pesanti ricadute sulle città, poiché segnano il passaggio da una spazialità organizzata sulla centralità del 'luogo', ad una spazialità «di flusso» in cui lo spazio è oggetto continuamente ridefinito (Manuel Castells).

Il nuovo assetto urbano si sta caratterizzando per un accresciuta valenza delle grandi città e delle aree regionali, e per l'apertura di una fase di competizione diretta tra sistemi urbani. L'idea di innescare una competitività fra aree urbane mentre non ha sortito effetto alcuno sul miglioramento della qualità della vita e della qualità ambientale, è stata semmai funzionale a modellare la distribuzione della popolazione e delle attività economiche, sulla base di cointeressi (cordate, gruppi, centri) prevalentemente economici e di potere, che hanno piegato e cooptato la struttura istituzionale locale per intensificare lo sfruttamento del territorio e perseguire i propri interessi. Dunque i processi, le trasformazioni del capitalismo su scala mondiale non riguardano esclusivamente la sfera dell'economia, ma hanno pesanti ricadute sulla forma fisica, sulla struttura sociale delle città e sugli aspetti sociali del vivere quotidiano. Occorre pertanto partire dal riconoscere che i collegamenti tra la deriva mondiale dell'economia e i cambiamenti della struttura sociale e dei sistemi urbani sono il fenomeno centrale dell'epoca contemporanea.

La prima e più evidente trasformazione è la formazione e la crescita di strutture urbane metropolitane, che non possono più essere definite da rigidi confini amministrativi o da omogeneità morfologiche, in quanto emergono nuove categorie a stabilire le grandi conurbazioni contemporanee. (ad esempio la mobilità, la capacità di consumo, ecc.). Alla città tradizionale si sta sovrapponendo - ma non sostituendo - una nuova morfologia dettata dalle ragioni del consumo, dalla flessibilità e precarietà del lavoro, da una diversa organizzazione spazio-temporale del quotidiano. Comuni, Provincie e Regioni invece sono unità territoriali costruite per un sistema territoriale completamente diverso dai processi in atto. Inoltre, di fronte a tali cambiamenti, anche l'apparato concettuale e conoscitivo è divenuto ormai inadatto, e deve essere rimodellato e sottoposto a profonda revisione sulla base delle nuove mappe sociali che si stanno configurando.

La legge 142/90 Riforma dell'ordinamento degli enti locali - che ha riorganizzato amministrativamente il territorio - ha tentato di introdurre il concetto di «città metropolitana». Tale legge, pur presentando al suo interno contraddizioni e incertezze, e nonostante sia rimasta praticamente inapplicata, andava a cogliere uno degli elementi centrali di questa profonda trasformazione della forma urbana, che per intensità e diffusione ricorda il passaggio dalla città medievale a quella industriale del Settecento.

Il nuovo «sistema urbano policentrico», o «città a rete» - per riportare due tra le più diffuse espressioni - crea una complessità morfologica, normativa e analitica, ossia la convivenza di sistemi urbani crea problemi di certezza amministrativa e di rappresentanza politica affrontabili solo nell'ambito di una pianificazione che, partendo dalle dinamiche sul territorio, dia senso e voce al territorio stesso.

Oggi la città diventata metropoli, non è più il luogo della produzione, ma quello della distribuzione e del consumo di merci e servizi: magazzino di attività amministrative e di cultura mercificata. Il territorio perde così ogni possibile significato autonomo e diviene anch'esso merce a disposizione della metropoli. In una struttura sociale urbana basata sul profitto e sul consumo a dimensione globale, non si può non partire che dal mettere in discussione tale modo di sviluppo e cominciare ad intervenire nella società, per ricreare luoghi e tempi delle relazioni; e l'unica strada percorribile è la via della pianificazione, della progettazione plurale e collettiva per una riappropriazione del tessuto urbano da parte dei/delle cittadini/e. Una pianificazione che non può che essere a scala metropolitana, aperta e multidimensionale, nel senso che riesca a cogliere e tenere insieme le correlazioni, le interazioni di tutti i soggetti attivi nel territorio (Carlo Doglio). Programmare pluralmente il futuro della città significa programmare il futuro dell'intera comunità che in essa vive, lavora e si riproduce; e regolare la città come luogo di queste relazioni significa irrompere nei tessuti urbani del nostro presente globalizzato. Qui sta la dimensione plurale e metropolitana di un ripensare criticamente e continuamente i confini codificati, per la costruzione di nuove forme di territorialità.

SECONDA PROPOSTA: SEPARARE IL PROFITTO EDILIZIO DALLA RENDITA SUL SUOLO ATTRAVERSO L'ACQUISTO PUBBLICO TEMPORANEO DELLE AREE DA TRASFORMARE.

C'è un modo tradizionale che assegna all'amministrazione pubblica il compito di stabilire le regole per gli interventi altrui, e di gestire in proprio una parte minore del suolo, come le vie di comunicazione e gli impianti necessari a disimpegnare i terreni privati. I difetti di questo metodo – lo squilibrio finanziario derivante dalle spese pubbliche a fondo perduto che valorizzano i terreni privati – emergono già a cavallo dell'800/900, e conducono a un secondo metodo, che assegna all'amministrazione pubblica il compito di acquisire temporaneamente i terreni da trasformare, corredarli delle opere pubbliche e rivenderli in pareggio economico ai vari operatori pubblici e privati.

Olanda, Paesi Scandinavi, Gran Bretagna hanno applicato su larga scala questo secondo metodo, soprattutto nel secondo dopoguerra, per eliminare il sovrapprezzo speculativo sulla casa e rendere progettabile il nuovo paesaggio costruito. Si è cioè compresa la necessità di accompagnare il piano regolatore con strumenti che rendono possibile una politica non soggetta al ricatto della proprietà fondiaria e quindi finalizzata all'acquisizione preventiva delle aree da urbanizzare (Salzano). In Italia invece non si è riconosciuto il ruolo dell'intervento fondiario pubblico al fine di separare il profitto edilizio dalla rendita sul suolo e si è accantonato definitivamente ogni idea di riforma organica della legge urbanistica del 1942. Pertanto nel nostro paese il saggio della rendita ricavata dalla compravendita delle aree può crescere indefinitamente, incidendo sul prezzo dell'alloggio in misura del 50%, 100%, il 200% e anche più. Questa tacita decisione ha escluso ogni ipotesi di acquisto pubblico preventivo dei terreni; ha lasciato crescere il prezzo delle case in vendita e in affitto; ha lasciato divergere domanda e offerta per cui oggi abbiamo una percentuale eccessiva di alloggi vuoti e contemporaneamente l'emergenza sfratti; ha determinato la costruzione di immense periferie disordinate; la cementificazione delle coste, la distruzione del paesaggio; ha consolidato l'ingerenza degli interessi fondiari nella formazione delle regole urbanistiche; ha reso difficilissima e persino impraticabile la formazione dei PRG lasciando quasi tutte le città italiane fino agli anni '60 senza piani aggiornati.

Qual è il problema? Non osando agire sulla causa si hanno alcuni esiti micidiali: l'Italia, pur avendo un patrimonio edilizio di stanze per abitante fra i più alti del mondo è in continua emergenza sfratti; gli affitti (mercato quasi interamente privato e anche quando è pubblico osserva le stesse regole) e i prezzi delle abitazioni sono tali che non solo la casa è fuori dalla portata di vaste masse di cittadini ormai sulla soglia della povertà, ma si è avuto un generale pesante aggravio per i bilanci familiari: mentre nel 1980 la spesa per l’abitazione non superava il 10% del reddito familiare, nel 1998 incideva per il 25%. Infine si è costruito un patrimonio di case pagate col denaro pubblico che, pur essendo quantitativamente insufficiente (sotto il 10%), viene oggi donato agli immobiliaristi. A ciò va aggiunta la decisione rovinosa della legge del dicembre del 1993 che, nella logica delle privatizzazioni, prescrive agli enti pubblici di vendere la metà delle case in loro proprietà. Si tratta quindi di una strategia in difesa del mercato immobiliare che spiega anche i continui conflitti fra politica edilizia e urbanistica.

Per impostare la politica nazionale delle aree fabbricabili basterebbe l'acquisto dei terreni da trasformare da parte delle amministrazioni comunali, e da inserire nel ciclo dell'urbanizzazione pubblica preventiva in pareggio economico (Benevolo). Per questo ciclo non occorrono finanziamenti ma anticipi di cassa, che i Comuni, le Regioni, lo Stato possono erogare per le vie consuete.

Le esigenze pubbliche chiedono che i nuovi quartieri nascano armoniosi, che si raggiunga un equilibrio tra la superficie destinata agli spazi liberi e quella per le costruzioni; tra la superficie destinata ai parchi ed ai giardini pubblici e quella per le strade e le piazze; tra l'edilizia popolare e quella di lusso. Le esigenze private si possono invece sintetizzare nella corsa di ogni proprietario di suolo a guadagnare il massimo di soldi dalla utilizzazione intensiva del proprio terreno, e nella tendenza delle società immobiliari a sostituirsi ai primitivi proprietari ponendo in essere tutti i possibili accorgimenti pur di valorizzare i metri quadrati posseduti.

Soltanto una legge che preveda l'acquisto obbligatorio e totale delle aree e delle zone di espansione a favore del Comune, come fase intermedia che precede l'urbanizzazione delle zone stesse, e che prelude alla cessione di un'aliquota delle aree ai cittadini per l'edilizia privata, può impedire che si perpetui la gara di corruzione e di favoritismi che accompagna fatalmente la redazione, l'adozione, l'approvazione e persino la pubblicazione e l'esecuzione dei piani regolatori. Questa pratica porrebbe tutti i proprietari in condizione di uguaglianza poiché i proprietari il cui suolo sarà destinato alla costruzione di una strada o di una scuola saranno trattati, quanto ad indennizzo, allo stesso modo.

Collocando l'intervento pubblico nel campo della manovra fondiaria – il che costituirebbe un ribaltamento della situazione - attraverso la fornitura di aree fabbricabili pubbliche in pareggio economico, si avrebbe il controllo della produzione edilizia; si libererebbe il mercato edilizio dalla speculazione fondiaria; si consentirebbe un controllo generale sull'assetto del territorio da parte delle comunità locali. Inoltre l'uguaglianza effettiva tra i proprietari renderebbe possibile l'attuazione più veloce dei piani regolatori, poiché verrebbero meno le lotte di interessi che si scatenano in regime privatistico di utilizzazione di aree fabbricabili. Sarebbe inoltre più facile anteporre agli interessi dei singoli gli interessi generali della città, in quanto la pianificazione urbanistica diventa pressoché impossibile quando chi dovrebbe pianificare deve lottare con centinaia di piccoli, medi e grandi proprietari terrieri che desiderano lo sfruttamento dei terreni e si pongono in netto antagonismo con i cittadini desiderosi di maggiori spazi con riduzione al massimo della densità fabbricativa. Lo scopo non è di punire o sanzionare i proprietari terrieri, quanto di impedire che l'ansia di speculare sulle aree fabbricabili condizioni l'evoluzione delle città.

Il secondo problema è come smaltire gli effetti di 50 anni di malaurbanistica. Dal dopoguerra si sono costruiti sui suoli privati, solo nell'edilizia residenziale, circa 10 miliardi di metri cubi (calcoli 1995), che al costo del 1995 di 400.000 lire al metro cubo sono costati circa 4 milioni di miliardi e hanno fatto lievitare il valore dei terreni urbanizzati fino a una cifra pressappoco equivalente. Questa somma, prelevata agli acquirenti delle case, è stata incamerata dai mercanti di aree. E' mancato invece il finanziamento delle opere pubbliche, dei servizi e degli standard urbanistici (al contempo una conquista epocale e un diritto alla vivibilità garantito a tutti i cittadini indipendentemente dal tipo di casa che si potevano comprare o abitare), che sono rimasti in buona parte ineseguiti.

Gli standard minimi obbligatori sono stati introdotti per la prima volta nel nostro Paese con la legge 765/1967 al fine di rispondere alle esigenze dei cittadini non solo in materia di abitazione, ma anche di qualità della vita. In molti paesi europei non si è verificata tale necessità poiché è inconcepibile edificare in una città senza pensare prima agli spazi pubblici e ai servizi. In Italia invece la costruzione del progetto di una città parte dagli spazi da destinare all’edilizia privata, lasciando quelli residui alle funzioni pubbliche. E' significativo che alcune città arrivano a far rientrare all’interno del computo per gli spazi pubblici le rotonde e gli sparti traffico. Da questa cattiva gestione dello spazio pubblico (non solo piazze e parchi, ma anche ospedali, centri sociali, asili, scuole, ecc.) deriva l’idea che le esigenze dei cittadini si risolvano attraverso una semplice operazione matematica mq/abitante, senza considerare la reale qualità di questi metri quadri (quasi sempre il minimo previsto dalla legge) e la relativa accessibilità e fruibilità. Il posizionamento di queste attrezzature deve avvenire infatti in un modo funzionale, e cioè in un modo che ne garantisca il reale utilizzo. E' quindi necessaria una riflessione sugli standard urbanistici, non per annullarli ma per renderli strumenti efficaci nella pianificazione, facendo coesistere qualità, quantità ed accessibilità reale nella loro progettazione.

Gli ambienti urbani indicano un cronicizzarsi di una condizione segnata da una crescente divisione sociale e dalla povertà . Il nodo della questione risiede nei processi economici generali che producono disuguaglianza, disoccupazione e precarizzazione del lavoro, in un quadro generale reso ancora più aspro dalla crescente discriminazione etnica e socio-spaziale, per cui nuove frontiere interne si creano nelle città: barriere non solo urbanistiche, ma anche psicologiche e culturali

Esistono quindi nelle diverse e disastrate periferie, condizioni di vita pessima e sacche di degrado e infelicità, un enorme arretrato di infrastrutture e servizi che dovrebbe essere colmato. Nei quartieri periferici per aprire una piazza, un centro culturale, un teatro ci vogliono anni e anni di battaglie, e altrettanti ce ne vogliono per trovare le risorse e superare le resistenze mascherate da burocrazia.

Mentre i fatti dicono inequivocabilmente che per le periferie non c'è mai una lira, occorre al contrario riportare l'ambiente residenziale a forma insediativa e qualità architettonica accettabili, mettendo in atto un intervento straordinario delle Regioni e dello Stato. Si potrebbe pensare a un piano pluriennale finalizzato all'adeguamento dei servizi e alla ricostruzione di reti di protezione sociale rispondendo così ad una fortissima domanda popolare al di fuori della retorica dell'ideologia della sicurezza. Infatti, le periferie disordinate e ossessive, realizzate nel corso di 50 anni, sono il luogo di residenza ormai consolidato della maggior parte della popolazione italiana, e proprio per questo devono essere migliorate nell'unico modo possibile: completando o ricreando e curando la rete dei servizi e degli spazi liberi, collettivi e pubblici.

Occorre evitare in futuro l'arretrato di infrastrutture e servizi derivante dalla non acquisizione pubblica delle aree. Infatti:

- Non è più ammissibile spendere risorse per rimediare a carenze che non hanno mai fine, poiché si perpetuano i meccanismi che producono all'infinito queste stesse carenze.

- Non è più accettabile finanziare a fondo perduto le opere di urbanizzazione primaria e secondaria – strade, impianti, scuole, biblioteche, mercati, giardini, impianti sportivi – il cui corrispettivo arriva ai proprietari dei terreni circostanti sotto forme di valorizzazione delle aree e degli immobili. Le opere pubbliche di interesse locale devono essere prodotte gratuitamente dal ciclo dell'urbanizzazione pubblica, quindi essere incluse nel prezzo di costo dei terreni e pagate dagli operatori prima degli interventi. Dunque l'amministrazione interverrebbe direttamente nel processo di trasformazione, riservandosi il passaggio essenziale: la fornitura delle aree fabbricabili ai vari operatori.

- Tuttavia le grandi quantità di nuove aree fabbricabili sono del passato. Oggi il problema più rilevante è dato – in particolare - delle aree industriali dismesse, ma nessuna amministrazione è stata finora capace di applicare a queste aree l'acquisto pubblico preventivo, per ricondurle a un disegno generale. In tale contesto hanno trovato terreno propizio i "piani di terza generazione" basati sulla contrattazione con la proprietà fondiaria: nascono tante trattative isolate dove l'esigenza di collocare per ogni terreno, opportunità pubbliche e contropartite private annulla la possibilità di qualsiasi manovra unitaria.

TERZA PROPOSTA: TRASFORMAZIONE ECOLOGICA DELLA CITTÀ.

Impegnarsi per la trasformazione ecologica della città e dell'economia, significa impegnarsi nella produzione della città della qualità della vita; determina vantaggi territoriali, produttivi ed occupazionali sia nella fase di costruzione della qualità (ambientale, sociale, culturale), sia nelle diverse fasi della sua realizzazione. La costruzione della qualità come “ambiente globale” è un progetto complesso di riqualificazione dell’intera città come sistema per vivere. La questione ambientale non è una moda, ma fa parte di un progetto politico e culturale nella consapevolezza che non si può salvare l’ambiente senza mettere in discussione gli assetti economici e di potere che lo hanno distrutto.

Se si facesse un sondaggio, i cittadini risponderebbero che il problema più grave è il traffico. Ed in effetti il traffico rende la città particolarmente invivibile. Tuttavia questo è anche un problema che, se si avesse coraggio, si potrebbe risolvere più facilmente di come in generale si pensa. Perciò questo non è il problema più grave. Quello più grave perché di natura strutturale è il problema del verde .

L'operazione più significativa, come critica diretta alle ragioni dell'economia vigente e all'impianto concettuale che vi presiede, può essere la messa in campo di una diversa pianificazione urbanistica, sociale e culturale del territorio, affinché si cominci ad agire sulle cause e non sugli effetti dei vari degradi. La nuova stagione dei diritti deve comprendere il diritto alla città per tutti i cittadini, vecchi e nuovi, nativi e migranti, sulla base del concetto della Città come bene comune.

Occorre che l’Ente locale – affinché non sia semplice accompagnatore politico-istituzionale degli interessi economici – rivoluzioni le priorità di bilancio, prendendo atto della spirale d'impoverimento e di esclusione, e intervenga con una nuova politica degli investimenti, una politica per la riqualificazione e ristrutturazione urbana contro la periferizzazione sociale e culturale, distribuendo sul territorio qualità sociale.

Un'opportunità in questo senso sembrava fornita dalla svolta per cui le città stavano disarmando sia per quantità di popolazione sia perché restano liberi ampi spazi dismessi, costituiti da fabbriche, officine, magazzini, negozi, ecc. frutto dei nuovi modi del produrre, del lavorare, del vivere. Gli spazi abbandonati avrebbero potuto assurgere a risorsa primaria per la collettività e non sono mancate formali dichiarazioni in proposito. Tuttavia nulla di tutto questo è accaduto e si è continuato a coltivare lo spazio urbano a cemento.

Non vi sarà nessuna nuova qualità del vivere se non si esce dalle logiche capitalistico-speculative ed è vano pretendere di avere ragione dei vari inquinamenti (dall'inquinamento dell'aria a quello estetico) se non se ne combatte la causa prima, e cioè l'uso distorto che da decenni tante amministrazioni vanno facendo del territorio. I vari “dismessi” possono ancora essere un'occasione a condizione che si pensi all’aumento degli spazi aperti nella città, a ridurre le densità edificabili, controllare le destinazioni, pensare anche a demolizioni per risarcire precedenti devastazioni, e ad un recupero a cubatura zero, vuoti strategici, sottratti alle logiche di mercato, per restituire il verde al paesaggio urbano e reintrodurre la natura nella città.

Come deve essere pensata la città in questa prospettiva? A questa domanda non si può dare risposta restando all’interno di una pianificazione urbana tradizionale, ma implica mutamenti profondi in molti settori dell’organizzazione sociale. Dalla critica dell’economia della crescita quantitativa, dalla compatibilità tra economia dell’uomo ed economia della natura, conflitto fra indicatori della crescita e del benessere, ai vincoli posti all’economia dai limiti biofisici (effetto serra, buco dell’ozono, piogge acide), ai limiti economici (disoccupazione strutturale) e ai limiti sociali (nuovi bisogni e nuovi valori). Le regole del nuovo progetto di città si esprimono in nuovi concetti transdisciplinari che producono nuovi indicatori sociali (benessere sociale contro crescita quantitativa) e nuovi standard qualitativi che interpretano le funzioni biologiche ed ecologiche del mondo vivente: regole legate alla capacità dei sistemi di assorbire inquinamento, rumori, variazioni climatiche, ecc.

Al di là delle grandi catastrofi (Chernobyl, Bhopal, Seveso), con i fenomeni macrobiologici, i mutamenti climatici, la crescente desertificazione, la riduzione della fascia di ozono, è la stessa vita quotidiana ad essere soggetta a un progressivo deterioramento direttamente legato al degrado dell'ecosfera. Questo si configura come un “secondo sfruttamento” dei cittadini, poiché come abbiamo una natura depredata, spogliata, inquinata così abbiamo uomini e donne depredati, spogliati, inquinati. Il sistema economico attuale è distruttivo ecologicamente e socialmente. Sopravvivenza sociale e sopravvivenza biologica sono strettamente legate.

All’attuale città che produce rifiuti, inquinamento, dissipazione di risorse, distruzione di ambiente naturale, occorre sostituire una città del riuso, del recupero, ossia una città caratterizzata per la quota sempre più bassa di materia ed energia destinata al proprio mantenimento. Al modello aziendalistico dell’Ente Locale che si manifesta nella pratica della concertazione che esalta solo la logica degli affari, va contrapposta l’idea della città come soggetto vivente. La questione ambientale impone la fine dei consumi di suolo e l’abbandono della concezione riduttiva del verde urbano, inteso come occasionale e inutile arredo urbano, per passare alle acquisizioni della biologia dei sistemi viventi che indicano come il verde assolva funzioni vitali per la produzione di ossigeno, per assorbire l’inquinamento acustico, per abbattere le polveri, per temperare il micro clima .

Mettere al centro la città a misura di vita, significa tradurre in politica la riconversione ecologica della città che investe non solo i modi di vivere e consumare ma anche le modalità dell’edificare e/o ristrutturare gli edifici pubblici e privati secondo i criteri dell’edilizia bio-compatibile, tenendo presente come gli elementi della natura siano potenti alleati contro inquinamento atmosferico e acustico e contro lo spreco di energia. Una strategia dunque che va oltre i metri cubi di cemento e dove i valori ambientali, diffusori di qualità, possono liberare le/i cittadine/i e le stesse attività economiche dalla rendita fondiaria che li soffoca. Tutto questo ha nel verde il suo asse primario.

Le ragioni per procedere in questo modo stanno nella crisi ambientale e climatica, che mette a rischio migliaia di esseri umani, non sono solo una questione estiva riguardante gli anziani (del resto invisibili per il resto dell’anno) cui si offrono le risibili soluzioni dei supermercati e delle caserme dei Vigili del fuoco. Il riscaldamento locale è dovuto all’urbanizzazione intensa e continua. Rinfrescare le città è il problema poiché sulle aree coperte da cemento e asfalto si forma la cosiddetta “isola di calore”, che surriscalda l’aria rispetto alla campagna circostante. Uno studio scientifico (2002) dell’Agenzia federale per l’ambiente Usa, dimostra che piantare 10 milioni di alberi a Los Angeles, permetterebbe di ridurre la temperatura estiva di 4 gradi. Le strategie di riforestazione urbana sono le prime da mettere in atto per produrre brezza termica anche in assenza di vento. Nelle conoscenze dell’ambientalismo scientifico vi sono dunque gli elementi per dei veri e propri piani per la riduzione del caldo in città.

Una città dopo l’automobile significa non la fine del trasporto privato individuale ma il suo contenimento e la sua subordinazione alle esigenze del trasporto pubblico di massa, della salute e del benessere collettivi, oltre che rappresentare quella struttura qualitativa benefica anche alla stessa produzione di merci. Ecco perché più che il potenziamento del sistema viario è importante la sua classificazione funzionale e una rigorosa politica dei parcheggi rimuovendo gli errori gravissimi che si stanno compiendo in materia. Ma soprattutto è centrale che la politica della mobilità sia integrata a quella del verde e della qualità ambientale.

Una volta si parlava di isola pedonale per il Centro, oggi non basta più dal momento che in tutta la città sono superate le soglie a rischio di inquinamento. Ci vuole un arcipelago pedonale e una rete mista di itinerari pedonali e ciclabili che unifichino tutti gli spazi verdi della città e della conurbazione, diventando una struttura portante del disegno urbano metropolitano.

Proviamo immaginare, diceva Walter Tocci per Roma, che nel deserto fatto di lamiere di automobili, di ingorgo e aria irrespirabile possano sorgere delle oasi, dei luoghi dove si possa passeggiare, giocare, respirare e chiacchierare. Allora l’idea è creare tanti e tanti spazi completamente liberati dalle automobili e restituiti alle forme di vita più semplici, separando finalmente il traffico veicolare da quello pedonale.

Non si tratta di fare grandi opere ma di curare la manutenzione del tessuto urbano: rifare la pavimentazione a misura dei pedoni, togliendo marciapiedi e asfalto; ecc. Da queste nuove piazze potrebbe partire almeno una strada interamente riservata ai mezzi pubblici (elettrici) tale da consentire un collegamento facile con altre piazze simili rendendo quindi fattibile la limitazione al traffico ben al di là della singola isola pedonale. Nelle piazze così rinnovate possono essere accessibili tutti i moderni mezzi di relazione, che potrebbero consentire di fruire collettivamente di spettacoli, performance e manifestazioni di vario tipo, o di seguire in diretta alcuni eventi comprese alcune sedute del consiglio di Quartiere e/ del Consiglio Comunale: una sorta di "agorà" anche in talune modalità elettroniche, fra generazioni, fra culture ed esperienze diverse, per esperire insieme modelli comunicativi e spettacolari non mercificati, contribuendo così a cercare forme di vivere quotidiano fuori dal coma ipermediatico.

Cominciamo dal proprio quartiere, e dalle aree dismesse a costruire una città nuova.

QUARTA PROPOSTA: ELOGIO DEI MARGINI PER UNA CITTÀ PLURALE

Nel suo libro La città imprevista, Paolo Cottino racconta alcune pratiche di dissenso rispetto all’utilizzo convenzionale di svariati spazi urbani milanesi: occupazioni di edifici abbandonati, mercatini autogestiti e vendita in strada, orti cittadini sono alcune delle esperienze che immigrati, pensionati, disoccupati sperimentano a partire dai loro desideri e bisogni, dalla loro quotidianità e posizione subalterna. La descrizione di queste pratiche di riutilizzo e trasformazione degli spazi urbani – luoghi solitamente marginali, oppure centrali ma ‘problematici’ secondo le accezioni del senso comune come stazioni, parchi e marciapiedi riconvertiti alla socialità – rimanda ad una proposta politica: l’abbandono di una visione organica, unitaria e tecnicistica del territorio e delle sue funzioni a favore di una nuova centralità dei soggetti e delle loro pratiche, soggetti sempre più plurali, diversi, differenziati sia dal punto di vista delle origini e delle culture sia in termini di generazione, genere, classe, stili di vita, tempi, accesso alle risorse e gestione del potere.

La retorica della città ‘multiculturale’ imperversa quasi ovunque, alternando spesso la descrizione di scenari catastrofici con appelli paternalistici in difesa di diversità congelate, stereotipate. Un’idea altra di città – la città bene comune - colloca invece al centro i soggetti con le loro molteplici determinazioni; e guarda ai luoghi e alle pratiche ‘marginali’ come possibilità di riappropriarsi e di trasformare l’imperativo oggi dominante della legge e dell’ordine, a servizio di un altro imperativo con cui si modella la vita urbana contemporanea, ‘consumare e produrre’. Diversi soggetti collettivi, i/le migranti in primo luogo, stanno già rinegoziando l’utilizzo e il significato dello spazio urbano imposto dalla norma e dal senso comune predominante; pratiche di utilizzo e riappropriazione materiale e simbolica che sono quotidianamente davanti ai nostri occhi, dall’occupazione di spazi abitativi ai ritrovi in luoghi pubblici riconvertiti dal desiderio di socialità. Invece del ritorno alla normalità, chiediamo che questi soggetti, le loro pratiche e i loro modelli, siano inclusi in quel processo incessante di negoziazione che dovrebbe essere alla base della costruzione della territorialità e dei legami sociali che la definiscono. Dai margini e attraverso i margini ci arrivano molteplici pratiche di disobbedienza urbana e autorganizzazione che contribuiscono ad aprire spiragli per l’immaginazione di città diverse, plurali: "le variegate domande di fruizione degli spazi urbani, i conflitti attorno ai suoi molteplici possibili usi, sono dunque buoni indicatori del cambiamento sociale in corso e rimandano all’insieme dei nuovi significati che le nostre città oggi sono chiamate ad accogliere" (Paolo Cottino).

Perché ciò avvenga sono indispensabili spostamenti che coinvolgono processi materiali e simbolici, al centro dei quali vi è la necessità di riconoscere nell’altro/a – nelle sue variegate articolazioni – un soggetto che attivamente partecipa dal basso alla ridefinizione delle regole, dei significati e delle politiche del vivere cittadino. Tradotto in ambito urbano implica di favorire l’organizzazione della diversità piuttosto che l’estensione dell’uniformità; il valore della pluralità piuttosto che la sintesi uniformante; il riconoscimento dell’irreversibilità dei processi di complessificazione della società e delle città non in termini di frammentazione ma di riconoscimento che include conflitti, tensioni e cambiamenti.

QUINTA PROPOSTA: LA CITTÀ ACCESSIBILE.

Le città ,"in cui quasi tutti sono venuti da un altro luogo" (Anne Michaels ), devono offrire luoghi di incontro e socialità per nuovi modi di vivere. Se si guarda al fenomeno della trasformazione della città dal punto di vista dell’insediamento, si pone la questione della definizione dei modi stessi dell’abitare delle comunità accolte, questione affrontata fino ad ora costruendo recinti reali e simbolici di emarginazione e sofferenza.

Eppure è esistita un'architettura moderna che ha elaborato il tema dell’abitare di massa, dando consistenza a programmi urbanistici, sorretti da strategie politiche, che propugnavano l’inserimento delle classi considerate subalterne nel corpo delle città, come ad esempio la Garbatella romana degli anni Venti, costruita da Innocenzo Sabbatini e altri, e l'intervento di edilizia sovvenzionata destinato a ceti popolari, come il Tiburtino III, che Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni costruirono in anni di attuazione del Piano Fanfani attraverso lo strumento dell’INA Casa. Oggi si tratta di comprendere che la modalità dell’accoglienza di popoli altri – fuori dell'emergenza - obbliga a pensare nuovi modi di vita collettiva: nuova tipologia dell’abitazione, nuovi disegni di impianto per le aree di risanamento, nuovo rapporto tra alloggi e servizi.

La storia della città si è depositata nella sua forma: i rapporti - con il potere di turno, e tra poteri - sono più o meno leggibili dietro l'insieme delle costruzioni, così come gli obiettivi sociali. In questa scena ogni abitante è molto simile ad uno spettatore inserito in uno spazio esistente (strade, piazze, palazzi, case, ecc.) che stimola l'interazione, la riflessione, la conoscenza, in una pluralità di forme e modalità di cui non possiamo predeterminare gli effetti. La città è così – di per sé - uno spazio pubblico, interpretato attraverso il vissuto di chi lo abita. Ma lo spazio pubblico – che non nasce mai come condiviso, spartito, comune - è continuamente attraversato da confini, conflitti e dialettiche più o meno asfittiche. Dunque la città c'invita a riflettere non per definire in senso astratto lo spazio pubblico, ma per vederlo costruito relazionalmente nella situazione concreta in cui, di volta in volta, si dà. Dunque la città come spazio pubblico è uno spazio eminentemente esposto, donato, inassimilabile alle logiche proprietarie, eppure mai definitivamente salvo come mostrano la storia e la cronaca dei nostri tempi

Al di là di come gli individui siano posizionati nello spazio della città, la periferia può essere ovunque, legata com'è alla distribuzione disuguale delle risorse fisiche, sociali, economiche, culturali e ambientali: periferia come rappresentazione di un vivere dimezzato simile allo stare in una riserva come versione più discreta di un vecchio ghetto.

In questo senso la città è un organismo vivente, è un'unità ricca e complessa e l'altrove (classi, generi, culture) comincia qui. Di fronte all'altrove sentito come pericolo, si possono creare "città fortezza", oppure delineare città accessibili. Rendere accessibile la città significa, nel suo significato più profondo, il prevalere di una centralità per le persone di ogni età: si riconoscono così i corpi, le specificità dell'appartenere a generi e generazioni differenti, le diversità dei percorsi e scelte di vita, le culture di origine di chi viene da fuori, la creatività e l'immaginario individuale e collettivo.

Il Giornale dell'Architettura ha chiesto ad alcuni dei più importanti urbanisti italiani d'indicare un punto che il Parlamento non dovrà dimenticare nella redazione della nuova bozza di legge urbanistica. Alla discussione aperta da Edoardo Salzano con un articolo sul Consumo di suolo segue ora l'opinione di Bruno Gabrielli.

Un urbanista che si rispetti non può che essere d'accordo con quanto scritto da Edoardo Salzano nel numero scorso. Contenere il consumo di suolo è certamente una priorità. Ma è suffìciente l'enunciazione di principio? Davvero si può risolvere la questione con un divieto generalizzato imposto da una nuova legge urbanistica?

Pongo una questione di metodo, non di merito: ho idea che si debba ormai ragionare in maniera «integrata» per colpire un fenomeno che non è causa ma conseguenza d'altri fenomeni, ed è a essi che occorre, almeno contemporaneamente, mirare. Hanno tra l'altro contribuito al consumo di suolo: a) il settore pubblico attraverso le realizzazioni dei quartieri d'edilizia economica e popolare: si pensi alle enormi «167» realizza te da Comuni come quello di Paternò, dove s'è assistito al quasi completo trasferimento degli abitanti e a una «desertificazione» del pur cospicuo centro storico; b) gli operatori privati, attraverso lo strumento della lottizzazione; c) i «piccoli» operatori privati utilizzando le aree a bassa densità dei PRG o costruendo abusivamente.

Una nuova legge urbanistica potrebbe dare la necessaria chiarezza prescrittiva per evitare i primi due punti. Per quanto riguarda il primo, sarebbe sufficiente smetterla (questo sta già avvenendo) di realizzare quartieri d'edilizia popolare e provare invece (questo non sta avvenendo) a realizzare «parti» di città ove collocare quote d'edilizia popolare pubblica.

La questione sollevata al terzo punto ha invece radici economiche, sociali e culturali legate alla formazione della domanda. Trionfa un modello culturale che nega la città contemporanea e che premia, allo stesso tempo, i centri storici e le casette sparse. Ho idea che nel merito non vi sia legge che tenga: sono gli architetti, gli urbanisti e gli amministratori pubblici che debbono saper dimostrare che si può realizzare una città contemporanea vivibile.

Consumo di suolo e rendita fondiaria sono, del resto, due questioni indissolubilmente legate ed è questo, a mio avviso, il punto che il legislatore non dovrà dimenticare nel prossimo testo urbanistico. Bella scoperta, si dirà. Ma da questo discendono la possibilità d'un reale governo pubblico del territorio, la qualità della città contemporanea (che è un obiettivo essenziale) e l'equità dei processi trasformativi (che è un principio irrinunciabile dell'urbanistica). Una nuova legge può garantire tutto questo? Non può garantirlo, ma può fornire strumenti per renderlo possibile.

La nuova legge potrebbe conferire al piano la possibilità di ridistribuire la rendita che, attraverso un meccanismo di perequazione diffusa, renderebbe indifferente la proprietà dei suoli; è questo l'unico strumento che garantirebbe la densificazione come alternativa alla dispersione. Lo sprawl è infatti anche un fenomeno di rendita minuta, d'interessi di piccoli proprietari che possono trovare soddisfacimento con il trasferimento di quelle possibilità edificatorie che provengono dall'equa distribuzione delle quantità poste in essere dal piano. Questa strada potrebbe condurre all'attuazione di servizi pubblici senza problemi d'espropri o d'indennità o di decadenze di vincoli. Il piano urbanistico (e non la legge, che deve però consentirglielo) può fissare i criteri d'un modello perequativo precisamente adattato a quelle specifiche realtà urbane e territoriali che deve governare, conferendo alle amministrazioni pubbliche un reale potere di scelta e di responsabilità.

Vedi sull'argomento l'Eddytoriale n. 92

Oggi nel nostro Paese tutti dicono di voler perseguire l’obiettivo dello “sviluppo sostenibile” e questo tema è entrato nelle agende politiche e nei vari incontri internazionali che hanno originato avanzati “protocolli d’intesa” (Kyoto). Tuttavia si assiste ancor oggi a pratiche che vanno nella direzione opposta per cui si continuano a dissipare fonti energetiche e beni naturali non rinnovabili e non disponibili in modo illimitato, tra cui il suolo. In particolare negli ultimi decenni, in nome dello sviluppo economico produttivo, abbiamo assistito ad una crescente cementificazione di suolo agricolo e di campagna conseguente a pesanti infrastrutturazioni per la mobilità, ad espansioni residenziali a bassa densità di piccoli e medi centri, alla realizzazione di poli per la logistica e di centri commerciali, alla costruzione di centrali termoelettriche e di discariche, ignorando il crescente impatto che tutto ciò ha sull’ambiente, sul paesaggio, sull’inquinamento e sulle attività agricole che sono state considerate come “residuali” rispetto alle altre attività umane. A favorire questa logica predatoria, in cui il terreno agricolo e la campagna sono ritenute una riserva per l’urbanizzazione, hanno concorso molteplici fattori tra cui l’affermarsi di modelli di pianificazione ispirati da politiche che subordinano l’interesse pubblico a quello privato.

Condivido quanto va dicendo da tempo Edoardo Salzano: ridurre significativamente il consumo di suolo non è un compito semplice, né una questione che possa essere affidata esclusivamente ai tecnici del territorio o dell’amministrazione poiché è una questione pienamente politica, nel senso che esige che l’arte del governo della società riprenda possesso di un tema che ai suoi sacerdoti (politici) spetta in primo luogo affrontare. Esso è un problema politico perché presuppone il governo di un “bene pubblico”, quale il territorio, in quanto esso è il luogo in cui la società si produce e si riproduce e che pertanto deve essere concepito come una pratica complessa in cui interagiscono molteplici fattori di natura sociale, economica, ambientalee culturale. Il territorio infatti è qualcosa di più complesso e sostanziale: è il contenitore non passivo di una comunità e dei suoi bisogni.Una complessità che però viene negata dal fatto che esso è stato ricondotto essenzialmente ad una merce da sfruttare per fini economici con la conseguenza che gli altri due aspetti fondanti che lo sostanziano vengono considerati come variabili secondarie. Per fare questo si è operato affinché gli strumenti, i luoghi e le pratiche della pianificazione del territorio venissero adattati e resi funzionali a tale scopo.

Scriveva Giorgio Ruffolo: “La pianificazione territoriale è lo strumento principale per sottrarre l’ambiente al saccheggio prodotto dal “libero gioco” delle forze di mercato. Alla logica quantitativa della accumulazione di cose, essa oppone la logica qualitativa della loro “disposizione”, che consiste nel dare alle cose una forma ordinata (in-formarle) e armoniosa. Non si tratta, soltanto, di porre limiti e vincoli. Ma di inventare nuovi modelli spazio-temporali, che producano spazio (là dove la civiltà quantitativa della congestione lo distrugge), che producano tempo (là dove la civiltà quantitativa della congestione lo dissipa) e che producano valore aggiunto estetico[1]

L’affermarsi negli ultimi decenni di politiche neoliberiste che affidano al mercato la gestione del territorio ha comportato la subordinazione della pianificazione al soddisfacimento degli interessi economici prevalenti, in particolare della rendita immobiliare ed urbana. Ciò è stato consentito da una legislazione nazionale e regionale che ha permesso di operare in deroga ai Piani Regolatori comunali e che ha indebolito progressivamente la pianificazione territoriale di vasta area a seguito della limitazione dei poteri delle province.

In un contesto politico come quello della Regione Lombardia, che ha assunto la deregolamentazione quale pratica per smantellare l’intervento pubblico nella gestione della società e favorire così gli interessi economici privati, che in nome di una stravagante interpretazione del principio di sussidiarietà devolve poteri e competenze verso l’anello più debole nella gerarchia amministrativa, si è così favorito l’affermarsi, anche in ambito della pianificazione territoriale, di una legislazione che depotenzia i luoghi della gestione della complessità (Province) per privilegiare invece quelli meno adatti (ossia i Comuni) a fornire risposte a problemi complessi che, per la loro natura sistemica, travalicano inevitabilmente i confini catastaliela dimensione locale.

In nome di una falsa contrapposizione ideologica tra “centralismo” e “federalismo” si è pertanto evitato di applicare correttamente il principio di sussidiarietà il quale richiede che l’attribuzione della responsabilità, delle competenze, dei poteri e delle risorse venga assegnato al livello più idoneo a rispondere ai problemi da affrontare. La scelta del livello giusto va infatti compiuta non in relazione a competenze astratte o nominalistiche, ma in relazione a due elementi precisi: la “scala” dell’azione (o dell’oggetto cui si riferisce) oppure i suoi “effetti”.

In questi anni i Comuni, da quelli piccoli a quelli maggiori, alleggeriti da vincoli di pianificazione sovraordinati e pressati dal taglio dei trasferimenti dello stato, per far fronte alla necessità di reperire altrove le risorse finanziarie per sostenere le gran parte spese correnti dei propri bilanci, hanno così utilizzato il territorio per fare cassa rispondendo alle sollecitazioni della rendita immobiliare ed urbana.

Nell’illusione di dare risposte ai bisogni locali, le Amministrazioni si sono così cacciate in circuito circolare “vizioso”, senza via di uscita: infatti se per incassare le risorse economiche necessarie a garantire i servizi alla comunità residente si favoriscono nuove espansioni che attraggono nuova popolazione e famiglie, si genererà inevitabilmente una domanda aggiuntiva di servizi e di infrastrutture a cui il Comune sarà chiamato a farvi fronte ricorrendo, stante il permanere di questa logica, a nuove urbanizzazioni fino a quando, giunti alla saturazione del proprio territorio, si troverà nell’impossibilità di dare le risposte agli impatti che derivano da politiche che hanno assunto a riferimento la crescita illimitata.

L’esperienza ha mostrato il fallimento di queste politiche e di questo modo di concepire il governo del territorio e la manifestazione più evidente di ciò è documentato dalle conseguenze connesse all’incessante sottrazione di suolo all’agricoltura ed alla campagna per l’urbanizzazione e per l’infrastrutturazione che vanno dal peggioramento della condizioni ambientali e climatiche al depauperamento del paesaggio.

Il Lodigiano non si è sottratto a questo contesto generale. Anzi, il fatto di essere strutturato su una pluralità di centri di piccole dimensioni ha accentuato questi processi.

A ciò si aggiunga il peso che hanno avuto, nel corso di circa quarant’anni, sulle reali capacità di porre sotto controllo Piani Regolatori comunali sovradimensionati, la ricerca dell’autonomia da parte del Lodigiano, le riforme introdotte dalla legislazione nazionale e regionale che hanno modificato l’ordinamento degli Enti locali, ridisegnato i poteri e le competenze dei vari livelli istituzionali e definito nuovi strumenti per l’urbanistica e per la pianificazione, i diversi modelli di piano adottati ed i diversi obiettivi posti in capo alla pianificazione di “vasta scala”.

Nonostante i lodevoli sforzi compiuti dalla Provincia di Lodi in questi anni, non ultimo quello profuso nel recente adeguamento alla L.R.12/2005 del Piano territoriale di coordinamento provinciale che, agendo tra le maglie della legge, ha cercato di arginare le dinamiche dissipative in atto ricorrendo a strumenti quali i protocolli perequativi, gli accordi di programma, la definizione di ambiti di concertazione e altri strumenti di copianificazione, tuttavia occorre non nascondere i limiti e le insufficienze che a mio avviso anche questo piano porta con sé ai fini di un organico governo del territorio. Limiti e insufficienze che traggono indubbiamente origine dalle competenze attribuite alla Provincia dalla Legge Regionale n. 12 del 2005 la quale relega il suo suolo alla tutela del paesaggio e dell’agricoltura strategica, alla infrastrutturazione viaria, alla tutela idrogeologica ed alla definizione di criteri minimi sui temi di carattere sovracomunale da prevedere nella redazione dei Piani di Governo del Territorio, aspetti importanti che pur tuttavia rimangono subordinati alle logica dominante di un sistema che privilegia la messa a valore economica del territorio.

Territorio e ambiente sono beni comuni, necessari, indispensabili e soprattutto finiti. Ed è propria la coscienza del loro limite che deve spingere verso un radicale cambiamento di rotta nella loro gestione ed organizzazione. Solo entro un processo di pianificazione del territorio e di ciò che interagisce con esso è possibile recuperare un equilibrio ecologico da tempo compromesso. Condizione indispensabile per poterli gestire e governare in modo virtuoso e consapevole è ridare centralità alla pianificazione pubblica. Un processo che deve essere necessariamente affidato al potere pubblico poiché solo in questo ambito è possibile ricercare le risposte ai problemi che minacciano il clima e la vita sul pianeta. Pubblico e partecipato perché si tratta di gestire in modo efficace, trasparente e condiviso risorse che appartengono alla collettività. Soltanto entro questo processo, che è anche un processo di apprendimento e crescita culturale, è possibile dare concretezza ad una diversa idea di società.

In questa ottica il PTCP della Provincia di Lodi è, a nostro avviso, da concepire come un laboratorio di sperimentazione da cui partire per conseguire obiettivi più avanzati in termini di contenimento del consumo di suolo, di tutela dell’ambiente e del territorio nel suo insieme, di sviluppo dei servizi pubblici al fine di pervenire ad un assetto strutturale del Lodigiano che, superando l’attuale frammentazione comunale e le visioni localistiche dei problemi ancora presenti, garantisca un futuro sostenibile degli Enti locali. Ciò significa far assumere alla pianificazione il ruolo di cerniera tra territorio e società per passare dalla competizione comunale territoriale alla solidarietà intercomunale.

Un passaggio che implica anzitutto da parte della politica e degli Amministratori uno sforzo per fare un salto culturale in cui il futuro venga concepito responsabilmente come componente ineludibile nelle scelte attuali e contingenti.

Di fronte alla necessità di dare servizi e rispondere ai bisogni della comunità superando pratiche insostenibili che usano il territorio per scopi meramente economici, è infatti necessario traguardare la dimensione locale e innescare politiche di integrazione e cooperazione tra territori che per vicinanza, conformità, problemi e bisogni interferiscono e interagiscono.

Ciò significa anzitutto pensare e predisporre piani intercomunali che interessino più realtà territoriali ed affrontare in questo modo le problematiche in una visione sistemica, come richiede del resto la natura e la scala delle problematiche stesse. Questa strategia politica diventa ancora più importante per i Comuni che hanno una piccola dimensione, ossia per quei Comuni per i quali è ormai divenuto insostenibile garantire servizi che hanno costi fissi elevati e che di conseguenza non possono essere sopportati dalle scarse entrate di bilancio. I Comuni verrebbero così chiamati a predisporre congiuntamente e contemporaneamente uno schema strutturale unitario (come già è previsto dalla Legge regionale dell’Emilia Romagna), a condividere scenari sostenibili di sviluppo urbano e territoriale, ad assumere le scelte strategiche del piano della Provincia (infrastrutture della mobilità, ambiti produttivi e insediamenti commerciali di rilievo sovracomunale, poli funzionali), declinandole e specificandole all'interno dei propri territori. Ciò consentirebbe di programmare con maggiore efficacia gli investimenti pubblici e privati, di rispondere più facilmente alle necessità funzionali di reti e servizi pubblici, di stipulare accordi perequativi per la distribuzione di oneri e vantaggi conseguenti ai nuovi insediamenti.

Agire in comune, pianificare insieme, mettere a sistema, in questo modo, è a nostro parere possibile raggiungere e godere di quelle economie di scale di cui godono i centri maggiori, evitando di legare necessariamente il bilancio comunale alle entrate derivanti da nuove urbanizzazioni..

Nell’ottica di mettere a sistema le realtà territoriali e superare la visione localistica dei processi, un’altra questione mi sembra di particolare importanza. Mi riferisco qui al ruolo e al potere delle istituzioni intermedie, degli organi preposti al coordinamento generale degli assetti territoriali alla scala vasta, ossia delle Province. In questo senso, al di la della bontà o meno degli strumenti urbanistici locali, diventa fondamentale la capacità dei Piani territoriali di coordinamento provinciali di fornire un quadro preciso di riferimento per le politiche di governo del territorio alla scala comunale attraverso strumenti e regole non negoziabili che indichino scenari e soluzioni alle problematiche e soprattutto definiscano un sistema di indicatori in grado di valutare gli impatti e le ricadute in termini di sostenibilità delle scelte urbanistiche operate alla scala comunale. Un esigenza questa che richiede un importante impegno non solo nell’individuare gli spazi che la legislazione vigente in materia consente di utilizzare ma anche una forte presa di coscienza dei limiti presenti negli strumenti a disposizione, della loro non neutralità e della necessità di attivare processi politici e sociali che permettano di intervenire in seno alla legislazione stessa.

Entro un sistema territoriale policentrico, come quello lodigiano, in cui sono presenti molteplici unità locali di varia dimensione, un ruolo centrale va assegnato agli “ambiti territoriali”, quali associazioni di più Entilocali che condividono un comune progetto e che sono chiamati con la Provincia a sviluppare azioni di copianificazione e programmazione del territorio. Essi si configurano come un livello della pianificazione a rete che consente di superare la polverizzazione comunale e le diseconomie e sprechi conseguenti, di ridurre la competizione atomistica e conseguire, grazie alla cooperazione e concertazione tra Comuni, sinergie di varia natura che vanno a vantaggio dei centri interessati ma anche dell’intero territorio.

L’ambito territoriale rappresenterebbe pertanto, per i Comuni associati, la dimensione adeguata per realizzare un maggior controllo sul proprio territorio e sulle spinte delle rendite fondiarie ed immobiliari, per dotarsi di una qualificata capacità progettuale comune sia rispetto al territorio di competenza che alle opere pubbliche da realizzare, di darsi maggiori capacità gestionali del patrimonio pubblico, di poter assicurare ai cittadini maggiori servizi e di migliore qualità, di sviluppare politiche solidali superando gli atteggiamenti competitivi dei singoli enti, di conseguire un maggior potere contrattuale nell’accesso al credito, di poter disporre di apparati tecnico-amministrativi capaci di farsi carico di procedure complesse per accedere ai fondi dell’Unione Europea.

La pianificazione territoriale per ambiti dovrebbe quindi rappresentare il laboratorio entro il quale sperimentare e consolidare forme di cooperazione intercomunale che stimolino l’attivazione di un processo che permetta di superare assetti di tipo volontaristico e contingente, quali sono i Consorzi di Comuni e traguardare così verso forme Istituzionali stabili (unione dei Comuni, fusione di Comuni), che la legislazione nazionale e regionale già incentivano, e che consentono di unificare i bilanci dei vari Enti locali, di ridurre i costi connessi ai servizi ed ai mezzi impiegati, di darsi maggiori poteri contrattuali per l’acquisto di beni e servizi, di ottimizzare le risorse, ecc. Entro il processo di pianificazione territoriale, l’ambito “istituzionalizzato” potrebbe a sua volta costituire punto di riferimento per la costituzione di un nuovo ambito allargato ad altri Comuni contermini.

Restituire potere alla pianificazione d’area vasta, promuovere processi di pianificazione intercomunale per superare logiche localistiche e superare i forti limiti e rischi connessi alla frantumazione del territorio attorno a centri di piccola dimensione, sono a mio avviso i due cardini di una politica territoriale virtuosa che consenta non solo di contenere il consumo di suolo ma anche di dare un futuro sostenibile agli Enti locali.

Andrea Rossi, dottore in Pianificazione territorale urbnistica e ambientale, è cnsigliere provincale del Prc e collabora all'organizzazione dele Rete lmbarda dei comitati territrio e ambiente

[1]G. Ruffolo, Il carro degli indios, in “Micromega”, n. 3/1986.

In allegato il testo dello schema di decreto.

Sulla proposta licenziata dal consiglio dei ministri, in eddyburg il commento preoccupato di Giovanni Valentini.

Onorevole Presidente, Signore e Signori, l'introduzione della Dott.ssa Caporaso è stata di una estrema chiarezza quando ha messo in luce l'esigenza che i servizi sociali siano riconosciuti obbligatori fin dalla formazione degli stessi piani regolatori.

L'esigenza discende dalla nuova situazione della società, che si trova oggi in un periodo di rapido trapasso verso una nuova sistemazione generale di cui già intravediamo gli elementi essenziali. Una riduzione molto elevata del numero dei lavoratori nell'agricoltura, un'accentuazione del lavoro nei settori secondari e terziari, e soprattutto nei settori terziari ed altamente qualificati e un apporto considerevole, in tutto questo, del lavoro femminile, sono gli elementi dinamici del processo in atto.

Per questa società che si sta configurando vi è un travaglio veramente profondo, in tutto il Paese, per l'adeguamento di strutture estremamente antiquate a quella che, è la realtà presente ed a quella che sarà la realtà di domani, di un domani che si sta rapidamente avvicinando ai nostri occhi.

Nel problema di questo adeguamento si inserisce molto bene il discorso delle attrezzature e servizi sociali, di cui qui si è già cominciato a parlare, come di uno degli elementi di spinta, di ossatura che possono caratterizzare la nuova Società con maggiore o minore qualificazione, a seconda della loro maggiore o minore presenza, e, soprattutto, della loro qualità.

Mi pare che sia oltremodo interessante notare come l'intuito femminile che raggiunge immediatamente il bersaglio, passando spesso oltre alle lunghe e faticose elaborazioni della logica, abbia qui centrato il problema sostanziale, cioè che questi servizi si debbono inserire nei programmi economici ed urbanistici e, soprattutto, che per questi servizi occorre riservare i luoghi e cioè le aree che sono necessari per poterli edificare.

Questo mi sembra il punto veramente fondamentale e, in un certo senso, l'elemento nuovo e integrativa di un discorso già ampiamente svolto per quello che concerne le esigenze dei servizi stessi e la loro caratterizzazione; discorso che si impone in questo momento e si colloca nel giusto istante della formazione della nuova legge urbanistica in preparazione secondo gli accordi di Governo.

Farò un breve accenno a quello che rappresentano i servizi sociali nell'ambito di un piano regolatore.

Per mettere a fuoco il problema occorre partire da quel personaggio che è l'utente del piano regolatore, l'utente della città. Ogni individuo, uomo e donna, domanda alla città almeno un vano per sè; ma non basta, occorre per tutti i cittadini una quantità di servizi di vario genere, sanitari, educativi, ricreazionali, ecc. A questi si aggiungono quei servizi che sono quelli relativi alla donna che partecipa all'attività produttiva e che richiede nuovi servizi di tipo aggiuntivo e particolare, sostitutivi di gran parte di quelle attività che un tempo erano svolte nell'ambito della casa come lavoro domestico.

Ogni utente del piano regolatore e della città ha dunque le sue specifiche esigenze; tutti assieme pongono le loro domande. Interessa qui vedere quanto questi servizi di carattere sociale incidano nel complesso delle domande che i cittadini pongono alla città. Non sono purtroppo in grado di dare delle risposte precise, perchè queste potranno venire attraverso degli approfondimenti svolti dagli Istituti di Ricerca che oggi non hanno ancora affrontato, nella loro complessità e in tutti gli elementi, questo tema. Ma dirò soltanto che l'infrastruttura sociale è da considerarsi uno degli elementi di base per la valutazione del grado di efficienza di un agglomerato urbano, di una città o di un territorio, di un insieme di agglomerati urbani, alla stessa stregua delle infrastrutture tecniche ed economiche. E cioè se l'equipaggiamento in strade; in reti di distribuzione dell'energia, in impianti industriali che forma l'infrastruttura tecnica ed economica, rappresenta l'ossatura sulla quale si svolge l'attività produttiva, e caratterizza l'efficienza di uno sviluppo produttivo maggiore o minore, così alla stessa stregua, la rete infrastrutturale dei servizi sociali caratterizza l'efficienza di un agglomerato urbano e quindi di una società.

Questo concetto è da tener presente perchè la infrastruttura tecnica ed economica è ormai considerata da tutti gli economisti come l'elemento necessario per il passaggio dalle società primitive alle società che tendono ad un processo di sviluppo economico.

La rete infrastrutturale sociale è così l'elemento fondamentale per consentire il decollo verso una vita associativa di maggiori prospettive.

Dello sviluppo demografico e dei fenomeni di accentramento sono state fornite alcune considerazioni. Vorrei soltanto aggiungere, a quanto egregiamente è stato detto nella introduzione, che questo è un fenomeno mondiale.

L'accrescimento di popolazione, in questi ultimi decenni, ha infatti avuto un'accelerazione che sta diventando sempre più grande. Un documento delle Nazioni Unite rileva che sulla terra erano occorsi 200.000 anni per raggiungere i due miliardi e mezzo di uomini, ma che è presumibile che nei prossimi trenta anni si aggiungano altri due miliardi a quelli attuali.

Ma questa espansione demografica - è a tutti noto - si accompagna a processi di concentrazione urbana, cosicchè mentre all'inizio del secolo, su tutta la superficie terrestre, solo il 2,4% di popolazione era concentrata nelle agglomerazioni con più di 20.000 abitanti, oggi abbiamo una percentuale del 20% ed è presumibile che alla fine del secolo questa concentrazione raggiunga il 40%.

In questo duplice processo di espansione demografica e di contemporanea concentrazione urbana, il rischio di una espansione incontrollata della città e di una assenza di strutture, e soprattutto di una assenza di infrastrutture sociali, è enorme, nel nostro come negli altri Paesi in rapido sviluppo. Per cui, mentre l'infrastruttura tecnica ed economica è richiesta per dare avvio al processo di sviluppo economico e trova quindi i suoi sostenitori in quanto costituisce il binario su cui cammina lo sviluppo economico, l'infrastruttura sociale dipende unicamente dalla richiesta degli utenti e molte volte, assai spesso, la voce degli utenti è troppo debole.

Tutto ciò rientra nello studio dei costi dell'uomo. Siamo tutti convinti che ogni individuo ha un suo costo sociale, ma questo costo deve essere tale da consentirgli di raggiungere determinati fini, e precisamente di aprire a tutti una prospettiva di sviluppo. I sociologhi hanno individuato

a) un gruppo di spese per rendere massima la speranza di vita alla nascita di ogni individuo, spese che comprendono varie previdenze e provvidenze nel settore igienico-sanitario, ospedaliero, ecc.;

b) un gruppo di spese per consentire all'uomo le migliori condizioni di efficienza fisica e mentale ed urbanistica, in cui i servizi sociali entrano di pieno diritto per una grossa aliquota;

c) le spese per l'accesso alla cultura ed al tempo libero ed anche qui le spese riguardano infrastrutture a carattere sociale;

d) le spese per le migliori probabilità di maggiore sviluppo delle proprie capacità creative.

Quest'ultimo scopo dipende da tutti i precedenti, dalle condizioni igienico-sanitarie e soprattutto dalla presenza, maggiore o minore, delle infrastrutture sociali e dal loro grado di efficienza.

Rileviamo dunque che nel costo di formazione dell'uomo i servizi sociali entrano per una grossa aliquota e che, per garantire il conseguimento di questi fini è necessario premunirsi, al più presto possibile, delle aree, su cui poter effettivamente impiantare i servizi :sociali. I servizi sociali entrano dunque nel quadro di sviluppo della città ed in quelle previsioni dello sviluppo della città che sono i piani regolatori.

Nei piani regolatori fin qui allestiti le aree per i servizi sono entrate quasi sempre in modo estremamente vago, attraverso a delle indicazioni piuttosto sommarie e generiche; per esse si sono individuate la quantità, la ubicazione e la distribuzione spaziale. Ma la quantità e la distribuzione spaziale erano, fino ad oggi, condizionate da una situazione di carattere generale, perchè i piani regolatori sono stati formati nel quadro di una legge, la legge urbanistica del '42, la quale, pur ammettendo la ubicazione delle aree per i servizi nel piano regolatore, non ne garantiva l'attuazione.

Infatti il piano regolatore, secondo la legge del '42, agisce in modo indiretto. Esso indica tutto ciò che non si deve fare, e ciò che si può fare, ma non stabilisce ciò che si deve fare. Attraverso ad un miscuglio di negazioni, di vincoli e di possibilità. si formano i piani regolatori che vigono attualmente nelle nostre città.

La possibilità di fare risultava sempre amplissima: i cittadini, le Amministrazioni, le Autorità chiamate ad esprimere il loro parere sul piano, erano indotti a presumere che lo sviluppo potenziale di un agglomerato urbano potesse essere sempre assai grande.

Ma l'inconveniente era questo che appena fatto il piano, o per meglio dire, ancor prima del piano, in quell'ambito di potenzialità, ogni proprietario era e si sentiva libero di costruire, o di non costruire, quando e come, sia pure entro alcuni limiti, ma sempre secondo il suo gradimento.

Questo era l'elemento che infirmava tutto il meccanismo, tutto il processo di formazione del piano. Esso serviva, unicamente, a fornire alcune norme tecniche da seguire nel caso in cui, Tizio in un punto e Caio nell'altro, avessero desiderato di costruire.

Costruire che cosa? Abitazioni o industrie, ma non certamente servizi sociali che non sono, tranne qualche eccezione, di iniziativa privata.

Da questo meccanismo sono nate situazioni veramente paradossali; nei piani erano anche indicati i servizi, ma le aree ad essi destinate venivano, via via, consumate attraverso le continue richieste, fino a scomparire. Mi sto occupando, in questo periodo, della revisione del piano di Genova; abbiamo, come prima constatazione, misurato la ricettività del piano vigente, approvato con decreto del '59; ebbene, il piano di Genova consente una ricettività di oltre 7 milioni di abitanti, con dei servizi sociali quasi inesistenti. Prendiamo ad esempio le scuole: per le scuole vi sono 140 aree per una totale ricettività di 40.000 studenti; oggi essi sono 38.000 per una città di 800.000 abitanti.

Queste distorsioni che raggiungono livelli assurdi, sono state determinate dal fatta che i privati, proprietari di aree, si cautelavano tutti circa la possibilità di poter utilizzare il terreno a fini abitativi determinando una pressione di richieste che si acquetava solo con la garanzia di aver consacrata la possibilità di utilizzazione futura.

La situazione di Genova è poi peggiorata dal fatto che le condizioni particolari orografiche hanno creato una città, abbarbicata sulle colline. Le aree per i servizi non esistono nel piano; il Comune, disperato, oggi cerca aree per collocare delle scuole e non le trova, e contende ai privati frammenti di aree a prezzi altissimi.

Ma anche nei piani in cui le aree per i servizi erano indicate, queste venivano erose o scomparivano inghiottite dall'edilizia privata.

A contrastare questo stato di cose vi è stato un duplice processo di studio: uno è quello che tende a risolvere il problema alla radice. eliminando il sistema di pianificazione indiretta e scalzando alla base la pressione dei privati, che deriva dallo stato di potenziale utilizzazione generalizzata delle aree. L'altro è stato un parallelo processo di ricerca per quelli che sono i caratteri qualitativi e quantitativi dei vari servizi che formano il tessuto connettivo, il supporto della vita associativa in una città.

Quest'ultimo è lo studio sugli standards. Su questo argomento è mia opinione personale che gli standards possano essere utilmente studiati, ma non mai in astratto. Io preferirei che Istituti di ricerca o Commissioni Parlamentari potessero studiare nella realtà dei fatti, nelle situazioni così differenziate del nostro Paese, quelle che sono le attuali situazioni dei servizi sociali, quali sono i gradi di efficienza che si riscontrano nelle situazioni reali, per individuare quali sono i provvedimenti da attuare.

Io non ritengo infatti che tutto l'argomento si riduca a fare una somma algebrica di 0,05 mq. per abitante per questo servizio, di 1,2 mq. per quest'altro servizio, ecc., per arrivare ad un totale di tanti mq. di servizio per abitante. Questi possono essere degli elementi indicativi, a carattere didattico, ma non sono sufficienti. Ritengo che sia indispensabile studiare, per i singoli servizi, le caratteristiche interne che rappresentano il grado di efficienza della loro utilizzazione.

Faccio due esempi. Sono stato ad Amburgo circa due anni fa, in una visita rapidissima, per l'esame del piano regolatore; ed ho visti alcuni progetti di scuole elementari negli uffici del piano. Grossi uffici, che non hanno nulla a che vedere con i piccoli ufficetti dei nostri Comuni (ad Amburgo, nell'ufficio per l'urbanistica e l'edilizia pubblica, vi sono 40 urbanisti e 70 architetti). Nella visita, dunque, questi progetti di scuole mi venivano presentati con una certa titubanza; i tecnici comunali si sentivano quasi in colpa perchè le loro scuole sono troppo costose, mi hanno spiegato che ad Amburgo c'è una tradizione popolare che richiede che le scuole siano ben finite, dotate di giardino e di biblioteca, ecc. perchè le scuole sono aperte la sera a disposizione della popolazione, con un doppio uso quindi. Altro esempio. A Vienna ho visitato una casa del popolo, dotata di biblioteca e di sale trasformabili per molti usi: conferenze, riunioni, musica, ballo etc. Di queste case del popolo esiste a Vienna non solo un prototipo, ma un piano per dotare tutta la città di tali servizi, in modo che sorgano entro un raggio di non più di 600 metri uno dall'altro Questi complessi, estremamente duttili, hanno quasi nessun riscontro da noi, salvo l'iniziativa della Biblioteca Einaudi a Dogliani. Ecco, questi, a mio avviso, dovrebbero essere dei modelli per i servizi sociali, in una prospettiva molto più elastica, più ricca di quella in cui oggi è ancora concepita l'attrezzatura sociale di settore., limitata, ad all'uso di settore. Con questo spirito, potremmo calcolare per ogni città non solo la sommatoria delle aree dei singoli addendi, ma soprattutto riferirci alla qualità dei servizi stessi.

Dirò ora qualcosa sulla nuova legge urbanistica predisposta secondo gli accordi di Governo. Il progetto di legge urbanistica ha degli elementi innovatori anche rispetto alla stessa legge Sullo.

Vi è, infatti, una ricerca per trovare sistemi che consentano la messa in moto graduale del processo di pianificazione, tenendo conto però dell'urgente intervento nelle zone di accelerata urbanizzazione. La programmazione economica è impegno di prossima scadenza, ed al primo, sia pure embrionale e grezzo, ma reale programma economico, si dovrebbe agganciare anche il piano urbanistico nazionale. Ma ciò che è veramente innovatore è il fatto che tutto il processo di urbanizzazione sia pubblicizzato, attraverso quello ormai definito l'esproprio generalizzato; il piano particolareggiato è infatti l'elemento esclusivo di attuazione dei piani regolatori comunali e comprensoriali (entrambi sono allo stesso livello; il piano regolatore comunale è ammesso per i Comuni dotati di gestione urbanistica, capaci cioè di autoregolarsi, e i comprensori sono raggruppamenti di Comuni dotati di organi e di uffici tali da garantire la gestione urbanistica). Il processo di urbanizzazione consta delle seguenti fasi: individuazione delle aree; loro espropriazione, urbanizzazione e, quindi, utilizzazione di quelle edificabili attraverso differenti forme. Il Comune può cioè riservare a se stesso le aree, o cederle in affitto, a tempo indeterminato, cederle allo Stato o a Enti Pubblici, oppure metterle all'asta per la cessione a privati.

Questo è il meccanismo che è stato congegnato per la pubblicizzazione dello sviluppo della città, che esclude ogni altra alternativa, ciò è necessario perchè se si immaginasse un doppio regime di licenza in talune zone e di esproprio in altre si determinerebbe una situazione insostenibile di concorrenza e di conflitto, con sperequazioni e con l'insorgenza di pressioni. I mali del sistema attuale non sarebbero curati. Solo l'esproprio generalizzato preventivo garant:isce l'efficienza della espansione urbanistica, della organizzazione lei territori e delle città, degli insediamenti in generale e della riorganizzazione di tutto un territorio.

In questo processo continuo la gestione urbanistica diventa una gestione specifica, separata da quella che è la gestione comunale, che continuerà ad esistere per tutti gli altri settori della vita pubblica; in tal modo si renderanno fattibili dei bilanci nei quali siano effettiramente visibili tutti gli addendi dei costi e dei ricavi delle operasioni, dove i ricavi dell'operazione siano reimpiegati per garantire il processo di miglioramento dello stesso sviluppo di urbanizzazione.

Questa è la innovazione fondamentale che era già presente in 'orma grezza nella precedente formulazione del progetto Sullo ma che ha avuto un chiarimento preciso solo in questo studio. La gestione urbanistica si traduce, nella proposta in atto, in un programma annuale che consente, di poter predisporre tutti i mezzi finanziari adeguati per le operazioni e che impegna tutte le amministrazioni. mezzi, o provengono dallo stesso processo, che una volta acceso si sviluppa, oppure possono essere frutto di apporti esterni, di contributi dello Stato, di contributi previsti da varie leggi; ecc. In questo programma i servizi sociali si possono collocare, avranno la loro individuazione ed il loro capitolo.

Nel programma annuale saranno individuate tutte le opere che verranno attuate, iniziate o compiute durante l'anno e le singole amministrazioni che eventualmente concorressero a queste operazioni, sono chiamate a legare il proprio bilancio a quello della gestione urbanistica.

Ecco che allora il piano urbanistico, in questa prospettiva, cessa di essere un piano unicamente di possibilità; diventa un piano che in certi casi è anche di vincoli, ma è soprattutto di cose che si fanno. E' il piano di ciò che si fà, non. un piano di ciò che si potrebbe fare e poi non si fà. Allora penso che la vostra richiesta che l'infra struttura sociale sia tenuta presente, ha una possibilità, una prospettiva, di essere accettata ed inserita in piani che vincoleranno tutte le Amministrazioni interessate. Una prospettiva dunque si apre: che i servizi sociali possano effettivamente concretarsi.

La prospettiva della nuova legge urbanistica contrappone al vecchio mondo possibilista, leggermente vincolistico, ma soprattutto aperto a qualsiasi iniziativa privata, un mondo di amministrazioni responsabilizzate, che decidono ciò che si farà.

Sarà allora possibile istituire un più ampio bilancio, oltre a quello della gestione urbanistica, ma che è possibile soltanto quando esista la gestione urbanistica: ed è il bilancio economico di una intera città e di un intero territorio. Oggi è impossibile pensarvi, perchè sfugge completamente il campo dei costi sociali, delle infrastrutture, dipendenti in parte da iniziative dello Stato, in parte da possibilità di applicazione di infinite leggi, senza che sia possibile prevedere quando i fondi richiesti possano arrivare, ciascuno dopo un lunghissimo iter, nella più disordinata, nella più incredibile delle situazioni di caos amministrativo che si possa immaginare.

Si abbandona questa situazione e si passa ad una situazione più metodica e forse un pochino ragionieristica - qualcuno potrà anche dire - ma certamente chiara -, della gestione della cosa pubblica, come ossatura di una economia che comprenda tutte le attività di una città e di un territorio. A quel momento sarà possibile impostare il bilancio fondamentale che fino ad oggi non siamo mai riusciti ad ottenere, tra ciò che la città offre ai suoi cittadini e ciò che i cittadini chiedono, e di stabilire con precisione ciò che i cittadini devono pagare per ottenere un certo tipo di città.

Questo bilancio chiaro, portato all'attenzione degli utenti, consentirà precisamente di confrontare ciò che da una parte i cittadini chiedono e ciò che sono disposti a pagare e dall'altra ciò che la città offre. I risultati urbanistici non saranno più soltanto il frutto delle pressioni dei privati che spingono l'espansione verso un lato o verso l'altro lato della città per il loro esclusivo interesse, ma l'abilità tecnica degli urbanisti sarà chiamata a far sì che la domanda dei cittadini ottenga il massimo grado di efficienza, a parità di costo. Questa è la prospettiva, veramente nuova ed innovatrice che ci si offre, quando sia stato sgombrato il campo della proprietà privata del suolo e di tutte quelle che sono le implicazioni e le pressioni che essa crea.

In questa prospettiva, mi pare che il pilone fondamentale dell'infrastruttura sociale, studiato nella sua consistenza, nella sua qualificazione, e nelle possibilità di rendere vivo il tessuto sociale, finora trascurato, possa ora essere progettato e costruito.

Postilla

L'UDI (un'associazione militante di donne, in prevalenza aderenti ai partiti della sinistra)organizzò questo convegno sulla base di una iniziativa sociale e politica che era partita da un documento "Per l'obbligatoriertà della programmazione dei servizi sociali in un nuovo assetto urbanistico", del dicembre 1963, e si era prolungata nella raccolta di firma per una proposta di legge d'iniziativa popolare. E' l'avvio di un'azione che condurrà, nel 1968, al Decreto interministeriale sugli standards urbanistici, che imporrà di riservare, in ogni piano urbanistico, aree in misura idonea per la costituzione di spazi pubblici o di uso pubblico. Le altre relazioni sono state svolte da Elena Caporaso(Il lavoro della donna nella società moderna), Alberto Todros (La legislazione per l’attuazione dei servizi sociali), Edoardo Detti (I servizi sociali nei piani di zona della legge 167), le conclusioni da Luciana Viviani.

Il testo di Astengo rivela come già da allora (cioè prima del decreto sugli standard) fosse chiaro che una previsione meramente quantitativa, sebbene indispensabile, non fosse però sufficiente: i temi della qualità dei servizi erogati, della loro connessione e accessibilità, del loro compiuto significato urbanistico, infine della loro gestione apparivano già allora temi altrettanto rilevanti. (es)

Di seguito la relazione; in allegato il testo completo dell'articolato, in formato .pdf

Disposizioni per la tutela e la valorizzazione del paesaggio rurale

Relazione

Onorevoli Senatori. – L’esigenza di un intervento legislativo per la tutela e la valorizzazione del paesaggio rurale italiano nasce dalla constatazione che il processo di consumo e di abbandono del territorio agricolo nazionale non si arresta ed ha anzi conosciuto nel decennio trascorso una ulteriore e preoccupante accelerazione.

Vorrei avviare l’illustrazione del presente disegno di legge proprio con i dati diffusi recentemente dall’Associazione nazionale bonifiche e irrigazione (ANBI) relativi all’evoluzione nazionale della superficie agricola utilizzata (SAU). Nel periodo intercorso fra il 1990 ed il 2003 la SAU si è ridotta del 20,4 per cento passando da oltre 15 milioni di ettari a poco più 12, con 3 milioni di ettari (10 per cento del territorio nazionale) conquistati dalla cementificazione o dai processi di abbandono e desertificazione. Un’analisi su base regionale dei dati del «bollettino di guerra» aiuta ad interpretare le tendenze in atto: impressionante il calo della SAU nel Lazio (dal 48 per cento al 35 per cento della sup. regionale), nell’Abruzzo (dal 48 per cento al 27 per cento), nella Liguria (dal 17 per cento all’8 per cento), nella Campania (dal 48 per cento al 36 per cento), nella Sardegna (dal 56 per cento al 42 per cento) con un trend che interessa peraltro, anche se in modo disomogeneo, l’intero territorio nazionale. Ad agire sono spinte all’urbanizzazione diffusa, che interessano le aree periurbane ma anche comprensori di grande pregio agricolo, una politica delle infrastrutture disordinata e con crescente impatto territoriale, e il procedere di fenomeni di marginalizzazione di aree agricole periferiche, dove le difficili condizioni di redditività e il forte tasso di invecchiamento dei conduttori accelerano l’abbandono dell’attività.

Sono recentemente assurti all’onore delle cronache, per le caratteristiche di particolare valore paesaggistico delle aree interessate, i casi della Val d’Orcia e della Valpolicella. Il Ministro per i beni e le attività culturali, in una conferenza stampa tenutasi il 4 aprile scorso, ha parlato di «sfregio silenzioso del paesaggio italiano», denunciando alcuni casi particolarmente eclatanti, ma anche evidenziando la preoccupante quotidianità di una pressione continua sulle zone vincolate, ad esempio con oltre 30.000 richieste di trasformazione all’anno inoltrate all’esame delle competenti Soprintendenze nella sola Lombardia. Andrea Zanzotto, uno dei massimi poeti italiani viventi, ha avuto modo di affermare di recente, con riferimento ai processi in atto nel natìo Veneto: «una volta esistevano i campi di sterminio, oggi siamo allo sterminio dei campi».

Eppure a soccombere è un patrimonio di storia, cultura e natura di importanza inestimabile per il nostro Paese. Una secolare evoluzione che ha incontrato condizioni particolarmente favorevoli nella diversità geografica, litologica, climatica e biologica della penisola, dando sostanza a quelle «cento agricolture» e a quella pluralità e qualità dei paesaggi rurali ammirata dai viaggiatori di tutto il mondo fin dal secolo XVIII, arricchita dalla varietà delle tipologie dell’architettura rurale regionale. Non si può non sottolineare in questo contesto il ruolo insostituibile degli agricoltori nel determinare la straordinaria ricchezza di forme del «Bel Paese», laddove è stato l’ingegno e la capacità di adattamento dell’attività produttiva ad ambienti naturali a volte ostili a consentire la strutturazione del mosaico delle campagne italiane. Un mosaico ancora vivo nel quale si leggono però i segni di una riduzione delle caratteristiche identitarie, della tendenza all’impoverimento delle componenti arboree, arbustive ed erbacee, dell’abbandono del pascolo brado e delle colture promiscue.

L’urgenza di agire per la conservazione di questo patrimonio nasce dalla consapevolezza del suo carattere multifunzionale che travalica la dimensione, pure di eccezionale rilevanza, concernente il valore estetico e di identità nazionale, riconosciuto dal dettato costituzionale. Il mantenimento del paesaggio rurale e delle attività che lo supportano è la più efficace forma di contrasto del dissesto idrogeologico, che interessa attualmente il territorio di 5.500 comuni, e di prevenzione dei processi indotti dal cambiamento climatico ed in particolare della tendenza alla desertificazione, già così evidente in alcune regioni. Il territorio rurale svolge inoltre un ruolo ambientale insostituibile a partire dai cicli biogechimici, con il mantenimento di superfici fotosinteticamente attive che metabolizzano l’anidride carbonica e contribuiscono ad ammortizzare l’effetto serra e con il ruolo di «serbatoio» della diversità genetica rappresentato dalle varietà vegetali agricole e dalle razze animali autoctone, un patrimonio ancora ricco nel nostro Paese che merita una politica mirata di protezione.

Ma il paesaggio rurale può essere anche il volano di un nuovo sviluppo economico-territoriale, duraturo e sostenibile, che si va affermando in alcune aree del Paese. Il riferimento è a quella offerta integrata di prodotti agricoli tipici e dell’artigianato alimentare con servizi culturali e di fruizione del paesaggio che conosce, con l’agriturismo e il turismo enogastronomico, una importante fase di crescita nell’attenzione degli utenti. L’offerta integrata di risorse del territorio, che si incentra sulla conservazione attiva e non sul consumo irreversibile, rappresenta oggi l’unica alternativa effettivamente praticabile in molte realtà del nostro Paese, altrimenti destinate al degrado urbanistico o all’abbandono. Le stesse produzioni alimentari di qualità si identificano oggi con sempre maggiore frequenza con il territorio dal quale provengono, in tutto il mondo la qualità dei sapori italiani, purtroppo anche quando è contraffatta, si accompagna con le immagini-simbolo dei paesaggi di pregio ed è questa una grande opportunità di crescita per il nostro comparto agroalimentare.

Una nuova prospettiva nelle politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio rurale si è del resto già manifestata a partire dal contesto internazionale. L’UNESCO, con l’adozione e l’applicazione della World Heritage Convention, ratificata in Italia con legge 6 aprile 1977, n. 184, ha avviato il riconoscimento, quali parti integranti del patrimonio culturale dell’umanità, di sistemi di paesaggio profondamente modellati dall’attività umana, con i primi esempi in Italia costituiti dai comprensori delle Cinque Terre (1997), della costiera amalfitana (1997) e della Val d’Orcia (2004). La Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha riscoperto il valore per il futuro dell’alimentazione umana di pratiche agricole tradizionali che vengono studiate e salvaguardate con il progetto GIIAHS (Globally Important Ingenious Agricultural Heritage Systems). L’Unione europea ha aperto alla firma dei Paesi membri nell’ottobre del 2000 la Convenzione europea sul paesaggio, quale strumento di indirizzo per le politiche comuni in materia di salvaguardia, gestione e pianificazione dei paesaggi, ratificato dall’Italia ai sensi della legge 9 gennaio 2006, n. 14, ed ha adottato nel corso del 2003, nel quadro della riforma di medio termine della politica agricola comune, importanti orientamenti innovativi finalizzati a promuovere il carattere multifunzionale dell’agricoltura. La scelta di adottare il disaccoppiamento totale degli aiuti e l’ecocondizionalità, nonché di incrementare progressivamente le risorse per il «secondo pilastro» dello sviluppo rurale, ha aperto la strada ad un orientamento ormai irreversibile nella politica agricola europea che pone al centro dell’attenzione la qualità delle produzioni e l’integrazione con le politiche di sostenibilità ambientale.

Le politiche italiane per il paesaggio rurale nascono nel segno della separatezza fra la pianificazione urbanistica e gli interventi di sostegno del mercato agricolo. Una incomunicabilità che ha coniugato per tutta una fase storica normative di conservazione statica, peraltro inefficaci, con interventi prevalentemente rivolti alla politica dei prezzi, alla specializzazione intensiva e alla standardizzazione delle colture. Più recente è il tentativo di sistematizzare il quadro giuridico in materia, condotto con l’approvazione del codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), e l’avvio di esperienze innovative di integrazione riconducibili alla pianificazione paesaggistica regionale e ad alcuni piani di assetto delle aree naturali protette, in un quadro generale comunque inadeguato a fronteggiare le dinamiche di erosione del paesaggio rurale. Di notevole interesse in questo campo anche alcune iniziative di regolazione concertata, avviate in collaborazione fra enti locali e categorie rappresentative del mondo agricolo, fra le quali si segnala in particolare la «Carta per l’uso sostenibile del territorio rurale del Chianti», recentemente ufficializzata, e il piano regolatore della Città del Vino, un compendio di linee etodologiche per la pianificazione nei comuni a forte vocazione viticola, promosso dall’Associazione «Città del Vino».

Il disegno di legge qui proposto muove dall’assunto che la storicità del paesaggio rurale debba essere considerata una risorsa preziosa per il futuro e che occorra dedicare maggiore attenzione alle condizioni concrete di esercizio di quelle attività di conduzione agricola a cui tuttora è affidata la manutenzione del 40 per cento del territorio nazionale e la sopravvivenza di alcuni dei contesti ambientali più rappresentativi del Paese. Un obiettivo che si può perseguire solo determinando la convergenza delle politiche urbanistiche, agricole e fiscali verso una strategia comune e avviando una più proficua sinergia nell’azione dei molteplici attori istituzionali competenti, in grado di determinare un salto di qualità nelle politiche nazionali e locali per la tutela del paesaggio.

L’articolo 1 del disegno di legge attiene alle finalità generali dell’intervento legislativo, che si propone, in attuazione dell’articolo 9 del dettato costituzionale, di collocare le politiche di tutela del paesaggio rurale, in quanto componente fondante del patrimonio naturale e culturale del Paese, fra le priorità delle politiche ambientali, di pianificazione urbanistica e di sviluppo rurale e di dare nuovo impulso all’azione dei diversi livelli istituzionali, nel rispetto delle competenze attribuite.

L’articolo 2 sostanzia le modifiche che si intendono apportare al codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. In primo luogo si interviene sull’articolo 142 del citato provvedimento, concernente le aree tutelate per legge, per inserire in tale ambito una nuova categoria sottoposta ope legis alla tutela paesaggistica: il territorio che supporta l’agricoltura tipica e di qualità del nostro Paese, vale a dire le aree interessate da colture agricole o pratiche zootecniche finalizzate all’ottenimento di prodotti a denominazione d’origine geografica di cui al regolamento (CE) n. 510/2006, del Consiglio, del 20 marzo 2006, i comprensori coinvolti nella coltivazione di vitigni finalizzata alla produzione dei vini tipici a denominazione geografica di cui alla legge 10 febbraio 1992, n. 164, e le aree che ospitano coltivazioni biologiche ai sensi del regolamento (CE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991. Si tratta concretamente di meglio tutelare i 159 riconoscimenti comunitari già assegnati a prodotti italiani DOP (denominazione d’origine protetta) e IGP (indicazione geografica protetta), i 477 vini nazionali di qualità registrati come denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), denominazione di origine controllata (DOC) e indicazione geografica tipica (IGT) e circa un milione di ettari riservati dalle aziende agricole italiane a produzioni biologiche certificate, nel suo complesso un patrimonio di produzioni gastronomiche di alta qualità che ci pone all’avanguardia in merito a livello europeo. Una più accorta vigilanza preventiva quindi sui processi di trasformazione urbanistica delle aree agricole di pregio, laddove occorre meglio proteggere attività che svolgono un ruolo di rilievo nelle formazione del paesaggio e della stessa identità culturale delle comunità locali, ma anche assumono una valenza crescente a livello economico, con un valore sul mercato, per i soli prodotti DOP e IGP, di 9 miliardi di euro, con il primato delle esportazioni vinicole italiane a livello mondiale e circa 1,5 miliardi di euro di prodotti biologici e biodinamici consumati sul mercato interno.

La seconda importante innovazione legislativa introdotta dall’articolo 2 concerne la previsione della possibilità, ricondotta sia alle competenze dello Stato che delle regioni e delle province autonome, di individuare «sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale», definiti come quei comprensori che presentano eccezionali relazioni di qualità fra paesaggio e pratiche agronomiche e che si intendono tutelare in via prioritaria in quanto rappresentativi di quelle caratteristiche irripetibili storicamente consolidatesi nel paesaggio rurale italiano. Per questi sistemi territoriali viene introdotta una disciplina di salvaguardia urbanistica finalizzata a prevenire il consumo di territorio agricolo: in sede di approvazione degli strumenti di pianificazione si prescrive una valutazione prioritaria della sussistenza di alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti a fronte di eventuali proposte di espansione delle residenze e delle infrastrutture, con l’obiettivo di privilegiare e mantenere l’utilizzazione agricola dei suoli. È stata inoltre inibita la localizzazione in queste aree degli impianti di deposito e smaltimento dei rifiuti, degli impianti di produzione elettrica a generazione eolica di potenza superiore a 50 Kw e delle linee ad alta tensione di portata superiore a 220 Kv. Sono fatti salvi gli interventi funzionali all’esercizio dell’attività agricola e agrituristica e, qualora compatibili con l’indirizzo dettato dalle suddette norme di salvaguardia, i piani paesaggistici di cui all’articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, già adottati o approvati alla data di entrata in vigore della legge. Nella consapevolezza di agire in una materia di delicato rilievo costituzionale, si è scelto pertanto, nella formulazione dell’articolo 2, di fornire allo Stato e alle regioni una opportunità ulteriore di intervento per una più efficace tutela del paesaggio quale patrimonio culturale della Repubblica nel contesto degli articoli 9 e 117 della Costituzione, senza scardinare il quadro giuridico vigente, nel solco della recente sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 5 maggio 2006.

Con l’articolo 3 si concretizza l’esercizio da parte dello Stato di tale nuova opportunità mediante individuazione sul territorio nazionale di una selezione di 19 «sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale» che si ritengono solo parzialmente rappresentativi dell’eccezionale mosaico del paesaggio rurale italiano, alla cui perimetrazione sul territorio dovranno provvedere le regioni competenti; a tal fine ci si è avvalsi del prezioso lavoro scientifico, tuttora in corso, condotto dal gruppo di ricerca nazionale GECOAGRI-LANDITALY, coordinato dalla Prof.ssa Maria Gemma Grillotti docente di Geografia presso l’Università Roma Tre, finalizzato alla costruzione di un Catalogo nazionale dei paesaggi rurali, così come auspicato dalla Dichiarazione finale del Colloquium internazionale «Quality Agriculture», accolta in sede FAO in data 5 luglio 2005. Si tratta con ogni evidenza di una elencazione non esaustiva, tendente a definire una prima rete delle tipologie più rappresentative dei diversi paesaggi agricoli in relazione alle colture e alle tecniche di allevamento tradizionali del nostro Paese, che le regioni potranno ampiamente integrare con una autonoma attività di individuazione, anche in rapporto ai propri strumenti di pianificazione paesistica e di sviluppo rurale. Questa prima «rete» di protezione dei paesaggi rurali irrinunciabili colma peraltro, a nostro avviso, un vuoto reale nel sistema nazionale di tutela delle aree di interesse ambientale e paesaggistico e pone le premesse per valorizzare a pieno la dimensione storica del lavoro agricolo nella formazione dell’immagine del Paese.

Con l’articolo 4 si definiscono un serie di interventi rivolti alla valorizzazione delle attività agricole e alla promozione del paesaggio nei «sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale», nella convinzione che il mantenimento dell’integrità di questi comprensori non possa essere affidata solo a politiche di tutela passiva, ma debba contemporaneamente fondarsi sulle condizioni reali di conduzione e di redditività delle aziende agricole, di attrattività culturale e di vivibilità delle aree. È necessario pertanto determinare una convergenza degli strumenti di sostegno per le imprese agricole e degli strumenti delle politiche di coesione e sviluppo locale verso questi obiettivi, nonché una nuova finalizzazione di alcune opportunità di investimento oggi non adeguatamente orientate. Il riferimento è in primo luogo a quelle risorse della politica agricola comunitaria specificamente riservate alla qualità e all’ambiente (articolo 69 del regolamento (CE) 1782/2003) che, in sede di applicazione nazionale, il nostro Paese ha scelto ad oggi di distribuire a pioggia, senza alcuna reale efficacia di orientamento verso pratiche apprezzabili in termini di sostenibilità ambientale. L’articolato proposto prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, d’intesa con le regioni, provveda ad una nuova formulazione del decreto attuativo per l’impegno di tali risorse, orientandole parzialmente a sostegno delle attività agricole e zootecniche in atto nei «sistemi prioritari di paesaggio storico rurale», dove potrebbero trovare un impiego più coerente con lo spirito della riforma, con particolare riferimento ad alcuni seminativi e alla zootecnia. Il comma 3 dell’articolo 4 introduce inoltre l’integrale deducibilità dal reddito imponibile a fini IRPEF e lRES per le erogazioni liberali effettuate quale contributo alla realizzazione di interventi di recupero ambientale e paesaggistico, approvati dagli enti locali, nei sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale. Si tratta di una misura innovativa, che risponde ad alcune sollecitazioni provenienti dal mondo associativo del vino, ed intende facilitare l’investimento privato in opere di miglioramento ambientale, laddove le imprese possono trarre proprio dal rapporto con le qualità territoriali le ragioni fondanti del proprio sviluppo.

Gli articoli 5, 6, e 7 sono destinati ad introdurre misure specifiche di tutela e valorizzazione per tre pratiche tradizionali di grande valore storico per l’agricoltura mediterranea, che rivestono un ruolo primario nella definizione dei paesaggi rurali più tipici: l’olivicoltura, la viticoltura e il pascolo di alta quota.

Per quanto concerne la coltura dell’ulivo si intendono salvaguardare in primo luogo quei complessi arborei che rivestono particolare interesse dal punto di vista botanico, paesaggistico o di tutela dell’assetto idrogeologico ed arginare il fenomeno dell’espianto e del commercio degli ulivi secolari. Si tratta di interventi che depauperano del loro patrimonio ambientale aree consistenti della Puglia, della Toscana e di altre regioni, rivolti a fornire a vivai e giardini privati piante di eccezionali qualità estetiche, in gran parte destinate a deperire in breve tempo. Un censimento degli esemplari e delle aree interessate effettuato dalle regioni consentirà di vietare, con sanzioni adeguate, il danneggiamento, l’espianto e il commercio delle piante tutelate, mentre gli esercizi florovivaistici dovranno esibire, a richiesta degli organi di controllo idonea documentazione atta a risalire all’origine. Per eventuali interventi di manutenzione e gestione delle aree olivicole di particolare pregio le regioni, le province autonome e gli enti locali possono ricorrere a convenzioni con gli imprenditori agricoli ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, anche per promuovere progetti di agricoltura sociale finalizzati al recupero produttivo.

Il nostro Paese presenta una grande varietà di vitigni autoctoni e forme tradizionali di viticoltura di eccezionale valenza agronomica ed ambientale, come la viticoltura «eroica» dei versanti montani, la viticoltura isolana e quella praticata sulle terrazze costiere. Per tutelare questo patrimonio l’articolo 6 propone che le regioni provvedano a censire sul territorio di rispettiva competenza le aree viticole di interesse storico e ambientale, ad introdurre eventuali disposizioni specifiche per il recupero e la corretta conduzione colturale e a promuovere convenzioni con gli imprenditori agricoli per la gestione delle aree anche con forme di agricoltura sociale.

La pratica dell’alpeggio e della transumanza sui pascoli in quota hanno contribuito a determinare alcuni dei paesaggi alpini e appenninici di maggiore pregio del nostro Paese, nonché prodotti derivati dal latte di grande qualità, apprezzati con sempre maggiore interesse dai consumatori e spesso ad alto rischio di estinzione, unitamente ad alcune razze bovine e ovicaprine autoctone. La forte diminuzione dei piccoli allevamenti in altura procede di pari passo con l’espansione indiscriminata di insediamenti turistici non rispettosi del delicato equilibrio della montagna e con la riduzione della biodiversità vegetale delle praterie alpine. L’articolo 7 intende introdurre indirizzi per le regioni, le province autonome e gli enti locali rivolti a contrastare l’abbandono, la frammentazione e il cambio di destinazione dei pascoli montani e a facilitare la prosecuzione sul posto delle attività di trasformazione del latte. Sono previste fra l’altro una maggiore attenzione alle razze animali autoctone nelle procedure di concessione dei pascoli demaniali e il trasferimento alle regioni e alle province autonome delle competenze in materia di deroghe igienico-sanitarie per le produzioni alimentari tradizionali di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, al fine di consentire una più adeguata valutazione delle problematiche concernenti le tecniche artigianali in altura. Anche in questo caso le province e gli enti locali possono promuovere convenzioni con gli imprenditori agricoli per la conduzione conservativa dei pascoli, sulla scorta di alcune interessanti esperienze già avviate.

Le misure di contrasto della tendenza all’abbandono delle aree agricole marginali devono entrare a pieno titolo nelle politiche finalizzate alla prevenzione del dissesto idrogeologico, della desertificazione e del degrado dei paesaggi rurali e sono all’ordine del giorno in diversi paesi europei. In Francia la nuova legge d’orientamento in agricoltura (legge n. 157 del 23 febbraio 2005) ha definito le cosiddette «zone di rivitalizzazione rurale», che godono di un particolare regime di esenzione fiscale per le attività agricole ed artigianali, mentre interventi analoghi sono in discussione in Spagna nell’ambito delle politiche nazionali a favore delle aree svantaggiate. Con l’articolo 8 si intende introdurre nel nostro Paese una prima forma di fiscalità di vantaggio per le aree rurali a più forte rischio di abbandono, da identificarsi, con successivi atti, in quei comuni nei quali si registra contemporaneamente declino demografico e forte riduzione della superficie agricola utilizzata. In queste aree si prevede, a decorrere dall’anno 2009, l’applicazione di aliquote IRPEF e IRES ridotte del 25 per cento per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile e per le società agricole, come definite dall’articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, misure che possono entrare in sinergia con quelle previste dall’articolo 4 del presente disegno di legge per i «sistemi prioritari di paesaggio storico-rurale».

Nei commi 3 e 4 dello stesso articolo viene inoltre introdotta una premialità nei trasferimenti erariali allo Stato per quei comuni dove si registrino risultati significativi in termini di conservazione della superficie agricola utile, al fine di riequilibrare lo stato di fatto che vede avvantaggiati nelle entrate gli enti locali che facilitano le trasformazioni a fini edificatori.

Nell’articolo 9 vengono definite le disposizioni per la copertura finanziaria. Per l’agevolazione fiscale di cui all’articolo 4, comma 3 (deducibilità integrale delle erogazioni liberali per interventi di recupero ambientale) è concessa la spesa di 10 milioni di euro all’anno, per l’attuazione delle convenzioni con gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 5, comma 4 e all’articolo 6, comma 3, finalizzate alla gestione delle aree olivicole e vitivinicole di interesse storico e paesistico, è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro all’anno, per la fiscalità di vantaggio per le aree rurali a rischio di abbandono (articolo 8) è prevista una copertura annua pari a 20 milioni di euro. Da notare infine che una parte della copertura finanziaria del provvedimento viene reperita attraverso la soppressione di ingiustificate agevolazioni IVA attualmente concesse a prodotti alimentari riconosciuti dannosi per la salute, quali i grassi idrogenati e le bibite analcoliche di fantasia, che godono tuttora di aliquota ridotta al 10 per cento.

Presentato in data 7 febbraio 2007; ora all'esame della XIII Commissione “Territorio, ambiente, beni ambientali” assieme ai disegni di legge nn. 1652 (Piglionica) e 1691 (Ronchi e altri).Di seguito la relazione e il testo dell’articolato, con link al documento ufficiale, nel formato .pdf.



Principi fondamentali in materia di pianificazione del territorio e recepimento della direttiva 2001/42/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull' ambiente



Relazione

Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge è volto a stabilire i princìpi fondamentali in materia di pianificazione del territorio e recepimento della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

Il primo principio fondamentale, con la dichiarazione del quale si apre l’articolato del provvedimento, è che il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze.

A questa importante enunciazione di principio fa immediatamente seguito, al comma 2 dell’articolo 1, la qualificazione della pianificazione territoriale come strumento mediante il quale le pubbliche autorità, nell’ambito e nell’esercizio delle rispettive competenze, promuovono la tutela, la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile del territorio in quanto patrimonio comune, identificandone e regolandone gli usi ammissibili.

L’articolo 2 afferma poi con grande nettezza e perentorietà la titolarità esclusivamente pubblica della pianificazione, precisando tra l’altro che la legge può attribuire ad autorità pubbliche diverse dagli enti territoriali specifici compiti relativamente alla formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette e all’erogazione di servizi di interesse collettivo, facendo salva in ogni caso la competenza decisionale finale degli enti territoriali medesimi.

Sempre l’articolo 2 rimette alle leggi statali e regionali la specificazione dei casi in cui gli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale prevalgono sugli strumenti ordinari di pianificazione e delle modalità di adeguamento degli strumenti ordinari di pianificazione alle disposizioni degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, nonché l’indicazione dei casi in cui il raggiungimento d’intese con altre autorità pubbliche conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni la valenza e l’efficacia degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

Si confermano poi con gli articoli 3 e 4 princìpi già presenti nella legislazione statale e regionale, quali la pianificazione come metodo generale per il governo del territorio e l’onerosità per l’operatore immobiliare delle opere necessarie alla trasformazione urbanistica.

L’articolo 5 prevede la partecipazione dei cittadini alle scelte di pianificazione territoriale.

L’articolo 6 mira ad ampliare i princìpi cui deve essere soggetta la pianificazione urbanistica, ricomprendendo fra di essi quelli relativi al “diritto alla città e all’abitare”, nell’intento di estendere la storica conquista degli standard urbanistici al diritto ad un’abitazione, ai servizi, alla mobilità e alle risorse territoriali.

Una novità di grande rilievo è sicuramente rappresentata dalle prescrizioni contenute nell’articolo 7, che impongono un rigoroso contenimento del consumo del suolo, campo questo in cui l’Italia è stata finora completamente assente, mentre in tutti i più importanti Paesi europei nell’ultimo decennio sono state avviate politiche concretamente mirate a impedire la dissipazione del territorio.

Uno dei princìpi cardine del presente disegno di legge è infatti quello di limitare al massimo il consumo di suolo e di evitare il consumo di nuovo territorio, in quanto risorsa scarsa, senza aver prima verificato tutte le possibilità di recupero, di riutilizzazione e di sostituzione.

Significato normativo di non poco momento rivestono anche le disposizioni introdotte recate dall’articolo 8 allo scopo di stabilire ope legis un vincolo di tutela sui centri storici e su tutte le strutture insediative storiche (anche non urbane), nonché quelle recate dall’articolo 5 e dall’articolo 11 per assicurare la formazione partecipata degli strumenti di pianificazione. È quest’ultimo un tema che in qualche modo esula dallo specifico campo della pianificazione, riguardando la qualità della vita democratica del Paese, ma è indubbio che, per il loro carattere «statutario», le scelte di sviluppo del territorio e delle città rappresentano uno dei campi fondamentali in cui deve essere perseguita la più ampia partecipazione sociale.

L’articolo 9 affida la definizione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per l’ambiente e la tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata e acquisiti i pareri delle competenti commissioni parlamentari. Le linee fondamentali riportano, assicurandone la coerenza, il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale, con particolare riferimento al piano dei trasporti, al piano energetico, ai piani delle aree naturali protette e ai piani paesaggistici, e tengono altresì conto degli atti dell’Unione europea comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

L’articolo 10 detta princìpi in materia di strumenti di pianificazione delle regioni e degli enti locali, mentre l’articolo 12 disciplina la stipulazione di accordi di programma e l’articolo 13 l’indennizzabilità dei vincoli di tutela.

L’articolo 14, nel disciplinare i vincoli a contenuto espropriativo, dà soluzione alla vexata questio della decadenza dei vincoli a contenuto espropriativo imponendo ai comuni l’obbligo ad acquisire entro un termine perentorio i beni che i piani assoggettano ad esproprio.

L’articolo 15 stabilisce i princìpi fondamentali relativi all’attuazione degli strumenti di pianificazione, mentre l’articolo 16 reca una serie di disposizioni particolarmente importanti ed innovative perché dirette a recepire la normativa europea in materia di valutazione ambientale strategica.

L’articolo 17 individua nella pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale la carta unica del territorio, che deve rappresentare il riferimento esclusivo per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia.

L’articolo 18 definisce i compiti del sistema informativo territoriale, che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione e per la verifica dei loro effetti, mentre l’articolo 19 reca una serie di modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

L’articolo 20, infine, con riferimento al territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale, vieta ogni modificazione dell’assetto del territorio salvo quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai princìpi fondamentali stabiliti dalla presente legge, nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici.

Il presente disegno di legge è stato messo a punto grazie al contributo di alcuni studiosi, giuristi ed urbanisti, facenti capo all’associazione Eddyburg.





Testo degli articoli

Art. 1.

(Finalità)

1. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune e le pubbliche autorità ne sono i custodi e i garanti.

2. La presente legge detta norme relative alla pianificazione del territorio, quale strumento mediante il quale le pubbliche autorità, nell’ambito e nell’esercizio delle rispettive competenze, promuovono la tutela, la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile del territorio in quanto patrimonio comune, identificandone e regolandone gli usi ammissibili.

3. La presente legge provvede anche al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

Art. 2.

(Titolarità pubblica della pianificazione del territorio)

1. Le funzioni e i compiti di pianificazione del territorio sono esercitati esclusivamente da pubbliche autorità ed in particolare dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato.

2. Con legge statale o regionale possono essere attribuiti ad autorità pubbliche, diverse dagli enti territoriali di cui al comma 1, specifici compiti relativamente alla formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette e all’erogazione di servizi di interesse collettivo, facendo salva in ogni caso la competenza decisionale finale degli enti territoriali di cui al comma 1.

3. La legge statale e la legge regionale specificano i casi in cui gli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale di cui al comma 2 prevalgono sugli strumenti ordinari di pianificazione. La legge statale e la legge regionale specificano altresì le modalità di adeguamento degli strumenti ordinari di pianificazione alle disposizioni degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, nonché i casi in cui il raggiungimento di intese con altre autorità pubbliche conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni la valenza e l’efficacia degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

Art. 3.

(Oggetto ed efficacia degli strumenti di pianificazione)

1. Gli strumenti di pianificazione recano la regolazione delle trasformazioni fisiche e funzionali del territorio e degli immobili che lo compongono al fine di assicurarne la coerenza in relazione alla loro collocazione nello spazio e alla loro successione nel tempo.

2. Gli atti e le attività delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi agli strumenti di pianificazione, salvo il caso di atti assunti, conformemente alla legislazione vigente, nel ricorrere della straordinaria necessità di provvedere con interventi urgenti alla difesa militare o alla sicurezza della Nazione o di prevenire il verificarsi di calamità naturali, di catastrofi e di altri eventi calamitosi o di porre rimedio alle conseguenze di simili eventi.

3. La facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili può essere esclusa o limitata anche da sopravvenuti strumenti urbanistici, salvo il caso in cui sia stato già ottenuto il provvedimento abilitativo ad operare le trasformazioni e le relative attività abbiano avuto inizio entro il periodo di tempo predeterminato dalla legge.

Art. 4.

(Onerosità della trasformazione urbanistica)

1. L’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie ai fini della mitigazione ambientale, costituisce presupposto necessario e indefettibile di ogni trasformazione urbanistica.

2. Ogni attività comportante trasformazione urbanistica concorre al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste. La legge regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da realizzare un equilibrio tra somme introitate dal comune e costi da sostenere e che le opere di urbanizzazione generale siano ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sull’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.

Art. 5.

(Partecipazione dei cittadini alle scelte di pianificazione)

1. La partecipazione dei cittadini è elemento costitutivo ed indefettibile delle procedure di formazione delle scelte di pianificazione territoriale e deve essere assicurata dagli enti pubblici territoriali anche attraverso la costituzione di strutture idonee a garantire una diffusa e completa informazione in ordine a tutte le fasi, anche preliminari ed istruttorie, dei procedimenti di pianificazione territoriale e di trasformazione urbana.

Art. 6.

(Pianificazione del territorio e diritti fondamentali)

1. La pianificazione territoriale assicura un impiego delle risorse del territorio tale da non comprometterne la consistenza e garantisce l’utilizzazione delle medesime risorse in condizioni equivalenti per tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali ed ambientali e del patrimonio culturale, alla dignità umana e alla proprietà.

2. Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, la legge statale determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurate negli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.

3. Allo scopo di ridurre le condizioni di disagio abitativo i comuni definiscono, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, le localizzazioni e le modalità realizzative degli interventi finalizzati all’ampliamento dell’offerta di edilizia sociale.

Art. 7.

(Contenimento dell’uso del suolo e tutela delle attività agro-silvo-pastorali)

1. Gli strumenti della pianificazione territoriale possono consentire nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali esclusivamente nel caso in cui non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.

2. Sul territorio non urbanizzato gli strumenti di pianificazione non possono consentire nuove costruzioni o demolizioni e ricostruzioni o consistenti ampliamenti di edifici, salvo quelli strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto comunque di precisi parametri rapportati alla qualità e all’estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali ovvero da piani equipollenti previsti dalle leggi.

3. Le trasformazioni strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale di cui al comma 2 sono assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali si prevede la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale viene assentita la trasformazione, nonché l’impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici o delle loro parti attraverso utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente alla superficie oggetto della trasformazione assentita.

4. Le leggi regionali disciplinano le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e ricostruzione.

5. I manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici sono demoliti senza ricostruzione qualora perdano la destinazione originaria.

6. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono prevedere limitazioni ulteriori rispetto a quelle contemplate dal presente articolo, e anche la totale non trasformabilità del patrimonio edilizio esistente, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell’ambiente e dell’ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico, storico-testimoniale.

Art. 8.

(Tutela degli insediamenti storici)

1. Ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, a seguito dell’individuazione ad opera degli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come beni culturali e conseguentemente assoggettati alla relativa disciplina:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali che presentino valore di testimonianza di civiltà.

2. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili di cui al comma l sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni. Laddove siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite d’intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengono luogo delle speciali autorizzazioni di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali richieste dalle vigenti norme di legge.

Art. 9.

(Linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale)

1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento e alla loro eventuale variazione ogni tre anni e comunque in qualsiasi momento se ne presenti la necessità.

2. Le linee di cui al comma 1 riportano, assicurandone la coerenza, il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale, con particolare riferimento al piano dei trasporti, al piano energetico, ai piani delle aree naturali protette e ai piani paesaggistici.

3. Le linee di cui al comma 1 tengono altresì conto degli atti dell’Unione europea comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

Art. 10.

(Strumenti di pianificazione delle regioni e degli enti locali)

1. Le leggi regionali definiscono l’articolazione della pianificazione delle regioni e degli enti locali nei suoi diversi strumenti e indicano per ciascuno di questi:

a) la pubblica autorità competente, in base ai principi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;

b) i contenuti, l’efficacia, l’arco temporale di riferimento, le modalità di attuazione;

c) le procedure di formazione, nel rispetto dell’articolo 11.

2. È attribuita alla pianificazione provinciale o delle città metropolitane la competenza relativa alle scelte per le quali la scala comunale risulti, con particolare riferimento alle aree conurbate e alla finalità di contenere la dispersione insediativa, non adeguata a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. È attribuita alla pianificazione regionale la competenza relativa alle scelte per le quali la scala provinciale o della città metropolitana risulti, con particolare riferimento alle aree conurbate e alla finalità di contenere la dispersione insediativa, non adeguata a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi.

Art. 11.

(Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione)

1. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo dello strumento di pianificazione e le scelte oggetto dello strumento di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e atti amministrativi e dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare.

2. In vista dell’adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurata la partecipazione al rispettivo processo di formazione degli enti territoriali competenti all’adozione degli atti amministrativi, nonché di ogni autorità competente in materia di tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

3. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del rispettivo processo di formazione. A tal fine sono stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.

4. L’amministrazione procedente dà conto nel provvedimento di adozione dello strumento di pianificazione dei risultati delle consultazioni dei cittadini e del modo in cui sono stati tenuti in considerazione i pareri espressi dalle altre amministrazioni.

5. Successivamente all’adozione dello strumento di pianificazione deve essere previsto un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prenderne visione e presentare formali osservazioni.

6. A decorrere dalla data di adozione dello strumento di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, che siano con esso in contrasto ovvero tali da comprometterne o renderne più gravosa l’attuazione. La legge regionale può prevedere che anche in fasi anteriori del procedimento di formazione dello strumento di pianificazione possano essere inibite trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte in corso di assunzione.

7. Nel provvedimento di approvazione dello strumento di pianificazione l’amministrazione procedente deve motivare le determinazioni assunte e rispondere alle osservazioni pervenute.

8. Ai fini dell’approvazione di cui al comma 7, deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e gli strumenti di pianificazione sovraordinati mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza di amministrazioni.

9. Eventuali successive variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente motivate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.

Art. 12.

(Accordi di programma)

1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, di programmi di intervento, di opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richieda l’azione integrata e coordinata di comuni, province, città metropolitane, regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, ai sensi dell’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. Gli accordi di programma sono stipulati in conformità alle prescrizioni della vigente pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale.

3. Gli accordi di programma con la partecipazione dei privati devono rispettare i princìpi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti e devono adeguatamente motivare il profilo dell’interesse pubblico alla loro realizzazione.

Art. 13.

(Vincoli di tutela)

1. Non danno luogo all’obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione o da atti amministrativi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili sotto il profilo dell’interesse culturale o delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

2. Non danno luogo all’obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione o da atti amministrativi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovino in predefinite relazioni con altri immobili ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti.

3. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili disposte dagli strumenti di pianificazione o da atti amministrativi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.

Art. 14.

(Vincoli a contenuto espropriativo)

1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione e da questi assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal medesimo soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni comportanti la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive.

2. Decorso inutilmente il termine di cui al comma l, gli immobili sono acquisiti direttamente ed immediatamente al patrimonio del soggetto pubblico competente e i rispettivi proprietari hanno diritto a percepire una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi con riferimento al momento del perfezionamento dell’acquisizione al patrimonio del soggetto pubblico. Il diritto riconosciuto dal presente comma è soggetto alla prescrizione di cui all’articolo 2946 del codice civile.

3. La somma di cui al comma 2 è rivalutata di anno in anno, con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertate dall’Istituto nazionale di statistica. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto.

4. I commi 1, 2 e 3 non trovano applicazione, sempre che al riguardo sussista un’apposita previsione dello strumento di pianificazione, nel caso in cui l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili non comporti necessariamente la preventiva acquisizione e la gestione di questi da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni e gestioni rientranti nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, pur se regolata da convenzioni che garantiscano il conseguimento di obiettivi di interesse generale.

Art. 15.

(Attuazione degli strumenti di pianificazione)

1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, in particolare i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane e le variazioni funzionali significative, devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali da esse interessati.

2. Gli strumenti di cui al comma 1 assicurano la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti oggetto di pianificazione. La partecipazione ai benefici e ai gravami derivanti agli immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici eventualmente esistenti.

3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dagli strumenti di pianificazione relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il comune può dichiarane la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.

Art. 16.

(Procedure di valutazione)

1. Gli strumenti di pianificazione, ad esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile, sono soggetti a valutazione ambientale strategica durante la fase di elaborazione e anteriormente alla loro adozione. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, non è necessaria la valutazione ambientale.

2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti ambientali delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante la fase di elaborazione e anteriormente al momento dell’adozione.

3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e il minore impatto negativo sull’ambiente. A tal fine, ove necessario, sono sottoposte a confronto le proposte alternative.

4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale strategica in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:

a) del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione attuali;

b) dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;

c) della fase in cui lo strumento di pianificazione si colloca all’interno del processo decisionale;

d) della possibilità che taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio al fine di evitare duplicazioni della valutazione.

5. Le leggi regionali assicurano che:

a) qualora l’attuazione dello strumento di pianificazione possa avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea, siano previste adeguate forme di consultazione transfrontaliera;

b) qualora l’attuazione dello strumento di pianificazione possa avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, sia prevista la consultazione delle autorità di quella regione competenti in ordine alla tutela dell’ambiente e degli enti territoriali ricompresi nella regione medesima.

6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tal fine le regioni, o gli enti da esse delegati, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali siano evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.

Art. 17.

(Carta unica del territorio)

1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da previsioni legislative.

2. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale costituisce la carta unica del territorio e rappresenta il riferimento esclusivo per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.

Art. 18.

(Sistema informativo territoriale)

1. I comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione e per la verifica dei loro effetti.

2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:

a) l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio, articolata nelle fasi della individuazione e raccolta dei dati riferiti alle risorse essenziali del territorio, della loro integrazione con i dati statistici, della georeferenziazione, della conservazione, della diffusione e dell’aggiornamento dei dati medesimi;

b) la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;

c) la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazioni del territorio.

3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.

Art. 19.

(Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42)

1. Al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 142, comma 1, dopo la lettera m), è aggiunta la seguente:

«m-bis) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale»;

b) all’articolo 142, dopo il comma 4, sono aggiunti i seguenti:

«4-bis. I comuni, d’intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell’ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui alla lettera m-bis) del comma 1.

4-ter. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 4-bis, il territorio di cui alla lettera m-bis) del comma 1, coincide con l’insieme delle zone di cui alla lettera E) dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, n. 97, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti.

4-quater. L’utilizzazione del territorio di cui alla lettera m-bis) del comma 1 al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali o attrezzature puntuali, può essere ammessa dai nuovi strumenti di pianificazione d’intesa con la competente soprintendenza e soltanto qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti.»;

c) all’articolo 143, comma 1, dopo la lettera i) è inserita la seguente:

«i-bis) previsione, per il territorio di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m-bis), di obiettivi e strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato».

Art. 20.

(Disposizione transitoria)

1. Nel territorio di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m-bis), del citato codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come inserito dall’articolo 19 della presente legge, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai princìpi fondamentali stabiliti dalla presente legge, nonché fino alla data di entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio salvo quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.

Di seguito la relazione e il testo dell’articolato, con link al documento ufficiale, nel formato .pdf.



Disposizioni concernenti gli strumenti di programmazione territoriale e urbanistica



Relazione

Onorevoli Colleghi! - Nell'ambito del nostro sistema il rapporto tra forma e uso dello spazio fisico è stato affidato alla rigidità della pianificazione sia in termini di elaborazione che in termini di gestione.

L'inadeguatezza del sistema si è mano mano aggravata con l'accrescersi della sensibilità nei confronti dei temi legati alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale.

Risulta quindi evidente come sia nodale risolvere le questioni legate alla forma delle città e del territorio ( urbis et orbis). Una relazione diretta tra forma urbis (città) e forma orbis (territorio) si riflette evidentemente nella fruibilità del territorio stesso e, dunque, direttamente sulla sua produttività in generale e indirettamente sul valore aggiunto del turismo che si rivolge ai beni culturali e ambientali.

A tale proposito è utile osservare cosa è stato fatto nei maggiori Paesi europei. E, al di là delle singole soluzioni, emerge un elemento comune, ovvero che proprio nelle culture più evolute si tende a gestire il problema con continui aggiustamenti, senza cercare astratte formule risolutive. Le differenze tra il nostro e gli altri sistemi ci sono e sono evidenti, risiedono in fattori che potremmo definire di secondo livello rispetto al quadro normativo o, come afferma l'analisi comparata, rispetto al formante legale:

1) organizzazione del testo normativo ed efficacia del «codice»;

2) la presenza amministrativa è importante presupposto per la costruzione dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione amministrativa. Il nostro istituto del «silenzio assenso» misura l'impotenza dei nostri uffici ed è il sintomo della presa di coscienza della incapacità di porvi rimedio;

3) « public department» cui potersi rivolgere ordinariamente al fine di costituire i migliori presupposti per l'ottenimento delle autorizzazioni. Il rapporto con la pubblica amministrazione dei singoli privati e, soprattutto, dei soggetti investitori è in queste realtà generalmente più facile. La pubblica amministrazione trae credibilità proprio da questa facilità e pubblicità del rapporto con i privati.

Anche per ciò che riguarda il contenuto delle leggi, la lezione europea ci parla di maggiore attenzione verso le procedure attuative piuttosto che nei confronti della ricerca di nuovi princìpi o istituti amministrativi. I vari sistemi hanno rivolto particolare attenzione nel chiarire esattamente i limiti e le funzioni della pianificazione generale rispetto a quelli della pianificazione attuativa. In tale senso il sistema italiano risulta molto arretrato: il piano regolatore generale è oggi un istituto indefinito in molti suoi connotati essenziali, secondo le scelte dell'amministrazione esso diventa strumento di indirizzo o documento di dettaglio.

Lo spazio tra noi e le migliori realtà europee non è fatto dunque di leggi risolutive o di meccanismi tecnicamente perfetti. Esso piuttosto è fatto di una attenzione costante a quelli che abbiamo chiamato problemi amministrativi di secondo livello, di cura nel pensare i passaggi procedurali, di organizzazione e di «pulizia» dei testi di legge, di funzionalità degli uffici, di tutto ciò che costituisce la costante presenza dell'amministrazione nella vita sociale, senza la quale non è pensabile attendersi risultati di rilievo dalla pianificazione, quale che ne sia il livello tecnico di elaborazione.

Analisi comparata

Preliminarmente è necessario procedere alla ricerca degli elementi fondativi dei vari sistemi. Per elementi fondativi non si intende solo il focalizzare le questioni di principio, ma più concretamente si intende la ricerca dei passaggi più importanti che connotano un sistema e ne assicurano il funzionamento. Una sorta di memorandum per il legislatore che vorrà mettere mano alla materia.

In questo quadro occorre subito porre l'accento su un primo risultato: la produzione legislativa della materia oggetto del nostro interesse è sempre ampia, articolata e complessa.

Questo significa abbandonare le suggestioni di ipotetiche «delegiferazioni» e rassegnarsi ad avere a che fare con un gran numero di parole scritte. Tale conclusione porta in evidenza la questione, apparentemente solo tecnica e di contorno, dell'attenzione posta alla redazione dei testi e alla relazione che si stabilisce tra loro.

L'organizzazione del quadro normativo

La Germania e la Francia si sono date un codice organico. Ogni nuova legge così entra a fare parte del testo, secondo un meccanismo semplice di doppia numerazione degli articoli: il primo numero è quello relativo alla collocazione nel testo ed il secondo è esclusivamente riferito all'articolo di nuova promulgazione.

Il Regno Unito utilizza un sistema detto di « Consolidation», attraverso il quale compatta, ogni dieci anni, tutte le leggi in materia urbanistica in un solo testo, che prende il nome di « Town & Country Planning Act», e in quella sede provvede anche a modificare le parti dei precedenti testi la cui applicazione sia stata deludente o negativa.

Lo strumento a disposizione del legislatore spagnolo è il « Testo Refundido», che pur essendo il testo base non esaurisce la materia.

Da questa panoramica pare evidente l'arretratezza del sistema italiano. Lo strumento per ovviare a tale situazione è già presente nel nostro ordinamento ed è il testo unico, che consiste nella raccolta sistematica delle leggi relative a una certa materia. Ricordiamo che il testo unico viene emanato dal Governo, su parere del Consiglio di Stato, nell'esercizio di una delega del Parlamento. Il testo unico può avere valore amministrativo, ossia non modificare nulla di quanto in vigore, ovvero legislativo, e in tale caso, proprio come avviene per la « Consolidation», può anche apportare modifiche, eliminare incongruenze sostanziali, perfezionare aspetti attuativi delle leggi considerate.

La legislazione aperta

È chiaro che l'adozione di un codice dell'urbanistica non è solo un esempio di buona amministrazione, ma è anche un importante connotato di una cultura giuridica diversa il cui principale carattere è un sorprendente pragmatismo: il pragmatismo giuridico.

Se il problema è di rilevanza sociale, e se la soluzione prevista è in grado di risolverlo, si determina una condizione di fattibilità giuridica che non richiede, come invece nella cultura italiana, la verifica della congruenza formale con i princìpi generali che regolano la materia o addirittura l'intero sistema istituzionale.

« Enterprise zone», aree degradate perché zone ex industriali, sottratte d'autorità alla competenza degli enti locali, sottoposte a regime fiscale agevolato e governate, di fatto, da società di capitale pubblico. Il giudizio su tale istituto è oggi prevalentemente negativo. Esso però viene attaccato in patria non perché illegittimo, ma in quanto inefficace, cioè per non avere prodotto i risultati previsti in termini economici e di qualità urbana.

In tale senso il pragmatismo giuridico favorisce una legislazione «aperta», che non è costituita da una serie di provvedimenti speciali o eccezionali, ma incentiva l'attitudine ad occuparsi dei problemi posti dall'evoluzione della realtà, isolandoli, identificandoli e cercando la loro specifica soluzione.

Condizione essenziale, perché il pragmatismo mantenga una dimensione istituzionalmente accettabile, e perché una legislazione «aperta» abbia caratteri di coerenza complessiva, è da un lato che il quadro normativo mantenga una grande compattezza formale e leggibilità sostanziale; dall'altro, che gli strumenti attuativi siano sempre innescati su di una griglia di indicazioni di ampia scala, che assicuri razionalità alle scelte che connotano la politica territoriale. E ciò si ottiene con il doppio livello di pianificazione che, come vedremo, ha un diverso significato nel nostro Paese rispetto ad altre realtà comunitarie.

Il doppio livello di pianificazione

La cultura urbanistica moderna si è mossa sempre e dovunque accettando il principio che debba esserci un doppio livello di pianificazione.

Nell'adottare questo modello tutti i Paesi indagati si sono trovati di fronte al medesimo problema, che potremo definire della invadenza dello strumento generale di piano, ossia della tendenza ad attribuire un sempre maggiore livello di dettaglio tecnico al momento pianificatorio generale, al fine di rafforzarne il significato. I piani così concepiti si sono però rivelati di difficilissima produzione e, soprattutto, gestione. Lenti nell'elaborazione, tecnicamente incapaci di occuparsi di tutto in modo accettabile, hanno finito con il provocare la reazione dei proprietari e del settore economico interessato in genere. Il legislatore ha posto rimedio costringendo il piano generale entro limiti precisi, secondo tecniche giuridiche diverse. In Francia si è fatto leva ad esempio sulla scala: lo strumento generale che è oggi lo «Schema Directeur» è redatto al 50.000, e solo per le realtà minori è consentito scendere al 20.000. In Germania il piano generale ( Flachennutzungplan) è un atto interno all' amministrazione: pure se pubblico, esso non ha effetti sul regime dei suoli e non determina diritti o doveri per i privati.

Nel Regno Unito il pragmatismo anglosassone portò al divieto di accompagnare la relazione illustrativa dello Structure Plan con mappe o con carte. Oggi tale divieto è di fatto caduto, ma lo structure plan è di fatto abolito per le aree maggiori.

Al contrario, in Italia il piano regolatore generale ha continuato a espandere il suo ambito di applicazione che è sostanzialmente discrezionale. Il fatto che in molti casi sia usato come strumento di dettaglio non è infatti previsto dalla legge n. 1150 del 1942, che sembrerebbe anzi attribuirgli un significato assai più «europeo». Tuttavia, mentre in altri Paesi si è ritenuto opportuno specificare dettagliatamente, a mezzo di legge nazionale, cosa lo strumento generale deve o non deve disciplinare, in Italia tale limite è lasciato alla cultura locale. Esistono così oggi realtà pianificatorie assai disomogenee, anche se la tendenza prevalente è quella di dilatare le conseguenze dirette del piano regolatore generale.

Sistema amministrativo e amministrazione del territorio

Nel dopoguerra si è assistito alla crescita del ruolo e delle funzioni attribuiti agli enti locali, cui di diritto è stato trasferito il compito di redigere e di attuare i principali strumenti di piano. Negli ultimi decenni la pianificazione su base locale si è quindi dovuta confrontare con la realizzazione delle grandi reti di infrastrutture, con problemi di equilibrio ambientale e di gestione della risorsa idrica, insomma con una serie di questioni affrontabili solo a livello sovracomunale o addirittura solo a livello nazionale. E il livello nazionale ha dovuto cedere il passo alla scala internazionale, si pensi ad esempio ai sistemi dei trasporti.

Tale problema naturalmente è risultato più facilmente gestibile in Francia, in cui il Governo centrale ha conservato una sostanziale priorità amministrativa. Quel che sembra sorprendente, almeno apparentemente, è che i modelli federalisti hanno dimostrato maggiore elasticità e adattabilità di quelli autonomisti, la cui rigidità ha generato un continuo conflitto di competenze, e in genere è risultata un ostacolo alle politiche territoriali nazionali.

Nei fatti notiamo che vi è stata una differenza sostanziale tra la Germania, in cui i Lander hanno di fatto riattribuito potestà al Governo federale, e il Regno Unito, dove le Camere tale potere lo hanno evocato d'autorità, non senza provocare reazioni e resistenze. Ci aiuta a comprendere tale vicenda storica, di grande interesse, il fatto che il Bund tedesco è il luogo di coordinamento dell'azione governativa dei Lander, e tra le due istituzioni vi è quindi una sostanziale identità di fondo. Al contrario, l'assetto istituzionale anglosassone non ha tali caratteristiche, e il livello di relazioni tra centro e periferia è di, seppure fisiologica, contrapposizione. Questa vicenda, se comporta un ulteriore interesse di studio verso il sistema tedesco, ne denuncia tutta la distanza dalla tradizione italiana, evidenziando come lo stesso concetto di organizzazione di tipo federalista sia praticamente assente dalla nostra cultura.

Il sistema autonomista articolato sulle deleghe amministrative alle regioni, male sembra adattarsi invece alla evoluzione delle esigenze poste dalla pianificazione di grande scala. Italia e Spagna hanno vissuto e vivono gravi conflitti di competenza, che portano troppo spesso a una sostanziale incoerenza tra i diversi livelli di pianificazione. Si è così venuta a creare la paradossale situazione di amministrazioni che si comportano come fossero equiordinate, pianificando in modo indipendente, e spesso incongruente, la stessa porzione di territorio.

Attuare il piano: i conflitti di interesse

Una delle ragioni sostanziali che rendono difficile l'attività di pianificazione è certamente data dalla stratificazione degli interessi su aree e su immobili da parte di soggetti privati, società ed enti pubblici. Il comune deve predisporre il piano regolatore generale, prescindendo dagli interessi dei singoli e senza considerare le propensioni dei proprietari. Le stesse osservazioni che le parti pubbliche e sociali possono esporre una volta che il piano sia stato presentato devono avere carattere generale e non possono riguardare interessi precisi od opporsi a soluzioni economicamente penalizzanti per i singoli. Negli angusti spazi lasciati da questo quadro istituzionale, che risente delle aspirazioni ottocentesche di disporre di una amministrazione comunque « super partes», sono stati in realtà tentati a più riprese esperimenti di maggiore coinvolgimento diretto delle parti economiche e sociali. Ma è certo che l'assoluta mancanza di copertura istituzionale di questi meccanismi di relazione tra pubblico e privato ne ha frenato assai lo sviluppo. Il legislatore spagnolo nell'ambito della stessa posizione ha previsto la possibilità per il privato di assumere un ruolo determinante, tramite la «giunta di compensazione».

L'esperienza britannica vede nel conflitto di interessi, economici e non, una situazione fisiologica, che viene gestita in modo ordinario. Ogni decisione che sposti interessi legati alle aree, e comunque ogni modifica sostanziale delle previsioni di piano, è sottoposta a un vero processo, detto « Pubblic Inquire», in cui l'autorità locale può assumere una posizione di parte, e la cui decisione è rimessa al Governo centrale.

Il legislatore francese concentra i maggiori investimenti in zone perimetrate e sottoposte a regime di accordo con i privati investitori (le «ZAC»), attuando così un regime differenziato nei confronti degli operatori economici con cui concordare investimenti sul territorio, e della piccola proprietà distribuita cui assicurare la tutela dei diritti essenziali compatibilmente con l'interesse comune.

Il sistema tedesco fa costante, quasi caparbio, riferimento a strumenti di amministrazione ordinaria. Il piano edilizio attuativo (« Bebauungsplan») può essere di iniziativa privata, naturalmente intendendo per privati i costruttori, le società immobiliari o finanziarie, e in tale modo si innesca un meccanismo di contrattazione, il cui eventuale esito favorevole viene recepito in sede di pianificazione attuativa.

In conclusione le esperienze esaminate ci forniscono due indicazioni abbastanza chiare: la prima è che l'amministrazione del territorio porta con sé inevitabilmente il rischio di provocare conflitti di interesse anche fra privati; la seconda è che esistono due interlocutori separati dell'amministrazione, i privati cittadini, proprietari e no, ed i soggetti investitori, quali le imprese di costruzioni, finanziarie, immobiliari, e che è utile assumere atteggiamenti e darsi strumenti diversi per regolare i rapporti con essi. È utile dirigere l'investimento sugli obiettivi che la politica territoriale adottata ritiene prioritari: espansione, recupero, riuso.

Pare opportuno sottolineare che in Inghilterra e in Francia è istituzionalmente accettato e formalizzato il regime giuridico differenziato per i soggetti investitori, rispetto a quello riservato a tutti gli altri soggetti amministrati.

Le proposte si muovono sempre all'interno di quanto stabilito dallo strumento generale di piano, e riguardano l'assetto definitivo di un'area preventivamente e genericamente dichiarata trasformabile da parte dell'ente locale. L'attenzione si sposta sui contenuti di tali proposte e sulla loro effettiva vantaggiosità per l'ente pubblico.

Attuare il piano: la politica fondiaria

In ogni esperienza pianificatoria è presto o tardi emersa la tendenza a porre l'accento sulla necessità, per l'autorità di piano, di controllare direttamente una porzione significativa delle aree oggetto dell'azione amministrativa. La costituzione e la gestione di una congrua riserva fondiaria pubblica diventano elemento strategico essenziale della politica territoriale anche in funzione antispeculativa. La fine, o comunque il forte rallentamento della crescita urbana, ha tolto a questo tema priorità, in Italia come in altri Paesi.

Tuttavia la questione relativa alla formazione della riserva fondiaria trova di volta in volta una sua attualità come ad esempio nel caso delle aree ex industriali. Così in Francia la «legge di orientamento delle città» rilancia la politica di acquisizione fondiaria in modo deciso ed esplicito.

Il tema pone comunque due ordini di problemi: l'acquisizione dei terreni e la loro gestione. Per quel che riguarda il primo punto i metodi sono tre, l'espropriazione, l'esercizio del diritto di prelazione e l'acquisto.

Più rilevante è il problema delle risorse economiche che tale politica richiede, per fare fronte alle quali la politica francese, ad esempio, ha introdotto una specifica tassa, che grava sui proprietari delle aree comprese nelle zone destinate alla valorizzazione urbana.

Le espropriazioni

La questione delle espropriazioni è negli altri Paesi considerata questione di secondo piano. La pratica della specializzazione degli strumenti attuativi e della contrattazione con i principali attori economici riduce di molto il problema del controllo diretto delle aree, inoltre vige il sempre più utilizzato diritto di prelazione. A ciò si aggiunga che alcune amministrazioni, controllando il meccanismo delle previsioni urbanistiche, hanno acquistato aree in netto anticipo sull'espansione urbana, pagandone quindi il solo valore agricolo. Infine si consideri che quando la facoltà espropriativa può essere esercitata con relativa facilità si ha come effetto la comprensibile propensione dei proprietari a ricercare celermente una transazione. Ciò è garantito dalla disponibilità finanziaria e dal buon funzionamento degli uffici.

Diritto di trasformazione dell'immobile: ius aedificandi

Separabilità del diritto a edificare rispetto al diritto di proprietà.

Nel modello tedesco l'edificabilità costituisce un diritto puro, solitamente non soggetto a scadenza, e con l'unico limite dato dal fatto che parte degli oneri a esso relativi vanno pagati indipendentemente dall'esercizio di tale diritto. Diametralmente opposta è la tendenza rilevata in Spagna, dove la figura del proprietario di un lotto edificabile tende sempre di più al tipo di diritto dovere. Il diritto dovere presuppone infatti capacità di sostituzione da parte dell'amministrazione pubblica. Ritornano le esigenze di avere uffici capaci di controllare e di intervenire, il che richiede dotazioni tecniche, capacità professionali e risorse economiche, tre elementi tanto preziosi quanto difficili da ottenere.

Ancora una volta si profila la differenza tra i sistemi italiano, spagnolo e francese, in cui l'amministrazione viene impegnata da leggi riferendosi esclusivamente ai suoi compiti istituzionali, come definiti dai princìpi generali, e gli altri due sistemi, dove i compiti istituzionali sono dati da una sorta di mediazione tra ciò che i princìpi generali prevedono e ciò che in realtà può essere fatto. L'adattamento dei princìpi alle capacità attuative della funzione amministrativa costituisce una ennesima prova del più volte richiamato pragmatismo giuridico.

L'abusivismo

In Francia il fenomeno è ridotto ai minimi termini.

La Germania ha conosciuto nel passato una diffusa forma di abusivismo nelle aree rurali, abbastanza tollerata.

Sono tipici dell'esperienza britannica abusi minori essenzialmente configurantisi come ampliamenti non autorizzati di immobili esistenti.

La Spagna presenta invece una situazione più vicina a quella italiana, con una ampia e diffusa presenza del fenomeno. Sono soprattutto le periferie delle maggiori città e le coste a essere aggredite dall'attività illegale. Avendo raggiunto livelli sostenuti che ne rendono impensabile la sistematica repressione, l'abusivismo ha potuto beneficiare di provvedimenti di sanatoria a carattere generale, a seguito dei quali hanno fatto la loro comparsa provvedimenti legislativi, quali la legge delle coste, diretti a determinare una auspicabile inversione di tendenza. La fase di sanatoria di una parte del pregresso è stata però accompagnata dal passaggio delle competenze alle regioni, che sono intervenute con diversi livelli di determinatezza.

Il contenzioso

L'amministrazione del territorio, per il livello e per la quantità di interessi che colpisce, pare attività inevitabilmente destinata a suscitare contenzioso in misura rilevante. Di fronte a questo problema, fino ad oggi, solo l'esperienza inglese e quella tedesca sembrano avere prodotto soluzioni positive, anche se di carattere diverso, riuscendo a sopportare il peso di un forte incremento del contraddittorio derivante dalla crescita dei movimenti ecologisti e di difesa ambientale. Negli altri tre Paesi il problema ricade sul funzionamento della macchina giudiziaria con le note patologie che affliggono tale branca del sistema, prime fra tutte la lentezza e la contraddittorietà nella emanazione delle sentenze.

I temi critici

La compatibilità con il ciclo di investimento evidenzia come le amministrazioni più efficienti sono quelle delle aree più ricche del Paese, e ciò configura la pericolosa tendenza a concentrare gli investimenti nelle aree economicamente più mature, con gli enti locali più affidabili ed i mercati immobiliari più reattivi. Il sistema così concepito rischia di assecondare, aggravandoli, gli squilibri già così fortemente presenti nel Paese.

In considerazione di quanto esposto, la presente proposta di legge prevede, quindi, una serie di nuove disposizioni finalizzate a stabilire adeguati strumenti di programmazione territoriale e urbanistica.



Testo degli articoli

CAPO I

DENOMINAZIONE, NATURA E FUNZIONI DEGLI STRUMENTI DI PROGRAMMAZIONE TERRITORIALE E URBANISTICA

Art. 1.

(Princìpi generali).

1. Gli strumenti di programmazione territoriale e urbanistica, di seguito denominate «strumenti», hanno funzioni di indirizzo e sono distinti in strumenti di previsione generale e in strumenti di previsione attuativa.

2. La formazione degli strumenti è costituita da due fasi distinte: le previsioni di massima e le previsioni esecutive.

3. Ai fini dell'applicazione degli strumenti, il governo del territorio è realizzato mediante i seguenti schemi di previsione:

a) schema generale di massima;

b) schema generale esecutivo;

c) schema attuativo di massima;

d) schema attuativo esecutivo.

4. Le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale e princìpi della legislazione dello Stato ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, anche ai fini degli obblighi internazionali dello Stato.

Art. 2.

(Ambito dello schema generale).

1. Lo schema generale ha valenza territoriale e urbana.

2. Nell'ambito territoriale dello schema generale la zona rurale deve essere sud divisa per bacini idrografici, per i quali, con apposita legge regionale, si prevedono adeguati interventi di forestazione lungo gli impluvi e presso i parchi suburbani e territoriali, con appositi programmi di utilizzazione, realizzati anche mediante incentivi in termini di indici edificatori con distanza minima tra fabbricati di 20 metri. Lo schema generale è attuato nei rispettivi territori dalle province e dai comuni, fermo restando il divieto, da parte di tali enti, di derogare alle indicazioni dello schema stesso.

3. Nell'ambito urbano, oltre le eventuali zone di espansione residenziali e non residenziali, lo schema generale individua nell'ambito delle zone con spiccata vocazione edificatoria apposite aree per l'insediamento di attività turistiche, commerciali, artigianali e direzionali. L'utilizzazione di tali aree può avvenire mediante schemi esecutivi predisposti dagli operatori e con densità territoriale assegnata dallo schema generale, o attraverso iniziative particolari quali contratti d'area, patti territoriali e programmi urbani complessi.

4. Alle zone residenziali di espansione viene attribuita dallo schema generale la sola densità territoriale, e l'edificazione può essere determinata da appositi schemi attuativi di iniziativa privata, assoggettati alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria, alla cessione delle aree per urbanizzazione primaria e secondaria, e al versamento dei soli oneri di urbanizzazione secondaria. L'edificazione può altresì avvenire con il concorso di tutti i proprietari interessati, ovvero attraverso l'istituto del comparto; partecipano alla volumetria realizzabile anche i proprietari delle aree destinate a urbanizzazioni primarie e secondarie. Ove ritenuto utile, in base alla valutazione dell'autorità statale competente di concerto con l'autorità di programmazione, è consentita la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione secondaria.

5. Non è obbligatorio, nell'ambito dello schema generale, redigere gli schemi attuativi e individuare strutture e zonizzazioni di competenza degli schemi territoriali regionali e provinciali.

6. I comuni costituiscono un fondo di volume edificabile in regime di quote volume al quale possono attingere ai fini dell'attuazione delle previsioni dello schema generale.

CAPO II

FORMAZIONE

Art. 3.

(Aggiornamento dello schema generale).

1. Ai fini dell'aggiornamento dello schema generale, in conformità a quanto previsto per i piani regolatori generali resi conformi al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, con deliberazione consiliare, può essere confermata o variata la titolazione delle zone «A» e «B».

2. Ai fini di cui al comma 1, la titolazione delle zone «A» e «B» è approvata con deliberazione del consiglio comunale, esaminate le osservazioni e le opposizioni. Tale deliberazione è inviata, entro due mesi, all'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente.

3. Con la deliberazione di cui al comma 2 viene confermata o modificata la previsione degli standard urbanistici previsti dallo schema generale.

4. Preso atto dell'avvenuta edificazione della zona «C» si procede al conseguente cambio di titolazione in zona «B».

5. L'ambito dell'aggiornamento del piano regolatore generale, ove il fabbisogno abitativo non sia già soddisfatto dalle zone «A» e «B», è limitato alla individuazione di nuove zone residenziali anche attraverso l'individuazione di ambiti urbani da riqualificare attraverso schemi esecutivi di riassetto urbanistico per entrambe le zone citate.

Art. 4.

(Procedura di formazione dello schema generale).

1. I comuni, indipendentemente dal procedimento di aggiornamento dello schema generale di cui all'articolo 3, sono tenuti alla redazione della fase di analisi che costituisce supporto alla redazione dello stesso schema in quanto strumento conoscitivo e di tutela del rispettivo territorio. I comuni sono altresì tenuti all'aggiornamento costante di tali analisi.

2. Lo schema generale, corredato delle norme di attuazione, è sottoposto al parere preventivo dell'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente, che solo in questa fase può esprimere un giudizio di merito impartendo le eventuali prescrizioni.

3. Successivamente all'espressione del parere di cui al comma 2, lo schema generale prosegue il suo iter normale ai fini della redazione finale. A tale scopo è previsto il solo giudizio di conformità, da parte dell'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente, ai criteri fissati nello schema generale di massima.

4. Per gli strumenti generali non sono previste cause di incompatibilità nei confronti dei consiglieri comunali.

Art. 5.

(Strumenti attuativi).

1. Ai fini dell'approvazione degli strumenti attuativi dello schema generale i consiglieri comunali sono obbligati a dichiarare le proprie cause di incompatibilità.

2. Per l'approvazione degli strumenti attuativi il numero legale per rendere valida la seduta deliberante del consiglio comunale è pari al numero dei consiglieri che non hanno dichiarato situazioni di incompatibilità e comunque non inferiore a un terzo dei componenti il consiglio.

3. I comuni, dopo avere acquisito il giudizio di merito dell'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente, procedono, secondo le indicazioni dello schema generale di massima, alla redazione di prescrizioni esecutive, le quali, una volta approvate, sono trasmesse al medesimo assessorato.

4. L'approvazione degli strumenti attuativi è di competenza dei comuni. L'approvazione diventa esecutiva dopo quarantacinque giorni dall'invio della relativa deliberazione all'assessorato regionale competente per il territorio e l'ambiente ai fini del giudizio di conformità allo schema generale di massima.

Art. 6.

(Zone urbane consolidate).

1. Nell'ambito delle zone urbane consolidate si interviene tramite appositi schemi attuativi, che devono essere successivi all'approvazione dello schema generale. Gli schemi attuativi devono prevedere:

a) la conferma o l'integrazione degli standard urbanistici;

b) l'assetto urbanistico.

2. Nell'ambito della zona «A», ai sensi della legislazione vigente in materia, sono stabilite le modalità di intervento sugli isolati con l'individuazione delle parti da assoggettare a interventi diretti, ovvero a schemi di recupero di iniziativa pubblica e privata estesi almeno a una unità edilizia, nonché delle parti da assoggettare a interventi diretti di recupero quali la manutenzione straordinaria, il restauro, il risanamento conservativo e la ristrutturazione. Tali previsioni sono fissate con un apposito regolamento edilizio che assicura la coerenza degli interventi.

3. Nella zona «B», oltre all'esecuzione di interventi diretti, in analogia alla zona «A», possono essere oggetto di iniziativa privata ambiti di riqualificazione urbana individuati dal comune, prevedendo adeguati incentivi per gli interventi di nuova edificazione, anche sotto forma di volumetria, al fine di favorire il riassetto urbanistico e il riuso dei volumi attraverso apposite demolizioni e ricostruzioni.

Art. 7.

(Definizione degli interventi edilizi).

1. Il rinnovo degli elementi costitutivi previsti dall'articolo 3 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni, comprende l'intervento di smontaggio totale degli edifici esistenti e il successivo rimontaggio con gli stessi materiali e le stesse tecniche costruttive al fine di adeguare le strutture delle fondazioni ai moderni standard di sicurezza statica e antisismica.

Art. 8.

(Edilizia economica e popolare).

1. I finanziamenti pubblici per la dotazione della prima casa sono assegnati direttamente ai soggetti in possesso dei prescritti requisiti, sia per l'acquisto che per la costruzione in economia; in entrambi i casi si può procedere in forma associata cooperativa. In quest'ultima ipotesi i soggetti si fanno promotori della presentazione dell'intervento di nuova edificazione attraverso la richiesta di concessione edilizia o di approvazione del piano costruttivo nell'ambito delle aree residenziali.

2. Per gli interventi di nuove edificazioni la regione concede un contributo in conto capitale pari al 20 per cento della differenza tra il prezzo di esproprio e il valore catastale dell'immobile.

Art. 9.

(Assegnazione dei compiti di governo. Programmazione e realizzazione).

1. I compiti di governo del territorio sono attribuiti agli enti pubblici competenti per territorio e per materia secondo le specifiche articolazioni interne.

2. Le attività di programmazione sono attribuite agli uffici tecnici degli enti pubblici.

3. Gli enti pubblici individuano gli obiettivi e verificano la coerenza degli schemi di programmazione territoriale e urbanistica redatti dai rispettivi uffici tecnici.

4. Gli uffici tecnici degli enti pubblici redigono gli schemi di programmazione territoriale e urbanistica e verificano la conformità ai medesimi delle attività di realizzazione.

5. Le attività di realizzazione degli schemi di cui al comma 4 sono attribuite esclusivamente ai tecnici liberi professionisti. I medesimi tecnici rilasciano le autorizzazioni e le concessioni edilizie previo deposito negli archivi degli enti pubblici di tutta la documentazione e degli studi specialistici relativi alla loro attività di progettazione, direzione dei lavori, attestazione di coerenza con le normative vigenti e con gli strumenti urbanistici.

6. I lavori relativi a tutti gli interventi di realizzazione asseverati da tecnici abilitati ai sensi del comma 5 possono essere iniziati dopo il termine di trenta, di sessanta, di novanta o di centottanta giorni dal loro deposito allo sportello unico comunale per l'edilizia, in relazione alla complessità dei lavori stessi. Entro i medesimi termini, gli enti pubblici possono comunicare le proprie prescrizioni o l'esistenza di motivi ostativi.

7. Al fine di facilitare la sorveglianza e il controllo da parte degli uffici tecnici degli enti pubblici sui lavori di cui al presente articolo, il tecnico libero professionista deposita la documentazione dello stato di avanzamento dei lavori stessi. La documentazione è fotografica e descrittiva. Le dichiarazioni infedeli sono denunciate dal responsabile del procedimento immediatamente all'Ordine o al collegio professionale competente. La denuncia determina la contestuale sospensione del tecnico dall'albo professionale in attesa dei successivi provvedimenti definitivi che, nei casi più gravi, possono arrivare alla radiazione dal medesimo albo.

Presentato in data 19 giugno 2007; ora all'esame della XIII Commissione “Territorio, ambiente, beni ambientali” assieme ai disegni di legge nn. 1298 (Sodano) e 1691 (Ronchi). Di seguito la relazione, con link al documento ufficiale, completo dell'articolato, in formato .pdf.

Principi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare

Relazione

Onorevoli Senatori. – Il tema del governo del territorio ha una grande rilevanza per far esprimere all’Italia le sue potenzialità, determinate dalla complessità e dalla ricchezza del patrimonio urbano, infrastrutturale, storico-artistico, ambientale e paesaggistico. Solo declinando questi temi in un’ottica di sviluppo sostenibile è possibile costruire un’ipotesi di modernizzazione e di innovazione del Paese.

Uno dei punti fondamentali per il rilancio del Paese e per l’azione di governo è rappresentato dalla sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio e la sua sicurezza, il sistema delle città e delle infrastrutture, la qualità dell’ambiente urbano e la riconversione ecologica del sistema produttivo.

Per vincere questa sfida è necessario pensare alla qualità del territorio, delle città e della produzione, come uno dei motori per far ripartire l’Italia, coniugando le opportunità della modernizzazione con il limite delle risorse non rinnovabili, a cominciare dal suolo, dall’aria e dall’acqua, e con le politiche di solidarietà, di equità e di inclusione sociale.

Per affrontare il tema del governo del territorio, dei suoi princìpi e delle sue regole, è necessario partire dalle condizioni che hanno determinato le trasformazioni subite dal territorio e dalle città in questi anni, ma anche dalle scelte effettuate e dagli strumenti utilizzati per governare il cambiamento. Affrontare questo tema significa, anche oggi, rendere esplicito e positivo il tema della leale collaborazione tra le istituzioni titolari di diverse competenze che contribuiscono a determinare le decisioni democratiche, condivise e trasparenti sugli obiettivi dello sviluppo e della trasformazione del territorio, rendendo consapevoli i cittadini dell’effetto di tali scelte.

Il ruolo delle regioni è stato determinante, molte di queste hanno avviato significativi percorsi legislativi, con riforme di nuova generazione in virtù delle responsabilità che la Costituzione ha loro assegnato.

Il dibattito sul governo del territorio è ormai avviato da più di dieci anni. In questo periodo si sono registrati alcuni fatti di particolare rilevanza, passaggi istituzionali e di mutamento della società italiana; questi elementi sono utili per l’impostazione del nostro ragionamento e riguardano:

a) il contesto istituzionale e politico di riferimento del quadro legislativo nazionale costituito dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150, del tutto diverso e antitetico a quello attuale, che si è poi evoluto nella realtà dello sviluppo immobiliare del dopoguerra e dei successivi periodi di contrazione economica, con la modificazione dei modelli insediativi e della produzione, che hanno provocato una stratificazione normativa, spesso di settore, che rende oggi particolarmente complessa e contraddittoria l’azione di pianificazione del territorio;

b) il progressivo e sempre più deciso riformismo regionale che ha visto dal 1995 ad oggi l’introduzione e la sperimentazione operativa di strumenti, regole e istituti che possono costituire una solida base di partenza;

c) in ultimo, l’esperienza – con aspetti positivi e negativi – prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all’interno delle regole di pianificazione delle regioni.

Oggi abbiamo le premesse e le condizioni per riorganizzare, ottimizzare e innovare una disciplina che vede coinvolte tutte le istituzioni della Repubblica e che è centrale rispetto al tema della competitività e della coesione in ambito europeo per le nostre città e per i sistemi territoriali.

Al riguardo, la coalizione dell’Unione si è assunta un esplicito impegno con i propri elettori con il programma depositato ai sensi del comma 3 dell’articolo 14-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel quale il territorio è indicato quale grande patrimonio per la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica, per la presenza diffusa di beni culturali, storici e archeologici, e rappresenta, quindi, una risorsa fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro.

Tale impostazione presuppone alcune priorità di indirizzo:

1) la necessità di coordinare e di allineare la normativa nazionale vigente sul governo del territorio alla realtà istituzionale rinnovata e alle esperienze regionali, rendendola sinergica con le discipline interconnesse e con quelle settoriali (ambiente, tutela e valorizzazione dei beni paesistico-ambientali, aree protette, infrastrutture e mobilità) e inquadrando le regole in un sistema coerente e condiviso di «princìpi»;

2) l’esigenza di programmare lo sviluppo e la trasformazione del territorio, delle infrastrutture e delle nostre città, tenendo conto della programmazione e degli indirizzi comunitari, con la partecipazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane per costituire un sistema unico coordinato del governo del territorio;

3) la possibilità di creare le condizioni per rafforzare la capacità di governo del territorio da parte delle amministrazioni locali per la riqualificazione delle città, per la manutenzione del territorio, per lo sviluppo dell’impresa agricola multifunzionale e per la prevenzione dai rischi naturali e antropici.

La riforma costituzionale del titolo V della parte seconda della Costituzione ha costruito un sistema complesso di materie e di funzioni che hanno attinenza allo sviluppo e alla trasformazione del territorio, con una diversa attribuzione delle funzioni legislative in via esclusiva, concorrente e, in parte, anche residuale. Riconnettere e rendere sinergici tutti gli aspetti che contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini è un compito della riforma del governo del territorio attuata da un sistema istituzionale, nazionale, regionale e locale, coeso e che agisca con programmi, piani, misure e strumenti coerenti.

I soggetti protagonisti di questa azione di rinnovamento e di nuova capacità di gestione del territorio sono principalmente le regioni e gli enti territoriali, i quali devono trovare in una legge quadro per il governo del territorio gli elementi costitutivi e i princìpi fondamentali al fine di operare con riferimenti di certezza e di omogeneità, ma dotati della necessaria flessibilità per consentirne la declinazione in base alle diverse situazioni economico-sociali e ambientali dei territori regionali.

Ma la complessità della materia e la sua interconnessione con diverse altre comportano, tuttavia, una formulazione normativa differenziata e dinamica, in particolare per quanto riguarda gli elementi e i requisiti minimi da rendere omogenei sul territorio nazionale.

Se le funzioni legislative concorrenti e quelle amministrative sono attribuite alle regioni, vi sono però alcuni aspetti di competenza esclusiva dello Stato che devono essere espressi con norma di dettaglio: si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e di attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.

Il dibattito che si è svolto fino ad oggi ha consolidato una serie di orientamenti.

La legge non deve prefigurare modelli astratti o standardizzati, ma favorire le migliori pratiche già in essere, assumendo queste come riferimenti per far progredire il complesso delle normative, degli strumenti, dei metodi e dei processi di governo del territorio.

Infatti, l’attuazione della funzione di governo alla luce della novellata Costituzione risiede nella capacità di governare il territorio programmandone lo sviluppo, l’assetto e l’uso del suolo, in connessione con le tematiche di tutela e di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e delle risorse ambientali.

Una coerente struttura del governo del territorio dovrà allora contenere:

a) la definizione dei princìpi e delle finalità del governo del territorio;

b) il sistema di relazione tra i soggetti istituzionali e il coordinamento tra le diverse materie ricomprese nel governo del territorio e quelle connesse di tutela e di valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali e dell’ambiente nonchè la programmazione economica e quella del sistema infrastrutturale;

c) la disciplina della pianificazione, i contenuti, gli strumenti e le relative modalità di attuazione;

d) la disciplina edilizia e le regole per la legalità del territorio.

L’individuazione dei princìpi fondamentali, operata dal capo I della presente proposta di legge, rappresenta il terreno sul quale la collaborazione tra le istituzioni deve essere stringente e fattiva. Si tratta, infatti, di definire i cardini e i fondamenti della nuova forma di pianificazione, di programmazione e di gestione del territorio in tutte le sue componenti economiche, sociali e ambientali.

I princìpi sono diretta espressione della coscienza civile di una società: in questo senso, essi devono essere riconoscibili ed espressi con chiarezza. Ma l’espressione di princìpi fondamentali non può essere considerato un punto di arrivo. Se il tema di una moderna disciplina è, da una parte, la revisione in termini attuali di princìpi esistenti – primo fra tutti, quello di pianificazione – nonchè il consolidamento di princìpi già contenuti in alcune leggi regionali, dall’altra il nodo della questione consiste nella formulazione di princìpi che consentano alle leggi regionali di essere più stringenti sugli obiettivi da perseguire e più efficaci nell’attuazione.

Il primo, il principio di pianificazione (articolo 2), espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e contrastando il consumo di nuovo suolo non urbanizzato e consentendo, altresì, l’uguaglianza dei diritti e dei doveri all’uso e al godimento degli stessi beni.

In questa logica, i princìpi fondamentali rispetto ai quali costruire le regole che devono governare i processi di trasformazione del territorio sono:

a) la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, la tutela delle risorse naturali e del paesaggio, la prevenzione dei rischi e l’adozione del principio di precauzione nelle scelte e nella valutazione delle possibili alternative per gli interventi di trasformazione (articolo 3);

b) la sussidiarietà, l’adeguatezza delle istituzioni, l’equità, la trasparenza e la democrazia nella cooperazione istituzionale, la partecipazione e il coinvolgimento nei processi decisionali dei cittadini per l’adozione delle scelte (articolo 5).

Gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili ed essenziali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonchè la riduzione dei consumi e l’incremento dell’efficienza energetica.

Altro principio fondamentale è rappresentato dalla tutela delle risorse non rinnovabili ed essenziali e dalla sicurezza dai rischi, da perseguire con misure di prevenzione e di riduzione dei danni per il territorio e per l’ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenzione dei rischi e di mitigazione delle calamità naturali e degli eventi incidentali determinati dall’attività antropica, ispirandosi al principio comunitario della precauzione (articolo 4).

Il principio di sussidiarietà dovrà creare il processo virtuoso della filiera istituzionale, ispirando la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonchè i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell’affidamento, della responsabilità e della concorsualità. Secondo il criterio di differenziazione e adeguatezza, le istituzioni dovranno agire mediante intese e accordi procedimentali in sedi stabili di concertazione per perseguire il coordinamento, l’armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei tempi delle procedure di pianificazione del territorio.

Anche per questo, è importante assumere come principio la trasparenza e la democrazia nei processi di scelta e di decisione con il massimo coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione e di approvazione degli strumenti di pianificazione (articolo 6).

Il principio di equità consente di offrire a tutti i soggetti la possibilità di accedere con le stesse opportunità ai diritti e ai vantaggi offerti dalle trasformazioni del territorio in termini di residenza, accessibilità, mobilità, servizi collettivi, qualità dell’ambiente urbano e migliore qualità della vita (articolo 7).

Perchè tali princìpi possano tradursi in linee guida e concrete azioni attuative è fondamentale declinare le competenze dei soggetti istituzionali, ma è anche necessario che la riforma nazionale preveda il coordinamento con le materie non ricomprese nel governo del territorio, bensì strettamente connesse alla pianificazione e alla programmazione del medesimo: infrastrutture della mobilità e dell’energia, tutela e valorizzazione dell’ambiente, tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali (articoli da 9 a 14).

I soggetti titolari delle funzioni amministrative dovrebbero agire in un sistema unico e coordinato per la programmazione, la pianificazione, l’attuazione, il monitoraggio e la verifica delle trasformazioni del territorio, partecipando a tale attività in conformità ai princìpi di leale collaborazione e di responsabilità amministrativa.

Di particolare importanza nella riforma sarà il passaggio dalla tutela dei beni paesaggistici a quella più complessiva della tutela e valorizzazione dei paesaggi, così come previsto dalla Convenzione europea sul paesaggio, ratificata con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, riconoscendo che il paesaggio concorre al consolidamento delle culture locali e «che ogni luogo rappresenta un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come in quelli di grande qualità».

Anche per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente è necessario identificare gli elementi di coordinamento con le pianificazioni settoriali.

L’altro elemento di particolare rilevanza è costituito dalla stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità, con la pianificazione del territorio.

La modernizzazione del sistema infrastrutturale, della mobilità, della logistica, ma anche del sistema energetico, deve essere strettamente connessa, da una parte, all’allocazione certa dei finanziamenti e, dall’altra, essere affidata a un sistema decisionale istituzionale basato sulla leale collaborazione e sulla sussidiarietà, tale da consentire di effettuare le scelte e, poi, di garantirne la realizzazione.

Una buona programmazione e la certezza di attuazione sono possibili solo se pensiamo a un sistema rinnovato e a una «cassetta di attrezzi» adeguata alle esigenze attuali.

Le regioni hanno predisposto strumenti, regole e modalità di attuazione e, nell’ambito della loro potestà regolamentare, hanno definito i contenuti e l’attuazione dell’attività di pianificazione di area vasta e di quella comunale.

È ormai consolidata l’esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà, e l’altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni. A questi sarà necessario affiancare strumenti regolamentari che le regioni hanno già individuato con varie rubriche e che rappresentano l’attuazione della disciplina di trasformazione urbanistica ed edilizia degli insediamenti esistenti.

Occorre una differenziazione dei livelli da utilizzare, senza generalizzare, ma tenendo conto delle effettive esigenze delle realtà amministrative e delle condizioni territoriali. Regole rigide potrebbero far risultare inutilmente onerosa una pianificazione di questo tipo per comuni di piccola dimensione e, invece, farla risultare limitativa per situazioni in cui sia più opportuno, date le condizioni territoriali e socio-economiche, avere una pianificazione che interessa più comuni.

Alla base di un buon piano non può che esserci una adeguata e significativa conoscenza del territorio. È per questo che si prevedono modalità di acquisizione, valutazione e validazione dei dati territoriali, costituiti dai vincoli, dall’uso del suolo, dalle invarianti ambientali e territoriali, dalle condizioni di vulnerabilità e di rischio del territorio. La sinergia – quindi la rete – tra sistemi di informazione e di conoscenza tra regioni ed enti statali preposti dovrà essere stringente. Banche dati e sistemi informativi territoriali dovranno parlare la stessa lingua ed essere a disposizione degli enti territoriali e dei cittadini in maniera automatica e trasparente (articolo 15).

Questa è un’innovazione necessaria per l’azione amministrativa e comporterebbe anche una sensibile riduzione della spesa pubblica. Disporre di uno strumento unico sul quale verificare la conformità alle invarianti territoriali e ambientali consentirebbe uno snellimento significativo nella fase di predisposizione, di attuazione e di verifica dei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

La conoscenza del territorio consente anche una più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato. La riforma proposta, inoltre, enuncia il principio fondamentale che il territorio rurale è un patrimonio di identità, di biodiversità, di pratiche agronomiche e forestali da preservare. Sarà necessario perseguire gli obiettivi di qualità e di sostenibilità nella pianificazione delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell’impresa agricola e di contrastare il consumo di suolo non urbanizzato. Dovrà essere tutelato e valorizzato lo straordinario patrimonio costituito dai nostri paesaggi agrari e montani, dalle risorse non rinnovabili, a partire soprattutto dall’acqua e dal suolo, oltre che valorizzato il patrimonio dell’architettura rurale (articolo 18).

La riforma affronta altresì il complesso del sistema città: uno straordinario crocevia di opportunità ma, anche, di forti contraddizioni ambientali e sociali (articolo 19), delineando gli obiettivi della tutela dei centri storici, della promozione della qualità urbana e architettonica, ma soprattutto della riduzione dei livelli di inquinamento, promuovendo un nuovo processo di riqualificazione delle aree degradate integrando le politiche di recupero edilizio e urbanistico con politiche sociali e assistenziali che possano consentire un maggior grado di coesione sociale e di solidarietà.

Insomma, una vera e propria politica per le città, che utilizzi gli strumenti ordinari ma anche la leva della fiscalità e degli incentivi, che faccia del recupero e della sostituzione edilizi una grande occasione di rigenerazione dei tessuti urbani e del contenimento dei consumi, essendo le città sistemi altamente «energivori», una priorità della politica energetica nazionale.

Sulle dotazioni territoriali minime – i vecchi standard urbanistici – non è sufficiente definire un livello quantitativo minimo, ma occorre creare i presupposti di tipo qualitativo affinchè attraverso le dotazioni territoriali sia possibile garantire l’effettività dei servizi ai cittadini. Quelli statali non possono che essere considerati requisiti minimi (articolo 16) per garantire i livelli essenziali sul territorio nazionale, come previsto costituzionalmente; così anche per l’edilizia residenziale pubblica per l’affitto sociale, che dovrà essere una dotazione di risposta al fabbisogno locale.

Le regioni, nella loro piena autonomia, dovranno verificare i fabbisogni pregressi e futuri e determinare le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici dei servizi da fornire ai cittadini.

Molti sono gli obiettivi da raggiungere e importanti sono i diritti di cittadinanza da garantire. Pertanto è necessario che la legge statale offra strumenti innovativi per l’attuazione e per la stabilizzazione di alcune pratiche operative che gli enti locali adottano per garantire la realizzazione degli interventi. Quindi è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, prevedendo il partenariato pubblico-privato per l’attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regìa pubblica definita dal piano del governo del territorio, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e per l’effcienza, il miglioramento e l’innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

Anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e dell’equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva nella materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali le quali, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative.

L’amministrazione potrà acquisire gli immobili con la perequazione urbanistica (articolo 21) e con gli obiettivi individuati dagli strumenti urbanistici; in alternativa si prevede che si possa ricorrere all’esproprio (articolo 24).

La modalità operativa della perequazione potrà essere attuata negli ambiti di trasformazione urbanistica individuati dal piano del governo del territorio e riguardanti gli ambiti territoriali da trasformare, escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati, le aree non soggette a trasformazione urbanistica. Il piano di governo del territorio dovrà inoltre stabilire: l’edificabilità territoriale attribuita agli ambiti di trasformazione perequativa, l’obbligo di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione delle dotazioni territoriali o comunque per spazi pubblici, di pubblica utilità, di interesse generale e collettivo, nonchè le modalità di progettazione unitaria dell’ambito di trasformazione.

Uno dei punti di particolare delicatezza è quello della decadenza del diritto di edificazione che si propone possa essere limitato a cinque anni o comunque non superiore alla durata del piano operativo, riallineando le previsioni di trasformazione pubblica e privata.

Altro tema essenziale per l’attuazione delle previsioni di sviluppo del territorio è quello della fiscalità urbanistica e immobiliare (articolo 23). Si tratta di una questione molto complessa che deve essere affrontata con alcuni indirizzi di base.

In primo luogo, sottraendo gli enti locali alla necessità di coprire una parte cospicua del bilancio con le entrate derivanti dall’imposta comunale sugli immobili (ICI) e dagli oneri concessori, si potrà consentire agli stessi enti di favorire una politica di recupero e di riutilizzazione di immobili esistenti con la conseguente riduzione del consumo del suolo e con la riduzione della dispersione urbana. Inoltre, si dovranno rimodulare e riorganizzare le diverse imposte relative ai trasferimenti immobiliari per favorire e orientare la trasformazione urbanistica ed edilizia verso la riqualificazione urbana e del territorio, con forme di incentivazione e di premialità fiscali. Infine, attraverso l’armonizzazione e la stabilizzazione delle misure per l’incentivazione delle opere di recupero e la loro specializzazione per alcuni settori (efficienza energetica, sicurezza statica e tecnologica degli edifici, accessibilità eccetera) si potrà avere, a regime, una massa critica di investimenti finalizzati al miglioramento sostanziale della qualità urbana.

La riforma statale dovrà anche prevedere che le azioni di trasformazione del territorio siano soggette a procedure preventive, in itinere ed ex post, di valutazione degli effetti ambientali ed economico-sociali valutati e analizzati in base a un bilancio complessivo degli effetti sulle risorse essenziali del territorio, al fine di garantire l’effettiva realizzabilità e la verifica dell’efficacia delle azioni svolte.

Nessuna legge è immutabile nel tempo, soprattutto quando si tratta di regolare comportamenti sociali o istituzionali. Cambiano oggi, anche rapidamente, le condizioni economiche e sociali del contesto. Rispetto a questi cambiamenti è necessario essere in grado di fornire risposte adeguate alle nuove esigenze e alle nuove domande della società. Occorre tenere conto che la riforma del governo del territorio si deve inserire in un complesso di normative esistenti, in particolare urbanistiche ed edilizie, di livello sia nazionale che regionale. A tale proposito, nel testo della proposta di legge non viene riportato il complesso delle abrogazioni che sarebbero necessarie per ottenere un quadro organico delle diverse discipline ricomprese nel governo del territorio, per alcune delle quali – ad esempio quella relativa agli standard urbanistici o parte della disciplina edilizia e dell’esproprio – si dovrebbe intervenire anche in modo differenziato, in ragione di un progressivo rinnovo della materia. È difficile pensare a una legge sul governo del territorio che non sia oggetto di un accompagnamento istituzionale, di un programma per la sua attuazione basato su diversi strumenti di conoscenza, di esperienza, di valutazione per la revisione o per l’implementazione della stessa normativa. Anche in questo caso sono chiamate in causa sia le diverse componenti della società sia le istituzioni regionali, provinciali e comunali competenti, queste ultime coinvolte, da una parte, nel definire «l’idea di città e di territorio» e le relative regole e, dall’altra, nell’attuare un processo di pianificazione che risponda ai nuovi «diritti di cittadinanza» e al «diritto all’abitare» che la società e i singoli cittadini richiedono alle amministrazioni.

L’impostazione che si deve dare, quindi, alle nuove regole sul governo del territorio deve essere basata sulla cultura della valutazione delle scelte e sulla cultura della risposta e del risultato.

Se la sfida per la qualità del governo del territorio deve essere affrontata con strumenti adatti e coerenti alle reali esigenze della società contemporanea, una parte sostanziale di questa sfida consiste anche nella rinnovata capacità dei soggetti istituzionali nazionali e territoriali di esprimere, sulla base dei princìpi fondamentali, la volontà politica di costruire la «filiera istituzionale» e di coordinare le decisioni determinando la qualità della vita e dell’ambiente, assumendosi la responsabilità dell’attuazione delle decisioni e condividendo metodi e scelte con i cittadini.

Di seguito la relazione, con link al documento ufficiale, completo dell'articolato, in formato .pdf

Norme per la tutela ed il governo del territorio e deleghe al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare e per il riordino e il coordinamento della legislazione vigente

Relazione

Onorevoli Senatori. – Il territorio italiano è investito da profonde trasformazioni che sollecitano un nuovo quadro normativo per governarle, o, almeno, indirizzarle in una direzione di sostenibilità.

Il territorio rurale, in contrasto deciso con la sua immagine tradizionale, si sta avviando a ospitare gran parte dei processi trasformativi.

Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (1997), in tutti i paesi industrializzati maturi lo spazio rurale è destinato ad essere coinvolto sempre di più nei sistemi di relazioni economiche e sociali che interessano i sistemi urbani e ad essere sempre meno legato all’attività agricola, aumentando progressivamente i propri caratteri multifunzionali. Nei prossimi anni, secondo lo «Schema di sviluppo dello spazio europeo», dal 30 all’80 per cento delle aree agricole potrebbe essere abbandonato.

È un’indicazione di tutto rilievo, se si considera che attualmente più del 50 per cento del territorio europeo è dedicato all’agricoltura. Nonostante l’apparente esiguità del ruolo strettamente economico del reddito agricolo, gran parte della biodiversità europea ricade in paesaggi coltivati e la sua salute dipende dal modo in cui l’agricoltura è condotta. Lo sviluppo degli spazi rurali, sulla base di un’economia diversificata e multifunzionale (che include ad esempio il turismo e l’industria culturale, insieme a produzioni agricole di qualità), è quindi decisivo per il mantenimento o l’arricchimento della diversità biologica e paesistica del territorio. L’abbandono, con il conseguente depauperamento di vasti territori, provoca una spirale complessa di cambiamenti destinati a destabilizzare i preesistenti equilibri. L’interruzione, spesso repentina, delle cure manutentive con cui l’uomo aveva nei secoli adattato gli spazi naturali alle proprie esigenze produttive e abitative, l’abbandono dei versanti terrazzati, delle cure forestali e dei reticoli di drenaggio superficiale hanno in alcune circostanze accentuato i rischi idrogeologici e aggravato i rischi alluvionali (riduzione delle capacità di ritenzione idrica dei suoli con aumento del deflussi superficiali, innalzamento dei picchi di piena nei canali ricettori, innesco di frane e dissesti, sovraccarico della copertura boschiva su suoli instabili, ostruzione di alvei e formazione di sezioni critiche per mancata pulizia a monte e così via).

Inoltre i processi di abbandono pregiudicano, spesso in modo irreversibile, la conservazione del patrimonio storico edilizio, urbanistico e infrastrutturale nei territori rurali, soprattutto collinari e montani, accelerandone il degrado fino al cedimento, alla trasformazione in rudere e alla definitiva scomparsa. L’interruzione delle attività agricole è da tempo alla base dei processi di abbandono della montagna e dell’accresciuta spinta a dare un diverso valore ai terreni non più coltivati, trasformandoli in aree edificate ed edificabili.

Nei territori rurali si registrano però anche nuove tendenze positive: come il ritorno di giovani a produzioni agricole biologiche e di qualità, molto aumentate in questi anni, come il forte sviluppo dell’agriturismo e l’avvio di alcune esperienze (in particolare nelle zone limitrofe ai Parchi) di un tipo di agricoltura multifunzionale, impegnata anche in interventi di manutenzione del territorio e di recupero ambientale. Questo cambiamento di tendenza, che andrebbe comunque sostenuto con convinzione e risorse, non ha però ancora il peso sufficiente a invertire la tendenza generale – e consolidata da molti anni – all’abbandono delle attività agricole.

I processi di abbandono delle attività agricole hanno assunto da tempo un’estrema rilevanza nelle aree montane, vale a dire in gran parte del territorio nazionale (54 per cento). Le modificazioni conseguenti all’abbandono originano sintomi di collasso degli apparati tradizionali di difesa e di sistemazione del suolo, di desertificazione e destabilizzazione ecosistemica, di infragilimento o di scomparsa dei sistemi economici locali e delle culture tradizionali, con gravi ripercussioni anche sulle aree di pianura.

A fronte di tali fenomeni, che si associano ai costi sociali ed economici determinati dal rapido depauperamento delle risorse umane e dalla crisi degli antichi tessuti comunitari, l’operatore pubblico – dalle comunità montane e dalle regioni direttamente interessate fino al livello europeo – ha avvertito da tempo la necessità di frenare i processi di abbandono con politiche di sostegno, incentivazione e assistenza. Sono interventi spesso molto onerosi ma largamente insufficienti e di scarsa efficacia, nonostante abbiano contribuito al ripensamento delle strategie riguardanti il mondo agricolo e spostato progressivamente l’attenzione sulle funzioni ambientali dell’agricoltura.

Due dei grandi sistemi territoriali, che il CIPE già nel 1999 ha considerato in sede di programmazione dei fondi strutturali, sono proprio i due maggiori sistemi montuosi del nostro paese: le Alpi e gli Appennini. Entrambi i sistemi sono anche oggetto di due dei più importanti «progetti» di valorizzazione territoriale di interesse europeo: la Convenzione delle Alpi, ratificata ai sensi della legge 14 ottobre 1999, n. 403, e il Progetto Appennino Parco d’Europa (APE).

Sebbene per ambedue i progetti le iniziative, le proposte e gli accordi istituzionali procedano a rilento e diano l’impressione di essere ancora lontani dal generare azioni concrete ed efficaci, il ricco dibattito politico e culturale che attorno ad essi si è sviluppato negli ultimi anni dimostra che, in entrambi i casi, si è riconosciuto che si tratta di territori strategici di straordinaria importanza ecologica e culturale per l’intero continente, esposti a rischi e minacce di crescente gravità. In entrambi i casi, pur in presenza di una ricchissima diversificazione ambientale, paesistica e culturale, si ha a che fare con sistemi territoriali dotati di una riconoscibile identità e coerenza, caratterizzati da un’immagine unitaria e da un gran numero di problemi comuni.

I processi di abbandono hanno un peso rilevante, ma non sono i soli problemi della montagna. Alcune zone soffrono per le pressioni e le trasformazioni derivanti dal turismo, dagli sconfinamenti delle aree urbane in espansione, dallo sviluppo delle reti infrastrutturali: pressioni e trasformazioni che producono impatti locali rilevanti.

Il declino della presenza e delle attività antropiche porta però con sé, oltre ai rischi citati, anche nuove possibilità di rinaturalizzazione e di riequilibrio ecologico. Il ritorno del bosco, se opportunamente assecondato, può in molti casi ripristinare antichi equilibri, ponendo termine ad anni di eccessiva domesticazione degli spazi e delle risorse naturali.

Occorre comunque considerare che un tale ritorno comporta anche difficili problemi di gestione attiva di stadi successionali non stabili, perché siamo ormai in presenza di una frammentazione non naturale del territorio; né va dimenticato che, per far restare i giovani e richiamare in montagna nuovi montanari, indispensabili per mantenere in vita quei territori, occorre realizzare le condizioni per una buona qualità della vita in quei territori, diversa dal modello di benessere e di consumismo urbano, sostenendo tecnologia e formazione attraverso incentivi e promuovendo lo sviluppo di attività (agricole, artigianali, di turismo culturale e così via) sostenibili per il territorio montano.

Se la sindrome dell’abbandono caratterizza in modo emblematico i territori di montagna, una situazione ben diversa caratterizza invece i territori di pianura e delle coste, assaliti dall’espansione edilizia e dalla proliferazione di insediamenti.

Nella storia della città europea e italiana si è prodotto negli ultimi decenni un cambiamento epocale. Da forme insediative concentrate si è passati, in modi evidenti e dilaganti, a forme insediative sempre più disperse; tale dispersione è avvenuta con estensioni eccessive di nuove edificazioni, con costruzioni di scarsa qualità e spesso mal inserite nel territorio e nel paesaggio.

Intere regioni del paese sono state investite da massicci fenomeni di proliferazione degli insediamenti: nel Nord dalla Lombardia al Friuli; lungo la costa adriatica dalla Romagna alla Puglia; in Toscana da Firenze a Prato e Pistoia o lungo la direttrice di Empoli; e poi in Lazio, in Campania e in Sicilia. Ovunque sono state toccate in modo particolare le coste, ma anche le pianure interne, le aree turistiche ma anche quelle in corrispondenza dello sviluppo di nuovi distretti produttivi o del loro potenziamento.

La proliferazione insediativa non è sempre l’esito di un movimento centrifugo della città verso la campagna né sempre si manifesta in un processo di urbanizzazione della campagna. In molti casi è l’esito di una progressiva densificazione di insediamenti dispersi che hanno – come nel caso del Veneto, delle Marche, dell’Umbria o della Puglia – una lunga storia alle spalle: storia di crescita di piccole frazioni o attorno a piccoli nuclei abitati, connessa o meno all’abbandono dell’agricoltura. La città diffusa, che ha alimentato una tale proliferazione di insediamenti, è al contempo il risultato di fenomeni di dispersione, densificazione, riuso, modifica e trasformazione della città esistente.

All’origine di questi fenomeni ci sono cause molteplici e tra loro differenti: la predilezione per la casa unifamiliare, isolata, con giardino; la forte domanda di seconde e terze case; l’allontanamento dalla città, dove la casa è diventata troppo cara e dove con il reddito disponibile si spende di più e si vive male in una casa piccola; la scelta di costruire case per valorizzare terreni che non conviene più coltivare.

Una parte consistente di questa proliferazione insediativa di bassa qualità è la conseguenza di un diffuso abusivismo edilizio, soprattutto in alcune regioni. L’abusivismo ha invaso aree prossime alle città e aree costiere e di notevole pregio ambientale e paesistico. Il danno prodotto da questo fenomeno all’ambiente e al paesaggio è, in alcune regioni, di estrema gravità, per di più accentuata dai condoni che hanno alimentato aspettative di impunità.

La mancata comprensione dei processi in atto sul territorio ha portato spesso la politica delle infrastrutture a commettere errori gravi e a fissare le priorità in modo profondamente errato, alimentando il traffico stradale e incentivando l’uso dell’automobile nei territori della dispersione e proliferazione insediativi.

Anche per questo fenomeno le preoccupazioni sono in aumento e l’attenzione è viva da tempo. In alcune regioni e in alcune province sono stati elaborati piani per contenerlo, con nuove politiche di governo del territorio. Ma siamo ancora ben lontani dalla definizione di strategie adeguate, in grado di incidere efficacemente: la proliferazione insediativa infatti continua con modalità insostenibili e senza adeguati interventi regolativi in grado di tutelare i valori naturali e ambientali del territorio.

La collaudata resilienza degli ecosistemi del paese ha da tempo un potente alleato nell’ampia fungibilità del patrimonio storico insediativo e infrastrutturale: entrambi hanno dimostrato nel corso dei secoli di poter accogliere cambiamenti e innovazioni, di potersi arricchire reagendo positivamente alle spinte trasformatrici.

Come nell’800, sotto l’impulso delle riforme teresiane, la lenta evoluzione dei paesaggi agrari descritti dal Sereni diede spazio all’innovativa edificazione della campagna lombarda, così le fitte maglie urbanizzative storicamente consolidate dell’Italia centrale o delle fasce prealpine hanno rappresentato e rappresentano una risorsa di eccezionale valore per incanalare e radicare nel territorio le spinte diffusive, resistendo alle tendenze omologatrici.

Persino nelle anonime periferie urbane e metropolitane, per poco che si scavi sotto la coltre uniforme degli sviluppi recenti, riaffiorano con inaspettata densità i segni superstiti degli antichi palinsesti, le trame delle precedenti organizzazioni territoriali, segni in grado di restituire loro identità e riconoscibilità, di sconfiggere l’idea che possa trattarsi di aree vuote, giacimenti immobiliari cui attingere in modo indiscriminato per le nuove edificazioni: la periferia italiana ha probabilmente più possibilità di quella di altri paesi di uscire dalla condizione di marginalità e di dequalificazione. I principali processi di transizione in atto nello spazio rurale, nei territori montani e in quelli sottoposti alla proliferazione insediativa (e a volte anche infrastrutturale) comportano rilevanti problemi e rischi di degrado, che tuttavia possono essere fronteggiati in un territorio che dispone ancora di grandi risorse e di straordinarie potenzialità.

L’enfasi recentemente accordata da molte pubbliche amministrazioni (comuni, province, regioni, autorità di gestione delle aree protette, autorità di bacino) alla pianificazione strategica e ai problemi di governance territoriale – anche se rappresenta un positivo indicatore di una nuova e vigile attenzione – non sempre riflette piena consapevolezza delle sfide che l’azione pubblica deve fronteggiare.

La messa in campo di strategie appropriate si scontra infatti con dinamiche di cambiamento sempre più complesse e imprevedibili (basti pensare agli effetti del cambiamento climatico), con l’intreccio a volte inestricabile dei problemi che si pongono alle diverse scale (locali, regionali, interregionali e sempre più globali), con la necessità di cooperazione tra diverse istituzioni di governo (spesso assai gelose delle proprie autonomie), e naturalmente ancor di più con la difficile coniugazione tra istanze conservative e di tutela e istanze innovative e di sviluppo.

Tali difficoltà non sembrano affrontabili solo con i tradizionali meccanismi autorizzativi del tipo comando-controllo, ma richiedono anche – e soprattutto – strumenti di indirizzo, promozione e condivisione, che scontano il pluralismo dei processi decisionali, la relativa reversibilità delle scelte, l’incertezza dei quadri di riferimento.

Le attività di visioning, di costruzione di immagini e di progetti-guida, possono svolgere un ruolo rilevante nella formazione del consenso sulle strategie. In questo senso le azioni di governo effettivamente esercitabili dalle istituzioni nell’ambito della propria sfera di competenza vanno viste nel quadro di processi assai più articolati e complessi di governance territoriale. I soggetti coinvolti a vario titolo nei processi di trasformazione ambientale-territoriale devono interagire ma, prima di ogni altra cosa, devono riuscire a «dialogare». In questo quadro va certamente potenziato il ruolo degli attori locali e va allargata la possibilità di partecipazione e partenariato in vista di comuni obiettivi di sviluppo sostenibile.

Ma questo allargamento e questa riarticolazione dell’azione pubblica non possono in alcun modo confondersi con l’indebolimento o la rinuncia a un’efficace regolazione dei processi. Le sfide ambientali sempre più complesse e la stessa crescita di domande sociali (di qualità ambientale, di sicurezza, di accesso alle risorse, di natura e di paesaggio) richiedono al contrario un rafforzamento dell’azione pubblica regolatrice.

Tuttavia il necessario spostamento verso l’alto dei sistemi di controllo, l’urgenza di avviare una «regolazione preventiva» dei processi di cambiamento, la salvaguardia del patrimonio naturale-culturale e la difesa dei valori di identità richiedono forme di regolazione assai più sofisticate e complesse delle «gabbie di vincoli» cui si è spesso ridotta la funzione della pianificazione.

Lungimiranza delle strategie ed efficacia della regolazione devono coabitare sempre più nella nuova cultura del governo del territorio, così come occorre promuovere un’efficace integrazione della valutazione (della conoscenza, del monitoraggio) dei valori naturali e ambientali e dei potenziali impatti sul territorio nei processi di governance e di pianificazione.

A tal fine pare necessario partire con la definizione, sia pure in forma sintetica e generale, le linee fondamentali per l’assetto del territorio italiano con riferimento ai valori naturali e ambientali (articolo 2): una visione d’insieme, delle priorità nazionali, una griglia di indirizzo omogenea per il territorio nazionale.

Vengono inoltre definiti (articolo 3) i princìpi generali del governo del territorio quale riferimento per le funzioni legislative concorrenti e amministrative attribuite alle regioni ed agli enti locali. Solo alcuni aspetti di competenza dello Stato hanno richiesto norme di dettaglio: si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e di attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.

Il primo, il principio di pianificazione, espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e contrastando il consumo di nuovo suolo non urbanizzato e consentendo, altresì, l’uguaglianza dei diritti e dei doveri all’uso e al godimento degli stessi beni.

Gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse naturali e ambientali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonché la riduzione dei consumi e l’incremento dell’efficienza energetica.

Altro principio fondamentale è rappresentato dalla tutela delle risorse non rinnovabili ed essenziali e dalla sicurezza dai rischi, da perseguire con misure di prevenzione e di riduzione dei danni per il territorio e per l’ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenzione dei rischi e di mitigazione delle calamità naturali e degli eventi incidentali determinati dall’attività antropica, ispirandosi al principio comunitario della precauzione.

Il principio di sussidiarietà dovrà creare il processo virtuoso della «filiera istituzionale», ispirando la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell’affidamento, della responsabilità e della concorsualità. Secondo il criterio di differenziazione e adeguatezza, le istituzioni dovranno agire mediante intese e accordi procedimentali in sedi stabili di concertazione per perseguire il coordinamento, l’armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei tempi delle procedure di pianificazione del territorio.

Anche per questo, è importante assumere come principio la trasparenza e la democrazia nei processi di scelta e di decisione con il massimo coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione e di approvazione degli strumenti di pianificazione.

Il principio di equità consente di offrire a tutti i soggetti la possibilità di accedere con le stesse opportunità ai diritti e ai vantaggi offerti dalle trasformazioni del territorio in termini di residenza, accessibilità, mobilità, servizi collettivi, qualità dell’ambiente urbano e migliore qualità della vita.

Perché tali princìpi possano tradursi in linee guida e concrete azioni attuative è fondamentale declinare le competenze dei soggetti istituzionali, ma è anche necessario che la riforma nazionale preveda il coordinamento con le materie non ricomprese nel «governo del territorio», bensì strettamente connesse alla pianificazione e alla programmazione del medesimo: infrastrutture della mobilità e dell’energia, tutela e valorizzazione dell’ambiente, tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali (articoli 6-7-8).

I soggetti titolari delle funzioni amministrative dovrebbero agire in un sistema unico e coordinato per la programmazione, la pianificazione, l’attuazione, il monitoraggio e la verifica delle trasformazioni del territorio, partecipando a tale attività in conformità ai princìpi di leale collaborazione e di responsabilità amministrativa.

L’altro elemento di particolare rilevanza è costituito dalla stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità, con la pianificazione del territorio.

La modernizzazione del sistema infrastrutturale, della mobilità, della logistica, ma anche del sistema energetico, deve essere strettamente connessa, da una parte, all’allocazione certa dei finanziamenti e, dall’altra, essere affidata a un sistema decisionale istituzionale basato sulla leale collaborazione e sulla sussidiarietà, tale da consentire di effettuare le scelte e, poi, di garantirne la realizzazione.

Una buona programmazione e la certezza di attuazione sono possibili solo se pensiamo a un sistema rinnovato e a una «cassetta di attrezzi» adeguata alle esigenze attuali.

Le regioni hanno predisposto strumenti, regole e modalità di attuazione e, nell’ambito della loro potestà regolamentare, hanno definito i contenuti e l’attuazione dell’attività di pianificazione di area vasta e di quella comunale.

È ormai consolidata l’esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà, e l’altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni. A questi sarà necessario affiancare strumenti regolamentari che le regioni hanno già individuato con varie rubriche e che rappresentano l’attuazione della disciplina di trasformazione urbanistica ed edilizia degli insediamenti esistenti.

Occorre una differenziazione dei livelli da utilizzare, senza generalizzare, ma tenendo conto delle effettive esigenze delle realtà amministrative e delle condizioni territoriali.

Alla base di un buon piano non può che esserci una adeguata e significativa conoscenza del territorio. È per questo che si prevedono modalità di acquisizione, valutazione e validazione dei dati territoriali, costituiti dai vincoli, dall’uso del suolo, dalle invarianti ambientali e territoriali, dalle condizioni di vulnerabilità e di rischio del territorio. La sinergia – quindi la rete – tra sistemi di informazione e di conoscenza tra regioni ed enti statali preposti dovrà essere stringente. Banche dati e sistemi informativi territoriali dovranno «parlare la stessa lingua» ed essere a disposizione degli enti territoriali e dei cittadini in maniera automatica e trasparente (articolo 11).

Questa è un’innovazione necessaria per l’azione amministrativa e comporterebbe anche una sensibile riduzione della spesa pubblica. Disporre di uno strumento unico sul quale verificare la conformità alle invarianti territoriali e ambientali consentirebbe uno snellimento significativo nella fase di predisposizione, di attuazione e di verifica dei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

La conoscenza del territorio consente anche una più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato. La riforma proposta, inoltre, enuncia il principio fondamentale che il territorio rurale è un patrimonio di identità, di biodiversità, di pratiche agronomiche e forestali da preservare. Sarà necessario perseguire gli obiettivi di qualità e di sostenibilità nella pianificazione delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell’impresa agricola e di contrastare il consumo di suolo non urbanizzato. Dovrà essere tutelato e valorizzato lo straordinario patrimonio costituito dai nostri paesaggi agrari e montani, dalle risorse non rinnovabili, a partire soprattutto dall’acqua e dal suolo, oltre che valorizzato il patrimonio dell’architettura rurale (articolo 12).

La riforma affronta altresì il complesso del sistema città: uno straordinario crocevia di opportunità ma, anche, di forti contraddizioni ambientali e sociali (articolo 13), delineando gli obiettivi della tutela dei centri storici, della promozione della qualità urbana e architettonica, ma soprattutto della riduzione dei livelli di inquinamento, promuovendo un nuovo processo di riqualificazione delle aree degradate integrando le politiche di recupero edilizio e urbanistico con politiche sociali e assistenziali che possano consentire un maggior grado di coesione sociale e di solidarietà.

Insomma, una vera e propria «politica per le città», che utilizzi gli strumenti ordinari ma anche la leva della fiscalità e degli incentivi, che faccia del recupero e della sostituzione edilizi una grande occasione di rigenerazione dei tessuti urbani e del contenimento dei consumi, essendo le città sistemi altamente «energivori», una priorità della politica energetica nazionale.

Sulle dotazioni territoriali minime – i vecchi standard urbanistici – non è sufficiente definire un livello quantitativo minimo, ma occorre creare i presupposti di tipo qualitativo affinché attraverso le dotazioni territoriali sia possibile garantire l’effettività dei servizi ai cittadini. Quelli statali non possono che essere considerati requisiti minimi per garantire i livelli essenziali sul territorio nazionale, come previsto costituzionalmente; così anche per l’edilizia residenziale pubblica per l’affitto sociale, che dovrà essere una dotazione di risposta al fabbisogno locale.

Le regioni, nella loro piena autonomia, dovranno verificare i fabbisogni pregressi e futuri e determinare le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici dei servizi da fornire ai cittadini.

Molti sono gli obiettivi da raggiungere e importanti sono i diritti di cittadinanza da garantire. Pertanto è necessario che la legge statale offra strumenti innovativi per l’attuazione e per la stabilizzazione di alcune pratiche operative che gli enti locali adottano per garantire la realizzazione degli interventi. Quindi è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, prevedendo il partenariato pubblico-privato per l’attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regìa pubblica definita dal piano del governo del territorio, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e per l’efficienza, il miglioramento e l’innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

Anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e dell’equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva nella materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali le quali, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative.

L’amministrazione potrà acquisire gli immobili con la perequazione urbanistica (articolo 15) e con gli obiettivi individuati dagli strumenti urbanistici; in alternativa si prevede che si possa ricorrere all’esproprio.

La modalità operativa della perequazione potrà essere attuata negli ambiti di trasformazione urbanistica individuati dal piano del governo del territorio e riguardanti gli ambiti territoriali da trasformare, escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati, le aree non soggette a trasformazione urbanistica. Il piano di governo del territorio dovrà inoltre stabilire: l’edificabilità territoriale attribuita agli ambiti di trasformazione perequativa, l’obbligo di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione delle dotazioni territoriali o comunque per spazi pubblici, di pubblica utilità, di interesse generale e collettivo, nonché le modalità di progettazione unitaria dell’ambito di trasformazione.

Uno dei punti di particolare delicatezza è quello della decadenza del diritto di edificazione che si propone possa essere limitato a cinque anni o comunque non superiore alla durata del piano operativo, riallineando le previsioni di trasformazione pubblica e privata.

Altro tema essenziale per l’attuazione delle previsioni di sviluppo del territorio è quello della fiscalità urbanistica e immobiliare (articolo 16). Si tratta di una questione molto complessa che deve essere affrontata con alcuni indirizzi di base.

In primo luogo, sottraendo gli enti locali dalla necessità di coprire una parte cospicua del bilancio con le entrate derivanti dall’imposta comunale sugli immobili (ICI) e dagli oneri concessori, si potrà consentire agli stessi enti di favorire una politica di recupero e di riutilizzazione di immobili esistenti con la conseguente riduzione del consumo del suolo e con la riduzione della dispersione urbana. Inoltre, si dovranno rimodulare e riorganizzare le diverse imposte relative ai trasferimenti immobiliari per favorire e orientare la trasformazione urbanistica ed edilizia verso la riqualificazione urbana e del territorio, con forme di incentivazione e di premialità fiscali. Infine, attraverso l’armonizzazione e la stabilizzazione delle misure per l’incentivazione delle opere di recupero e la loro specializzazione per alcuni settori (efficienza energetica, sicurezza statica e tecnologica degli edifici, accessibilità e così via) si potrà avere, a regime, una massa critica di investimenti finalizzati al miglioramento sostanziale della qualità urbana.

Occorre tenere conto che la riforma del governo del territorio si inserisce in un complesso di normative esistenti, in particolare urbanistiche ed edilizie, di livello sia nazionale che regionale. A tale proposito, nel testo del disegno di legge, è previsto (articolo 18) l’adeguamento della legislazione regionale e è delegato il Governo al riordino ed al coordinamento della legislazione vigente (articolo 19).

Infine (articolo 20) è prevista una relazione al Parlamento sulla attuazione delle presenti norme.

1 “Governo del territorio” e “pianificazione del territorio”

La presente proposta di legge intende dare risposta a un’esigenza di costruzione dell’ordinamento legislativo italiano di cui è particolarmente avvertita l’urgenza già da molti decenni: quella di determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale in merito alle finalità, agli obiettivi, alla titolarità, ai caratteri essenziali, alle facoltà e alle efficacie, ai procedimenti decisionali, dell’attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la cui disciplina di dettaglio compete, fin dalle origini dell’assetto costituzionale repubblicano, alla legislazione regionale. Ciò sia al fine di tracciare alla produzione legislativa regionale un quadro di orientamenti unificanti, che garantissero a tutto il territorio nazionale, alle sue risorse, ai suoi beni e valori, nonché a tutti i cittadini in esso dimoranti, l’eguaglianza dei livelli essenziali delle tutele e delle prestazioni offerte, sia al fine di supportare la medesima legislazione regionale, innanzitutto e soprattutto ove vi fosse interferenza con questioni di riserva di legge nazionale, come a esempio in merito alla latitudine delle facoltà connesse con il diritto di proprietà.

Già a norma del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione della Repubblica italiana entrata in vigore il 1° gennaio 1948 spettava alle regioni emanare, per le “materie” ivi elencate, tre le quali l’”urbanistica”, “norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni”.

Al momento della concreta costituzione delle regioni, al fine di consentire alle regioni stesse di iniziare immediatamente a legiferare nelle “materie” di competenza (senza attendere l’emanazione di leggi statali enuncianti i “principi fondamentali” della disciplina di ognuna di esse) la legge 16 maggio 1970, n.281, dispose che la produzione legislativa regionale poteva svolgersi “nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti” (articolo 17, ultimo comma). Questa seconda possibilità implicò la necessità che le regioni si impegnassero a sceverare i contenuti ai quali riconoscere la natura di “principi fondamentali”, relativamente alla materia denominata “urbanistica”, nell’ambito delle disposizioni, essenzialmente, della legge 17 agosto 1942, n.1150, e successive modificazioni e integrazioni.

Con il tempo, l’accezione del termine costituzionale “urbanistica” è stata evolutivamente riconosciuta assai larga dalla dottrina, dalla giurisprudenza, e anche dal diritto positivo: basti citare, per quest’ultimo, la definizione data dall’articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.616, per cui l’”urbanistica” concerne “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. In buona sostanza, si dava della “materia” denominata “urbanistica” una definizione tale da avvicinarla al concetto di “governo del territorio”, quand’anche quest’ultimo concetto possa avere un’ancora più vasta latitudine.

Nei fatti, relativamente a non pochi degli argomenti che la definizione appena sopra riportata riconduce nell’ambito dell’”urbanistica” la legislazione statale si è arricchita, dopo la concreta costituzione delle regioni, e ancor più dopo l’enunciazione della suddetta definizione, di provvedimenti più o meno integralmente innovativi: da quello sulla difesa del suolo a quello sulle aree naturali protette, da quello sulle trasformazioni edilizie a quello sulle espropriazioni di immobili, a quelli sulle opere pubbliche, e l’elencazione potrebbe proseguire.

Per converso, ancora prima della concreta costituzione delle regioni (ma avendo ben chiara la sua imminenza), cioè nei primi anni ’60, iniziarono i tentativi di definire provvedimenti legislativi statali innovativi relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui s’è detto all’inizio di questa relazione, tentativi che si succedettero, nei decenni che seguirono fino a tempi recentissimi, seppure con variabile intensità di frequenza: sostanzialmente, nessuno d’essi andò in porto, se si eccettua la cosiddetta “legge ponte” del 1967 (che, anziché costituire una tappa intermedia del percorso di costruzione di una nuova legge urbanistica, si risolse ed esaurì nella più incisiva integrazione e modificazione della legge 1150/1042), e se si eccettuano le leggi essenzialmente rivolte a innestare e a fondare sulla pianificazione le politiche finalizzate a dare risposta alle esigenze di edilizia abitativa economica e popolare, nonché la legge 28 gennaio 1977, n.10 (che, per ricordare soltanto i suoi contenuti più significativi, generalizzava l’obbligo posto a carico degli operatori delle trasformazioni di immobili di contribuire alle spese di attrezzamento del territorio, e l’introduceva l’istituto della programmazione nel tempo degli interventi previsti e disciplinati dalla pianificazione).

La proposta di legge nasce quindi dalla convinzione dell’urgenza, non ulteriormente dilazionabile, di provvedere a determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui s’è detto all’inizio di questa relazione, per i fini ivi pure sinteticamente enunciati.

Si avverte infatti, come e forse più che nel periodo ultraquarantennale del quale dianzi si è tracciato il ricordo, la necessità, che si vorrebbe fosse riconosciuta tra le priorità nazionali, di rilanciare con forza la “cultura” (e la prassi) della pianificazione territoriale e urbanistica, quale attività relativa a un patrimonio comune non negoziabile (in quanto, tipicamente, non riproducibile e non fungibile), di titolarità irrinunciabilmente pubblica, volta al perseguimento esclusivo, o almeno prioritario, di interessi collettivi, neppure essi tra loro “equiordinati”, ma piuttosto gerarchizzati secondo un ordine che veda la priorità della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale dello stesso territorio, da preservare anche per le generazioni future.

E’ sufficiente l’enunciazione dei concetti appena sopra sinteticissimamente espressi circa le finalità e i caratteri della pianificazione territoriale e urbanistica per evidenziare come i contenuti della presente proposta di legge siano radicalmente antitendenziali rispetto alla “cultura” (e alla prassi) via via sempre più protervamente affermatasi a partire dagli anni ’80, e che stava, nella scorsa legislatura, per ricevere la sua consacrazione in termini di “principi fondamentali della legislazione dello Stato” grazie al disegno di legge divenuto noto, dal nome del suo presentatore, come “legge Lupi”, approvato dalla Camera dei Deputati il 28 giugno 2005, trasmesso al Presidente del Senato il giorno successivo (Atti Senato n.3519), e in tale ramo del Parlamento fortunatamente (e grazie all’impegno di alcuni, pochi, Senatori) arenatosi.

E’ per converso doveroso riconoscere che la presente proposta di legge rinuncia a priori a configurarsi come la legge statale “organica” nella materia che il comma terzo dell’atuale articolo 117 della Costituzione denomina “governo del territorio”.

Ciò in ragione del fatto che una concezione adeguatamente matura (o almeno non più riduttiva di quella alla quale la legislazione ordinaria di attuazione della previgente normativa costituzionale era giunta nel definire l’estensione della materia allora denominata “urbanistica”) della nozione di “governo del territorio” non può non comprendervi, in tutto o in parte, materie che lo stesso comma terzo del novellato articolo 117 della Costituzione enumera, assieme al suddetto “governo del territorio”, tra quelle parimenti “di legislazione concorrente” (nelle quali, a norma del quarto comma del medesimo novellato articolo 117 della Costituzione, “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato”): protezione civile; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Come non può non ricomprendervi anche, almeno in parte, una materia che lo stesso novellato articolo 117 della Costituzione ha inserito nell’elenco, di cui al secondo comma, delle materie nelle quali lo Stato ha “legislazione esclusiva”, e cioè la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, come ha chiarito la dottrina della Corte costituzionale nelle pronunce con le quali ha negato la pretesa dello Stato di inibire alla legislazione regionale di dettare disposizioni in tale materia, peculiarmente prevedendo che alla tutela dei beni culturali, paesaggistici, naturalistico-ambientali, si provveda anche attraverso la pianificazione territoriale, ordinaria e specialistica.

Per cui un provvedimento legislativo statale effettivamente “organico” dovrebbe trattare, unitariamente, tutte le materie che sono state appena sopra richiamate, dettando solamente “principi fondamentali” in quelle “di legislazione concorrente” (salvo stabilire anche disposizioni direttamente operative destinate ad avere vigore sino alla definizione di quelle correlative regionali), e statuendo sia disposizioni immediatamente vincolanti erga omnes che precetti richiedenti l’intervento specificativo della legislazione regionale in quella che la ricordata dottrina della Corte costituzionale ha chiamato una “materia-attività”. E’ possibile che a definire un siffatto provvedimento legislativo statale si riesca a pervenire, nonostanti le indubbie gravosissime difficoltà tecniche (per non fare neppure cenno a quelle politico-istituzionali), e non si vuole negare che, se ciò mai accadesse, tutti i soggetti, pubblici e privati, in qualsiasi misura e modo interessati alle trasformazioni e alle utilizzazioni del territorio, ne apprezzerebbero l’utilità: la qual cosa, peraltro, non esime dal rifiutare risolutamente di considerare il porvi mano neppure paragonabile, per importanza, urgenza, rispondenza all’ordine gerarchico e temporali degli interessi pubblici del Paese, alla definizione dei contenuti della presente proposta di legge, a ai fini che a essi sono sottesi.

2. I principi per il governo del territorio

La proposta che qui si presenta concerne quindi il solo campo della pianificazione urbanistica e territoriale,:come del resto le medesima “Legge Lupi”, e gran parte delle leggi regionali che recano invece il titolo di “governo del territorio. Ciò non significa peraltro che, nel definire finalità, strumenti e procedure della pianificazione non si sia tenuto conto di un insieme di principi che - si ritiene - dovranno ispirare l’insieme degli atti normativi relativi al”governo del territorio”.

Nel corso della discussione della proposta ci si è anzi più volte domandati se fosse opportuno inserire esplicitamente nell’articolato una più ampia enunciazione d1 “principi per il governo del territorio”. Si è convenuto di preferire un impianto il più snello possibile,e finalizzato al massimo di efficacia nel campo prescelto. È peraltro opportuno, in questa sede, enunciare i principi sui quali si era convenuto,e che costituiscono in qualche modo il substrato delle norme elaborate.

Il governo del territorio, qualunque sia lo specifico campo al quale si riferisce, viene esercitato ponendo come obbiettivo di ogni atto di conservazione e trasformazione, il benessere dei cittadini, il miglioramento delle condizioni di qualità, sicurezza, e fruibilità collettiva del territorio, dando priorità alla conservazione della natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risorse primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli spazi urbani, dell’architettura, delle infrastrutture. A tal fine gli obiettivi di conservazione, tutela e valorizzazione fanno parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di incidere sulle condizioni dell’ambiente urbano, del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale.

Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasformazione del territorio, debbono pertanto essere informate dai seguenti principi:

- prevalenza dell’interesse generale su quello particolare e dell’interesse pubblico su quello privato;

- attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario per la collettività;

- promozione di un uso del territorio che favorisca l’equità, estenda la partecipazione e la democrazia nella consapevolezza che il territorio è un bene comune ed ogni azione compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere ispirata e compatibile con questo principio.

Le amministrazioni che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

- promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso 1) l’offerta di spazi e servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali 2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi 3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

- sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura, dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

- affermare il valore imprescindibile della unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali

3. La direttiva europea sulla valutazione degli effetti della pianificazione sull’ambiente

La presente proposta di legge, nel determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale in merito alla pianificazione del territorio, provvede doverosamente a recepire, per quanto di competenza della legislazione e statale e con esclusivo riferimento alla medesima pianificazione del territorio, la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Ciò non (soltanto) ai fini del formale adempimento a un obbligo sovrastatale, ma (soprattutto) in ragione della profonda adesione, che sottende all’insieme della medesima presente proposta di legge, e che si manifesta in molteplici sue disposizioni, per cui la valutazione degli effetti ambientali delle scelte pianificatorie e programmatorie deve essere inclusa nei processi conoscitivi, dapprima, e decisionali, quindi, propri dell’attività pianificatoria e programmatoria, anche a evitare che il ricorso a separate procedure di valutazione dell’impatto ambientale di singole opere, trasformazioni, azioni comunque modificative del territorio, finisca con l’essere utilizzato, come troppo spesso è accaduto da non pochi anni, come un “grimaldello” mediante il quale (concedendo come contropartita, tutt’al più, qualche sistemazione “mitigatoria”) scardinare quelle complessive coerenze sistemiche nelle quali sussiste l’essenza della pianificazione e della programmazione.

Il recepimento della direttiva è realizzato sia sottolineando l’obbligo, nel corso del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione (articolo 11), di plurimi momenti di confronto con la cittadinanza, non limitandosi al tradizionale ricevimento delle osservazioni dei diversi soggetti ai documenti costitutivi dello strumento adottato, sia dettando (articolo 16) specifiche disposizioni in merito all’effettuazione della valutazione degli effetti sull’ambiente.

Alle tematiche di cui si è trattato appena sopra è strettamente legato l’indirizzo volto a promuovere la conoscenza diffusa dei processi di pianificazione e delle azioni di trasformazione del territorio, anche mediante la costituzione di forme organizzative autonome rispetto all’amministrazione attiva (articolo 6). E, a ben vedere, è a esse connessa anche la previsione per cui gli elaborati della pianificazione del territorio di competenza comunale, una volta che abbiano recepito e/o specificato tutti i contenuti degli strumenti di pianificazione, e degli altri atti incidenti sulla disciplina del territorio, sovraordinati, ordinari, specialistici e settoriali, costituisce la “carta unica del territorio”, cioè l’unico riferimento per la verifica di ammissibilità degli strumenti di specificazione attuativa, e dei progetti delle trasformazioni (articolo 17). E altresì la previsione per cui i comuni, le province o città metropolitane, le regioni e lo Stato devono concorrere alla costruzione e alla gestione di un sistema informativo territoriale integrato (articolo 18).

4. La competenza della pianificazione del territorio

Ribadito l’assunto fondamentale e irrinunciabile della titolarità pubblica della pianificazione del territorio (articolo 2, comma 1), si provvede sia ad attribuire le competenze relative alla formazione degli strumenti di pianificazione ordinaria esclusivamente agli enti territoriali dotati di organismo decisionale elettivo di primo grado (assumendo un aspetto essenziale e strutturale del nuovo ordinamento degli enti locali instaurato dalla legge 8 giugno 1990, n.142, e sanzionato dal Testo unico approvato con il decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267), sia anche a ricondurre ai medesimi suddetti enti territoriali, sulla base dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza, le competenze decisionali finali in merito agli strumenti di pianificazione specialistica e settoriale la cui predisposizione sia ragionevolmente necessario affidare ad altre pubbliche autorità (articolo 2, commi 2 e 4).

E’ il caso di sottolineare che si propone (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni, nonché delle province o città metropolitane, sia operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza legislativa esclusiva (a norma della lettera p. del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) di definizione delle funzioni fondamentali di tali enti territoriali, conseguendone che alle regioni “a statuto ordinario” sarebbe inibito sottrarre, in toto o sostanzialmente, le predette competenze pianificatorie a una delle indicate categorie di enti territoriali (essendo ciò invece legittimamente fattibile da parte delle regioni cui i relativi “statuti speciali” abbiano attribuito ogni determinazione in merito all’ordinamento e alle funzioni degli enti locali subregionali).

E’ inoltre, da altre disposizioni della presente proposta di legge (articolo 10, comma 1), ribadito e precisato che spetta alla legislazione regionale la puntuale specificazione delle pubbliche autorità competenti alla formazione dei diversi strumenti di pianificazione, nonché dei contenuti, delle efficace, degli archi temporali di riferimento, dei procedimenti di formazione dei medesimi predetti diversi strumenti di pianificazione. Vale la pena di sottolineare come venga esplicitata un’accezione del principio di sussidiarietà effettivamente omogenea, a differenza di quelle frequentemente espresse, con quella presente nei trattati costitutivi dell’Unione europea, per cui le competenze decisionali relativamente alle diverse scelte tipiche dell’attività pianificatoria devono essere attribuite al soggetto istituzionale che possa operarle con il massimo dell’efficienza e dell’efficacia, rispetto agli interessi dei cittadini amministrati, in ragione dell’ambito di incidenza delle scelte considerate e dei loro effetti (articolo 10, comma 2).

Quanto all’attività pianificatoria di competenza dello Stato, essa è sostanzialmente ricondotta a quella definizione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” che era già prevista dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 616/1977, e relativamente alla quale vengono specificati sia i contenuti essenziali che la procedura decisionale (articolo 9).

Riaffermata la competenza degli strumenti di pianificazione a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, ivi comprese, salvo pochissime eccezioni puntualmente circoscritte, quelle indotte da atti e azioni delle pubbliche amministrazioni, si ribadisce il carattere, già riconosciuto dalla giurisprudenza pressoché costante, e certamente consolidata, nel sessantennio trascorso, di piena discrezionalità culturale, tecnica e politica, dell’attività pianificatoria, comprensiva della possibilità di variare, anche radicalmente, le possibilità di trasformazione precedentemente attribuite a determinati immobili, o complessi di immobili, o componenti territoriali, con l’unico limite di non incidere sulle facoltà riconosciute da un provvedimento abilitativo già rilasciato, e, anche in questo caso, a condizione che tali facoltà siano state attivate entro un predeterminato periodo di tempo (articolo 3).

In piena coerenza concettuale con l’attribuzione in via esclusiva agli strumenti di pianificazione della competenza a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, l’istituto degli accordi di programma, di cui all’articolo 34 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, è ricondotto alla sua originaria, preziosissima funzione, di strumento di coordinamento per l’attuazione di interventi che richiedano l’azione integrata e combinata di più soggetti pubblici, escludendo che essi possano comportare variazioni ai vigenti strumenti di pianificazione (articolo 12).

5. I diritti alla città e all’abitare

Per la prima volta, si propone di riconoscere, nell’ordinamento legislativo della Repubblica, quali diritti dell’uomo, quelli all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali (articolo 4, comma 1).

La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (a norma della lettera m. del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) è posta come fondamento del ribadimento dell’attribuzione alla legislazione dello Stato del compito di determinare le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni (articolo 4, comma 2). Si mantiene pertanto un assunto che era stato giudicato (oltre che essenziale al fine di perseguire la qualità degli insediamenti urbani, e della vita in essi dei singoli e della collettività) di grande valenza egualitaria, in aderenza a uno dei principi fondamentali della lettera e dello spirito della carta costituzionale, sin da quando era stato posto, per le opere di urbanizzazione e gli spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, dall’ottavo comma dell’articolo 41-quinquies della legge 1150/1942, in esso introdotto dall’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n.765 (cui poi era data attuazione con il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 1968, n.97), e, per l’edilizia sociale, dal terzo comma dell’articolo 2 della legge 28 gennaio 1977, n.10, sostitutivo del primo comma dell’articolo 3 della legge 18 aprile 1962, n.167.

Anche ai fini del soddisfacimento dei diritti di cui appena sopra s’è detto è ribadito il principio per cui ogni trasformazione urbanistica deve concorrere al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria (articolo 5).

6. Il contenimento dell’uso del suolo e

il patrimonio edilizio storico

La prima e fondamentale disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge riguarda la finalità di contenere al massimo l’utilizzazione del territorio non urbanizzato, sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale, per realizzarvi nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali, e comunque manufatti diversi da quelli strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale. Per ciò viene perentoriamente affermato (articolo 7, comma 1) che “nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. E allo stesso fine vengono dettati (articolo 7, commi 2 e seguenti) i principi fondamentali da rispettarsi nella legislazione regionale per disciplinare le trasformazioni (fisiche e/o funzionali) ammissibili nel territorio non urbanizzato, riproponendo un modello di disciplina già sperimentato, seppure a diversi livelli di compiutezza e di rigore, ma comunque per consistenti periodi di tempo, in diverse regioni (Calabria, Campania, Lazio, Emilia – Romagna, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, Provincia autonoma di Bolzano), e, anche per tale ragione, assunto come ottimale.

L’operazione viene rafforzata dalla proposta (formulata dal comma 1 dell’articolo 19) di aggiungere alle categorie di elementi e componenti territoriali qualificati ope legis quali beni paesaggistici a norma del comma 1 dell’articolo 142 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, quella del “territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”.

La seconda disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge concerne il patrimonio edilizio storico. Riprendendo suggerimenti avanzati già dalle Commissioni istituite dal Parlamento o dal Governo, negli anni ’60, per elaborare proposte relative alla riforma della legislazione sui beni culturali e paesaggistici, nonché l’istanza posta uno specifico disegno di legge presentato, due legislature or sono, dal Ministero per i beni e le attività culturali, e assumendo come modello procedimentale quello definito, con riferimento ai beni paesaggistici, dalla Parte terza del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, viene previsto (articolo 8) che siano qualificati come beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province o città metropolitane, delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, purché d’intesa con la competente Soprintendenza:

- gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

- le unità edilizie, e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

E si stabilisce altresì che, laddove le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili sopra ndicati siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province o città metropolitane, delle regioni, d’intesa con la competente Soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengano luogo delle speciali autorizzazioni dell’amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

7. I vincoli di tutela, quelli a contenuto espropriativi e la perequazione

La presente proposta di legge si fa altresì carico di tradurre in statuizioni di diritto positivo la giurisprudenza della Corte costituzionale, definita a partire dalla storica sentenza 29 maggio 1968, n.56, e brillantemente riassunta, in tempi relativamente recenti, dalla sentenza 20 maggio 1999, n.179, relativamente ai casi in cui il problema di un indennizzo in conseguenza dell'apposizione di vincoli, cioè di limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, non si pone (articolo 13).

Per converso, la medesima presente proposta di legge si fa carico di dare una soluzione reale e definitiva alla questione (si riportano virgolettate le espressioni della citata sentenza della Corte costituzionale 179/1999) dell’”alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell'efficacia del vincolo" che si pone ove i vincoli "siano preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati”, i quali imprimano una destinazione di interesse pubblico a specifici immobili individuati discrezionalmente in un contesto di immobili aventi connotati sostanzialmente analoghi.

A tale questione si propone di dare una soluzione alternativa a quella individuata a partire dalla legge 19 novembre 1968, n.1187, consistente nella fissazione di una “durata massima dell'efficacia del vincolo”, per stabilire invece (articolo 14) che gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione, e dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di inizio dell'efficacia della suddette disposizioni, scaduto inutilmente il quale termine gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente, avendo i relativi proprietari diritto al pagamento del loro controvalore, determinato secondo i criteri stabiliti per la determinazione dell'indennità di espropriazione. E si stabilisce altresì che valgano in tali casi le medesime disposizioni dettate per quelli di acquisizione pubblica secondo il modello dell'"espropriazione sostanziale" (e assunte dai più maturi e organici approdi della giurisprudenza della Cassazione, alla quale si deve la definizione di tale modello, susseguente alla creazione giurisprudenziale della figura dell’”accessione invertita”).

E’ infine stabilito (articolo 15) che le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, quali i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane e significative variazioni funzionali, devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione di tipo attuativo specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni. E che tali strumenti di pianificazione devono garantire la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono, essendo la partecipazione ai benefici e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici eventualmente esistenti.

Ma anche che, nel caso di interventi, previsti dalla pianificazione, di particolare rilevanza urbanistica ed economica, nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, si possa dichiararne la pubblica utilità quale premessa dell’acquisizione pubblica dell’insieme degli immobili interessati.

8. Vietare i condoni edilizi?

Nel corso della elaborazione della proposta si è più volta posto l’interrogativo sulla possibilità di evitare, con una legge ordinaria, la pratica devastante (malauguratamente posta in atto reiteratamente nell’ultimo decennio) di condonare le trasformazioni del territorio avvenute in difformità alla strumentazione urbanistica. I condoni edilizi sono stati infatti una delle maggiori cause della delegittimazione della pianificazione del territorio e, insieme alla cattiva pianificazione, della devastazione del patrimonio comune. Che senso ha – ci si è domandati – costruire un sistema di norme garantista dell’interesse collettivo, se poi subentrano ulteriori condoni a svuotarne l’efficacia?

Si è ragionato sulla possibilità di inserire in una “legge di principi” norme che rendessero più efficace la repressione dell’abuso, più tassativo l’obbligo di riduzione in pristino e più aspre le sanzioni. Esiste già negli atti parlamentari una proposta in talsinso,presentata dall’on. Gianni Mattioli,cui è possibile ricollegarsi ma – si è ritenuto – in un distinto atto legislativo.

Una maggiore efficacia delle norme repressive non peraltro sufficiente a impedire al legislatore ordinario a non modificare le proprie determinazioni. Si è periò ritenuto necessario limitarsi,m in questa sede, ad auspicare un intervento del legislatore costituzionale che introducesse,nelle modifiche alla Costituzione,una norma che esplicitamente facesse divieto agli organi di governo a tutti i livelli di promulgare a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione provvedimenti di condono di uso del territorio in deroga ai piani territoriali.

Crediti

L’iniziativa di questa proposta di legge è di Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sulla legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso,modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano, Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti della “Legge Lupi” che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella proposta. Tra questi hanno espresso consenso e/o formulato proposte di correzione e integrazionePiergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Francesco Indovina; delle loro proposte si è tenuto conto nell’ultima stesura del testo e,dove ciò non è stato ritenuto possibile od opportuno, se ne fatti cenno nella relazione.

Di seguito la relazione, con link al documento ufficiale, completo dell'articolato, in formato .pdf

Princìpi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare

Relazione

Onorevoli Colleghi! - Il tema del governo del territorio ha una grande rilevanza per far esprimere all'Italia le sue potenzialità, determinate dalla complessità e dalla ricchezza del patrimonio urbano, infrastrutturale, storico-artistico, ambientale e paesaggistico. Solo declinando questi temi in un'ottica di sviluppo sostenibile è possibile costruire un'ipotesi di modernizzazione e di innovazione del Paese.

Uno dei punti fondamentali per il rilancio del Paese e per l'azione di governo è rappresentato dalla sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio e la sua sicurezza, il sistema delle città e delle infrastrutture, la qualità dell'ambiente urbano e la riconversione ecologica del sistema produttivo.

Per vincere questa sfida è necessario pensare alla qualità del territorio, delle città e della produzione, come uno dei “motori” per far ripartire l'Italia, coniugando le opportunità della modernizzazione con il limite delle risorse non rinnovabili, a cominciare dal suolo, dall'aria e dall'acqua, e con le politiche di solidarietà, di equità e di inclusione sociali.

Per affrontare il tema del governo del territorio, dei suoi princìpi e delle sue regole, è necessario partire dalle condizioni che hanno determinato le trasformazioni subite dal territorio e dalle città in questi anni, ma anche dalle scelte effettuate e dagli strumenti utilizzati per “governare il cambiamento”. Affrontare questo tema significa, anche oggi, rendere esplicito e positivo il tema della “leale collaborazione” tra le istituzioni titolari di diverse competenze che contribuiscono a determinare le decisioni democratiche, condivise e trasparenti sugli obiettivi dello sviluppo e della trasformazione del territorio, rendendo consapevoli i cittadini dell'effetto di tali scelte.

Il ruolo delle regioni è stato determinante, molte di queste hanno avviato significativi percorsi legislativi, con riforme di nuova generazione in virtù delle responsabilità che la Costituzione ha loro assegnato.

Il dibattito sul governo del territorio è ormai avviato da più di dieci anni. In questo periodo si sono registrati alcuni fatti di particolare rilevanza, passaggi istituzionali e di mutamento della società italiana; questi elementi sono utili per l'impostazione del nostro ragionamento e riguardano:

a) il contesto istituzionale e politico di riferimento del quadro legislativo nazionale costituito dalla legge n. 1150 del 1942, del tutto diverso e antitetico a quello attuale, che si è poi evoluto nella realtà dello sviluppo immobiliare del dopoguerra e dei successivi periodi di contrazione economica, con la modificazione dei modelli insediativi e della produzione, che hanno provocato una «stratificazione» normativa, spesso di settore, che rende oggi particolarmente complessa e contraddittoria l'azione di pianificazione del territorio;

b) il progressivo e sempre più deciso riformismo regionale che ha visto dal 1995 ad oggi l'introduzione e la sperimentazione operativa di strumenti, regole e istituti che possono costituire una solida base di partenza;

c) in ultimo, l'esperienza - con aspetti positivi e negativi - prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all'interno delle regole di pianificazione delle regioni.

Oggi abbiamo le premesse e le condizioni per riorganizzare, ottimizzare e innovare una disciplina che vede coinvolte tutte le istituzioni della Repubblica e che è centrale rispetto al tema della competitività e della coesione in ambito europeo per le nostre città e per i sistemi territoriali.

Al riguardo, la coalizione dell'Unione si è assunta un esplicito impegno con i propri elettori con il programma depositato ai sensi del comma 3 dell'articolo 14-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, nel quale il territorio è indicato quale grande patrimonio per la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica, per la presenza diffusa di beni culturali, storici e archeologici, e rappresenta, quindi, una risorsa fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro.

Tale impostazione presuppone alcune priorità di indirizzo:

1) la necessità di coordinare e di allineare la normativa nazionale vigente sul “governo del territorio” alla realtà istituzionale rinnovata e alle esperienze regionali, rendendola sinergica con le discipline interconnesse e con quelle settoriali (ambiente, tutela e valorizzazione dei beni paesistico-ambientali, aree protette, infrastrutture e mobilità) e inquadrando le regole in un sistema coerente e condiviso di “principi”;

2) l'esigenza di programmare lo sviluppo e la trasformazione del territorio, delle infrastrutture e delle nostre città, tenendo conto della programmazione e degli indirizzi comunitari, con la partecipazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane per costituire un “sistema unico coordinato” del governo del territorio;

3) la possibilità di creare le condizioni per rafforzare la capacità di governo del territorio da parte delle amministrazioni locali per la riqualificazione delle città, per la manutenzione del territorio, per lo sviluppo dell'impresa agricola multifunzionale e per la prevenzione dai rischi naturali e antropici.

La riforma costituzionale del titolo V della parte seconda della Costituzione ha costruito un sistema complesso di materie e di funzioni che hanno attinenza allo sviluppo e alla trasformazione del territorio, con una diversa attribuzione delle funzioni legislative in via esclusiva, concorrente e, in parte, anche residuale. Riconnettere e rendere sinergici tutti gli aspetti che contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini è un compito della riforma del governo del territorio attuata da un sistema istituzionale, nazionale, regionale e locale, coeso e che agisca con programmi, piani, misure e strumenti coerenti.

I soggetti protagonisti di questa azione di rinnovamento e di nuova capacità di gestione del territorio sono principalmente le regioni e gli enti territoriali, i quali devono trovare in una legge quadro per il governo del territorio gli elementi costitutivi e i princìpi fondamentali al fine di operare con riferimenti di certezza e di omogeneità, ma dotati della necessaria flessibilità per consentirne la declinazione in base alle diverse situazioni economico-sociali e ambientali dei territori regionali.

Ma la complessità della materia e la sua interconnessione con diverse altre comportano, tuttavia, una formulazione normativa differenziata e dinamica, in particolare per quanto riguarda gli elementi e i requisiti minimi da rendere omogenei sul territorio nazionale.

Se le funzioni legislative concorrenti e quelle amministrative sono attribuite alle regioni, vi sono però alcuni aspetti di competenza esclusiva dello Stato che devono essere espressi con norma di dettaglio: si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e di attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.

Il dibattito che si è svolto fino ad oggi ha consolidato una serie di orientamenti.

La legge non deve prefigurare modelli “astratti” o standardizzati, ma favorire le migliori pratiche già in essere, assumendo queste come riferimenti per far progredire il complesso delle normative, degli strumenti, dei metodi e dei processi di governo del territorio.

Infatti, l'attuazione della funzione di “governo” alla luce della novellata Costituzione risiede nella capacità di governare il territorio programmandone lo sviluppo, l'assetto e l'uso del suolo, in connessione con le tematiche di tutela e di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e delle risorse ambientali.

Una coerente struttura del governo del territorio dovrà allora contenere:

a) la definizione dei princìpi e delle finalità del governo del territorio;

b) il sistema di relazione tra i soggetti istituzionali e il coordinamento tra le diverse materie ricomprese nel governo del territorio e quelle connesse di tutela e di valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali e dell'ambiente nonché la programmazione economica e quella del sistema infrastrutturale;

c) la disciplina della pianificazione, i contenuti, gli strumenti e le relative modalità di attuazione;

d) la disciplina edilizia e le regole per la legalità del territorio.

L'individuazione dei princìpi fondamentali, operata dal capo I della presente proposta di legge, rappresenta il terreno sul quale la collaborazione tra le istituzioni deve essere stringente e fattiva. Si tratta, infatti, di definire i cardini e i fondamenti della nuova forma di pianificazione, di programmazione e di gestione del territorio in tutte le sue componenti economiche, sociali e ambientali.

I princìpi sono diretta espressione della coscienza civile di una società: in questo senso, essi devono essere riconoscibili ed espressi con chiarezza. Ma l'espressione di princìpi fondamentali non può essere considerato un punto di arrivo. Se il tema di una moderna disciplina è, da una parte, la revisione in termini attuali di princìpi esistenti - primo fra tutti, quello di pianificazione - nonché il consolidamento di princìpi già contenuti in alcune leggi regionali, dall'altra il nodo della questione consiste nella formulazione di princìpi che consentano alle leggi regionali di essere più stringenti sugli obiettivi da perseguire e più efficaci nell'attuazione.

Il primo, il principio di pianificazione (articolo 2), espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e contrastando il consumo di nuovo suolo non urbanizzato e consentendo, altresì, l'uguaglianza dei diritti e dei doveri all'uso e al godimento degli stessi beni.

In questa logica, i princìpi fondamentali rispetto ai quali costruire le regole che devono governare i processi di trasformazione del territorio sono:

a) la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, la tutela delle risorse naturali e del paesaggio, la prevenzione dei rischi e l'adozione del principio di precauzione nelle scelte e nella valutazione delle possibili alternative per gli interventi di trasformazione (articolo 3);

b) la sussidiarietà, l'adeguatezza delle istituzioni, l'equità, la trasparenza e la democrazia nella cooperazione istituzionale, la partecipazione e il coinvolgimento nei processi decisionali dei cittadini per l'adozione delle scelte (articolo 5).

Gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili ed essenziali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonché la riduzione dei consumi e l'incremento dell'efficienza energetica.

Altro principio fondamentale è rappresentato dalla tutela delle risorse non rinnovabili ed essenziali e dalla sicurezza dai rischi, da perseguire con misure di prevenzione e di riduzione dei danni per il territorio e per l'ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura, di prevenzione dei rischi e di mitigazione delle calamità naturali e degli eventi incidentali determinati dall'attività antropica, ispirandosi al principio comunitario della precauzione (articolo 4).

Il principio di sussidiarietà dovrà creare il processo virtuoso della “filiera istituzionale”, ispirando la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell'affidamento, della responsabilità e della concorsualità. Secondo il criterio di differenziazione e adeguatezza, le istituzioni dovranno agire mediante intese e accordi procedimentali in sedi stabili di concertazione per perseguire il coordinamento, l'armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei tempi delle procedure di pianificazione del territorio.

Anche per questo, è importante assumere come principio la trasparenza e la democrazia nei processi di scelta e di decisione con il massimo coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione e di approvazione degli strumenti di pianificazione (articolo 6).

Il principio di equità consente di offrire a tutti i soggetti la possibilità di accedere con le stesse opportunità ai diritti e ai vantaggi offerti dalle trasformazioni del territorio in termini di residenza, accessibilità, mobilità, servizi collettivi, qualità dell'ambiente urbano e migliore qualità della vita (articolo 7).

Perché tali princìpi possano tradursi in linee guida e concrete azioni attuative è fondamentale declinare le competenze dei soggetti istituzionali, ma è anche necessario che la riforma nazionale preveda il coordinamento con le materie non ricomprese nel “governo del territorio”, bensì strettamente connesse alla pianificazione e alla programmazione del medesimo: infrastrutture della mobilità e dell'energia, tutela e valorizzazione dell'ambiente, tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali (articoli 9-14).

I soggetti titolari delle funzioni amministrative dovrebbero agire in un sistema unico e coordinato per la programmazione, la pianificazione, l'attuazione, il monitoraggio e la verifica delle trasformazioni del territorio, partecipando a tale attività in conformità ai princìpi di leale collaborazione e di responsabilità amministrativa.

Di particolare importanza nella riforma sarà il passaggio dalla tutela dei beni paesaggistici a quella più complessiva della tutela e valorizzazione dei paesaggi, così come previsto dalla Convenzione europea sul paesaggio, ratificata con legge n. 14 del 2006, riconoscendo che il paesaggio concorre al consolidamento delle culture locali e “che ogni luogo rappresenta un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come in quelli di grande qualità”.

Anche per la tutela e la valorizzazione dell'ambiente è necessario identificare gli elementi di coordinamento con le pianificazioni settoriali.

L'altro elemento di particolare rilevanza è costituito dalla stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità, con la pianificazione del territorio.

La modernizzazione del sistema infrastrutturale, della mobilità, della logistica, ma anche del sistema energetico, deve essere strettamente connessa, da una parte, all'allocazione certa dei finanziamenti e, dall'altra, essere affidata a un sistema decisionale istituzionale basato sulla leale collaborazione e sulla sussidiarietà, tale da consentire di effettuare le scelte e, poi, di garantirne la realizzazione.

Una buona programmazione e la certezza di attuazione sono possibili solo se pensiamo a un sistema rinnovato e a una “cassetta di attrezzi” adeguata alle esigenze attuali.

Le regioni hanno predisposto strumenti, regole e modalità di attuazione e, nell'ambito della loro potestà regolamentare, hanno definito i contenuti e l'attuazione dell'attività di pianificazione di area vasta e di quella comunale.

È ormai consolidata l'esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà, e l'altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni. A questi sarà necessario affiancare strumenti regolamentari che le regioni hanno già individuato con varie rubriche e che rappresentano l'attuazione della disciplina di trasformazione urbanistica ed edilizia degli insediamenti esistenti.

Occorre una differenziazione dei livelli da utilizzare, senza generalizzare, ma tenendo conto delle effettive esigenze delle realtà amministrative e delle condizioni territoriali. Regole rigide potrebbero far risultare inutilmente onerosa una pianificazione di questo tipo per comuni di piccola dimensione e, invece, farla risultare limitativa per situazioni in cui sia più opportuno, date le condizioni territoriali e socio-economiche, avere una pianificazione che interessa più comuni.

Alla base di un buon piano non può che esserci una adeguata e significativa conoscenza del territorio. È per questo che si prevedono modalità di acquisizione, valutazione e validazione dei dati territoriali, costituiti dai vincoli, dall'uso del suolo, dalle invarianti ambientali e territoriali, dalle condizioni di vulnerabilità e di rischio del territorio. La sinergia - quindi la rete - tra sistemi di informazione e di conoscenza tra regioni ed enti statali preposti dovrà essere stringente. Banche dati e sistemi informativi territoriali dovranno “parlare la stessa lingua” ed essere a disposizione degli enti territoriali e dei cittadini in maniera automatica e trasparente (articolo 15).

Questa è un'innovazione necessaria per l'azione amministrativa e comporterebbe anche una sensibile riduzione della spesa pubblica. Disporre di uno strumento unico sul quale verificare la conformità alle invarianti territoriali e ambientali consentirebbe uno snellimento significativo nella fase di predisposizione, di attuazione e di verifica dei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

La conoscenza del territorio consente anche una più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato. La riforma proposta, inoltre, enuncia il principio fondamentale che il territorio rurale è un patrimonio di identità, di biodiversità, di pratiche agronomiche e forestali da preservare. Sarà necessario perseguire gli obiettivi di qualità e di sostenibilità nella pianificazione delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell'impresa agricola e di contrastare il consumo di suolo non urbanizzato. Dovrà essere tutelato e valorizzato lo straordinario patrimonio costituito dai nostri paesaggi agrari e montani, dalle risorse non rinnovabili, a partire soprattutto dall'acqua e dal suolo, oltre che valorizzato il patrimonio dell'architettura rurale (articolo 18).

La riforma affronta altresì il complesso del sistema città: uno straordinario crocevia di opportunità ma, anche, di forti contraddizioni ambientali e sociali (articolo 19), delineando gli obiettivi della tutela dei centri storici, della promozione della qualità urbana e architettonica, ma soprattutto della riduzione dei livelli di inquinamento, promuovendo un nuovo processo di riqualificazione delle aree degradate integrando le politiche di recupero edilizio e urbanistico con politiche sociali e assistenziali che possano consentire un maggior grado di coesione sociale e di solidarietà.

Insomma, una vera e propria “politica per le città”, che utilizzi gli strumenti ordinari ma anche la leva della fiscalità e degli incentivi, che faccia del recupero e della sostituzione edilizi una grande occasione di rigenerazione dei tessuti urbani e del contenimento dei consumi, essendo le città sistemi altamente “energivori”, una priorità della politica energetica nazionale.

Sulle dotazioni territoriali minime - i vecchi standard urbanistici - non è sufficiente definire un livello quantitativo minimo, ma occorre creare i presupposti di tipo qualitativo affinché attraverso le dotazioni territoriali sia possibile garantire l'effettività dei servizi ai cittadini. Quelli statali non possono che essere considerati requisiti minimi (articolo 16) per garantire i livelli essenziali sul territorio nazionale, come previsto costituzionalmente; così anche per l'edilizia residenziale pubblica per l'affitto sociale, che dovrà essere una dotazione di risposta al fabbisogno locale.

Le regioni, nella loro piena autonomia, dovranno verificare i fabbisogni pregressi e futuri e determinare le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici dei servizi da fornire ai cittadini.

Molti sono gli obiettivi da raggiungere e importanti sono i diritti di cittadinanza da garantire. Pertanto è necessario che la legge statale offra strumenti innovativi per l'attuazione e per la stabilizzazione di alcune pratiche operative che gli enti locali adottano per garantire la realizzazione degli interventi. Quindi è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, prevedendo il partenariato pubblico-privato per l'attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regìa pubblica definita dal piano del governo del territorio, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e per l'efficienza, il miglioramento e l'innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

Anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e dell'equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva nella materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali le quali, tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative.

L'amministrazione potrà acquisire gli immobili con la perequazione urbanistica (articolo 21) e con gli obiettivi individuati dagli strumenti urbanistici; in alternativa si prevede che si possa ricorrere all'esproprio (articolo 24).

La modalità operativa della perequazione potrà essere attuata negli ambiti di trasformazione urbanistica individuati dal piano del governo del territorio e riguardanti gli ambiti territoriali da trasformare, escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati, le aree non soggette a trasformazione urbanistica. Il piano di governo del territorio dovrà inoltre stabilire: l'edificabilità territoriale attribuita agli ambiti di trasformazione perequativa, l'obbligo di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione delle dotazioni territoriali o comunque per spazi pubblici, di pubblica utilità, di interesse generale e collettivo, nonché le modalità di progettazione unitaria dell'ambito di trasformazione.

Uno dei punti di particolare delicatezza è quello della decadenza del diritto di edificazione che si propone possa essere limitato a cinque anni o comunque non superiore alla durata del piano operativo, riallineando le previsioni di trasformazione pubblica e privata.

Altro tema essenziale per l'attuazione delle previsioni di sviluppo del territorio è quello della fiscalità urbanistica e immobiliare (articolo 23). Si tratta di una questione molto complessa che deve essere affrontata con alcuni indirizzi di base.

In primo luogo, sottraendo gli enti locali dalla necessità di coprire una parte cospicua del bilancio con le entrate derivanti dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) e dagli oneri concessori, si potrà consentire agli stessi enti di favorire una politica di recupero e di riutilizzazione di immobili esistenti con la conseguente riduzione del consumo del suolo e con la riduzione della dispersione urbana. Inoltre, si dovranno rimodulare e riorganizzare le diverse imposte relative ai trasferimenti immobiliari per favorire e orientare la trasformazione urbanistica ed edilizia verso la riqualificazione urbana e del territorio, con forme di incentivazione e di premialità fiscali. Infine, attraverso l'armonizzazione e la stabilizzazione delle misure per l'incentivazione delle opere di recupero e la loro specializzazione per alcuni settori (efficienza energetica, sicurezza statica e tecnologica degli edifici, accessibilità eccetera) si potrà avere, a regime, una massa critica di investimenti finalizzati al miglioramento sostanziale della qualità urbana.

La riforma statale dovrà anche prevedere che le azioni di trasformazione del territorio siano soggette a procedure preventive, in itinere ed ex post, di valutazione degli effetti ambientali ed economico-sociali valutati e analizzati in base a un bilancio complessivo degli effetti sulle risorse essenziali del territorio, al fine di garantire l'effettiva realizzabilità e la verifica dell'efficacia delle azioni svolte.

Nessuna legge è immutabile nel tempo, soprattutto quando si tratta di regolare comportamenti sociali o istituzionali. Cambiano oggi, anche rapidamente, le condizioni economiche e sociali del contesto. Rispetto a questi cambiamenti è necessario essere in grado di fornire risposte adeguate alle nuove esigenze e alle nuove domande della società. Occorre tenere conto che la riforma del governo del territorio si deve inserire in un complesso di normative esistenti, in particolare urbanistiche ed edilizie, di livello sia nazionale che regionale. A tale proposito, nel testo della proposta di legge non viene riportato il complesso delle abrogazioni che sarebbero necessarie per ottenere un quadro organico delle diverse discipline ricomprese nel governo del territorio, per alcune delle quali - ad esempio quella relativa agli standard urbanistici o parte della disciplina edilizia e dell'esproprio - si dovrebbe intervenire anche in modo differenziato, in ragione di un progressivo rinnovo della materia. È difficile pensare a una legge sul governo del territorio che non sia oggetto di un accompagnamento istituzionale, di un programma per la sua attuazione basato su diversi strumenti di conoscenza, di esperienza, di valutazione per la revisione o per l'implementazione della stessa normativa. Anche in questo caso sono chiamate in causa sia le diverse componenti della società sia le istituzioni regionali, provinciali e comunali competenti, queste ultime coinvolte, da una parte, nel definire “l'idea di città e di territorio” e le relative regole e, dall'altra, nell'attuare un processo di pianificazione che risponda ai nuovi "diritti di cittadinanza" e al "diritto all'abitare" che la società e i singoli cittadini richiedono alle amministrazioni.

L'impostazione che si deve dare, quindi, alle nuove regole sul governo del territorio deve essere basata sulla cultura della valutazione delle scelte e sulla cultura della risposta e del risultato.

Se la sfida per la qualità del governo del territorio deve essere affrontata con strumenti adatti e coerenti alle reali esigenze della società contemporanea, una parte sostanziale di questa sfida consiste anche nella rinnovata capacità dei soggetti istituzionali nazionali e territoriali di esprimere, sulla base dei princìpi fondamentali, la volontà politica di costruire la "filiera istituzionale" e di coordinare le decisioni determinando la qualità della vita e dell'ambiente, assumendosi la responsabilità dell'attuazione delle decisioni e condividendo metodi e scelte con i cittadini.

Il testo del progetto di legge che inseriamo in calce risulta presentato il 2 marzo 2007, con la seguente formula: MARIANI ed altri: "Princìpi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare"(2319). Nel sito del Parlamento la scheda del p.d.l 2319 (questo il suo numero d’ordine nella XV legislatura) indica il titolo ma non dà il testo. Come mai?

Da informazioni che abbiamo assunto sembra che il testo che pubblichiamo, al quale si riferiva l’eddytoriale 102 del 26 marzo scorso, sia stato successivamente modificato a penna, e gli uffici della Camera non avrebbero ancora provveduto a ristamparlo e a inserirlo nel sito ufficiale. Tanto più che il presidente della Commissione parlamentare non avrebbe ancora posto l’argomento all’ordine del giorno, pur essendo già stati presentati altre proposte di legge (primi firmatari Lupi, Mantini, Migliore).

Il testo che inseriamo (e che è scaricabile dal link in calce) è quello che conclude l’ampio lavoro compiuto dal gruppo di esperti dei DS coordinato da Patrizia Colletta ed è stato firmato come prima firmataria dall’on. Raffaella Mariani e consegnato alla Camera dei deputati, ma non è ancora quello “ufficiale". Quando questo uscirà potremo tutti valutare se vi siano state o no modifiche sostanziali, e se queste lo abbiano migliorato o meno rispetto alla valutazione che abbiamo espresso.

CAMERA DEI DEPUTATI - XIII LEGISLATURA, Resoconto della VIII Commissione permanente, (Ambiente, territorio e lavori pubblici), Giovedì 11 gennaio 2001, Allegato 2, NORME IN MATERIA URBANISTICA. (C. 407 Nocera ed abbinate C. 518 Turroni, C. 524 Turroni, C. 604 Baccini, C. 677 Sbarbati, C. 1126 De Cesaris, C. 1287 Siniscalchi, C. 1552 Vincenzo Bianchi, C. 2209 De Biasio Calimani, C. 2762 Governo, C. 2790 Testa, C. 2884 Gambato, C. 3116 Nocera, C. 3206 Mussi, C. 3258 Merlo, C. 3449 Galati, C. 3779 Martinat, C. 4026 Matacena, C. 4112 Testa, C. 4134 Casinelli, C. 5456 Tosolini, C. 6575 Cosentino e sentenza Corte costituzionale n. 179 del 20 maggio 1999 documento VII, n. 701, ex articolo 108, comma 5, del Reg.)

CAPO I Princìpi per il governo del territorio.

Art. 1 (Legge di princìpi).

1. La presente legge stabilisce i princìpi e le disposizioni generali relative al governo del territorio da parte dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, in coerenza con le disposizioni adottate dalla Unione Europea e con gli obblighi derivanti da accordi e intese internazionali.

2. I princìpi e le disposizioni di cui alla presente legge costituiscono princìpi fondamentali delle leggi dello Stato ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 117 della Costituzione, nonché princìpi fondamentali di riforma economico-sociale.

Art. 2. (Definizioni).

1. Agli effetti della presente legge, si intende per:

a) «governo del territorio»: le disposizioni e i provvedimenti per la tutela, per l'uso e per la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono;

b) «piani specialistici»: i piani nazionali e regionali che tutelano un interesse pubblico specifico relativo al governo del territorio, e le cui disposizioni vengono recepite nei piani territoriali, urbanistici, metropolitani;

c) «piani di settore»: i piani che approfondiscono particolari tematiche relative al governo del territorio e alla politica ambientale, urbana, territoriale, infrastrutturale, in coerenza con le disposizioni dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani vigenti;

d) «norme di salvaguardia»: norme statali o regionali che abilitano le amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio ad adottare misure di salvaguardia in grado di inibire determinate attività di trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sino al verificarsi di specifiche circostanze previste dalle leggi o da piani specialistici;

e) «misure di salvaguardia»: i provvedimenti adottati dalle amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio in attuazione di norme di salvaguardia vigenti;

f) «norme suppletive»: norme che entrano in vigore nel territorio della regione, ad una data prefissata dalla legge nazionale, qualora si verifichi la inadempienza normativa della medesima regione, e che restano in vigore sino a quando la regione non abbia provveduto agli adempimenti normativi di propria competenza;

g) «comparto urbanistico»: insieme di immobili perimetrato dal piano operativo comunale, per il quale il medesimo piano operativo definisce le disposizioni riguardanti le possibili trasformazioni urbanistiche, le quote edificatorie attribuite ai proprietari e gli obblighi verso il comune e altri soggetti pubblici;

h) «immobili»: terreni, edifici, costruzioni, aree edificate o non edificate;

i) «quote edificatorie»: le possibilità edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico dal piano operativo comunale;

l) «funzioni urbane»: categorie di destinazioni d'uso degli immobili, raggruppate secondo criteri di omogeneità e compatibilità;

m) «manutenzione urbana»: i provvedimenti idonei a garantire la costante efficienza e funzionalità dei servizi e degli insediamenti urbani, pubblici e privati;

n) «manutenzione del territorio»: i provvedimenti idonei a garantire la costante attuazione delle disposizioni relative alla tutela del territorio, alla prevenzione dei rischi derivanti da calamità naturali, e al contrasto dei fenomeni di degrado del territorio medesimo.

2. Agli effetti della presente legge, si intende altresì per:

a) «regioni»: regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale, e province a statuto speciale;

b) «piano territoriale»: il piano territoriale provinciale, predisposto e approvato dalla provincia;

c) «piano urbanistico»: il piano urbanistico comunale, predisposto e approvato dal comune;

d) «piano metropolitano»: il piano predisposto e approvato dalla città metropolitana;

e) «piano operativo»: il piano operativo comunale, predisposto e approvato dal comune;

f) «conferenza»: la conferenza territoriale provinciale, la conferenza urbanistica comunale, la conferenza metropolitana;

g) «difesa del suolo»: l'assetto idrogeologico e la tutela delle acque;

h) «comparto»: il comparto urbanistico;

i) «proprietari»: i proprietari di immobili o altri soggetti aventi titolo.

Art. 3. (Semplificazione normativa e procedurale).

1. Le norme statali relative al governo del territorio sono raccolte in un testo unico, con le modalità di cui all'articolo 33.

2. Le regioni predispongono, per quanto di loro competenza, un testo unico regionale delle norme in materia di governo del territorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del testo unico di cui al comma 1 ed adottano i provvedimenti di semplificazione normativa conseguenti alle disposizioni statali vigenti in materia.

3. I comuni rilasciano i titoli abilitativi alla attività edilizia e di trasformazione urbanistica del territorio mediante un unico atto comprensivo di tutte le altre autorizzazioni, nulla osta, pareri e assensi delle autorità competenti. A tale scopo, le regioni dettano norme e adottano provvedimenti per la istituzione ed il funzionamento di apposite strutture, anche intercomunali, denominate sportello urbanistico, alle quali i soggetti interessati possono rivolgersi per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui al presente comma.

Art. 4. (Certezza attuativa).

1. Le disposizioni della presente legge sono attuate dai soggetti istituzionali titolari di funzioni relative al governo del territorio, nei termini e con le modalità previste dalla legge medesima.

2. In caso di inadempienza si provvede con le seguenti modalità:

a) in caso di inadempienza delle regioni nella adozione, entro i termini stabiliti, di atti normativi di loro competenza previsti dalle leggi statali entrano in vigore, alla data di scadenza dei medesimi termini, le norme suppletive appositamente previste dalle leggi vigenti. Tali norme suppletive restano in vigore sino a quando la regione non abbia provveduto agli adempimenti normativi stabiliti dalla presente legge;

b) in caso di inadempienza di province, comuni, e città metropolitane nella predisposizione e approvazione del piano territoriale, del piano urbanistico, e del piano metropolitano di cui agli articoli 20, 21 e 23, le amministrazioni competenti dispongono le misure di salvaguardia di cui all'articolo 7, nonché la sospensione dei programmi di finanziamento relativi ad opere pubbliche da realizzare nel territorio interessato. La regione nomina inoltre un commissario ad acta per la predisposizione ed approvazione del piano;

c) in caso di inadempienza di province e comuni nella attuazione di disposizioni regionali o statali diverse da quelle di cui alla lettera b), la regione o le autorità statali competenti adottano gli interventi sostitutivi previsti dalle leggi vigenti.

Art. 5. (Sussidiarietà).

1. Sono di competenza del comune le funzioni relative al governo del territorio ad esso attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa, e tutte le funzioni non esplicitamente attribuite alle regioni o alle province dalla presente legge e dalla vigente normativa.

2. La provincia predispone il piano territoriale provinciale di cui all'articolo 20 ed esercita le funzioni ad essa attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa, o delegate dalle regioni.

3. Sono di competenza della regione le funzioni relative al governo del territorio ad essa espressamente attribuite dalla presente legge e dalla vigente normativa.

4. Sono di competenza dello Stato solo le funzioni relative al governo del territorio che sono espressamente attribuite allo Stato medesimo dalla presente legge e dalla vigente normativa.

5. Le regioni attribuiscono o delegano alle province e ai comuni e, ove costituite, alle città metropolitane tutte le funzioni che possono essere dagli stessi enti locali direttamente esercitate, eventualmente anche in forma associata.

6. Lo Stato, le regioni, e le province possono altresì delegare proprie competenze, anche relative a singole opere o interventi, ad enti territoriali ricompresi nel proprio ambito territoriale, eventualmente associati tra loro.

Art. 6. (Sostenibilità ambientale e territoriale).

1. La tutela dell'ambiente, dell'integrità fisica del territorio, della sua identità culturale, e la conservazione e riproducibilità delle risorse naturali sono i presupposti di ogni trasformazione territoriale ed urbanistica.

2. I piani territoriali, i piani urbanistici ed i piani metropolitani fondano le proprie previsioni sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili, di favorire il recupero delle risorse degradate, di garantire una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio storico-culturale, di ridurre ed eliminare i danni per il territorioe quelli per l'ambiente derivanti da forme di inquinamento di qualunque natura,di prevenire i rischi derivanti da calamità naturali. Essi fondano altresì le proprie previsioni sulle esigenze di tutela dell'assetto idrogeologico e della qualità delle acque e sul bilancio delle risorse idriche.

3. I piani territoriali, urbanistici, metropolitani prevedono criteri e modalità per favorire la manutenzione del territorio, la manutenzione urbana ed il recupero edilizio e danno priorità alla riqualificazione del territorio già urbanizzato rispetto all'uso e alla trasformazione del territorio non ancora urbanizzato.

4. Le leggi regionali ed i piani territoriali, urbanistici, metropolitani prevedono criteri e modalità per la tutela del paesaggio agrario, per favorire la permanenza e lo sviluppo delle attività agricole, nonché per garantire l'effettivo rispetto della destinazione ad attività agricola delle parti del territorio a tale scopo individuate.

Art. 7. (Salvaguardia).

1. Le leggi statali e regionali possono contenere disposizioni, denominate norme di salvaguardia, che abilitano le amministrazioni titolari di funzioni relative al governo del territorio ad adottare misure di salvaguardia in grado di inibire determinate trasformazioni del territorio e degli immobili che lo compongono sino al verificarsi di specifiche circostanze previste dalle leggi medesime.

2. I piani specialistici, nazionali e regionali, possono disporre misure di salvaguardia.

3. Le misure di salvaguardia di cui al comma 2 restano in vigore sino al recepimento delle disposizioni dei piani specialistici nei piani territoriali ed urbanistici.

4. Specifiche misure di salvaguardia possono essere altresì disposte dalle regioni o dalle amministrazioni statali competenti, nei casi di cui all'articolo 12.

5. Nel periodo di tempo intercorrente tra la data di adozione dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani e dei piani operativi di cui agli articoli 20,21,22 e 23, e la data di approvazione dei medesimi piani da parte dell'ente competente, sono sospese, da parte del comune interessato, tutte le determinazioni relative al rilascio di titoli abilitativi alla attività edilizia in contrasto con le disposizioni contenute nei piani adottati.

Art. 8. (Unicità degli strumenti territoriali ed urbanistici).

1. La tutela, l'uso, la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sono disciplinati esclusivamente dai piani territoriali provinciali, dai piani urbanistici comunali, dai piani metropolitani e dai piani operativi, di cui agli articoli 20, 21, 22 e 23, predisposti ed approvati in conformità alle disposizioni della presente legge.

2. Non è consentito il ricorso ad altri strumenti né ad altre procedure per la predisposizione, l'aggiornamento, la modifica e l'approvazione dei piani di cui al comma 1 nonché per il recepimento nei medesimi piani di previsioni contenute in piani specialistici o di disposizioni statali e regionali o di altri soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio.

Art. 9. (Carta del territorio).

1. Il piano urbanistico comunale ed il piano operativo, predisposti ed approvati con le modalità di cui alla presente legge, costituiscono, nel loro insieme, un documento denominato carta del territorio, comprensivo di tutte le prescrizioni vigenti riguardanti l'intero territorio comunale.

Art. 10. (Cooperazione istituzionale).

1. Tutti i soggetti istituzionali titolari di funzioni relative al governo del territorio operano con il metodo della cooperazione e dell'intesa, con le modalità previste dalla presente legge.

2. Lo Stato si avvale delle conferenze «Stato-regioni» e «Stato-città e autonomie locali», anche nella forma della conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Le regioni prevedono, nell'ambito della propria autonomia legislativa, analoghi e idonei strumenti di raccordo e coordinamento con gli enti locali.

3. Le province, i comuni, le città metropolitane predispongono, rispettivamente, i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani con la cooperazione di tutti i soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio.

4. Le regioni promuovono il coordinamento e la cooperazione tra gli enti locali ed i soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio anche per mezzo di specifiche intese con le amministrazioni interessate, con particolare riferimento all'attività conoscitiva, allo scambio di informazioni, alla definizione di accordi procedimentali.

Art. 11. (Pianificazione coordinata).

1. Gli enti locali competenti predispongono e approvano i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani di cui agli articoli 20, 21 e 23, con le modalità di coordinamento e di intesa previste dalla presente legge.

2. Il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano è adottato dall'ente locale competente e sottoposto alla valutazione della conferenza di cui all'articolo 24, alla quale partecipano tutti i soggetti titolari, in base alla vigente normativa, di funzioni relative al governo del territorio. La conferenza verifica la coerenza del piano con le disposizioni vigenti, provvede al coordinamento di tutte le disposizioni riguardanti il territorio considerato, e si conclude con la definizione dell'intesa tra i soggetti partecipanti con le modalità di cui all'articolo 24.

3. Gli enti locali competenti approvano i piani territoriali, i piani urbanistici e i piani metropolitani dopo la definizione, da parte della conferenza, dell'intesa di cui al comma 3, con le modalità di cui all'articolo 25.

Art. 12. (Autonomia e controllo).

1. I piani territoriali provinciali, i piani urbanistici comunali, i piani metropolitani ed i piani operativi, predisposti ed approvati con le modalità di cui alla presente legge non sono soggetti, successivamente alla loro approvazione da parte dell'ente locale competente, a controllo da parte di altre autorità, fatto salvo quanto previsto dal comma 3.

2. Gli enti locali trasmettono alla regione i piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani, nonché i piani operativi entro il termine di trenta giorni dalla data della loro approvazione.

3. La regione compie, entro il termine di novanta giorni dalla data di ricevimento dei piani di cui al comma 2, verifiche sul rispetto, da parte dei piani territoriali, dei piani urbanistici e dei piani metropolitani dell'intesa raggiunta in sede di conferenza territoriale, urbanistica, metropolitana nonché del rispetto, da parte del piano operativo, delle previsioni contenute nel piano urbanistico comunale vigente.

4. Nel caso la regione rilevi il mancato rispetto dell'intesa di cui al comma 3, invita l'ente locale interessato a provvedere, entro un termine di tempo prefissato, alla modifica del piano per garantire il rispetto dell'intesa medesima, trascorso il quale può disporre misure di salvaguardia,

con riferimento alle difformità rilevate. Tali misure di salvaguardia restano in vigore sino a quando l'ente locale interessato non abbia provveduto agli adempimenti richiesti.

Art. 13. (Partecipazione, osservazioni e opposizioni).

1. Le regioni prevedono le modalità per lo svolgimento di adeguate iniziative di informazione e consultazione dei cittadini, di associazioni, di forze economiche e sociali, di operatori economici, sulle proposte di piano territoriale provinciale, di piano urbanistico comunale, di piano metropolitano e di piano operativo, nonché la possibilità, anche per i privati, di avanzare proposte pubbliche per la predisposizione del piano operativo comunale.

2. La consultazione di cui al comma 1, per il piano territoriale provinciale, il piano urbanistico comunale, il piano metropolitano, deve avere luogo e concludersi prima che la conferenza di cui all'articolo 24 concluda i propri lavori.

3. La proposta di piano territoriale provinciale, di piano urbanistico comunale, di piano metropolitano risultante dall'intesa definita dalla conferenza di cui all'articolo 24 della presente legge, è pubblicata dall'ente locale competente.

4. Alle proposte di cui al comma 3 possono essere presentate osservazioni da parte di soggetti pubblici e privati, con le modalità previste dall'articolo 25.

5. Al piano operativo, adottato dal comune, possono essere presentate osservazioni da parte di soggetti pubblici e privati nonché opposizioni da parte di soggetti i cui immobili sono interessati dal piano operativo medesimo o da altri soggetti aventi titolo sulla base della vigente normativa, con le modalità previste dall'articolo 26.

Art. 14. (Legalità urbanistica).

1. Il comune esercita la vigilanza in materia di legalità della attività urbanistica ed edilizia.

2. La mancata irrogazione delle sanzioni previste dalle vigenti disposizioni da parte degli amministratori comporta responsabilità dei medesimi.

Art. 15. (Perequazione urbanistica).

1. Gli immobili per i quali il piano operativo dispone la trasformazione urbanistica nel periodo di tempo della propria validità sono inclusi, dal piano operativo medesimo, in comparti urbanistici, con le modalità di cui all'articolo 27.

2. Nei comparti urbanistici sono attribuiti, alla proprietà conformata dal piano operativo di cui all'articolo 22, quote edificatorie, espresse in metri quadrati o in metri cubi, e obblighi verso il comune o altri soggetti pubblici aventi titolo previsti dal piano operativo medesimo.

3. Le quote edificatorie e gli obblighi di cui al comma 2 sono ripartiti tra tutti i proprietari di immobili in modo proporzionale al valore, accertato dall'Ufficio tecnico erariale ai fini della applicazione dell'imposta comunale sugli immobili, dei beni appartenenti a ciascuno di essi, con le modalità di cui agli articoli 27 e 28.

Art. 16. (Vincoli urbanistici).

1.Il piano operativo può individuare immobili da destinare ad infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e altre opere pubbliche o di interesse pubblico e, tra essi, quelli sottoposti a vincolo finalizzato alla espropriazione.

2. Il piano operativo include altresì gli immobili per i quali sia disposta la espropriazione, da parte dello Stato o di altri soggetti pubblici aventi titolo, per la realizzazionedi opere di loro competenza previste dal piano urbanistico comunale vigente.

3. Il vincolo finalizzato alla espropriazione imposto dal piano operativo sugli immobili destinati alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità delle opere medesime.

4. Il vincolo imposto con le modalità di cui al comma 1 e finalizzato alla espropriazione ha la durata di cinque anni, e può essere reiterato una sola volta per la stessa durata. In tale caso è dovuto al proprietario un indennizzo maggiorato nella misura e con le modalità previste dall'articolo 17.

5. Il piano operativo quantifica le risorse finanziarie occorrenti per l'espropriazione degli immobili vincolati dal piano medesimo, stabilisce i criteri di priorità ed indica in modo documentato la copertura finanziaria degli oneri relativi.

6. Il vincolo finalizzato alla espropriazione può essere apposto esclusivamente su immobili inclusi nel piano operativo.

Art. 17. (Esproprio per pubblica utilità).

1. Le procedure di esproprio sono regolate dalle disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità. L'acquisizione degli immobili destinati alla realizzazione di opere pubbliche da parte dello Stato avviene mediante decreto di esproprio.

2. L'indennità dovuta ai proprietari di immobili espropriati per ragioni di pubblica utilità è stabilita dalle leggi statali sulla base del principio dell'equo ristoro per la perdita del bene espropriato.

3. Il comune, anche su proposta dei proprietari interessati, può definire, in alternativa alla espropriazione, forme di compensazione consistenti nella permuta con altri immobili o con quote edificatorie all'interno di comparti urbanistici, oppure consistenti nella partecipazione dei proprietari medesimi alla realizzazione e alla gestione delle attrezzature e dei servizi pubblici localizzati dal piano operativo su immobili dagli stessi posseduti.

4. Qualora il vincolo urbanistico disposto dal piano operativo sia stato reiterato, come previsto dall'articolo 16, al proprietario è dovuta una indennità aggiuntiva pari ad un terzo dell'ammontare della indennità fissata per l'esproprio dell'immobile sottoposto a vincolo.

Art. 18. (Funzioni dello Stato).

1. Sono riservate allo Stato le seguenti funzioni:

a) indirizzo e coordinamento;

b) legislazione di principio, norme in materia di regime degli immobili e di espropriazione, sanzioni contro gli illeciti edilizi ed urbanistici, norme suppletive, esercizio di poteri sostitutivi;

c) definizione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio;

d) rapporti con gli organismi internazionali e il coordinamento con l'Unione europea in materia di politiche urbane e di assetto del territorio;

e) monitoraggio del territorio e dello stato della pianificazione territoriale ed urbanistica, con la costituzione, a tale scopo, di un apposito Osservatorio nazionale, d'intesa con le regioni e gli enti locali;

f) interventi relativi ad opere statali, alla difesa nazionale, alla sicurezza interna, alla prevenzione da grandi rischi derivanti da calamità naturali;

g) escavazione del sottosuolo nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti;

h) promozione di programmi innovativi in ambito urbano che implichino un intervento da parte di diverse amministrazioni dello Stato.

2. Sono altresì riservate allo Stato:

a) la tutela dei beni culturali e dell'ambiente, la difesa del suolo nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti; l'istituzione di nuove aree naturali protette nazionali e la modifica di quelle esistenti;

b) la occupazione d'urgenza, le concessioni, le autorizzazioni per ricerche archeologiche;

c) l'espropriazione di immobili di interesse storico e artistico;

d) la salvaguardia di Venezia e della zona lagunare e il mantenimento del regime idrico lagunare, nei limiti e con le modalità previste dalle leggi vigenti.

CAPO II Strumentazione territoriale ed urbanistica.

Art. 19. (Linee fondamentali dell'assetto del territorio).

1. Lo Stato definisce le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo, ai rischi derivanti da calamità naturali, alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, al sistema della mobilità, nonché al sistema delle città e delle aree metropolitane e allo sviluppo delle aree depresse.

2. Fanno parte integrante delle linee fondamentali, di cui al comma 1, i princìpi e le disposizioni contenute nelle norme statali vigenti relative al governo del territorio, le disposizioni dei piani specialistici vigenti, nonché i programmi pluriennali relativi ad opere pubbliche di competenza dello Stato.

3. Le regioni, nell'autonomo esercizio delle proprie funzioni in materia di governo del territorio, provvedono a comporre e ad aggiornare l'insieme delle disposizioni fondamentali, ivi incluse quelle contenute nei piani specialistici, riguardanti l'assetto del territorio di loro competenza in un quadro di riferimento regionale.

4. Il quadro di riferimento regionale è predisposto e aggiornato dalle regioni in coerenza con le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale di cui ai commi 1 e 2.

Art. 20. (Piano territoriale provinciale).

1. Il piano territoriale provinciale definisce l'assetto del territorio della provincia.

2. Il piano territoriale provinciale è coerente con gli indirizzi e le prescrizioni derivanti dalle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale e dal quadro regionale di riferimento di cui all'articolo 19.

3. Il piano territoriale provinciale considera la totalità del territorio provinciale. Esso recepisce, potendo altresì integrare, le disposizioni vigenti riguardanti la protezione della natura, la tutela dell'ambiente e dei beni culturali, la difesa del suolo, la tutela delle bellezze naturali, la prevenzione dei rischi derivanti da calamità naturali ed indica le linee generali per la conservazione, la manutenzione, e la realizzazione degli interventi previsti. Esso indica inoltre le caratteristiche generali delle infrastrutture, delle vie di comunicazione e delle attrezzature di interesse intercomunale e sovracomunale nonché i criteri generali da utilizzare per la valutazione dei carichi insediativi ammissibili nel territorio di competenza.

4. Il piano territoriale provinciale ha durata indeterminata.

5. Il piano territoriale provinciale è predisposto e approvato dalla provincia con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

6. I piani specialistici riguardanti il territorio provinciale, ivi inclusi i piani riguardanti le aree naturali protette, e i piani specialistici relativi alla tutela dei beni culturali e dell'ambiente, alla difesa del suolo, alla prevenzione di rischi derivanti da calamità naturali vengono recepiti nel piano territoriale con le modalità previste dalla presente legge.

7. I piani di settore riguardanti il territorio provinciale non possono modificare le disposizioni del piano territoriale vigente.

8. Le regioni promuovono, con riferimento a problemi aventi carattere interprovinciale o sovraprovinciale, e con particolare riguardo ai problemi relativi alla difesa del suolo, specifiche forme di cooperazione tra le province interessate e le amministrazioni competenti.

Art. 21. (Piano urbanistico comunale).

1. Il piano urbanistico comunale definisce l'assetto del territorio del comune.

2. Il piano urbanistico comunale, in coerenza con le disposizioni del piano territoriale provinciale:

a) considera la totalità del territorio comunale;

b) definisce gli elementi del territorio soggetti a tutela o considerati comunque costitutivi, invarianti o consolidati;

c) fissa gli obiettivi da perseguire in termini di prestazioni urbane e ambientali, anche con riferimento al sistema della mobilità, nonché quelli relativi allo sviluppo delle attività economiche e produttive;

d) determina i fabbisogni insediativi e le priorità relative alle opere di urbanizzazione;

e) stabilisce le parti del territorio non suscettibili di trasformazione urbanistica, ivi incluse la città storica, le zone di urbanizzazione consolidata, le zone agricole;

f) indica le parti del territorio nelle quali i piani operativi possono prevedere interventi di trasformazione urbanistica, distinguendole secondo caratteristiche di omogeneità, nonché criteri e indicazioni di massima per la localizzazione delle infrastrutture e della rete delle principali vie di comunicazione;

3. Il piano urbanistico comunale contiene una specifica normativa, denominata normativa tecnica di attuazione, riguardante la manutenzione del territorio e la manutenzione urbana, il recupero, la trasformazione e la sostituzione edilizia, il supporto alle attività produttive, la tutela del paesaggio agrario e il mantenimento e lo sviluppo della attività agricola, la regolamentazione della attività edilizia nonché criteri per la definizione delle funzioni urbane e delle loro compatibilità.

4. Il piano urbanistico comunale ha durata indeterminata.

5. Il piano urbanistico comunale è predisposto e approvato con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

6. I piani specialistici riguardanti il territorio comunale, ivi inclusi i piani riguardanti le aree naturali protette e i piani specialistici relativi alla tutela dei beni culturali e dell'ambiente, alla difesa del suolo, alla prevenzione da rischi derivanti da calamità naturali sono recepiti nel piano urbanistico con le modalità previste dalla presente legge.

7. I piani di settore riguardanti il territorio comunale non possono modificare le disposizioni del piano urbanistico vigente.

8. Le regioni promuovono, con riferimento a questioni aventi carattere intercomunale o sovracomunale, specifiche forme di cooperazione tra i comuni interessati e le amministrazioni competenti e disciplinano inoltre i casi nei quali, d'intesa con i comuni interessati, il piano urbanistico può avere carattere e dimensione intercomunale.

Art. 22. (Piano operativo).

1. Il piano operativo individua, con riferimento al territorio comunale e al periodo di tempo della propria validità, gli immobili da assoggettare a trasformazione urbanistica, nonché altri immobili da destinare alla realizzazione di infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e altre opere pubbliche e di interesse pubblico.

2. Il piano operativo:

a) raggruppa tutti gli immobili soggetti a trasformazione urbanistica in comparti urbanistici, con le modalità previste dall'articolo 27;

b) definisce, all'interno dei singoli comparti urbanistici, la quantità di immobili da destinare ad infrastrutture, attrezzature, aree verdi, edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche o di interesse pubblico di cui è prevista la cessione al comune o ad altri soggetti pubblici, nonché le caratteristiche ed il dimensionamento dei relativi interventi edilizi, e ne può anche indicare, ove opportuno, la localizzazione all'interno del comparto;

c) definisce, all'esterno dei comparti urbanistici, la localizzazione delle ulteriori infrastrutture, attrezzature, zone di rispetto, aree verdi e delle altre opere pubbliche o di interesse pubblico, ivi incluse quelle di competenza dello Stato o di altri soggetti pubblici, e individua gli immobili sottoposti a vincolo finalizzato alla espropriazione;

d) quantifica gli oneri finanziari a carico del comune e di altri soggetti pubblici e ne indica in modo documentato le fonti di finanziamento.

3. Il piano operativo comunale ha la durata di cinque anni.

4. Il piano operativo è predisposto e approvato dal comune con le modalità di cui all'articolo 26.

5. Il comune allega al proprio bilancio annuale di previsione una relazione sullo stato di attuazione degli interventi previsti dal piano operativo vigente.

Art. 23. (Piano metropolitano).

1. La città metropolitana predispone e approva, con le modalità di cui agli articoli 24 e 25, il piano metropolitano, il quale sostituisce, a tutti gli effetti, il piano territoriale provinciale e il piano urbanistico comunale con riferimento al territorio di competenza della città metropolitana medesima.

2. I comuni costituenti la città metropolitana adottano e approvano, con le modalità di cui all'articolo 26, i propri piani operativi, in coerenza con le disposizioni del piano metropolitano vigente. L'insieme dei piani operativi di tutti i comuni appartenenti alla città metropolitana costituisce un documento denominato piano operativo metropolitano.

Art. 24. (Conferenza territoriale, urbanistica, metropolitana).

1. Il piano territoriale provinciale, il piano urbanistico comunale, il piano metropolitano sono adottati dall'ente locale competente e sottoposti alla valutazione della conferenza di cui al presente articolo.

2. La conferenza è convocata dall'ente locale proponente il piano.

3. Alla conferenza partecipano tutti i soggetti titolari di funzioni relative a piani specialistici, imposizione di vincoli, tutela e gestione di aree naturali protette, piani di settore, realizzazione e gestione di infrastrutture, rilascio di nulla-osta, espressione di pareri, e partecipano inoltre tutti gli altri soggetti interessati titolari di funzioni relative al governo del territorio.

4. La conferenza esamina il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano adottato dall'ente locale competente, ne verifica la coerenza con le disposizioni vigenti, provvede al coordinamento delle disposizioni riguardanti il territorio considerato, e si conclude con la definizione dell'intesa tra i partecipanti con le modalità di cui al presente articolo.

5. L'intesa della conferenza è definita con il consenso dell'ente locale proponente.

6. L'intesa non è raggiunta qualora si registri il dissenso, motivato con riferimento alla violazione di vincoli o di disposizioni vigenti, da parte delle amministrazioni titolari di funzioni relative a beni culturali, ambiente, difesa del suolo, protezione dai rischi derivanti da calamità naturali. In tal caso, fino a quando si registri il dissenso delle amministrazioni, i vincoli e le disposizioni vigenti sulla cui violazione è stato motivato il dissenso medesimo conservano il valore e gli effetti loro assegnati dalle leggi statali e regionali.

7. Fermo restando quanto previsto dai commi 5 e 6, l'intesa della conferenza è definita con le modalità previste dalla vigente disciplina, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, in materia di conferenza di servizi.

8. L'intesa definita dalla conferenza è vincolante per tutti i soggetti partecipanti alla conferenza stessa, e tiene luogo di ogni atto o parere di competenza dei soggetti medesimi

9. I piani territoriali, i piani urbanistici, i piani metropolitani sono approvati dall'ente locale competente dopo la definizione dell'intesa della conferenza, con le modalità di cui all'articolo 25.

10. Le regioni disciplinano, fatto salvo quanto previsto dal presente articolo, le modalità di convocazione, di svolgimento della conferenza ed i termini che gli enti locali competenti stabiliscono per la durata della stessa. Esse possono inoltre prevedere, con riferimento al piano urbanistico comunale, che la conferenza urbanistica si svolga, previa intesa con i comuni interessati, su base intercomunale.

11. Le conferenze convocate per la valutazione del piano territoriale provinciale, del piano urbanistico comunale, del piano metropolitano assumono la denominazione, rispettivamente, di conferenza territoriale, conferenza urbanistica, conferenza metropolitana.

Art. 25. (Approvazione dei piani territoriali, urbanistici, metropolitani).

1. La proposta di piano territoriale, di piano urbanistico o di piano metropolitano, risultante dall'intesa definita dalla conferenza di cui all'articolo 24, è pubblicata dall'ente locale competente entro quindici giorni dalla data di conclusione della conferenza medesima.

2. Alla proposta di piano di cui al comma 1 possono essere presentate, entro trenta giorni dalla data della sua pubblicazione, le osservazioni di cui all'articolo 13.

3. L'ente locale competente sottopone alla valutazione della conferenza le osservazioni presentate, e si esprime sulle medesime entro novanta giorni dalla data di pubblicazione della proposta di piano di cui al comma 1.

4. L'ente locale competente approva il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano entro il medesimo termine di cui al comma 3, dopo essersi espresso sulle osservazioni presentate.

5. Il piano territoriale, il piano urbanistico, il piano metropolitano approvato dall'ente locale competente è sottoposto a controllo solo nel caso previsto dall'articolo 12.

6. L'aggiornamento o la modifica del piano territoriale, del piano urbanistico, del piano metropolitano sono predisposti e approvati con le stesse modalità previste dalla presente legge per la (...) predisposizione e l'approvazione dei piani medesimi.

7. Successivamente alla approvazione del piano territoriale, del piano urbanistico, del piano metropolitano i poteri statali di integrazione degli elenchi dei beni ambientali sottoposti a vincolo sono esercitabili solo in presenza di un fatto sopravvenuto o di una motivata riconsiderazione dell'interesse pubblico.

8. Qualora, dopo l'approvazione del piano territoriale, urbanistico, metropolitano sia approvato un nuovo piano specialistico o ricorrano le circostanze di cui al comma 7, l'amministrazione competente chiede agli enti locali interessati la convocazione della conferenza per procedere al recepimento nei piani medesimi delle nuove disposizioni e dei nuovi vincoli.

Art. 26. (Approvazione dei piani operativi).

1. La proposta di piano operativo è adottata dal comune. Il piano operativo non è sottoposto alla valutazione della conferenza di cui all'articolo 24.

2. Alla proposta di piano operativo adottata dal comune, possono essere presentate, entro trenta giorni dalla data della adozione, le osservazioni e le opposizioni di cui all'articolo 13.

3. Il comune si esprime sulle osservazioni e sulle opposizioni entro novanta giorni dalla data della adozione del piano operativo.

4. Il comune approva il piano operativo entro il termine di cui al comma 3, dopo essersi espresso sulle osservazioni e sulle opposizioni presentate.

5. Il piano operativo è sottoposto a controllo solo nel caso di cui all'articolo 12.

6. Il piano operativo viene aggiornato o modificato con le stesse modalità previste dalla presente legge per la sua predisposizione ed approvazione.

7. Il piano operativo non può essere approvato in assenza di un piano urbanistico comunale vigente, né può modificare il piano urbanistico vigente.Nel caso in cui il piano operativo determini comunque l'esigenza di modifiche al piano urbanistico vigente, la sua approvazione è possibile solo dopo la modifica del piano urbanistico medesimo, approvata con le modalità di cui agli articoli 24 e 25.

Art. 27. (Comparto urbanistico).

1. Il comparto urbanistico è costituito dall'insieme degli immobili perimetrato a tale scopo dal piano operativo, che ne indica le possibili trasformazioni urbanistiche ed edilizie, le tipologie di intervento, le funzioni urbane ammissibili, l'edificazione complessiva consentita e le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi nel perimetro del comparto, la quantità e, ove opportuno, anche la localizzazione, degli immobili da cedere gratuitamente al comune o ad altri soggetti pubblici per la realizzazione nel comparto di infrastrutture, attrezzature, aree verdi, interventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico.

2. Le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico sono espressi in metri quadrati o in metri cubi; le stesse quote edificatorie sono ripartite tra i proprietari in proporzione alla frazione percentuale, da ciascuno di essi detenuta, del complessivo valore imponibile, accertato ai fini dell'imposta comunale sugli immobili, per l'insieme di tutti gli immobili inclusi nel perimetro del comparto stesso. Nel caso siano inclusi nel comparto immobili per i quali non risulti accertato il valore dell'imponibile relativo alla imposta comunale sugli immobili, tale valore è determinato dall'Ufficio tecnico erariale sulla base dei valori accertati per altri immobili aventi caratteristiche analoghe, entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano operativo.

3. Entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano operativo, il comune determina la quantità di quote edificatorie attribuite dal piano operativo medesimo ai proprietari di immobili inclusi in ciascun comparto, nonché gli obblighi a favore del comune o di altri soggetti pubblici connessi con la attuazione del comparto stesso, e ne dà comunicazione ai proprietari interessati. Le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili inclusi in un comparto urbanistico sono liberamente commerciabili, ma non possono essere trasferite in altri comparti urbanistici.

4. Ferme restando le quote edificatorie attribuite ai proprietari di immobili, il piano operativo definisce altresì le caratteristiche ed il dimensionamento degli interventi edilizi relativi alla realizzazione, nei comparti urbanistici, di attrezzature, inteventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche o di interesse pubblico.

5. Le regioni definiscono i criteri ed i limiti per la definizione da parte dei comuni, nei propri piani operativi, degli interventi di cui al comma 4.

Art. 28. (Attuazione del comparto urbanistico).

1. Il comparto urbanistico può essere attuato dai proprietari degli immobili inclusi nel comparto medesimo, direttamente dal comune, ovvero da società miste, o da altri soggetti pubblici e privati.

2. Nel caso di attuazione di un comparto da parte di soggetti privati, devono essere preventivamente ceduti a titolo gratuito al comune o ad altri soggetti pubblici gli immobili necessari per la realizzazione, nel comparto, di infrastrutture, attrezzature, aree verdi, interventi di edilizia residenziale pubblica ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico, nella quantità prevista dal piano operativo e sulla base delle indicazioni di localizzazione indicate dal comune.

3. I detentori, singoli o associati, di una quantità superiore al cinquanta per cento delle quote edificatorie complessive attribuite ad un comparto urbanistico, possono procedere alla attuazione del comparto qualora si verifichi il rifiuto o l'inerzia dei rimanenti proprietari. In questo caso, i medesimi soggetti procedono alla attuazione del comparto, acquisite le quote edificatorie attribuite ai proprietari che abbiano deciso di non partecipare alla iniziativa, ed i relativi immobili, mediante corresponsione del controvalore di cui al comma 6 o, nel caso di rifiuto, mediante deposito della somma prevista presso la tesoreria comunale.

4. Nel caso di inerzia o di rifiuto all'attuazione di un comparto urbanistico da parte di proprietari di immobili detentori, nel loro insieme, di una quantità superiore al cinquanta per cento delle quote edificatorie complessive attribuite al comparto, il comune fissa un termine per l'attuazione del comparto medesimo, trascorso inutilmente il quale lo stesso comune può decidere di attuare direttamente, anche per mezzo di una società mista, il comparto urbanistico, acquisendone le quote edificatorie ed i relativi immobili con le modalità di cui al comma 6.

5. Qualora il comune decida di non attuare direttamente il comparto secondo quanto previsto dal comma 4, operatori economici possono avanzare specifiche proposte organizzative e finanziarie per la attuazione del medesimo impegnandosi all'acquisizione, con le modalità di cui ai commi 4 e 6, delle quote edificatorie e dei relativi immobili dei proprietari che rifiutino di partecipare all'iniziativa. Le proposte sono indirizzate al comune, il quale procede alla scelta dei soggetti incaricati dell'intervento nel comparto per mezzo di procedure ad evidenza pubblica.

6. Le acquisizioni delle quote edificatorie e dei relativi immobili di cui ai commi 3, 4 e 5 avvengono mediante procedura di esproprio al valore determinato dall'Ufficio tecnico erariale.

Art. 29. (Standard urbanistici).

1. Le regioni indicano i criteri urbanistici, le prestazioni minime richieste ed i parametri, anche pro-capite, per la definizione, da parte dei piani operativi, delle quantità, delle caratteristiche, e della localizzazione di attrezzature, servizi, aree verdi, sia nei comparti urbanistici sia al di fuori degli stessi.

2. Nel caso di interventi edilizi relativi ad immobili non inclusi in comparti urbanistici che comportino modifiche delle funzioni urbane preesistenti, il comune procede ad una verifica dell'eventuale fabbisogno aggiuntivo, determinato da tali modifiche, di immobili per attrezzature, aree verdi ed altre opere pubbliche e di interesse pubblico e subordina l'autorizzazione dei medesimi interventi alla cessione a titolo gratuito al comune o ad altri soggetti pubblici aventi titolo, da parte dei soggetti interessati, degli immobili occorrenti o al versamento a favore del comune, da parte dei medesimi soggetti, dell'importo determinato dall'Ufficio tecnico erariale per l'acquisizione dei predetti immobili.

3. Le regioni indicano inoltre i casi nei quali, per determinate attrezzature e servizi, i privati possono concorrere alla realizzazione e alla gestione degli stessi secondo modalità disciplinate dalle regioni medesime.

Art. 30. (Titoli abilitativi alla attività edilizia).

1. I comuni provvedono al rilascio dei titoli abilitativi all'attività edilizia mediante lo strumento dello sportello urbanistico di cui all'articolo 3.

2. Le regioni definiscono, nel rispetto delle norme vigenti relative alla tutela e alla sicurezza del territorio e degli immobili che lo compongono, la normativa riguardante il rilascio dei titoli abilitativi all'attività edilizia.

3. Sono in ogni caso subordinate al rilascio di uno specifico titolo abilitativo all'attività edilizia gli interventi di trasformazione urbanistica e gli interventi edilizi che comportino modifiche alle funzioni urbane preesistenti.

Art. 31. (Oneri di concessione e oneri di urbanizzazione).

1. Le regioni indicano i criteri ed i parametri per la determinazione degli oneri di concessione dovuti dai promotori di trasformazioni urbanistiche e di iniziative edilizie, nonché le modalità di pagamento o di esenzione dal pagamento degli oneri medesimi.

2. Le regioni indicano altresì i criteri e i parametri per la determinazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ed i casi nei quali è consentita, in alternativa al pagamento, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione da parte dei promotori delle iniziative.

Art. 32. (Opere dello Stato, delle regioni, delle province e di altri soggetti pubblici).

1. Lo Stato, le regioni, le province e gli altri soggetti pubblici aventi titolo predispongono e realizzano le opere di propria competenza con il metodo della programmazione pluriennale prevista dalle leggi vigenti. Di tale programmazione viene data tempestiva comunicazione agli enti locali interessati.

2. Le opere programmate di cui al comma 1 sono recepite nei piani territoriali, nei piani urbanistici, nei piani metropolitani, nonché nei piani operativi, con le modalità di cui alla presente legge.

3. Nel caso in cui le opere di cui al comma 1 non risultino già previste nei piani territoriali, nei piani urbanistici, nei piani metropolitani l'amministrazione procedente chiede agli enti locali interessati la convocazione della conferenza di cui all'articolo 24 della presente legge, ai fini del loro recepimento nei piani medesimi.

4. Le opere di cui al comma 1 sono recepite nel piano operativo, su richiesta delle amministrazioni interessate, qualora la realizzazione delle opere medesime sia programmata per il periodo di validità dello stesso piano operativo.

5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche per le opere date in concessione dallo Stato.

CAPO III Norme finali e transitorie.

Art. 33. (Testo Unico Nazionale).

1. Il Governo della Repubblica è delegato ad adottare, con decreto legislativo, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell'ambiente, per i beni e le attività culturali, dell'interno, dei trasporti e della navigazione, un testo unico nel quale sono riunite e coordinate le disposizioni statali vigenti in materia di governo del territorio. Il decreto è emanato, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite la conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e le commissioni parlamentari competenti.

2. Il testo unico è predisposto sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) conformità con i princìpi e le disposizioni della presente legge;

b) competenza dello Stato nella materia oggetto delle disposizioni contenute nel testo unico;

c) abrogazione esplicita di tutte le disposizioni non conformi ai criteri di cui ai precedenti punti a) e b).

Art. 34. (Disposizioni attuative e transitorie).

1. Le regioni approvano le norme e adottano i provvedimenti di propria competenza, definiti dalla presente legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

2. I piani territoriali provinciali, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dalle province entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

3. I piani urbanistici comunali, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dai comuni entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

4. I piani metropolitani, come definiti dalla presente legge, sono predisposti e approvati dalla città metropolitana entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima. Nel caso in cui la città metropolitana sia istituita successivamente alla predetta data, il piano metropolitano è predisposto e approvato entro il termine di due anni dalla data dell'istituzione della città metropolitana medesima.

5. Il piano operativo è approvato dal comune entro un anno dalla data di approvazione, ai sensi della presente legge, del primo piano urbanistico comunale.

6. I piani specialistici e i piani di settore, comunque denominati, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, mantengono la loro autonoma validità sino alla approvazione dei nuovi piani territoriali ed urbanistici di cui ai precedenti commi 2, 3, e 4.

7. In sede di prima applicazione della presente legge, i proprietari di immobili inclusi in comparti urbanistici dal primo piano operativo approvato dal comune ai sensi della presente legge possono chiedere, entro quindici giorni dalla data di approvazione dello stesso, un nuovo accertamento, da parte dell'Ufficio tecnico erariale, del valore imponibile relativo alla applicazione dell'imposta comunale sugli immobili. L'Ufficio tecnico erariale definisce e comunica al comune, entro i successivi trenta giorni, il nuovo accertamento.

8. Nel caso in cui il nuovo accertamento di cui al comma 7 risulti di valore superiore al precedente, le maggiori imposte comunali sugli immobili conseguenti al nuovo accertamento sono dovute anche con riferimento ai cinque anni precedenti alla richiesta di nuovo accertamento da parte del proprietario interessato.

9. Nel caso previsto dal comma 7, i termini stabiliti dall'articolo 27 per la determinazione delle quote edificatorie da parte del comune sono elevati da trenta a sessanta giorni.

10. Restano in vigore, sino alla data di approvazione da parte della provincia, del comune, della città metropolitana rispettivamente, del primo piano territoriale, del primo piano urbanistico, e del primo piano metropolitano di cui alla presente legge, le norme e le misure di salvaguardia vigenti per gli strumenti urbanistici adottati ma non ancora approvati.

Art. 35. (Imposte immobiliari nei comparti urbanistici).

Le imposte sui trasferimenti immobiliari all'interno di un comparto urbanistico, finalizzati alla attuazione del comparto medesimo, si applicano solo alle eventuali plusvalenze realizzate negli atti di trasferimento e di cessione a titolo oneroso, purché gli stessi abbiano avuto luogo dopo l'approvazione del piano operativo e non oltre trenta giorni dalla data di rilascio, da parte del comune, del titolo abilitativo alla realizzazione degli interventi previsti nel comparto.

SENATO DEL REGNO

(N. 204)

DISEGNO DI LEGGE

presentato dal Ministro dell’Istruzione Pubblica

(CROCE)

nella tornata del 25 settembre 1920



PER LA TUTELA DELLE BELLEZZE NATURALI E DEGLI IMMOBILI DI PARTICOLARE INTERESSE STORICO

ONOREVOLI COLLEGHI — Che una legge in difesa delle bellezze naturali d'Italia sia invocata da più tempo e da quanti uomini colti e uomini di studio vivono nel nostro paese, è cosa ormai fuori di ogni dubbio; i numerosi voti di accademie artistiche e d'istituti scientifici, che in varie occasioni, ed anche recentemente, sono pervenuti al nostro Ministero, ne sono la più viva dimostrazione. E che una legge siffatta, la quale ponga finalmente un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo, desiderata sia anche dal Parlamento, non è neppure da dubitare, dopo che due ordini del giorno, affermanti la necessità e l'urgenza di essa, furono approvati dalla Camera prima, quando nel 1905 si discusse il disegno di legge sulla pineta di Ravenna, e dal Senato poi in occasione della legge di tutela monumentale del 20 giugno 1909 n. 364.

Aggiungasi che su questa base di preventiva approvazione di massima l'onorevole Rosadi presentò di sua iniziativa un disegno di legge che la Commissione parlamentare accettò integralmente, e che solo per vicende politiche non giunse all'onore della pubblica discussione. Ma v'ha di più, che recentissimamente, discutendosi alla Camera il disegno di legge di “Modificazioni alla dotazione della Corona e riordinamento del patrimonio artistico nazionale” dal Ministro della pubblica istruzione onorevole Baccelli, e dal Presidente, del Consiglio, onorevole Nitti, fu affermata la necessità e per alte ragioni morali e per non meno importanti ragioni di pubblica economia, di difendere o di mettere in valore, nella più larga misura possibile, le maggiori bellezze d'Italia quelle naturali e quelle artistiche.

Bene avvisato, dunque, fu il Sottosegretario di Stato alle belle arti, onorevole Molmenti, il quale, come suo primo atto di Governo, volle che una Commissione di competenti persone presieduta dall'onorevole Rosadi, studiasse il problema della difesa delle nostre bellezze naturali.

In relazione con tale studio, che fu compiuto con encomiabile alacrità, è il presente disegno di legge, che ora sottopongo al Vostro esame e alla vostra approvazione.

È nella difesa delle bellezze naturali un altissimo interesse morale e artistico che legittima l'intervento dello Stato, e s'identifica con l'interesse posto a fondamento delle leggi protettrici dei monumenti e della proprietà artistica e letteraria.

Certo il sentimento, tutto moderno, che si impadronisce di noi allo spettacolo di acque precipitanti nell'abisso, di cime nevose, di foreste secolari, di riviere sonanti, di orizzonti infiniti deriva della stessa sorgente, da cui fluisce la gioia che ci pervade alla contemplazione di un quadro dagli armonici colori, all'audizione di una melodia ispirata, alla lettura di un libro fiorito d'immagini e di pensieri. E se dalla civiltà moderna si sentì il bisogno di difendere, per il bene di tutti, il quadro, la musica, il libro, non si comprende, perché siasi tardato tanto a impedire che siano distrutte o, manomesse le bellezze della natura, che danno all'uomo entusiasmi spirituali così puri e sono in realtà ispiratrici di opere eccelse. Non è da ora, del resto, che si rilevò essere le concezioni dell'uomo il prodotto, oltre che delle condizioni sociali del momento storico, in cui egli è nato, del mondo stesso che lo circonda, della natura lieta o triste in cui vive, del clima, del cielo, dell'atmosfera in cui si muove e respira.

E fuvvi anche chi affermò, con profondo intuito, che anche il patriottismo nasce dalla secolare carezza del suolo agli occhi, ed altro non essere che la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli.

Queste idee, del resto, sono da tempo presso tutti i popoli civili il presupposto di ogni azione di difesa delle bellezze naturali, azione che, in Germania, fu appunto detta “di difesa della patria” (Heimatschutz). Difesa, cioè, di quel che costituisce la fisonomia, la caratteristica, la singolarità, per cui una nazione si differenzia dall'altra, nell'aspetto delle sue città, nelle linee del suo suolo, nelle sue curiosità geologiche; e da alcuni si aggiunge, (dai tedeschi stessi e dagli inglesi) negli usi, nelle tradizioni, nei ricordi storici, letterari, leggendari, in tutto ciò insomma, che plasma l'anima della razza, o meglio ha influito o maggiormente influisce allo sviluppo dell'anima nazionale.

Si è insomma compreso come non sia possibile disinteressarsi da quelle peculiari caratteristiche del territorio, in cui il popolo vive e da cui, come da sorgenti sempre fresche, l'anima umana attinga ispirazioni di opere e di pensieri.

Il movimento a favore della conservazione delle bellezze naturali rimonta al 1862, allorquando John Ruskin sorse in difesa delle quiete valli dell'Inghilterra minacciate dal fuoco strepitante delle locomotive e dal carbone fossile delle officine, e si diffuse lentamente ma tenacemente in tutte le nazioni civili, e specie in quelle in cui più progredite sono le industrie e i mezzi di locomozione. Infatti questi mezzi, togliendo più facilmente gli uomini all'affannosa vita delle città, per avvicinarli più spesso alle pure gioie dei campi, han diffuso questo anelito, tutto moderno, verso le bellezze della natura, mentre le industrie, fatte più esigenti dalla scoperta della trasformazione della forza, elettricità, luce, calore, attentano ogni giorno più alla vergine poesia delle montagne, delle foreste, delle cascate.

Il dissidio fra questi nuovi bisogni del senso estetico più raffinato e del godimento materiale eccitatore di una produzione più intensa, fra le ragioni del bello e l'interesse poetico, fra il rispetto alle antiche tradizioni e il bisogno di far luogo alle cose nuove, non poteva non determinarsi; e, dovunque coltura e gentilezza non sono un nome vano, sorsero associazioni potenti per mettere in valore le bellezze naturali, e imporre, premendo sull'opinione pubblica, la necessità di sanzioni positive contro le ingiustificate e spesso inutili manomissioni del paesaggio nazionale: così in Inghilterra, così in Germania, così in Francia, in Austria, in Isvizzera, nel Belgio, ed anche in Italia. In molti di questi paesi, infatti, si promulgarono da tempo (prima della guerra, s'intende) leggi di protezione più o meno efficaci; nel granducato di Hess la legge del 1902 sulla conservazione dei monumenti provvide anche alla tutela dei fenomeni naturali, dei corsi d'acqua, delle rocce, degli alberi; in Baviera, un decreto del 1901 impose la protezione in genere delle bellezze naturali; in Prussia, non solo un decreto del 1904 pose tra i monumenti ciò che serve all'effetto delle scene notevoli e del paesaggio (le rovine, ad esempio), ma un istituto di Stato fu preposto alla difesa della natura; in Austria, dopo un'inchiesta sulle bellezze naturali del paese compiuto dalla Facoltà di filosofia della Università di Vienna, una legge estese ai paesaggi e ai fenomeni naturali la protezione dei monumenti; in Francia è del 21 aprile 1906 la legge “pour organiser la protection des sites et monuments naturels”; in Svizzera, per la quale è noto come i suoi magnifici paesaggi siano la fonte precipua della sua prosperità economica, sono varie le leggi federali e cantonali per la protezione delle bellezze naturali e specialmente delle cascate, e nel 1913 fu creato, col concorso del Governo, il grandioso Parco nazionale della Bassa Engadina.

E in Italia? Abbiamo accennato agli ordini del giorno votati dalla Camera e dal Senato e al disegno di legge Rosadi, e alle ragioni di pubblica economia che stanco a cuore al Presidente del Consiglio per mettere in valore le bellezze naturali, che furono in ogni tempo e sono il vanto e una della maggiore attrattiva dell'Italia nostra. Aggiungiamo adesso che si è discusso se la legge di tutela monumentale potesse estendersi, sic et simpliciter, alle bellezze naturali, ma l'Ufficio centrale del Senato fu di avviso contrario, considerando che per gli effetti legislativi che ne sarebbero derivati e pei mezzi di applicazione di quella legge si correva il pericolo di fare poco più di una semplice affermazione di principio. Fu, insomma, dello stesso parere del Senato francese, il quale, quando si discusse nel 1887 la legge relative à la conservation des monuments et objets d'art avants un inté éts historique et artistique, non credette comprendervi i blocchi erratici, in quanto che, se essi erano interessantissimi come fenomeni naturali non appartenevano né alla storia, né all'arte, e la logica del diritto richiedeva che fossero radiati dall'elenco dei monumenti. Tuttavia, in occasione di minacciate vendite di celebri ville, esistenti anche nel centro di Roma, per farne un'utilizzazione contraria alla loro destinazione, si volle almeno salvare subito queste, in attesa di provvidenze legislative generali per tutte le bellezze naturali; e fu presentata al Parlamento, e il Parlamento approvò, quella che ora è la legge 23 giugno 1912, n. 688 con la quale si estendono le disposizioni della legge di tutela monumentale a ville, parchi e giardini d'interesse storico e artistico.

Il disegno di legge si propone di tutelare le bellezze naturali e panoramiche, anzitutto imponendo l'obbligo ai proprietari, a norma dell'articolo 2, di presentare preventivamente alla Soprintendenza i progetti delle opere di qualsiasi genere che interessano gli immobili vincolati. E ciò, appunto, perché il Ministero sia posto in grado, dopo l'esame tecnico di tali progetti, di dare o di negare il permesso all'esecuzione dei lavori che si intende eseguire.

Ma la bellezza naturale o del paesaggio può essere alterata o danneggiata anche da lavori e segnatamente da nuove costruzioni che si tacciano fuori del perimetro degli immobili vincolati. Nel disegno di legge si è dovuto, quindi, inserire una disposizione speciale la quale valga ad impedire che il godimento delle bellezze naturali e panoramiche sia comunque impedito, che la vista ne sia ostacolata, che la prospettiva ne venga alterata, che nuove opere possano elevare come un sipario dinanzi alla bella scena paesistica o portare in essa una nota stonata e sgradevole.

Si è così sulla via tracciata da antichi provvedimenti, trasfusi poi in regolamenti edilizi e ancora in vigore. È noto che i rescritti borbonici del 19 luglio 1841 e 17 gennaio 1842 e 31 maggio 1853 vietavano di alzare fabbriche le quali togliessero amenità o veduta lungo la via di Mergellina, di Posillipo, di Campo di Marte, di Capodimonte; ed il regolamento edilizio della città di Napoli ne fece tesoro aggiungendovi anche il “Corso Vittorio Emanuele” da cui si scopre il golfo meraviglioso. Nulla di nuovo, quindi, si è escogitato nel presente disegno di legge allorché all'art. 4 si è disposto che l'autorità governativa, affinché non sia danneggiato il godimento delle bellezze naturali e panoramiche, ha facoltà di prescrivere la distanza, le misure e tutte le altre norme che si riterranno necessarie nei casi di regolamenti edilizi e di piani regolatori e di ampliamento, nonché nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni e impianti industriali.

Con le due disposizioni, or ora esaminate, nelle quali si riassume quasi tutta la economia della legge in rapporto ai diritti dei proprietari, nulla di più gravoso si stabilisce di quanto già è in vigore per la tutela dei monumenti. La differenza consiste nel non aver creduto di disporre diversamente (come nella legge 20 giugno 1909 n. 364) a seconda si tratti di cose appartenenti a persone giuridiche o a persone fisiche; e ciò perché non importa, agli effetti di una buona tutela delle bellezze naturali, che queste siano inalienabili quando sono di proprietà degli enti morali. Quel che importa è che non siano distrutte nè alterate, chiunque ne sia il proprietario.

Ma occorre che questi abbia avuta dal Ministero la notificazione dell'importante interesse della cosa da lui posseduta, appunto come impone la legge di tutela monumentale per le cose appartenenti a privati? Si, sebbene quando tale notificazione non sia per anco eseguita, il Ministero, il quale si accorge di lavori che possano distruggere o alterare la cosa, può mediante ingiunzione da farsi al proprietario dal prefetto della Provincia o dalla locale Soprintendenza, far sospendere i lavori iniziati.

Ma, fatta la notificazione, poiché non s'impone al proprietario di fare la denuncia degli eventuali trapassi di proprietà, come potrà il Ministero aver conoscenza del nuovo proprietario, e come si vorrà pretendere che il nuovo proprietario sia edotto del vincolo che, per effetto di quella notificazione, da lui probabilmente ignorata, grava sulla propria cosa? Ad ovviare agli inconvenienti che ne potrebbero derivare, si è provveduto che la notificazione su istanza del Ministero sia inscritta nei registri catastali e trascritta nei registri delle conservatorie delle ipoteche: così essa avrà efficacia in tutti i tempi nei confronti di ogni successivo proprietario. La utilità di questo provvedimento è d'intuitiva evidenza; e la mancanza di esso costituisce per la legge di tutela monumentale ed artistica del 20 giugno 1909, n. 364 una vera lacuna, da tutti lamentata, e che bisognerà presto colmare.

In che cosa dunque consistono le limitazioni al diritto di proprietà che s'impongono con questo disegno di legge? in una servitù per pubblica utilità, per la quale il proprietario è costretto a non fare o a fare in un certo modo che il Ministero approverà, o meglio consiglierà. In questo caso, ognun vede come la servitù abbia perduta ogni asprezza, in quanto potrà avvenire, come spesso è avvenuto pei monumenti, che il progetto delle opere da eseguirsi sia migliorato anche in confronto agli interessi economici del proprietario. Poiché, è bene tenere a mente questo: che nella, pratica tutto si riduce all'esame del caso per caso, esame che; fatto come dev'esser fatto senza preconcetti e priva la mente di ogni idea di sopraffazioni, si concreta in definitiva in un sistema di accordi e di reciproche intese, nel quale saranno contemperate le ragioni superiori della bellezza coi legittimi diritti dei privati. Né si dice che sia gravoso l'obbligo del proprietario a presentare alla competente Soprintendenza dei monumenti i progetti delle opere; giacché esso nulla ha di dissimile da quelli che impongono i regolamenti edilizi per la costruzione di nuovi fabbricati o per la modificazione dei vecchi e contro il quale nessuno ha mai protestato. E, d'altra parte, la nostra civiltà ha costituito una rete di simili obblighi, che risponde ad altrettante esigenze della vita moderna più complessa e sensibile.

Disposizione di ordine sussidiario devesi ritenere quella contenuta nell'art. 5 contro gli abusi della pubblicità industriale e commerciale, che anche in Italia, sebbene in minor misura che all'estero, deturpa paesaggi, e pur troppo, anche edifici monumentali. Da più tempo (prima della guerra) e da più parti si son levate voci di protesta sui giornali e alla Camera dei deputati contro il brutto andazzo di offendere ogni angolo sacro all'arte e alla storia con una lebbra di quadri mastodontici e cartelloni di tutti i colori, e pitture murali e scritte luminose, diffondenti spesso una nota di volgarità, talvolta anche di disgusto, col ricordo di malattie e d'imperfezioni umane. In tutte le Nazioni civili si è sentito il bisogno di provvedere energicamente contro codesti eccessi, e va segnalata sopra tutto la Francia, dove, pure esistendo sin dal 20 aprile 1910 una legge speciale che proibisce l'affissione di avvisi commerciali sui monumenti e nei siti pittoreschi, si credette necessario di colpire con tasse proibitive la esposizione di cartelloni fuori del perimetro di 100 metri dai centri abitati, e il 9 luglio fu approvata con 530 voti su 3 contrari, la legge, che impone una tassa annua proporzionata alla dimensione dei cartelloni e che da 50 lire al metro quadrato si eleva sino a 400!

Noi non si è voluto giungere tanto; ma si è voluto vietare semplicemente l'uso di cartelli e di altri mezzi di pubblicità i quali danneggiano l'aspetto e il pieno godimento delle bellezze naturali e di quelle panoramiche. E vogliamo sperare che il Parlamento approverà questa modesta disposizione, di cui da così lungo tempo si sente il bisogno, imperocché è davvero inammissibile che, per raggiungersi da una sola classe di cittadini una discutibile utilità, che, del resto, può essere raggiunta in vari altri modi, dall'affissione in luoghi autorizzati alla distribuzione di fogli volanti, alla inserzione nei giornali e alla lettera circolare, si deturpi un monumento o si oltraggi una bella scena paesistica, destinati entrambi al godimento di tutti. E non è neppure ammissibile che chi possiede un edificio monumentale, una bella villa, un terreno di per sé di grande bellezza paesistica, o vicino a paesaggi e parchi e monumenti pregevoli, per un piccolo interesse quale può essere quello dell'affitto per l'esposizione di avvisi réclame, affitto che costituisce un uso contrario alla normale destinazione della cosa, sopprima o degradi la vista, che è poi un bene collettivo, di cose belle che sono l'orgoglio del paese e spesso richiamano alla mente le glorie della nostra storia. A nessuno, insomma, può essere lecito anche nell'esercizio di un suo diritto, di danneggiare altrui, o tanto meno la collettività, senza un interesse veramente preponderante ed apprezzabile.

L'articolo 6 stabilisce la pena dell'ammenda per l'inosservanza degli obblighi stabiliti dal disegno di legge. Esso contempla, altresì, la comminatoria della procedura esecutiva per la remozione delle opere eseguite in contravvenzione alla legge stessa dando all'Amministrazione la facoltà di attuare direttamente e immediatamente l’interesse pubblico.

Non sembra necessario soffermarsi sulle disposizioni contenute nell'art. 7 del presente disegno. Esso riguarda gli organi, diremo, di vigilanza che, sparsi in tutto il territorio del Regno, dovranno segnalare alla Soprintendenza o al Ministero tutto ciò che si va proponendo o già si va attuando contro le bellezze naturali della loro circoscrizione; pei monumenti e per le opere di antichità e scavi bastano gli ispettori onorari e le Commissioni provinciali previste dall'art. 47 della legge 27 giugno 1907, n. 386; ma per vigilare in tutti gli angoli più remoti del territorio essi non sarebbero sufficienti e perciò si vuol ricorrere anche agli uffici comunali e provinciali, agli uffici dei dipartimenti forestali e del Genio civile e agli Uffici tecnici di finanza i quali tutti mediante le guardie campestri, le guardie forestali i cantonieri stradali, hanno modo di dare le più sicure e sollecite notizie sui pericoli che minacciano le cose che con questo disegno di legge si vogliono tutelare.

Onorevoli colleghi,

Nulla di eccessivo è nel disegno di legge che si sottopone al vostro esame - nulla che offenda o ferisca il diritto di proprietà o, come da taluni si teme, quello dell'attività industriale della nazione. Anzi quel che in fondo ad ogni disposizione risiede è la preoccupazione di costituire un sistema di accordi fra i privati e l'amministrazione delle Belle arti, e fra questa e le altre amministrazioni pubbliche affinché senza gravi sacrifici di ciò che è in cima a' pensieri di tutti, economia nazionale e conservazione del privilegio di bellezza che vanta l'Italia, siano composti con spirito di conciliazione i vari interessi contrastati.

Voi giudicherete e farete le vostre osservazioni, apportando quelle modifiche che la vostra esperienza crederà opportune e non lesive dei criteri che ispirano il presente disegno di legge, e sarà vostro vanto se in materia così ardua il Parlamento italiano avrà saputo sapientemente provvedere.

Il testo fu poi approvato, con lievi modifiche, e diede luogo alla legge 778/1922

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La presente iniziativa legislativa è ispirata in via esclusiva da uno schema redatto da Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sul progetto di legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso, modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano e Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti del cosiddetto “progetto di legge Lupi” (atto Senato n. 3519, XIV legislatura) che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella presente proposta di legge. Tra questi hanno espresso il loro consenso o formulato proposte di correzione e integrazione Piergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi e Francesco Indovina.

La presente proposta di legge ha l’ambizione di determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale in merito alle finalità, agli obiettivi, alla titolarità, ai caratteri essenziali, alle facoltà e alla efficacia, nonché ai procedimenti decisionali dell’attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la cui disciplina di dettaglio compete, fin dalle origini dell’assetto costituzionale repubblicano, alla legislazione regionale. Ciò sia al fine di tracciare alla produzione legislativa regionale un quadro di orientamenti unificanti, che garantiscano a tutto il territorio nazionale, alle sue risorse, ai suoi beni e valori, nonché a tutti i cittadini in esso dimoranti, l’eguaglianza dei livelli essenziali delle tutele e delle prestazioni offerte, sia al fine di supportare la medesima legislazione regionale, innanzitutto e soprattutto ove vi sia interferenza con questioni di riserva di legge nazionale, come, ad esempio, in merito alla “latitudine” delle facoltà connesse al diritto di proprietà. Già a norma del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione, nel testo entrato in vigore il 1°gennaio 1948, spettava alle regioni emanare, per le “materie” ivi elencate, tra le quali l’”urbanistica”, “norme legislative nei limiti dei princıpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni”.

Al momento della concreta costituzione delle regioni, al fine di consentire alle stesse di iniziare immediatamente a legiferare nelle “materie” di competenza (senza attendere l’emanazione di leggi statali enuncianti i “principi fondamentali” della disciplina di ognuna di esse) la legge 10 febbraio 1953, n. 62, dispose che la produzione legislativa regionale poteva svolgersi “nei limiti dei princıpi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti” (articolo 9, primo comma, come sostituito dalla legge n. 281 del 1970). Questa seconda possibilità implicò la necessità che le regioni si impegnassero a sceverare i contenuti ai quali riconoscere la natura di “principi fondamentali”, relativamente alla materia denominata “urbanistica”, nell’ambito delle disposizioni, essenzialmente, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.

Con il tempo, l’accezione del termine costituzionale “urbanistica” è stata evolutivamente riconosciuta assai larga dalla dottrina, dalla giurisprudenza e anche dal diritto positivo: basti citare, per quest’ultimo, la definizione data dall’articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, per cui l’”urbanistica” concerne “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. L’atto con forza di legge avvicinava il lemma “urbanistica” a quello di “governo del territorio”, ancorché esso potesse e può tuttora avere un significato ancora più vasto.

Nei fatti, relativamente a non pochi degli argomenti che la definizione riportata riconduce nell’ambito dell’“urbanistica”, la legislazione statale si è arricchita, dopo la concreta costituzione delle regioni, e ancora più dopo l’enunciazione della suddetta definizione, di provvedimenti più o meno integralmente innovativi: per esempio sulla difesa del suolo, sulle aree naturali protette, sulle trasformazioni edilizie, sulle espropriazioni di immobili e sulle opere pubbliche.

Per converso, ancora prima della concreta costituzione delle regioni (ma avendo ben chiara la sua imminenza), iniziarono i tentativi di definire leggi statali innovative, relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica; tentativi che si sono succeduti, fino a tempi recentissimi, seppure con variabile intensità di frequenza, senza successo. Fa eccezione la cosiddetta “legge ponte” n. 765 del 1967 (che, anziché costituire una tappa intermedia del percorso di costruzione di una nuova legge urbanistica, si risolse e si esaurì nella più incisiva integrazione e modificazione della legge n. 1150 del 1942), e fanno eccezione le leggi essenzialmente rivolte a innestare e a fondare sulla pianificazione le politiche finalizzate a dare risposta alle esigenze di edilizia abitativa economica e popolare, nonché la legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che, per ricordare soltanto i suoi contenuti più significativi, generalizzava l’obbligo posto a carico degli operatori delle trasformazioni di immobili di contribuire alle spese di impiantistica del territorio e introduceva l’istituto della programmazione nel tempo degli interventi previsti e disciplinati dalla pianificazione).

La presente proposta di legge nasce quindi dalla convinzione dell’urgenza, non ulteriormente dilazionabile, di provvedere a determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui si è detto all’inizio di questa relazione, per i fini ivi enunciati, seppure sinteticamente.

Si avverte, infatti, forse più che nel periodo ultraquarantennale del quale dianzi si è tracciato il ricordo, la necessità, che si vorrebbe fosse riconosciuta tra le priorità nazionali, di rilanciare la cultura (e la prassi) della pianificazione territoriale e urbanistica, quale attività relativa a un patrimonio comune non negoziabile (in quanto, tipicamente, non riproducibile e non fungibile), di titolarità irrinunciabilmente pubblica, volta al perseguimento esclusivo, o almeno prioritario, di interessi collettivi, neppure essi tra loro “equiordinati”, ma piuttosto gerarchizzati secondo un ordine che veda la priorità della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale dello stesso territorio, da preservare anche per le generazioni future.

È sufficiente l’enunciazione dei concetti espressi circa le finalità e i caratteri della pianificazione territoriale e urbanistica per evidenziare come i contenuti della presente proposta di legge siano radicalmente in controtendenza rispetto alla “cultura” (e alla prassi) via via sempre più protervamente affermatasi a partire dagli anni ’80, e che stava, nella scorsa legislatura, per ricevere la sua consacrazione in termini di “princıpi fondamentali della legislazione dello Stato” grazie al citato disegno di legge noto, dal nome del suo presentatore, come “legge Lupi”, approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005, trasmesso al Presidente del Senato della Repubblica il giorno successivo (atto Senato n. 3519), e in tale ramo del Parlamento fortunatamente (e grazie all’impegno di alcuni, pochi, senatori) arenatosi.

È, per converso, doveroso riconoscere che la presente proposta di legge rinuncia a priori a configurarsi come la legge statale organica nella materia che il terzo comma dell’attuale articolo 117 della Costituzione denomina “governo del territorio”. Ciò in ragione del fatto che una concezione adeguatamente matura della nozione di “governo del territorio” non può non comprendervi, in tutto o in parte, materie che lo stesso terzo comma del novellato articolo 117 della Costituzione enumera, assieme al suddetto “governo del territorio”, tra quelle parimenti di legislazione concorrente quali: protezione civile; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Come non può non ricomprendervi anche, almeno in parte, materie nelle quali lo Stato ha “legislazione esclusiva”, e cioè la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Un provvedimento legislativo statale effettivamente “organico” dovrebbe quindi trattare unitariamente tutte le materie che sono state richiamate, dettando solamente “princıpi fondamentali“ in quelle “di legislazione concorrente“ (salvo stabilire anche disposizioni direttamente operative destinate ad avere vigore sino alla definizione di quelle correlative regionali), statuendo sia disposizioni immediatamente vincolanti erga omnes che precetti richiedenti l’intervento specificativo della legislazione regionale in quella che la ricordata dottrina della Corte costituzionale ha chiamato una “materia-attività”. È possibile si riesca a pervenire ad emanare un siffatto provvedimento legislativo statale, nonostante le gravosissime difficoltà tecniche (per non fare neppure cenno a quelle politico-istituzionali), ma oggi tale possibilità è remota.

La proposta di legge che qui si presenta concerne quindi il solo campo della pianificazione urbanistica e territoriale come, del resto, la medesima “legge Lupi” e gran parte delle leggi regionali che recano, invece, il titolo di “governo del territorio”. Ciò non significa peraltro che, nel definire finalità, strumenti e procedure della pianificazione non si sia tenuto conto di un insieme di princıpi che – si ritiene – dovranno ispirare l’insieme degli atti normativi relativi al “governo del territorio”.

Il governo del territorio, qualunque sia lo specifico campo al quale si riferisce, viene esercitato ponendo come obbiettivi di ogni atto di conservazione e di trasformazione il benessere dei cittadini, il miglioramento delle condizioni di qualità, sicurezza e fruibilità collettiva del territorio, dando priorità alla conservazione della natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risorse primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli spazi urbani, dell’architettura e delle infrastrutture. A tale fine gli obiettivi di conservazione, di tutela e di valorizzazione fanno parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di incidere sulle condizioni dell’ambiente urbano, del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale.

Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasformazione del territorio devono, pertanto, essere informate ai seguenti princıpi:

a) prevalenza dell’interesse generale su quello particolare e dell’interesse pubblico su quello privato;

b) attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario per la collettività;

c) promozione di un uso del territorio che favorisca l’equità e l’estensione della partecipazione e della democrazia;

d) consapevolezza del fatto che il territorio è un bene comune e che ogni azione compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere ispirata e compatibile con questo principio.

Le amministrazioni pubbliche che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

a) promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso: 1) l’offerta di spazi e di servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali; 2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi; 3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

b) sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura e dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

c) affermare il valore imprescindibile dell’unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali.

La presente proposta di legge, nel determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale in merito alla pianificazione del territorio, provvede doverosamente a recepire, per quanto di competenza della legislazione statale e con esclusivo riferimento alla medesima pianificazione del territorio, la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Tale recepimento non rappresenta un adempimento formale di un obbligo comunitario, ma trova ragione nella profonda adesione allo spirito della direttiva.

Il recepimento della direttiva è realizzato grazie ad una duplice opera. Sottolineando l’obbligo, nel corso del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione (articolo 11), di plurimi momenti di confronto con la cittadinanza, non limitandosi al tradizionale ricevimento delle osservazioni dei diversi soggetti ai documenti costitutivi dello strumento adottato, nonché dettando (articolo 16) specifiche disposizioni in merito all’effettuazione della valutazione degli effetti sull’ambiente.

È previsto, poi, che gli elaborati della pianificazione del territorio di competenza comunale, recepiti o specificati tutti i contenuti degli strumenti di pianificazione, e degli altri atti incidenti sulla disciplina del territorio, sovraordinati, ordinari, specialistici e settoriali, costituiscono la “carta unica del territorio”, cioè l’unico riferimento per la verifica di ammissibilità degli strumenti di specificazione attuativa e dei progetti delle trasformazioni (articolo 17). La citata direttiva comunitaria si realizza altresì con la previsione per cui i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato devono concorrere alla costruzione e alla gestione di un sistema informativo territoriale integrato (articolo 18).

Ribadito l’assunto fondamentale e irrinunciabile della titolarità pubblica della pianificazione del territorio (articolo 2, comma 1), si provvede: ad attribuire le competenze relative alla formazione degli strumenti di pianificazione ordinaria esclusivamente agli enti territoriali dotati di un organismo decisionale elettivo di primo grado nonché a ricondurre ai suddetti enti territoriali le competenze decisionali finali in merito agli strumenti di pianificazione specialistica e settoriale la cui predisposizione sia necessariamente affidata ad altre pubbliche autorità (articolo 2, commi 2 e 4).

È il caso di sottolineare (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni – nonché delle province e delle città metropolitane – deve essere operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza legislativa esclusiva (a norma della lettera p) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) di definizione delle funzioni fondamentali di tali enti territoriali. In conseguenza di ciò le regioni ordinarie sarebbero inibite nell’esercizio sostitutivo delle predette competenze pianificatorie rispetto a una delle indicate categorie di enti territoriali (essendo ciò invece legittimamente fattibile da parte delle regioni cui i relativi statuti speciali abbiano attribuito ogni determinazione in merito all’ordinamento e alle funzioni degli enti locali subregionali).

È inoltre, da altre disposizioni della presente proposta di legge (articolo 10, comma 1), ribadito e precisato il fatto che spetta alla legislazione regionale la puntuale specificazione delle pubbliche autorità competenti alla formazione dei diversi strumenti di pianificazione, nonché dei contenuti, della efficacia, degli archi temporali di riferimento e dei procedimenti di formazione dei predetti diversi strumenti di pianificazione. Vale la pena sottolineare come venga esplicitata un’accezione del principio di sussidiarietà effettivamente omogenea con quella presente nei trattati istitutivi dell’Unione europea. In forza di questa accezione, le competenze decisionali relativamente alle diverse scelte tipiche dell’attività pianificatoria devono essere attribuite al soggetto istituzionale che possa operarle con il massimo dell’efficienza e dell’efficacia, rispetto agli interessi dei cittadini amministrati, in ragione dell’ambito di incidenza delle scelte considerate e dei loro effetti (articolo 10, comma 2).

Quanto all’attività pianificatoria di competenza dello Stato, essa è sostanzialmente ricondotta a quella definizione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” che era già prevista dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 (successivamente abrogata dal decreto legislativo n. 112 del 1998) e relativamente alla quale vengono specificati sia i contenuti essenziali che la procedura decisionale (articolo 9).

Riaffermata la competenza degli strumenti di pianificazione a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, ivi comprese, salvo pochissime eccezioni puntualmente circoscritte, quelle indotte da atti e azioni delle pubbliche amministrazioni, si ribadisce il carattere, già riconosciuto dalla giurisprudenza pressoché costante, e certamente consolidata, nel sessantennio trascorso, di piena discrezionalità tecnica e politica dell’attività pianificatoria, comprensiva della possibilità di trasformazione precedentemente attribuita per determinati immobili o complessi di immobili o componenti territoriali, con l’unico limite di non incidere sulle facoltà riconosciute da un provvedimento abilitativo già rilasciato e, anche in questo caso, a condizione che tali facoltà siano state attivate entro un predeterminato periodo di tempo (articolo 3).

In piena coerenza concettuale con l’attribuzione in via esclusiva agli strumenti di pianificazione della competenza a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, l’istituto degli accordi di programma, previsto dall’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è ricondotto alla sua originaria, preziosissima funzione di strumento di coordinamento per l’attuazione di interventi che richiedano l’azione integrata e combinata di più soggetti pubblici, escludendo che essi possano comportare variazioni ai vigenti strumenti di pianificazione (articolo 12).

Si propone di riconoscere, per la prima volta nell’ordinamento legislativo della Repubblica, quali “diritti dell’uomo”: quelli all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché alla proprietà (articolo 4, comma 1).

La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (a norma della lettera m) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione), posta come fondamento dell’attribuzione alla legislazione statale del compito di determinare le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni (articolo 4, comma 2).

Anche ai fini del soddisfacimento dei diritti citati, è ribadito il principio per cui ogni trasformazione urbanistica deve concorrere al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria (articolo 5).

La prima e fondamentale disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge riguarda la finalità di contenere al massimo l’utilizzazione del territorio non urbanizzato, per realizzarvi nuovi insediamenti di tipo urbano, ovvero ampliamenti di quelli esistenti, nuove infrastrutture, ovvero attrezzature puntuali, e comunque manufatti diversi da quelli strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale. Perciò viene perentoriamente affermato (articolo 7, comma 1) che “Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. Vengono al contempo dettati (articolo 7, commi 2 e seguenti) i princıpi fondamentali da rispettare nella legislazione regionale per disciplinare le trasformazioni (fisiche e funzionali) ammissibili nel territorio non urbanizzato, riproponendo un modello di disciplina già sperimentato, seppure a diversi livelli di compiutezza e di rigore, ma comunque per consistenti periodi di tempo, in diverse regioni (Calabria, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, provincia autonoma di Bolzano) e quindi assunto come ottimale.

L’operazione è rafforzata dalla proposta (formulata dal comma 1 dell’articolo 19) di aggiungere alle categorie di elementi e di componenti territoriali qualificati ope legis quali beni paesaggistici ai sensi del comma 1 dell’articolo 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quella del “territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”.

La seconda disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge concerne il patrimonio edilizio storico. Riprendendo suggerimenti avanzati già dalle Commissioni istituite dal Parlamento o dal Governo, negli anni ’60, per elaborare proposte relative alla riforma della legislazione sui beni culturali e paesaggistici, nonché l’istanza posta da uno specifico disegno di legge presentato, due legislature or sono, dal Ministro dei beni e delle attività culturali, e assumendo come modello procedimentale quello definito, con riferimento ai beni paesaggistici, dalla parte terza del citato codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, vengono previsti (ex articolo 8) come beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, purché d’intesa con la competente soprintendenza:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non comprese nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

Si stabilisce altresì che, laddove le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati siano oggetto di disposizioni immediatamente cogenti definite dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane o delle regioni, d’intesa con la competente soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengano luogo delle speciali autorizzazioni dell’amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

La presente proposta di legge ribadisce la giurisprudenza della Corte costituzionale, definita a partire dalla storica sentenza 29 maggio 1968, n. 56, e brillantemente riassunta, in tempi relativamente recenti, dalla sentenza 20 maggio 1999, n. 179, relativamente ai casi in cui il problema di un indennizzo in conseguenza dell’apposizione di vincoli, cioè di limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, non si pone (articolo 13).

La presente proposta di legge si fa carico, altresì, di dare una soluzione reale e definitiva alla questione (si riportano virgolettate le espressioni della citata sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999) dell’”alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo” che si pone ove i vincoli “siano preordinati all’espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati”, i quali imprimano una destinazione di interesse pubblico a specifici immobili individuati discrezionalmente in un contesto di immobili aventi connotati sostanzialmente analoghi.

A tale questione si propone di dare una soluzione alternativa a quella individuata a partire dalla legge 19 novembre 1968, n. 1187, consistente nella fissazione di una “durata massima dell’efficacia del vincolo”. Si sostiene invece (articolo 14) che gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione e dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative devono essere utilizzati solamente per funzioni pubbliche o collettive. Si stabilisce altresì che valgano in tali casi le medesime disposizioni dettate per quelli di acquisizione pubblica secondo il modello dell’”espropriazione sostanziale” (assunte dai più maturi e organici approdi della giurisprudenza della Cassazione, alla quale si deve la definizione di tale modello, susseguente alla creazione giurisprudenziale della figura dell’”accessione invertita”).

È infine stabilito (articolo 15) che le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione di tipo attuativo specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni. Tali strumenti di pianificazione devono garantire la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono, essendo la partecipazione ai benefıci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici esistenti.

Si stabilisce anche che, nel caso di interventi, previsti dalla pianificazione, di particolare rilevanza urbanistica ed economica, nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, si possa dichiararne la pubblica utilità quale premessa dell’acquisizione pubblica dell’insieme degli immobili interessati.

Nel corso della elaborazione della proposta di legge si è più volte posto l’interrogativo sulla possibilità di evitare, con una legge ordinaria, la pratica devastante (malauguratamente posta in atto reiteratamente nell’ultimo decennio) di condonare le trasformazioni del territorio avvenute in difformità alla strumentazione urbanistica. I condoni edilizi sono stati, infatti, una delle maggiori cause della delegittimazione della pianificazione del territorio e, insieme alla cattiva pianificazione, della devastazione del patrimonio comune. Che senso ha – ci si è domandati – costruire un sistema di norme garantista dell’interesse collettivo se poi subentrano ulteriori condoni a svuotarne l’efficacia?

Si è ragionato sulla possibilità di inserire in una “legge di princıpi” norme che rendessero più efficace la repressione dell’abuso e più tassativo l’obbligo di riduzione in pristino.

Una maggiore efficacia delle norme repressive non è peraltro sufficiente a impedire al legislatore ordinario di non modificare le proprie determinazioni. Si è però ritenuto necessario limitarsi, in questa sede, ad auspicare un intervento del legislatore costituzionale che introduca, nelle modifiche alla Costituzione, una norma che esplicitamente faccia divieto agli organi di governo a tutti i livelli di promulgare a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione provvedimenti di condono di uso del territorio in deroga ai piani territoriali.

Testo degli articoli

CAPO I

FINALITÀ

ART. 1.

(Pianificazione del territorio).

1. La presente legge reca norme in materia di pianificazione del territorio.

2. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nell’ambito delle specifiche competenze.

3. La pianificazione del territorio è lo strumento fondamentale attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione denominata “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, nonché delle seguenti materie oggetto di legislazione concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo articolo 117 della Costituzione: protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, nonché di materie oggetto di legislazione esclusiva delle regioni, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo 117 della Costituzione, quali viabilità e opere pubbliche di interesse regionale e locale.

4. La pianificazione del territorio è altresì lo strumento attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della tutela del paesaggio ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione.

5. Relativamente a ogni aspetto delle materie di cui ai commi 3 e 4 non disciplinato dalle disposizioni della presente legge valgono i relativi atti normativi, nel rispetto delle competenze costituzionalmente garantite dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato.

6. La presente legge provvede altresì al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

ART. 2.

(Titolarità pubblica della pianificazione del territorio).

1. La pianificazione del territorio compete esclusivamente a pubbliche autorità.

2. La formazione degli strumenti di pianificazione del territorio spetta ordinariamente ai comuni, alle province, alle città metropolitane, alle regioni e allo Stato.

3. Il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, è operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza esclusiva di definizione delle funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane.

4. La legislazione dello Stato e quella regionale possono attribuire competenze nel campo della formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette, all’erogazione di servizi di interesse collettivo e similari, ad altre autorità pubbliche, con la concorrenza di diversi enti territoriali, fermo restando che anche in tali casi la competenza decisionale finale spetta all’ente territoriale nella cui circoscrizione rientra l’intero ambito oggetto dello specifico strumento di pianificazione.

5. La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, specificano i casi di prevalenza degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale di cui al comma 4 sugli ordinari strumenti di pianificazione e le modalità di adeguamento di questi ultimi alle disposizioni specialistiche o settoriali. Sono altresì specificati i casi in cui il raggiungimento di intese con le autorità pubbliche competenti conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni le valenze e le efficacie dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

ART. 3.

(Strumenti di pianificazione).

1. Gli strumenti di pianificazione sono rivolti a regolare le trasformazioni, fisiche o funzionali, del territorio e degli immobili che lo compongono nonché a conferire loro coerenza, in relazione alla loro collocazione nello spazio e alla loro successione nel tempo.

2. Gli atti e le azioni delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi a strumenti di pianificazione. Fanno eccezione unicamente gli atti assunti nei casi di straordinaria necessità con interventi urgenti utili alla difesa del territorio nazionale, alla prevenzione di calamità naturali e di catastrofi o al ripristino dell’equilibrio preesistente a tali eventi.

3. Le facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili non possono essere annullate o modificate da sopravvenuti strumenti urbanistici quando le medesime trasformazioni sono state attuate sulla base di uno specifico provvedimento abilitativo e poste in essere secondo i tempi previsti dalla normativa in materia.

ART. 4.

(Diritto alla città e all’abitare).

1. La pianificazione assicura che l’impiego delle risorse territoriali non ne comprometta la consistenza. L’utilizzazione di tali risorse è garantita in condizioni equi- valenti a tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché al diritto di proprietà.

2. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la legislazione dello Stato determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurati negli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.

3. In particolare, il comune, per ridurre le condizioni di disagio abitativo, definisce, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione, le localizzazioni e le modalità realizzative per ampliare l’offerta di edilizia sociale.

ART. 5.

(Oneri della trasformazione urbanistica).

1. L’attività di trasformazione urbanistica presuppone l’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie per la mitigazione ambientale.

2. Ogni trasformazione urbanistica concorre alla copertura degli oneri relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste.

3. La legislazione regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti che ne sono sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da pervenire a un equilibrio tra somme introitate dal comune e oneri da sostenere. Le opere di urbanizzazione generale sono ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sulla base dell’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.

ART. 6.

(Partecipazione e condivisione delle conoscenze).

1. La partecipazione dei cittadini alla formazione delle scelte della pianificazione del territorio è condizione essenziale per la loro efficacia. Essa ha la sua necessaria premessa nella condivisione di tutte le informazioni riguardanti il territorio, la pianificazione e le trasformazioni.

2. Gli enti pubblici promuovono la costituzione di strutture atte a garantire la diffusione di esaurienti e adeguate forme di conoscenza continua e di monitoraggio attinenti ai processi di pianificazione e di trasformazione urbane, nelle loro premesse, formazione e attuazione.

ART. 7.

(Contenimento dell’uso del suolo e tutela delle attività agro-silvo-pastorali).

1. Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.

2. Le leggi regionali assicurano che, sul territorio non urbanizzato, gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, demolizioni e ricostruzioni o consistenti ampliamenti di edifici, se non strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all’estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalla legislazione vigente in materia.

3. Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma 2 sono assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali è prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale è assentita la trasformazione.

4. Le leggi regionali stabiliscono l’impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici, o di loro parti, attivando utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente all’estensione richiesta per la trasformazione ammessa.

5. Le leggi regionali disciplinano, altresì, le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e di risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e di ricostruzione.

6. Le leggi regionali prevedono la demolizione senza ricostruzione dei manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici, qualora tali manufatti perdano la destinazione originaria.

7. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre ulteriori limitazioni, fino alla totale modificalità, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico e storico-testimoniale del patrimonio edilizio esistente.

ART. 8.

(Tutela degli insediamenti storici).

1. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, per effetto dell’individuazione operata dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come beni culturali:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non compresa nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

2. Resta ferma la competenza dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali di integrare le individuazioni operate dagli strumenti di pianificazione ai sensi del comma 1 con propri provvedimenti amministrativi.

3. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati al comma 1 sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, definite ai sensi della legislazione regionale. Qualora tali trasformazioni siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive definite di intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni hanno luogo delle speciali autorizzazioni dei competenti organi del medesimo Ministero richieste ai sensi della legislazione vigente in materia.

CAPO II

STRUMENTI E PROCEDURE

ART. 9.

(Linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale).

1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro delle infrastrutture, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento ogni tre anni, nonché quando se ne presenti la necessità.

2. Nella formazione delle linee fondamentali di cui al comma 1 è inserito e reso coerente il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale e, in particolare, il piano dei trasporti, il piano energetico, i piani delle aree naturali protette e i piani paesaggistici.

3. Ai fini della formazione delle linee fondamentali di cui al comma 1 si tiene altresı` conto della normativa e delle altre deliberazioni emanate dall’Unione europea comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

ART. 10.

(Strumenti e atti di pianificazione).

1. Le leggi regionali stabiliscono l’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti e, in particolare, per ciascuno di essi:

a) la pubblica autorità competente, in base ai princıpi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;

b) i contenuti, l’efficacia, l’arco temporale di riferimento e le modalità di attuazione;

c) le procedure di formazione.

2. È attribuita alla pianificazione provinciale e regionale la competenza relativa alle scelte per le quali il livello comunale e, rispettivamente, provinciale, non è adeguato a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. Il presente comma si applica, in particolare, per gli interventi di riordino delle aree conurbate, che devono essere attuati promuovendo il contenimento della dispersione insediativa.

ART. 11.

(Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione).

1. Le leggi regionali, in relazione alla natura degli strumenti di pianificazione e delle trasformazioni da questi disciplinate, stabiliscono, oltre a quanto espressamente previsto dall’articolo 16, le procedure di formazione dei piani specialisti di settore di cui all’articolo 9, comma 2.

2. Le scelte oggetto degli strumenti di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e da atti amministrativi nonché dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione.

3. Precedentemente all’adozione degli strumenti di pianificazione, deve essere assicurata la partecipazione al processo di definizione delle relative scelte degli enti territoriali competenti alla definizione degli atti amministrativi, con particolare riferimento agli strumenti di pianificazione sovraordinati, nonché di qualsiasi altra autorità responsabile della tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

4. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del processo di formazione degli strumenti di pianificazione; a tale fine devono essere stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.

5. Nel provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione, l’amministrazione procedente illustra il modo in cui ha tenuto conto dei pareri espressi dalle altre amministrazioni nonché dei risultati delle consultazioni dei cittadini previsti dal comma 4.

6. Successivamente al provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurato un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prendere visione degli strumenti di pianificazione adottati e presentare una formale osservazione.

7. A decorrere dalla data di adozione degli strumenti di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, in contrasto con i predetti strumenti, ovvero tali da comprometterne o da renderne più gravosa l’attuazione. Può essere previsto che, anche in fasi antecedenti del processo di formazione degli strumenti di pianificazione, gli atti amministrativi appartenenti a tale processo possano inibire l’effettuabilità di determinate trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte che si intendano assumere.

8. Deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e con gli strumenti di pianificazione sovraordinati, mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza delle amministrazioni interessate.

9. Nel provvedimento di approvazione, l’amministrazione procedente deve controdedurre alle osservazioni pervenute, motivando le determinazioni assunte.

10. Le eventuali variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente giustificate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.

ART. 12.

(Accordi di programma).

1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, di programmi di intervento, di opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richiedano l’azione integrata e coordinata di comuni, province, città metropolitane, regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. Gli accordi di programma previsti dal comma 1 sono stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente.

3. Gli accordi di programma stipulati ai sensi del presente articolo che prevedono la partecipazione di soggetti privati devono rispettare i princıpi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti, nonché dimostrare l’interesse pubblico alla loro realizzazione.

ART. 13.

(Vincoli di tutela).

1. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili considerati, sotto il profilo dell’interesse culturale, oppure sotto il profilo delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

2. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovano in predefinite relazioni con altri immobili, ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti e di altri luoghi di pubblico interesse.

3. Non danno, altresì, luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.

ART. 14.

(Vincoli a contenuto espropriativo).

1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportano la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle citate disposizioni.

2. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 1, gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente. I proprietari di tali immobili hanno diritto a una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi della legislazione vigente in materia, con riferimento al momento del perfezionamento del loro acquisto da parte del soggetto pubblico. Tale diritto si estingue ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile. Tale somma è rivalutata di anno in anno con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati accertate dall’Istituto nazionale di statistica. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto, fino alla data di liquidazione.

3. Gli strumenti di pianificazione possono stabilire che non si applicano le disposizioni di cui al comma 2 quando l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili, anche se per funzioni pubbliche o collettive, non comporti necessariamente la loro preventiva acquisizione e la loro gestione, da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni gestibili nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, anche se regolata da convenzioni che garantiscono gli obiettivi di interesse generale.

ART. 15.

(Attuazione degli strumenti di pianificazione).

1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specifica unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni.

2. Gli strumenti di cui al comma 1 garantiscono la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono. La partecipazione ai benefıci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli nonché degli edifici eventualmente esistenti.

3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dai piani relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali è coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il comune può dichiararne la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.

ART. 16.

(Procedure di valutazione).

1. Gli strumenti di pianificazione sono soggetti alla valutazione ambientale durante il loro procedimento di formazione, ad esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, la valutazione ambientale non è necessaria.

2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti sull’ambiente delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante l’elaborazione e prima dell’adozione dei suddetti strumenti.

3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e con il minore impatto negativo sull’ambiente. A tale fine, ove necessario, devono essere sottoposte a confronto le proposte alternative.

4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:

a) del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione raggiunti alla data di adozione dello strumento di pianificazione;

b) dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;

c) della fase in cui gli strumenti di pianificazione si trovano nel processo decisionale;

d) della misura in cui taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio.

5. Le leggi regionali assicurano che:

a) qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea, siano previste adeguate forme di consultazione con tale Stato;

b) qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, la consultazione sia allargata alle autorità responsabili della tutela dell’ambiente e agli enti territoriali della medesima regione.

6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tale fine le regioni, o gli enti da esse delegate, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali sono evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.

7. Al fine di perseguire un’uniforme applicazione della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è adottato uno specifico atto di coordinamento recante criteri e linee guida per lo svolgimento della valutazione ambientale.

ART. 17.

(Carta unica del territorio).

1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da disposizioni di legge. Essa costituisce la carta unica del territorio e rappresenta l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.

ART. 18.

(Sistema informativo territoriale).

1. I comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato, singoli o associati, partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione e per la verifica dei loro effetti.

2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:

a) l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio;

b) la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;

c) la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazione del territorio.

3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.

CAPO III

NORME TRANSITORIE E FINALI

ART. 19.

(Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).

1. Anche ai fini del contenimento dell’uso del suolo previsto dall’articolo 7 della presente legge e della conservazione del paesaggio aperto, per il contributo che esso fornisce a uno stabile assetto del territorio, al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 142:

1) al comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

“m-bis) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”;

2) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

“4-bis. I comuni, di intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell’ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui al comma 1, lettera m-bis).

4-ter. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 4-bis, il territorio di cui al comma 1, lettera m-bis), coincide con l’insieme delle zone comprese nella lettera E) dell’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti.

4-quater. L’utilizzazione del territorio di cui al comma 1, lettera m-bis), al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali, può essere definita ammissibile, nei nuovi strumenti di pianificazione, di intesa con la competente soprintendenza, soltanto ove non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti”;

b) al comma 2 dell’articolo 143 è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

“i-bis) previsione degli obiettivi e degli strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato nel territorio di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m-bis)”.

2. Nel territorio individuato ai sensi della lettera m-bis) del comma 1 dell’articolo 142 del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, introdotto dal comma 1, lettera a), numero 1), del presente articolo, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai princıpi fondamentali dettati dalla presente legge nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio, fatta eccezione per le modificazioni finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La riforma del governo del territorio è tra le più urgenti e necessarie per la modernizzazione del Paese.

Con questa convinzione si presenta, come rappresentanti della maggioranza di centrosinistra, una nuova proposta di riforma nella attuale legislatura, che tiene conto dei tentativi di riforma maturati anche nella XIV legislatura.

Nella legislazione statale siamo infatti ancora fermi ai princıpi della legge n. 1150 del 1942, mentre la realtà delle cose è fortemente cambiata.

L’urbanistica di espansione si è arrestata, crescono le esigenze di recupero e di riqualificazione delle città esistenti (si pensi alla conversione delle aree industriali dismesse), aumenta l’esigenza di governare le trasformazioni con strumenti flessibili e non tramite rigide e impraticabili pianificazioni.

Anche alla luce del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione sussiste la competenza statale per una legge di soli princıpi che stabilisca contenuti generali e strumenti del governo pubblico del territorio. Princıpi che costituiscono appunto delle fondamenta, delle basi comuni, per l’esercizio dell’autonomia regionale, in una stagione in cui è ben avvertita l’esigenza di policies non stataliste, ma coerenti sul piano nazionale.

D’altra parte, l’ipotesi di una totale regionalizzazione delle competenze urbanistiche può ritenersi irrealistica e criticabile, anche alla luce dei lavori della Commissione parlamentare consultiva in ordine all’attuazione della riforma amministrativa e degli articoli 54-59 del decreto legislativo n. 112 del 1998, attuativo della "legge Bassanini” n. 59 del 1997.

In primo luogo, perché “i programmi innovativi in ambito urbano” nonché i grandi interventi infrastrutturali, i programmi di opere pubbliche statali, gli obiettivi principali di tutela ambientale e paesaggistica, culturale, di promozione dei valori dell’architettura e di difesa del suolo, richiedono certamente l’esercizio di funzioni statali. Occorre, al riguardo, considerare che l’ambiente e l’ecosistema sono attribuiti alla competenza esclusiva dello Stato unitamente alla materia “tutela della concorrenza”, il che, in una urbanistica sempre più procedimentalizzata e negoziale, non è certo irrilevante. Appartengono inoltre alla competenza esclusiva dello Stato il regime civilistico delle proprietà, oltre che il regime sanzionatorio.

In secondo luogo, perché tali competenze sussistono in tutti i Paesi europei, sebbene con differenti assetti organizzativi, e non vi è ragione per pervenire in Italia a diverse soluzioni. In terzo luogo, realisticamente, non è certo ragionevole lasciare alla scoordinata proliferazione di modelli regionali l’intero onere della riforma, con tempi e modi di attuazione inevitabilmente diversi: ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione vigente, il legislatore statale ha il dovere di offrire un quadro aggiornato e moderno di “princıpi” legislativi, abrogando la legislazione previgente, proprio per favorire l’esercizio consapevole delle prerogative regionali.

Non può poi essere trascurato che la riforma costituzionale del citato articolo 117 conserva nell’ambito della legislazione concorrente il “governo del territorio” e che, nonostante il fallimento della nuova riforma costituzionale della XIV legislatura, a seguito del referendum, vi è ampia convergenza tra le forze politiche e in Parlamento circa la necessità di riconoscere la competenza dello Stato sulle grandi reti infrastrutturali.

Per queste ragioni, non si può non essere favorevoli alla sollecita approvazione di una legge statale di soli princıpi per il governo del territorio con contestuale abrogazione delle leggi previgenti.

L’Italia deve individuare nella ricchezza e nelle peculiarità del proprio territorio, nelle bellezze naturali, nei giacimenti culturali, nelle filiere della qualità “glocale”, nella sinergia con il turismo, non già fattori di compatibilità con lo sviluppo economico, ma una vocazione centrale, un asset forte dello sviluppo del made in Italy.

L’Italia deve inoltre concentrare politiche, azioni e risorse in una grande opera di riqualificazione dell’esistente (dai centri storici alle aree industriali dismesse), frenando il consumo di nuovo territorio e perseguendo i fini primari della realizzazione delle grandi reti dei trasporti e della mobilità e delle nuove esigenze abitative proprie di una società aperta e integrata.

Nel merito della riforma legislativa un quadro di contenuti può dirsi da tempo definito e da più parti condiviso, come pure alcuni elementi di analisi.

D’altronde non sono mancati, nelle precedenti legislature, tentativi avanzati e maturi di riforma: tra questi è rilevante richiamare il testo elaborato del professor Paolo Stella Richter come pure, nella XIII legislatura, il “testo Lorenzetti”, sintesi di un articolato percorso di proposte di legge e di audizioni dei principali soggetti culturali, scientifici, istituzionali, economici operanti nel settore.

Nella XIV legislatura vi è stato un proficuo e comune lavoro intorno alla proposta di legge dell’onorevole Lupi (atto Camera n. 103) di cui tuttavia non abbiamo condiviso carenze e omissioni e un’inaccettabile equiparazione del ruolo del pubblico e del privato anche nelle scelte di programmazione.

Contributi rilevanti ai temi della riforma, sotto molti profili, sono negli anni recenti pervenuti dall’intensa attività dell’Istituto nazionale di urbanistica, con riflessi disciplinari e legislativi ampiamente sperimentati a livello regionale e comunale.

Si osserva, nel dibattito politico, che la legge nazionale di princıpi potrebbe essere di modesto rilievo perché, ormai, la riforma del governo del territorio è già stata fatta dai legislatori regionali.

Se si ha riguardo alla legislazione regionale recente in effetti l’obiezione può apparire fondata poiché molte regioni italiane si sono dotate di propri modelli spesso innovativi e non privi di una coerente sistematicità , sicché una legge nazionale di princıpi non può non avere una natura ricognitiva di princıpi già affermati a livello regionale e, anche, negli ambiti dell’autonomia comunale.

Ma, se si riflette più a fondo, questa natura “ricognitiva” della legislazione di princıpi non deve intendersi come un limite quanto piuttosto, ex adverso, come una conseguenza naturale dell’attuazione del principio di sussidiarietà verticale che predilige lo svolgimento delle funzioni di governo e dunque anche delle scelte legislative, al livello più basso nella scala territoriale.

Questa considerazione non si traduce però in un compiacimento per un certo, diffuso, “federalismo dell’abbandono”, in cui i diversi attori si muovono in solitudine secondo schemi autoreferenziali, meramente rivendicativi di competenze e spesso competitivi.

Nello svolgimento delle politiche di governo del territorio è anzi necessario che tutti gli attori siano in campo: tutti, anche lo Stato.

È agevole constatare l’utilità di questo diverso modello in materia di infrastrutture, di ambiente, di paesaggio e di regole generali sulle proprietà e sulla concorrenza.

Ciò significa che la legge di princıpi fondamentali deve farsi carico di questa visione nazionale, non statale, delle diverse questioni e non deve rinunciare, sulla base dell’assetto costituzionale, a scelte innovative e non meramente ricognitive di princıpi desunti dalla legislazione regionale.

In sintesi non è forse inutile ricordare che in Italia l’urbanistica e il governo pubblico del territorio hanno conosciuto, in specie negli anni sessanta e settanta, un forte scontro ideologico con connotati peculiari rispetto ad altri Paesi.

Si è affermata, in sostanza, una concezione dell’urbanistica come disciplina di tutte le trasformazioni, gestione e usi del territorio e degli interessi plurimi e diversi che in esso hanno sede (“panurbanistica”) e si è ampiamente ritenuto che gli strumenti urbanistici fossero deputati a perseguire fini politici generali.

Si è determinato un notevole conflitto sia all’interno dei diversi soggetti istituzionali titolari di interessi radicati sul territorio sia tra questi e i soggetti privati (basti pensare alle vicende irrisolte del regime giuridico delle espropriazioni, dei vincoli, della disciplina generale dei suoli edificabili).

Negli anni ottanta, a fronte di una crisi evidente anche sul piano disciplinare dell’urbanistica e ad un parziale arresto della logica dell’espansione edificatoria, si sono affermate le politiche di deregulation o, meglio, di deroga ai piani (localizzazione con legge di opere pubbliche, meccanismi di intese Stato-regioni ai sensi dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, promozione delle “varianti automatiche” anche attraverso i nuovi istituti della "conferenza di servizi" e degli “accordi di programma”).

L’effetto di tali politiche, unitamente alle nuove tendenze legislative volte ad affermare la preminenza dell’ambiente sull’urbanistica (vedi leggi n. 183 del 1989, n. 305 del 1989, piani paesistici, eccetera), è stato quello di determinare la crisi irreversibile del sistema di pianificazione del territorio delineato dalla legge fondamentale n. 1150 del 1942, sostituendo surrettiziamente al criterio ordinatore della “gerarchia tra i piani” quello della “gerarchia degli interessi”, di volta in volta emergenti.

Peraltro, dinanzi alla stagnazione della riforma legislativa, occorre prendere atto di un fenomeno fortemente innovativo, nella forma e nella sostanza, degli anni recenti: l’affermazione di politiche governative finalizzate al recupero e alla riqualificazione urbana e ambientale, condotte attraverso decreti ministeriali anziché atti legislativi.

Trattasi delle politiche statali variamente intitolate ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio, ai patti territoriali, ai contratti di quartiere e ai programmi integrati di intervento (questi ultimi anche regionali).

In effetti queste politiche, caratteristiche dell’esperienza più recente, hanno in comune una accentuata eterogeneità dei fini (recupero, riqualificazione, nuove costruzioni) e dei mezzi (attivazione di risorse pubbliche e private).

Esse hanno il merito di affermare una visione integrata e sostenibile delle azioni sul territorio secondo una logica, per così dire, di "piano-progetto", innovando rispetto alla tradizionale scissione tra pianificazione territoriale e programmazione attuativa.

Pur tuttavia permangono molti e rilevanti punti di tensione irrisolti: primi tra tutti, il rapporto con il sistema di pianificazione ordinario e il rispetto dei princıpi di concorsualità e di trasparenza nella scelta dei partner privati per l’esecuzione delle opere pubbliche.

La stagione che potremmo definire dell’“urbanistica dal basso” o dell’”urbanistica per bandi” non sembra in grado di risolvere interamente i principali nodi concettuali e giuridici.

In particolare, occorre dare maggiore stabilità ed efficacia giuridica alle intese e agli accordi tra enti pubblici, evitando la proliferazione dei “piani per visioni”, spesso frustranti e dispersivi delle risorse pubbliche, e orientando le politiche alla selezione delle “azioni vincenti” e sostenibili nella realizzazione: le best practices sono utili, ma non sufficienti.

È necessario un nuovo approccio ai problemi del settore in grado di razionalizzare le principali esperienze regionali e comunali e di giovarsi della dottrina, delle competenze disciplinari e delle analisi che sono emerse nell’intenso dibattito degli anni recenti, pervenendo a un profondo rinnovamento di nozioni, teorie e istituti sul piano giuridico e disciplinare.

Occorre riaffermare la necessità, di principio e tecnico-operativa, di un razionale sistema di pianificazione del territorio senza indulgere in posizioni apologetiche del piano e correggendo gli eccessi statalisti (o comunali) del passato e del presente.

Un tale impegno, che non si attua solo in via legislativa, è ovviamente condizione indispensabile anche al fine del rilancio dell’economia nel settore edilizio e delle opere pubbliche e della promozione di uno sviluppo ambientalmente sostenibile.

La direzione di marcia emersa dalle esperienze degli anni più recenti e dalle proposte di riforma culturalmente più mature è ben chiara.

Legge di princıpi e revisione normativa; programmazione solo strategica e di coordinamento a livello regionale; principio di copianificazione, sulla scorta dell’esperienza francese, per rendere più efficace il coordinamento intersoggettivo; nuovo piano territoriale provinciale fondato sul sistema ambientale (invariante cogente) e sul sistema delle infrastrutture e dei servizi; incentivazione delle aggregazioni tra comuni e delle azioni di marketing territoriali; revisione della pianificazione comunale attraverso l’affermazione del principio della non obbligatoria estensione del piano regolatore all’intero territorio comunale e la nuova articolazione in piano strutturale-direttore, non vincolistico e di medio periodo, e piano-progetto operativo, vincolistico e, in alcuni modelli, legato al mandato politico-amministrativo; integrazione preventiva di tecniche di tutela ambientale nella pianificazione urbanistica (principio di sostenibilità ambientale); marginalizzazione, per quanto possibile, dell’esproprio e dei vincoli preordinati; perequazione tra le proprietà inserite nei comparti di trasformazione; una più netta distinzione tra regime degli interventi sull’edificato e opere nuove (le regole per gli interventi minori sul costruito non possono essere le stesse dell’urbanistica di espansione e di riqualificazione intensiva); abbandono dell’attuale logica quantitativa degli standard, in mille modi derogata, in favore di standard prestazionali o reali, ossia di volta in volta valutati nell’ambito del piano-progetto operativo o nel piano comunale dei servizi e delle infrastrutture; superamento dell’antica logica dello zooning monofunzionale; determinazione di regole per la disciplina del procedimento di negoziazione urbanistica, anche ai fini dell’attuazione del piano-progetto operativo, garantendo trasparenza, partecipazione e par condicio concorsuale tra gli operatori; eliminazione della commistione tra opere di urbanizzazione realizzabili direttamente e a scomputo degli oneri di concessione e le opere pubbliche maggiori, la cui progettazione e costruzione devono essere soggette, sopra soglie determinate, alle regole delle gare comunitarie degli appalti; semplificazione amministrativa delle procedure; un nuovo approccio basato su un’”amministrazione per risultati” e una “pianificazione per obiettivi” coerente con il principio della separazione delle funzioni tra organi politici e responsabili della gestione amministrativa; una più ampia previsione dei nuovi strumenti di partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche, superando sia il ristretto istituto delle “osservazioni” successive all’adozione sia il divieto di partecipazione posto dall’articolo 13 della legge n. 241 del 1990.

I temi indicati costituiscono elementi dell’esperienza di “riforma dal basso”, variamente praticata dalle regioni e dagli enti locali pur in presenza di una legislazione statale ormai antica e inadeguata.

Si tratta dunque di rinnovare la dogmatica dell’urbanistica di tradizione e di affermare i nuovi princıpi.

I princıpi di “sussidiarietà, adeguatezza, autonomia e copianificazione”, necessari per la definizione di efficaci sistemi di pianificazione e di adeguate procedure per la formazione degli strumenti; il principio di “equità” con la definizione di strumenti generali « strutturali », vale a dire non prescrittivi, non vincolistici (se non per i vincoli ricognitivi per i quali va confermata la atemporalità e la non indennizzabilità) e non conformativi dei diritti proprietari, e di strumenti “operativi” prescrittivi, vincolistici e conformativi, basati, in via ordinaria, su modalità attuative perequative e solo in via eccezionale su modalità espropriative; il principio di “sostenibilità”, a cui riferire ogni processo di trasformazione territoriale, con la limitazione del consumo di suolo extraurbano non accompagnato da adeguate misure di compensazione ecologica, la subordinazione delle trasformazioni ad una adeguata mobilità di massa e la limitazione del traffico automobilistico individuale, la diffusione della compensazione ambientale come strumento fondamentale della gestione territoriale; il principio della “partecipazione”, per garantire la massima trasparenza e democrazia nella formazione delle decisioni; il principio di “trasparenza” della concorsualità nei procedimenti di negoziazione urbanistica.

Siamo peraltro convinti che le amministrazioni che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

a) promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso:

1) l’offerta di spazi e di servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali;

2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi;

3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

b) sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura, dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

c) affermare il valore imprescindibile dell’unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali.

La presente proposta di legge nasce dunque dal contenuto della vasta sperimentazione riformistica degli anni recenti, perseguita da Governi di diversa connotazione politica, a dimostrazione della sussistenza di un campo di esigenze ampiamente condiviso tra le diverse forze politiche, pur nella diversità delle soluzioni.

Il capo I è dedicato ai diversi ambiti di competenza statale: esclusiva, in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e di regime delle proprietà, in materia di tutela della concorrenza nonché nella definizione dei livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali dei servizi; concorrente, nella definizione dei principi del governo del territorio e dei princıpi ispiratori di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, efficacia, efficienza, economicità, imparzialità e semplificazione dell’azione amministrativa.

Il capo II della proposta di legge puntualizza le competenze statali incidenti in materia urbanistica nell’intento di offrire un quadro unitario e realistico delle diverse politiche territoriali.

In coerenza con la legislazione più recente in materia di lavori pubblici, viene tuttavia affermata l’esigenza di una più specifica precisazione dell’esercizio coordinato delle funzioni statali, attraverso la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, e la necessità di valorizzare il ruolo tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici, da intendere quale conferenza di servizi ad impronta federalista.

Viene altresì affermato il principio, che deve essere svolto in coerenza dalle legislazioni settoriali, del raccordo delle tutele cosiddette "separate" (parchi, autorità di bacino, sovrintendenze e altri soggetti pubblici titolari di interessi pubblici) con gli atti di pianificazione urbanistica con l’obiettivo esplicito di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione.

È necessario affermare una visione unitaria del governo del territorio.

Il capo III specifica i princıpi fondamentali del governo del territorio con un’attenzione rilevante per le principali innovazioni culturali e disciplinari emerse negli anni recenti.

L’articolo 4 richiama il fondamentale principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, principio di rango costituzionale, nonché il criterio di riserva amministrativa degli atti di governo del territorio in capo ai comuni, definiti soggetti primari nel governo del territorio.

Viene in tale modo rimosso il principio di rigida gerarchia dei piani, che caratterizza la legge n. 1150 del 1942, lasciando agli enti territoriali e alla regione un’ampia libertà di autodeterminazione.

L’articolo 5 definisce il governo del territorio una “funzione pubblica” che si attua “attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica”.

Si evidenziano, in tale modo, la natura inevitabilmente pubblicistica della funzione e, nel contempo, la flessibilità e l’articolazione dei mezzi e degli strumenti (urbanistica negoziale, programmazione partecipata, società di trasformazione urbana, eccetera), superando gli anacronistici caratteri di unilateralità e di autoritativa tipici degli atti urbanistici tradizionali.

Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalle leggi e al perseguimento “dell’interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte”. Devono essere evidenziate altre due rilevanti innovazioni. La prima riguarda la pianificazione, definita “la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio”, con ciò superando le tradizionali nozioni. Vengono inoltre indicati due distinti livelli: gli atti di contenuto strategico strutturale che non hanno efficacia conformativa delle proprietà e gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, che disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà, ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione.

Il comma 5 del medesimo articolo 5 determina una scelta di grande rilievo: viene stabilito, risolvendo in larga misura una vexata quaestio, che il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente e che le regioni stabiliscono i casi ulteriori di edificabilità , per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.

In coerenza con la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, e rinviando all’autonomia delle regioni le scelte più specifiche, viene in tale modo posto il principio della non edificabilità “naturale” del territorio non urbanizzato, che è conforme alle esigenze di salvaguardia del nostro territorio e del paesaggio, che costituiscono risorse fondamentali per lo sviluppo civile, culturale ed economico del nostro Paese.

È una scelta legislativa di grande rilievo che assicura basi più solide per la tutela del paesaggio e spinge verso l’azione di riqualificazione dei tessuti urbani esistenti.

L’articolo 6 stabilisce il metodo della cooperazione e della concertazione tra i diversi soggetti istituzionali nell’intento di perseguire il cosiddetto “principio di copianificazione”.

Si vuole così superare la logica dei controlli e delle “doppie fasi” procedimentali, che determinano sovraccarichi burocratici e conflitti, realizzando un coordinamento intersoggettivo già nella fase delle scelte più rilevanti che investono, inevitabilmente, una pluralità di interessi pubblici differenziati di cui sono titolari enti diversi.

È interessante evidenziare che in sede di conferenza di pianificazione possono essere previste forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti e dei territori che risultano penalizzati o comunque gravati dai maggiori oneri di impatto ambientale. Un tema di grande rilievo per la maggiore equità nelle azioni di ammodernamento infrastrutturale del nostro Paese.

L’articolo 7 stabilisce il fondamentale principio di partecipazione al procedimento di pianificazione. In una nuova logica di alleggerimento delle previsioni legislative di natura vincolante risulta evidentemente ampliata la discrezionalità amministrativa nelle scelte: la ricerca dell’interesse pubblico concreto si baserà, dunque, sul confronto trasparente tra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti che devono essere adeguatamente rappresentati nel corso del procedimento.

D’altronde gli istituti di partecipazione, che acquistano un rilievo anche maggiore nella nuova logica della “legalità procedimentale”, sono ampiamente diffusi nel contesto europeo ( enquête publique in Francia, encuesta previa in Spagna, public inquiry ed examination in public in Inghilterra, legge sul procedimento in Germania eccetera), e hanno una cospicua tradizione anche in Italia, che si è arricchita con la stagione degli statuti comunali che contemplano, in diversi casi, l’istituto dell’”udienza pubblica”. Saranno ovviamente le regioni e gli enti locali a definire l’articolazione più proficua dei diversi istituti nel rispetto del principio legislativo fondamentale.

L’articolo 8 disciplina gli accordi con i privati, assai rilevanti in materia urbanistica, nel rispetto del principio di pari opportunità e attraverso procedure di confronto concorrenziale.

L’urbanistica “negoziata” o “consensuale” è parte innegabile dell’attuale esperienza dell’ administration concertée: ma essa deve svolgersi nel contesto di princıpi di rango costituzionale e di competenza statale, quali la concorrenzialità , la par condicio, l’imparzialità amministrativa, la pubblicità delle scelte (con la conseguente partecipazione dei cittadini uti cives).

L’articolo 9 è di particolare rilievo poiché viene con esso riformato un antico ”idolo” della pianificazione urbanistica: quello dello standard quantitativo che è stato di sicura utilità (e può esserlo tuttora) nella storia dell’urbanistica italiana, ma che difficilmente può essere predefinito a livello statale. Si è registrata a riguardo una tendenza univoca, nella legislazione regionale e nelle esperienze comunali, in direzione di standard qualitativi o prestazionali ossia di attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessari alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonchè all’accessibilità e alla mobilità dei cittadini e degli utenti.

La proposta di legge affida alla pianificazione strutturale, con riferimento a un periodo non inferiore a dieci anni, la definizione della dotazione complessiva e alle diverse modalità tecnico-operative, individuate dalle regioni e dai comuni, la precisazione più specifica, anche sulla base della concreta offerta di servizi da parte dei privati.

È evidente che, anche per effetto dell’abrogazione normativa della zonizzazione, le regioni e i comuni saranno più liberi di definire, attraverso la "lettura" dei propri territori, i rapporti che necessariamente intercorrono tra sviluppo o riuso edilizio e infrastrutture, opere viarie, parcheggi, servizi ambientali e servizi per l’habitat, nel rispetto del principio fondamentale posto dalla legislazione statale.

L’articolo 10 affronta il delicato tema dei vincoli urbanistici e della perequazione.

Il primo profilo risulta notevolmente depotenziato, poiché la scelta compiuta all’articolo 5, con cui si attribuisce l’edificabilità tramite atti comunali solo nell’ambito del territorio urbanizzato, depotenzia notevolmente la problematica dei vincoli “larvatamente” espropriativi di contenuti e di valori delle proprietà.

Anche la sostanziale eliminazione della sistematica dei piani con effetti immediatamente conformativi delle proprietà , ed aventi valore di implicita dichiarazione di pubblica utilità , indifferibilità e urgenza dei lavori, converge nella medesima direzione alleggerendo di molto i vincoli sulle proprietà.

Viene tuttavia mantenuta, pur nel nuovo e più definito contesto, la previsione del vincolo preordinato all’espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico che ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta (in tale caso è previsto per il proprietario un particolare indennizzo).

Sono inoltre previste ipotesi di permuta dell’area e di trasferimento dei diritti edificatori, nel rispetto del piano comunale.

La perequazione, ampiamente sperimentata nelle esperienze urbanistiche più recenti, è definita il metodo ordinario della pianificazione operativa con l’espresso fine dell’attribuzione dei diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche omogenee.

I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli ambiti urbanistici individuati e, innovazione assai rilevante sul piano operativo, i trasferimenti di cubature sono esenti da imposte.

L’articolo 11, dedicato ai titoli abilitativi e alla negoziazione di iniziativa pubblica, recepisce il recente indirizzo legislativo, regionale e statale, che ha progressivamente esteso la denuncia di inizio attività (dichiarazione di avvio dei lavori e certificazione tecnica di conformità) di interventi edilizi dapprima in funzione sostitutiva delle “autorizzazioni edilizie” e, in seguito, anche di interventi edilizi in precedenza soggetti a concessione edilizia.

La materia è oggetto di revisione nell’ambito del testo unico sull’edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) sicché la presente proposta di legge si limita a ribadirne i princıpi e le relative competenze regionali.

Merita di essere evidenziata la previsione secondo cui “al fine di favorire il confronto concorrenziale il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell’effettivo valore dell’intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato”.

Per rendere più razionale e operativo tale sistema, in gergo definito dell’”asta delle licenze” riferita solo a progetti di trasformazione intensiva, viene previsto che i comuni hanno la prelazione civilistica nell’acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico da reimmettere, conseguentemente valorizzate, nel mercato.

Si tratta di un principio ampiamente previsto in altri ordinamenti europei e che offre una possibilità in più ai comuni in grado di esercitarla, quella di farsi promotori dei processi di trasformazione urbana svolgendo un ruolo di regia e di promozione.

L’articolo 12 ribadisce i poteri di vigilanza e di controllo dei comuni sulle trasformazioni urbanistico-edilizie nel proprio territorio. Sono fatte salve le sanzioni penali, amministrative e civili previste dalle leggi statali, ferma la potestà delle regioni di prevedere ulteriori e diverse sanzioni amministrative di natura pecuniaria e interdittiva. Vengono inoltre stabiliti gli interventi di natura sostitutiva di competenza delle regioni sulla base delle esperienze consolidate nell’ordinamento.

L’articolo 13 è di notevole rilievo poichè indica le norme statali oggetto di abrogazione. Le leggi indicate sono di stretto riferimento urbanistico poiché occorre coordinare la legislazione vigente in materia edilizia e di espropriazione con i nuovi princıpi urbanistici.

Il comma 3, infine, stabilisce che la legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, allo scopo di consentire un congruo termine, in specie alle regioni, per l’attuazione consapevole dei nuovi princıpi.

La presente proposta di legge, ispirata alla cultura e alle esperienze dell’"urbanistica riformista", al mutato contesto costituzionale e al lavoro svolto nella XIV legislatura, intende promuovere una riforma essenziale per la maggiore equità e competitività dell’Italia, nella convinzione che sussistano tutti i presupposti, di natura politica e disciplinare, per una sollecita approvazione nell’attuale legislatura.

Testo degli articoli

CAPO I

DISPOSIZIONI PRELIMINARI

ART. 1.

(Oggetto).

1. In attuazione dell’articolo 117 della Costituzione la presente legge stabilisce i princıpi fondamentali in materia di governo del territorio nel rispetto dell’ordinamento comunitario e della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e del regime delle proprietà , nonché in materia di tutela della concorrenza. La presente legge disciplina, altresì, i livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali nonché dei servizi.

2. Il governo del territorio, oggetto di legislazione concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, consiste nell’insieme delle attività conoscitive, valutative, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, i programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie.

3. La presente legge attua i princıpi di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, semplificazione, efficacia, efficienza, economicità e imparzialità dell’azione amministrativa.

4. Ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, le regioni emanano norme in materia di governo del territorio in conformità ai princıpi fondamentali della legislazione statale stabiliti dal capo III della presente legge. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, nonché le forme e le condizioni particolari di autonomia previste ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

5. La presente legge stabilisce altresì le principali competenze e funzioni statali in materia di infrastrutture e di grandi reti di trasporto incidenti nella materia del governo del territorio e le modalità di esercizio allo scopo di garantire il migliore coordinamento con le regioni e con le autonomie locali.

ART. 2.

(Compiti e funzioni dello Stato).

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, l’assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale, il rinnovo e la riqualificazione urbana, le grandi reti di infrastrutture.

2. Per l’attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, programmi di intervento, coordinando la sua azione con quella dell’Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, prevalentemente attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale in ordine alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla difesa del suolo e all’articolazione delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale.

4. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni amministrative connesse al governo del territorio relative alla difesa e alle Forze armate, all’ordine pubblico e alla sicurezza, alle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione alla difesa civile, nonché quelle relative alla protezione civile concernenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quelle relative alla tutela dei beni culturali, alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale nel rispetto del principio di leale collaborazione, all’individuazione in via concorrente dei beni paesaggistici e alla partecipazione alla gestione dei vincoli paesaggistici, previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni.

5. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, di promuovere la rilocalizzazione di insediamenti esposti al rischio di calamità naturali o di dissesto idrogeologico e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati, di superare situazioni di degrado ambientale e urbano, lo Stato predispone programmi di intervento in determinati ambiti territoriali volti a promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

6. I programmi di intervento speciali, di cui al comma 5, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.

ART. 3.

(Esercizio delle tutele separate da parte dello Stato).

1. Le competenze degli enti parco, delle autorità di bacino, delle sovrintendenze competenti per i beni storico-artistici e ambientali nonché dei soggetti titolari di interessi pubblici incidenti nel governo del territorio sono definite dalla legislazione statale e regionale ed esercitate in raccordo con gli atti di pianificazione di cui alla presente legge, con l’obiettivo di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione urbanistica e territoriale.

CAPO III

PRINCIPI FONDAMENTALI DEL GOVERNO DEL TERRITORIO

ART. 4.

(Sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza).

1. Il principio di sussidiarietà ispira la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell’affidamento, della responsabilità e della concorsualità.

2. I comuni, soggetti primari nel governo del territorio ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, le regioni, le province, le città metropolitane e le associazioni di comuni cooperano ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, secondo il criterio di differenziazione e di adeguatezza nell’esercizio delle funzioni. Sulla base di tali princıpi sono, altresì, individuati gli ambiti territoriali di riferimento, favorendo la collaborazione e la competizione tra territori.

ART. 5.

(Natura e contenuti della pianificazione).

1. Il governo del territorio è funzione pubblica, esercitata nelle forme stabilite dalla legge, che si attua attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica, con il fine della promozione di progetti di sviluppo sostenibile, in relazione alle risorse sociali, ambientali ed economiche.

2. La pianificazione disciplina il territorio, con atti amministrativi generali, procedendo all’individuazione di ambiti territoriali di riferimento. Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalla legge e al perseguimento dell’interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte.

3. La pianificazione è la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio, che si attua attraverso modalità strategiche, strutturali e operative. Gli atti di contenuto strategico strutturale non hanno efficacia conformativa delle proprietà . Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà , ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione. Gli atti di pianificazione concorrono nel garantire le prestazioni minime dell’insediamento anche attraverso idonee misure di salvaguardia.

4. Il piano territoriale di coordinamento previsto dall’articolo 20, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è di competenza delle province, salve diverse previsioni della legge regionale allo scopo di favorire la pianificazione delle aree metropolitane. La regione, con propria legge, in considerazione della specificità di determinati ambiti sovracomunali e omogenei e in attuazione dei princıpi costituzionali di sussidiarietà e di adeguatezza, può disciplinare e incentivare la pianificazione urbanistica intercomunale.

5. Il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente. Le regioni stabiliscono i casi di edificabilità, attraverso l’individuazione, per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.

6. La pianificazione è ispirata al principio dell’integrazione delle funzioni e della qualità urbana.

ART. 6.

(Concertazione istituzionale).

1. I soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio perseguono il metodo della cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali nell’elaborazione delle scelte fondamentali riferite al territorio, sulla base del principio di competenza, anche mediante intese e accordi procedimentali e l’istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unicità del piano territoriale.

2. I soggetti pubblici cooperano nella definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali, privilegiando le sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità e le modalità di attuazione, nonché le sanzioni in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.

3. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le regioni raggiungono intese con le regioni limitrofe, ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione.

4. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, anche attraverso forme di coordinamento fra i soggetti pubblici, nonché, ai sensi dell’articolo 7, comma 3, fra questi e i cittadini, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

5. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l’esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l’attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché alle infrastrutture.

6. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l’attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

7. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso. Lo Stato definisce, di intesa con le regioni e le province autonome, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio e di base ai fini della pianificazione del territorio.

8. Gli atti di pianificazione sono approvati da parte dell’ente competente previa certificazione e verifica di compatibilità con il sistema dei vincoli di natura ambientale e paesaggistica, relativi a tutti gli interessi tutelati, nonché verifica di congruenza con la pianificazione vigente e interagente con particolare riferimento alle opere pubbliche e alle infrastrutture per la viabilità.

9. Le verifiche di compatibilità e di coerenza, ove comportino conflitto di previsioni, sono svolte attraverso un’apposita conferenza di pianificazione, con la partecipazione degli enti pubblici competenti e dei soggetti concessionari dei servizi pubblici interessati. Fatta salva l’autonomia delle funzioni amministrative di controllo, le decisioni relative al mutamento degli assetti vigenti sono assunte, in difetto di unanimità, a maggioranza dei soggetti partecipanti.

10. In sede di conferenza di pianificazione sono previste, di regola, forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo o che sopportano particolari impatti negativi.

ART. 7.

(Partecipazione al procedimento di pianificazione).

1. Nei procedimenti di formazione e approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica sono assicurati:

a) il coinvolgimento delle associazioni economiche e sociali, in merito agli obiettivi strategici e di sviluppo da perseguire;

b) le forme di pubblicità e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi, in ordine ai contenuti degli strumenti stessi.

2. Nell’ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo e adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l’indicazione delle motivazioni in merito all’accoglimento o meno delle stesse. Nell’attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l’amministrazione procedente.

3. Le scelte relative alla localizzazione di opere e di infrastrutture di rilevante impatto ambientale e sociale devono essere precedute da udienze pubbliche con la partecipazione dei cittadini e delle associazioni territorialmente radicate e, ai sensi della legislazione vigente, da procedure di valutazione di impatto ambientale.

4. Il responsabile del procedimento, di cui all’articolo 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, cura tutte le attività relative alla pubblicità , all’accesso agli atti e ai documenti nonché alla partecipazione al procedimento di approvazione.

5. Gli organi politici e i funzionari professionali responsabili degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita e adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle osservazioni o alle proposte presentate nell’ambito del procedimento e ai princıpi di cui al presente capo.

ART. 8.

(Accordi con i privati).

1. Gli enti locali possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto del principio di pari opportunità e di partecipazione al procedimento per le intese preliminari o preparatorie dell’atto amministrativo e attraverso procedure di confronto concorrenziale per gli accordi sostitutivi degli atti amministrativi, al fine di recepire negli atti di pianificazione proposte di interventi, in attuazione coerente degli obiettivi strategici contenuti negli atti di pianificazione e delle dotazioni minime di cui all’articolo 9, la cui localizzazione è di competenza pubblica.

2. L’accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione dell’atto di pianificazione che lo recepisce.

3. I procedimenti di negoziazione urbanistica sono retti dai princıpi di trasparenza e di pari opportunità concorsuale. Nei piani strutturali sono indicati i criteri e i metodi per l’individuazione dei corrispettivi richiesti nella negoziazione urbanistica.

4. Per quanto non disciplinato dalla presente legge trovano applicazione le disposizioni in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, di accordi con i privati e di tutela giurisdizionale, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

ART. 9.

(Infrastrutture e prestazioni minime).

1. Gli atti di pianificazione devono prevedere adeguate dotazioni di viabilità, di parcheggi, di aree verdi e di servizi, avendo cura delle effettive esigenze prestazionali.

2. La pianificazione di contenuto strutturale definisce, con riferimento a un periodo non inferiore a dieci anni, la dotazione complessiva delle attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessaria alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonché delle infrastrutture che garantiscano l’accessibilità e la mobilità dei cittadini e degli utenti.

3. La pianificazione di contenuto operativo specifica e localizza, con atti di perimetrazione, le attrezzature e i servizi relativi agli ambiti specifici di intervento nonchè le reti delle infrastrutture generali e locali, sulla base delle analisi dei fabbisogni di cui al comma 2.

4. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio comunale, gli atti di pianificazione devono documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri reali di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e di fruibilità nonché incentivando l’iniziativa dei privati.

ART. 10.

(Vincoli, perequazione e compensazione).

1. Le previsioni della pianificazione di contenuto operativo sono attuate sulla base dei criteri di perequazione, compensazione ed espropriazione.

2. Il vincolo preordinato all’espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari a un terzo dell’ammontare dell’indennità di esproprio dell’immobile da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo.

3. In alternativa all’ipotesi di cui al comma 2, il proprietario dell’area vincolata può richiedere di trasferire i diritti edificatori su un’altra area di sua proprietà o su un’area pubblica in permuta, edificabili ai sensi del piano urbanistico comunale, previa cessione gratuita al comune dell’area di sua proprietà.

4. La perequazione è il metodo ordinario della pianificazione operativa ed è finalizzata all’attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche territoriali omogenee. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d’uso e in misura percentuale rispetto al complessivo valore detenuto da ciascun proprietario.

5. I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti individuati con la pianificazione comunale.

6. I negozi relativi alle permute di cui al comma 3 e ai diritti edificatori di cui al comma 5 non sono soggetti a imposte e tasse.

ART. 11.

(Titoli abilitativi e negoziazione di iniziativa pubblica).

1. Le principali attività di trasformazione urbanistica e edilizia sono in ogni caso soggette a titolo abilitativo rilasciato dal comune.

2. Le regioni stabiliscono: le attività edilizie non soggette a titolo abilitativo; le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai quali l’interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio di attività in luogo della domanda di permesso di costruire; l’onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Al fine di favorire il confronto concorrenziale, il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell’effettivo valore dell’intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato, nell’ambito di procedure di confronto concorrenziale.

4. I comuni hanno la prelazione, da esercitare nelle forme previste dal codice civile e sulla base dei valori di mercato, nell’acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico e inserite nei piani operativi. Il piano strutturale può prevedere indici volumetrici premiali nelle negoziazioni di iniziativa pubblica.

ART. 12.

(Vigilanza sul territorio e regime sanzionatorio).

1. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

2. La violazione della disposizione di cui al comma 1 è soggetta alle sanzioni penali, civili e amministrative previste dalle leggi statali vigenti in materia, ferma restando la potestà delle regioni di prevedere sanzioni amministrative di natura pecuniaria e interdittiva.

3. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi e le sanzioni nel caso di mancata adozione dei provvedimenti repressivi, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia.

4. In caso di sostituzione del permesso di costruzione con la denuncia di inizio di attività resta fermo il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per la concessione edilizia dalle leggi statali vigenti in materia.

5. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civilistiche per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento nonché per le omissioni nell’esercizio delle funzioni di controllo.

ART. 13.

(Disposizioni finali).

1. I testi unici in materia di edilizia e di espropriazione per pubblica utilità devono essere coordinati con le disposizioni della presente legge anche ai fini della delegificazione e della semplificazione della materia.

2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive modificazioni;

c) articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni;

d) legge 6 agosto 1967, n. 765;

e) legge 19 novembre 1968, n. 1187, e successive modificazioni;

f) articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni;

g) articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;

h) articoli 27, 28, 29, 30 e 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni;

i) articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179;

l) articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, e successive modificazioni.

3. La presente legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge – che riproduce il testo già approvato dalla Camera dei deputati (atto Camera n. 3860 e abbinati; atto Senato n. 3519) nella scorsa legislatura dopo un lungo lavoro in Commissione Ambiente e in Aula – risponde all’esigenza di chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata dalla riforma dell’articolo 117 della Costituzione in materia di “governo del territorio”.

In questo senso l’iniziativa che viene qui riproposta, con l’autorevolezza dell’approvazione di un ramo del Parlamento nella scorsa legislatura, ha una portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica del 1942.

Testo degli articoli



ART. 1.

(Governo del territorio).

1. In attuazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la presente legge stabilisce i principi fondamentali in materia di governo del territorio. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, nonché le forme e le condizioni particolari di autonomia previste ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Sono fatte altresì salve le disposizioni della legge 18 maggio 1989, n. 183, recante norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo.

2. Il governo del territorio consiste nell’insieme delle attività conoscitive, valutative, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, l’insieme dei programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, salvo che per la determinazione dei princıpi fondamentali e ad esclusione degli aspetti direttamente incidenti sull’ordinamento civile e penale, sulla difesa, sulle Forze armate, sull’ordine pubblico, sulla sicurezza, sulla tutela dei beni culturali e del paesaggio, sulla tutela della concorrenza, nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

ART. 2.

(Definizioni).

1. Ai fini della presente legge si intendono per:

a) "pianificazione territoriale": la pianificazione di area vasta, che ne definisce l’assetto per quanto riguarda le componenti territoriali fondamentali;

b) "pianificazione urbanistica": la pianificazione funzionale e morfologica del territorio che disciplina le modalità d’uso e di trasformazione e comprende il piano strutturale, il piano operativo e la regolamentazione urbanistica ed edilizia;

c) “piano di settore”: il piano di uno specifico settore funzionale con effetti sul territorio;

d) “piano territoriale”: il documento che rappresenta l’esito del processo di pianificazione territoriale;

e) “piano strutturale”: il piano urbanistico con il quale vengono operate le scelte fondamentali di programmazione dell’assetto del territorio di un comune o di più comuni in coordinamento fra loro;

f) “piano operativo”: il piano urbanistico con il quale vengono attuate le previsioni del piano strutturale, con effetti conformativi del regime dei suoli;

g) “dotazioni territoriali”: la misura adeguata del complesso delle attrezzature, infrastrutture e reti di cui deve essere dotato un ambito territoriale;

h) “rinnovo urbano”: l’insieme coordinato di interventi di conservazione, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione di singoli edifici o di intere parti di insediamenti urbani, finalizzato alla rigenerazione, riqualificazione, riabilitazione, nonché all’adeguamento dell’estetica urbana.

ART. 3.

(Compiti e funzioni dello Stato).

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, l’assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale e il rinnovo urbano.

2. Per l’attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, programmi di intervento, coordinando la sua azione con quella dell’Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale in ordine alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla difesa del suolo e all’articolazione delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale.

4. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni amministrative connesse al governo del territorio relative alla difesa e alle Forze armate, all’ordine pubblico e alla sicurezza, alle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione alla difesa civile, nonché quelle relative alla protezione civile concernenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quelle relative alla tutela dei beni culturali, alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale nel rispetto del principio di leale collaborazione, all’individuazione in via concorrente dei beni paesaggistici, alla partecipazione alla gestione dei vincoli paesaggistici, previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

ART. 4.

(Interventi speciali dello Stato).

1. Lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, effettua interventi speciali in determinati ambiti territoriali, ai sensi del quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, superare situazioni di degrado ambientale e urbano, promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, promuovere la rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e tecnologici e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati.

2. Gli interventi speciali, di cui al comma 1, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.

ART. 5.

(Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione).

1. I princıpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza ispirano la ripartizione delle competenze fra i diversi soggetti pubblici e i rapporti tra questi e i cittadini, secondo i criteri della responsabilità e della tutela dell’affidamento, fatti salvi i poteri sostitutivi previsti dalle norme vigenti.

2. I soggetti pubblici cooperano nella definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali, privilegiando le sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità e le modalità di attuazione, nonché le conseguenze in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.

3. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le regioni raggiungono intese con le regioni limitrofe, ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione.

4. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti pubblici, nonché, ai sensi dell’articolo 8, comma 7, fra questi e i cittadini, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

5. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l’esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l’attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché alle infrastrutture.

6. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l’attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

7. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso. Lo Stato definisce, d’intesa con le regioni e le province autonome, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio e di base ai fini della pianificazione del territorio.

ART. 6.

(Pianificazione del territorio).

1. Il comune è l’ente preposto alla pianificazione urbanistica ed è il soggetto primario titolare delle funzioni di governo del territorio.

2. Le regioni, nel rispetto delle competenze e funzioni delle province stabilite dalle leggi dello Stato, individuano gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione del territorio, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell’ambito da pianificare, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale e al fine di soddisfare le nuove esigenze di sviluppo urbano, privilegiando il recupero e la riqualificazione dei territori già urbanizzati e la difesa dei caratteri tradizionali. I piani relativi a tali ambiti non possono avere, con esclusione delle sole materie preordinate, un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali. Il piano territoriale di coordinamento, di cui all’articolo 20, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è di competenza delle province, salve diverse previsioni della legge regionale allo scopo di favorire la pianificazione delle aree metropolitane. La regione, con propria legge, in considerazione della specificità di determinati ambiti sovracomunali ed omogenei e in attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e di adeguatezza, può disciplinare e incentivare la pianificazione urbanistica intercomunale. Le regioni stabiliscono idonee misure per la compensazione tra comuni limitrofi dei costi sociali generati dalla realizzazione di infrastrutture pubbliche che potrebbero causare squilibri economici o ambientali sul territorio.

3. Il piano urbanistico è lo strumento di disciplina complessiva del territorio comunale e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione o piano di settore o territoriale concernente il territorio medesimo. Esso recepisce le prescrizioni e i vincoli contenuti nei piani paesaggistici, nonché quelli imposti ai sensi delle normative statali in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio.

4. Il piano urbanistico privilegia il rinnovo urbano, la ristrutturazione, l’adeguamento del patrimonio immobiliare esistente.

5. Nell’ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale e aree urbanizzabili.

6. Nelle aree destinate all’agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente. Nelle aree urbanizzabili gli interventi di trasformazione sono finalizzati ad assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale.

7. La pianificazione urbanistica è attuata attraverso modalità strutturali e operative. Il piano strutturale non ha efficacia conformativa della proprietà . Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione.

ART. 7.

(Dotazioni territoriali).

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche attraverso la prestazione concreta del servizio non connessa ad aree e ad immobili. L’entità dell’offerta di servizi è misurata in base a criteri prestazionali, con l’obiettivo di garantirne comunque un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati. Nel rispetto di quanto stabilito ai sensi della lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, le regioni determinano i criteri di dimensionamento per i servizi che implicano l’esigenza di aree e relative attrezzature.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l’iniziativa dei soggetti interessati.

ART. 8.

(Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).

1. Le regioni disciplinano il procedimento di formazione, le modalità di approvazione e gli eventuali poteri sostitutivi, la durata e gli effetti dei piani urbanistici e territoriali e delle loro varianti, nonché l’attività edilizia consentita in assenza di piano urbanistico, ovvero nelle more dell’approvazione del piano operativo.

2. Nel procedimento di formazione degli atti di pianificazione sono assicurate adeguate forme di pubblicità e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali, nonché l’esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l’obbligo di motivazione in merito all’accoglimento o al rigetto delle stesse.

3. Nell’attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio è comunque garantito il contraddittorio degli interessati con l’amministrazione procedente. I soggetti responsabili degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita e adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle proposte presentate nell’ambito del procedimento.

4. Le regioni determinano i casi in cui il piano urbanistico è sottoposto a verifica di coerenza con gli strumenti di programmazione economica e con ogni disposizione o piano concernente il territorio, individuando il soggetto responsabile e stabilendone le relative modalità.

5. Le regioni determinano termini perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

6. Con l’adozione dei piani urbanistici gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni ai piani territoriali o di settore, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione. L’atto di approvazione del piano urbanistico contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano territoriale o di settore, qualora sulle modifiche sia acquisita l’intesa dell’ente titolare del piano modificato.

7. Gli enti competenti alla pianificazione urbanistica possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto dei princıpi di imparzialità amministrativa, di trasparenza, di concorrenzialità, di pubblicità e di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati all’intervento, per la formazione degli atti di pianificazione anche attraverso procedure di confronto concorrenziale, al fine di recepire proposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione.

8. L’ente di pianificazione urbanistica promuove l’adozione di strumenti attuativi che favoriscono il recupero delle dotazioni territoriali di cui all’articolo 7, anche attraverso piani convenzionati stipulati con soggetti privati e accordi di programma.

ART. 9.

(Attuazione del piano urbanistico).

1. Le disposizioni del piano urbanistico sono attuate con piano operativo o con intervento diretto, sulla base di progetti compatibili con gli obiettivi definiti nel piano strutturale. Le modalità di attuazione del piano strutturale sono definite dalla legge regionale. L’attuazione è comunque subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. Il piano urbanistico può essere attuato anche con sistemi perequativi e compensativi secondo criteri e modalità stabiliti dalle regioni.

3. La perequazione si realizza con l’attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricomprese in determinati ambiti territoriali, in percentuale dell’estensione o del valore di esse e indipendentemente dalla specifica destinazione d’uso. I diritti edificatori sono trasferibili e liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali.

4. Anche allo scopo di favorire il rinnovo urbano e la prevenzione di rischi naturali e tecnologici, le regioni possono prevedere incentivi consistenti nella incrementabilità dei diritti edificatori già attribuiti dai piani urbanistici vigenti.

5. Nelle ipotesi di vincoli di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, in alternativa all’indennizzo monetario previsto per la procedura di espropriazione, il proprietario interessato può chiedere il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell’area su altra area di sua disponibilità, la permuta dell’area con area di proprietà dell’ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l’amministrazione per la gestione di servizi.

6. Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-finanziarie per ovviare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale.

7. Le leggi regionali disciplinano forme di perequazione intercomunale, quali modalità di compensazione e riequilibrio delle differenti opportunità riconosciute alle diverse realtà locali e degli oneri ambientali su queste gravanti.

ART. 10.

(Misure di salvaguardia).

1. Le regioni definiscono le misure di salvaguardia che devono essere deliberate nelle more dell’approvazione degli atti di pianificazione.

ART. 11.

(Attività edilizia).

1. Fatte salve le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, le regioni individuano le attività di trasformazione del territorio non aventi rilevanti effetti urbanistici ed edilizi e non soggette a titolo abilitativo. Le regioni individuano altresì le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai quali l’interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire.

2. Le regioni definiscono la disciplina della natura onerosa del permesso di costruire, ivi incluse le ipotesi di esenzione totale o parziale dal pagamento del contributo di costruzione per il perseguimento di finalità sociali, economiche ed urbanistiche.

3. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

4. Gli abusi edilizi sono soggetti alle sanzioni penali, civili e amministrative previste dalle leggi statali vigenti in materia, ferma la potestà delle regioni di prevedere sanzioni amministrative di natura reale, ripristinatoria, pecuniaria, interdittiva dell’attività edilizia nei confronti dei responsabili degli abusi più gravi.

5. In caso di sostituzione del permesso di costruire con la denuncia di inizio attività resta fermo il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per la concessione edilizia dalle leggi statali vigenti in materia.

ART. 12.

(Fiscalità urbanistica).

1. Ai fini dell’avvio delle misure di cui al comma 2, è istituito, a decorrere dall’anno 2006, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Fondo per gli interventi di fiscalità urbanistica, con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2006 e di 20 milioni di euro per l’anno 2007.

2. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a definire un regime fiscale speciale per gli interventi in materia urbanistica e per il recupero dei centri urbani, nel rispetto dei seguenti princıpi e criteri direttivi:

a) previsione di agevolazioni in forma di credito d’imposta, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, con riferimento ai trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l’attuazione del piano urbanistico ai sensi dell’articolo 9, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di imposta sul valore aggiunto;

b) possibilità, nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale per la realizzazione di aree per insediamenti produttivi di beni e servizi a seguito della formazione di consorzi di comuni, di redistribuire l’imposta comunale sugli immobili tra i predetti comuni, indipendentemente dalla ubicazione dell’area e in relazione alla partecipazione delle singole amministrazioni comunali al consorzio;

c) previsione di una procedura per l’accesso alle agevolazioni di cui alla lettera a) mediante presentazione, da parte dei soggetti interessati, di apposita istanza all’amministrazione finanziaria e successivo esame da parte dell’amministrazione stessa delle istanze secondo l’ordine cronologico di presentazione;

d) possibilità di rideterminazione, anche in riduzione, delle agevolazioni di cui alla lettera a), nonché definizione delle modalità di applicazione delle medesime;

e) previsione dell’obbligo del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di trasmettere una relazione semestrale al Parlamento sull’utilizzo del credito d’imposta, sul numero dei soggetti che se ne sono avvalsi e sulla misura entro la quale ciascun soggetto ne ha fruito.

3. I decreti legislativi di cui al comma 2 sono adottati esclusivamente nel limite delle risorse del Fondo di cui al comma 1 e non possono, in ogni caso, avere efficacia prima della data del 1°ottobre 2006.

4. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 2, ciascuno dei quali deve essere corredato di relazione tecnica sugli effetti finanziari delle disposizioni in esso contenute, sono trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario.

5. Entro i trenta giorni successivi all’espressione dei pareri, il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni ivi eventualmente formulate, esclusivamente con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro trenta giorni dalla data di trasmissione.

6. All’onere derivante dall’attuazione del comma 1, pari a 10 milioni di euro per l’anno 2006 e a 20 milioni di euro per l’anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006- 2008, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2006, l’accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole e forestali e, quanto a 20 milioni di euro per l’anno 2007, l’accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

7. A decorrere dall’anno 2008, al finanziamento del Fondo di cui al comma 1 si provvede ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

8. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

ART. 13.

(Abrogazioni e disposizioni finali).

1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) articoli 1, 4, 7, 18, 29, 35, 42 e 43 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) articolo 2 della legge 6 agosto 1967, n. 765;

c) legge 19 novembre 1968, n. 1187.

2. Le seguenti disposizioni perdono efficacia nel territorio della regione ove questa abbia emanato o emani normative sul medesimo oggetto:

a) articoli 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 20, 21, primo comma, 22, 23, 28, 30, 34 e 41-quinquies, commi sesto, ottavo e nono, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive modificazioni;

c) articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167;

d) decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444;

e) articoli 3 e 4 della legge 19 novembre 1968, n. 1187;

f) articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865;

g) articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;

h) articoli 27, 28, 29 e 30 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni;

i) articoli 6, 8, 16, 17 e 22 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

3. All’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 3 è sostituito dal seguente:

“3. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai vincoli e alle destinazioni che il piano deve recepire”;

b) il comma 4 è sostituito dal seguente:

“4. Il vincolo preordinato all’esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato per una sola volta, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1, e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari ad un terzo dell’ammontare dell’indennità di esproprio dell’immobile, da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo”.

4. All’articolo 20 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, il comma 9 è sostituito dal seguente:

“9. Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, la domanda di permesso di costruire si intende favorevolmente accolta”.

Premessa

Un testo storico, di grande rilevanza culturale: la proposta elaborata dalla Commissione nominata dal Consiglio direttivo nazionale dell’INU, composta da Camillo Ripamonti, Giovanni Astengo, Enzo Cerutti, Gianfilippo Delli Santi, Luigi Piccinato, Giuseppe Samonà e Umberto Toschi: esponenti di una cultura urbanistica che, politicamente, copriva tutta l’area tra liberali di destra, democristiani, socialisti, area comunista. Il Codice dell’urbanistica fu presentato con questo titolo all’VIII Congresso nazionale di urbanistica, Roma 16-18 dicembre 1960. Abbiamo scandito il testo pubblicato in appendice al n. 33, aprile 1961 della rivista Urbanistica; poichè siamo artigiani, il testo è certamente pieno di errori: saremo grati a chi ce li segnalerà.

Fa una strana impressione rileggerlo oggi. Si scopre che – al di là dell’impostazione abbastanza tecnocratica che pervade soprattutto l’ingegneria degli organismi previsti – quel testo è stata la miniera cui hanno attinto tutte le leggi della “piccola riforma” urbanistica faticosamente ottenute negli anni successivi: dal 1962 (aree per l’edilizia residenziale sociale), al 1967-68 (pianificazione urbanistica, standard urbanistici, oneri di urbanizzazione, lottizzazioni convenzionate), al 1971 (intervento pubblico nell’edilizia, espropriazioni), al 1977 (oneri di concessione, programma pluriennale di attuazione) e al 1978 (piani di recupero). Poi cominciò la controriforma, che prosegue.

PROPOSTA DI LEGGE GENERALE

PER LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA

Sommario

Principi generali

Titolo I - Ordinamento amministrativo statale, regionale e locale della pianificazione

Titolo II - Programma nazionale e programmi regionali

Titolo III Pianificazione comprensoriale

Titolo IV - Pianificazione comunale

Titolo V - Attuazione dei piani comunali

Titolo VI - Norme regolatrici dell’attività costruttiva edilizia

Titolo VII - Disposizioni finali

Titolo VIII - Disposizioni transitorie.

Art. 1 - Principi generali.

La previsione e il coordinamento nel tempo e nello spazio degli interventi pubblici sul territorio e delle destinazioni d’uso del suolo, la disciplina urbanistica e la propulsione degli interventi privati su di esso si realizzano con la formazione e l’attuazione di programmi a lungo e medio termine e di piani generali ed esecutivi.

TITOLO I

ORDINAMENTO AMMINISTRATIVO STATALE, REGIONALE E LOCALE DELLA PIANIFICAZIONE

Art. 2 - Comitato Nazionale di Pianificazione.

Tutti gli investimenti pubblici sul territorio devono essere periodicamente predisposti e coordinati secondo le previsioni di un programma nazionale a lungo termine, formulato da un Comitato di Ministri e rappresentanti regionali.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, è formato dai Ministri del Bilancio, Finanza e Tesoro, Industria e Commercio, Agricoltura, Partecipazioni Statali, Lavoro e Previdenza Sociale, Lavori Pubblici, Pubblica Istruzione, Trasporti, Sanità, Turismo e Difesa. Ne fanno parte, altresì, con voto consultivo, i Presidenti delle Regioni.

Esso ha il compito di definire ed aggiornare le linee programmatiche a lungo termine della politica economica e degli interventi di interesse nazionale sul territorio, di indicare le linee fondamentali del loro coordinamento in sede regionale, di formulare il programma annuale degli investimenti statali, di proporre l’inserimento nel bilancio dello Stato degli stanziamenti ad essi relativi, di esaminare ed approvare i programmi delle singole Regioni e di vigilare sulla loro attuazione.

Art. 3 - Consiglio Tecnico Centrale.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione è affiancato da un Consiglio Tecnico Centrale per la pianificazione urbanistica, presieduto dal Ministro dei LL.PP. e costituito da una rappresentanza dei Consigli Superiori dei vari Ministeri, di cui all’art. 2, del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro e delle Associazioni Nazionali delle Province e dei Comuni ed integrato da esperti, fra cui non meno di sei architetti ed ingegneri urbanisti.

Il Consiglio Tecnico Centrale effettua gli studi e le ricerche di carattere economico ed urbanistico del territorio nazionale occorrenti al Comitato Nazionale di Pianificazione per la formazione delle linee programmatiche di cui al precedente articolo, procede all’istruttoria ed all’esame tecnico dei programmi e dei piani sottoposti all’ approvazione del Comitato Nazionale di Pianificazione, ed esprime il proprio parere nei casi previsti dalla presente legge

Art. 4 - Organo di Pianificazione Regionale

In ciascuna Regione elencata nell’art. 131 della Costituzione è istituito, con decreto del Presidente della Regione, un Organo di Pianificazione Regionale.

Esso ha il compito di formare il programma ed il piano d’insieme degli interventi su tutto il territorio regionale individuare il perimetro dei comprensori di Pianificazione territoriale e di definirne il carattere, di proporre all’Assemblea Regionale le leggi istitutive dei relativi Enti Comprensoriali di pianificazione territoriale, di esaminare coordinare i programmi ed i piani degli Enti Comprensriali e locali e di vigilarne l’attuazione.

Le funzioni attribuite dalla presente legge ad organi rappresentanze regionali sono demandate, nelle Regioni non costituite con statuto ordinario o speciale e finchè non lo siano, a Consorzi obbligatori fra le Province da fomarsi entro 6 mesi dalla promulgazione della presente legge, mentre l’emanazione dei relativi decreti o provvedimenti legislativi spetta al Presidente della Repubblica. La pubblicazione ne è fatta sulla Gazzetta Ufficiale

Art. 5 - Composizione dell’Organo di Pianificazione Regionale.

L’Organo di Pianificazione Regionale è formato:

a) dagli assessori regionali o, in mancanza, dai presidenti delle Provincie;

b) dal Provveditore regionale alle OO. PP., dai Soprintendenti ai Monumenti della Regione e da un rappresentante di ognuno degli altri Ministeri facenti parte del Comitato Nazionale di Pianificazione;

c) da due architetti o ingegneri urbanisti, designati dalla Regione su proposta dell’Istituto Nazionale di Urbanistica.

Istituiti gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale, i relativi presidenti sono chiamati a fare parte dell’Organo di Pianificazione Regionale della Regione cui appartengono.

L’Organo di Pianificazione Regionale è presieduto dal Presidente della Regione. Esso istituisce un ufficio tecnico esecutivo e può avvalersi dalla consulenza anche continua di esperti per la redazione dei programmi e dei piani.

Art. 6 - Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale.

Gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale sono Enti di diritto pubblico, istituiti dall’Assemblea Regionale ed interessanti ciascuno il territorio di un gruppo di Comuni. Organi dell’Ente Comprensoriale sono

1. - un’assemblea formata da:

a) non meno di sette consiglieri provinciali, di cui almeno due rappresentanti di minoranza, designati dalle Provincie interessate;

b) non meno di quindici rappresentanti dei Comuni interessati, eletti dai Consigli comunali in base a criteri di proporzionalità, che saranno stabiliti nella legge istitutiva;

c) un rappresentante per ognuno dei Ministeri dei LL.PP., dei Trasporti, dell’Agricoltura, dell’Industria, della Pubblica Istruzione e del Turismo, designati dai rispettivi Ministeri;

d) un rappresentante della Camera di Commercio interessata.

L’assemblea elegge il suo Presidente tra i rappresentanti dei Comuni facenti parte dell’assemblea stessa.

2. - Un organo tecnico esecutivo, formato da un urbanista, direttore dell’ufficio di pianificazione comprensoriale, nominato dall’Organo di Pianificazione Regionale e da non meno di due tecnici laureati, scelti dall’assemblea fra quelli proposti dal direttore.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale si avvale della consulenza e dell’opera di esperti esterni: urbanisti, economisti, sociologi, geografi, funzionari comunali e provinciali ecc., designati dall’assemblea. La sede dell’Ente è presso la residenza comunale del Presidente.

Art. 7 - Compiti degli Enti Comprensoriali.

Gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale sono sottoposti alla vigilanza e tutela della Regione, nei modi stabiliti dalla legge istitutiva. Essi hanno il compito di realizzare la cooperazione fra le Amministrazioni pubbliche locali e decentrate dello Stato, ai fini della pianificazione del territorio comprensoriale; di fissare, in base alle direttive regionali, i programmi a lungo termine; di formare i piani regolatori territoriali e di promuovere la formazione dei Consorzi per la loro attuazione; di coordinare e controllare l’attività urbanistica comunale; di formulare periodicamente agli Organi regionali criteri e proposte per l’aggiornamento ed il perfezionamento delle direttive programmatiche. I perimetri della giurisdizione degli Enti Comprensoriali possono essere modificati dalla Assemblea Regionale su proposta dell’Organo di Pianificazione Regionale o degli stessi Enti interessati.

TITOLO II

PROGRAMMA NAZIONALE E PROGRAMMI REGIONALI

Art. 8 - Funzionamento e bilancio.

Le modalità per il funzionamento dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e per il suo finanziamento, con congruo apporto degli Enti rappresentati nell’assemblea, e per la formazione del relativo bilancio saranno stabilite dalla stessa legge istitutiva.

Art. 9 - Programma annuale degli investimenti statali.

Il programma annuale degli investimenti statali sul territorio nazionale ha il carattere di un quadro di insieme articolato per Regioni e per settori, che dovrà essere annualmente predisposto dal Comitato Nazionale di Pianificazione, sentito il proprio Consiglio Tecnico Centrale, in base alle linee programmatiche a lungo termine e sulla scorta dei programmi regionali.

Esso è sottoposto all’approvazione del Parlamento unitamente al bilancio dello Stato. I singoli dicasteri interessati a programmi di intervento sul territorio nazionale dovranno coordinare ed adeguare i propri bilanci, e quindi la dimensione ed il carattere degli interventi, alle linee del programma nazionale anche in sede regionale e locale.

Art. 10 - Programmi e piani regionali.

In relazione alle direttive del programma nazionale e sentiti gli Enti Comprensoriali, l’Organo di Pianificazione Regionale formula nel programma regionale le previsioni generali degli investimenti pubblici, in relazione ai fabbisogni per settore ed all’utilizzazione delle risorse, e traccia in un piano le grandi linee della trasformazione del territorio regionale con la successione degli interventi ed il coordinamento delle fasi di attuazione.

Art. 11 - Approvazione dei programmi e dei piani regionali.

Il programma regionale ed il piano degli interventi, entro un anno dall’istituzione dell’Organo di Pianificazione Regionale, sono sottoposti all’adozione dell’Assemblea Regionale ed entro i 3 mesi successivi trasmessi al Comitato Nazionale di Pianificazione per l’approvazione.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, entro i 6 mesi successivi, emana il decreto di approvazione con gli eventuali emendamenti.

Programma e piano sono annualmente aggiornati dall’Organo di Pianificazione Regionale e presentati all’Assemblea Regionale ed al Comitato Nazionale di Pianificazione con la stessa procedura.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, sentiti gli Organi di Pianificazione Regionale, emanerà disposizioni generali per la formazione tecnica dei programmi e dei piani alla scala regionale.

TITOLO III

PIANIFICAZIONE COMPRENSORIALE

Art. 12 - Programma poliennale.

Il programma poliennale, stabilito di norma per un decennio dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, contiene per tutto il territorio comprensoriale:

a) l’indirizzo generale per le fondamentali operazioni di trasformazione e di salvaguardia del territorio e degli insediamenti urbani e per lo sviluppo e la propulsione delle principali attività economiche, pubbliche e private;

b) le previsioni sull’ampiezza, la distribuzione territoriale e la successione . degli investimenti ed interventi statali, regionali e degli enti locali;

c) la suddivisione del territorio comprensoriale ai fini della formazione di piani regolatori territoriali, in relazione al programma degli investimenti pubblici, con l’indicazione in prima approssimazione dei caratteri e degli scopi di tali piani e dell’ordine di urgenza della loro formazione ;

d) l’elenco dei Comuni obbligati alla formazione dei piani comunali e l’ordine d’urgenza della loro formazione in relazione ai corrispondenti piani regolatori territoriali.

Art. 13 - Formazione e approvazione.

Il programma poliennale dei comprensori deve essere formato entro un anno dall’istituzione dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e sottoposto all’esame dell’Organo di Pianificazione Regionale che lo propone all’approvazione del Presidente della Regione, che lo sancisce con proprio decreto pubblicato sul Bollettino Ufficiale Regionale.

Esso è annualmente aggiornato ed integrato in stretta collaborazione con l’Organo di Pianificazione Regionale, tenendo conto dei piani di investimento annuale del Comitato Nazionale di Pianificazione.

Coll’aggiornamento annuale il programma poliennale viene prorogato nella sua scadenza di anno in anno.

Art. 14 - Piani regolatori territoriali.

Il programma poliennale approvato si attua mediante piani regolatori territoriali.

Essi sono formati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, in collaborazione con tutti i Comuni interessati, salvo i disposti dell’art. 28.

L’Ente Comprensoriale mediante il piano regolatore territoriale:

1. - fissa le principali destinazioni d’uso del territorio;

2. - individua e localizza le conseguenti opere pubbliche egli interventi di trasformazione e di sviluppo;

3. - promuove le opere di miglioramento fondiario e di razionale coltivazione del suolo e fissa i criteri per la suddivisione o ricomposizione particellare del suolo in unità poderali;

4. - coordina e adegua l’attività degli Enti di riforma e bonifica agraria e ne promuove l’iniziativa nelle zone suscettibili di valorizzazione;

5. - promuove e coordina le iniziative per la formazione di zone industriali, ne indica ubicazione e dimensione, determinando l’applicazione delle agevolazioni di carattere fiscale, in base ai criteri generali della distribuzione regionale delle iniziative industriali, private e di partecipazione statale, forniti dall’Organo di Pianificazione Regionale;

6. - attribuisce l’attuazione degli interventi agli Organi statali ed agli Enti locali e ne fissa l’ammontare in base ad una previsione di larga massima dei costi delle opere, da allegare al piano;

8. - sovrintende alla formazione dei piani comunali per i Comuni obbligati alla loro redazione ed all’adeguamento di quelli esistenti, ne enuclea le linee programmatiche di insieme, e fissa i tempi delle varie operazioni. Il piano regolatore territoriale è formato da rappresentazioni cartografiche, da norme di attuazione e da una relazione esplicativa.

Art. 15 - Adozione ed approvazione dei piani regolatori territoriali.

I piani regolatori territoriali e i loro aggiornamenti sono adottati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e, dopo il parere dell’Organo di Pianificazione Regionale, posti in pubblicazione per giorni 30 negli albi della Regione e delle Provincie e Comuni interessati. Entro i 30 giorni successivi, le Amministrazioni pubbliche e gli Enti morali hanno facoltà di presentare osservazioni all’Ente Comprensoriale il quale, nei successivi 90 giorni, formula le controdeduzioni e trasmette il tutto all’Organo di Pianificazione Regionale.

L’Organo di Pianificazione Regionale, qualora confermi il proprio parere favorevole sul piano, lo sottopone all’approvazione del Presidente della Regione.

In caso di parere negativo rinvia il piano all’Ente Comprensoriale per gli emendamenti.

Il piano emendato dovrà essere riadottato e ripubblicato secondo la precedente procedura.

Dalla data dell’adozione fino a quella del decreto di approvazione non è consentita alcuna costruzione, trasformazione o lottizzazione in contrasto con le prescrizioni del piano adottato.

Art. 16 - Validità dei piani regolatori territoriali; controllo dell’Ente Comprensoriale.

Prescrizioni e vincoli del piano regolatore territoriale hanno validità a tempo indeterminato e carattere di obbligatorietà per tutte le Amministrazioni centrali e locali e per i privati.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale ne coordina e vigila l’attuazione nel tempo e nello spazio e promuove la formazione di Consorzi misti tra Comuni, Provincie, Regioni e Stato, ai fini della realizzazione di determinati interventi ed opere di comune interesse, comprese quelle per la valorizzazione agricola e lo sviluppo industriale.

Eventuali varianti al piano regolatore territoriale devono essere preventivamente autorizzate dall’Organo di Pianificazione Regionale e sono formate ed approvate seconde la procedura stabilita per i piani regolatori territoriali

Art. 17 - Piani assorbiti dal piano regolatore territoriale.

Tutti i programmi e piani di intervento vigenti all’atto di entrata in vigore della presente legge, quali i piani regolatori comunali generali e particolareggiati, quelli di tu tela ambientale e paesistica, di riforma agraria, di bonifica di sviluppo industriale, di viabilità a carattere statale, regionale, provinciale e comunale, approvati o in corso di elaborazione, saranno assorbiti dal piano regolatore territoriale con gli eventuali opportuni adeguamenti.

TITOLO IV PIANIFICAZIONE COMUNALE

Sezione 1 - Piano generale

Art. 18 - Piano comunale generale.

Il piano comunale generale disciplina l’intero territorio comunale e consta di due elementi: un piano d’insieme e un piano di trasformazione e di sviluppo.

Art. 19 - Piano d’insieme:

Il piano d’insieme, esteso a tutto il territorio comunale., contiene obbligatoriamente:

a) le indicazioni per l’espansione del capoluogo e degli altri centri abitati, oltrechè per l’eventuale formazione di nuovi insediamenti, in rapporto alle varie esigenze di carattere storico-ambientale e paesistico, demografiche ed economiche del Comune e del territorio circostante;

b) le indicazioni per le soluzioni di viabilità principale in collegamento con la viabilità regionale;

c) le indicazioni per la valorizzazione del territorio agricolo e per lo sviluppo industriale e per i nuovi impianti ad esso relativi, in connessione con i programmi comprensoriali e con le prescrizioni dei corrispondenti piani regolatori territoriali formati o in formazione;

d) le modalità di compartecipazione del Comune ai Consorzi di cui all’articolo 16.

Art. 20 - Adozione ed approvazione del piano d’insieme.

II piano d’insieme è deliberato dal Consiglio comunale entro un anno dall’approvazione del programma poliennale del comprensorio e trasmesso per l’approvazione all’Organo di Pianificazione Regionale per il tramite e sentito il parere dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale.

L’Organo di Pianificazione Regionale, constatato che i criteri del piano d’insieme corrispondono a quelli dei programmi regionali e comprensoriali, convalida i principi in esso contenuti e dispone che il Comune completi il piano generale con la formazione del corrispondente piano di trasformazione e di sviluppo degli insediamenti.

Art. 21 - Piano di trasformazione e di sviluppo.

Il piano di trasformazione e di sviluppo, esteso a tutti gli insediamenti ed attrezzature di qualunque tipo compresi nel territorio comunale, stabilisce e contiene obbligatoriamente:

a) la destinazione d’uso del suolo per le aree urbanizzate e da urbanizzare con i relativi caratteri ,e vincoli;

b) le attrezzature e gli impianti di uso pubblico e la loro ubicazione;

c) la rete delle comunicazioni;

d) la indicazione di immobili singoli e di zone a carattere storico-ambientale e paesistico, distinguendoli in immobili e zone soggette a vincolo di intangibilità, e suscettibili di parziali trasformazioni con particolari vincoli, ivi compreso il risanamento conservativo, ed i relativi elenchi catastali;

e) la suddivisione del territorio interessato in zone soggette ad obbligatoria formazione di piani esecutivi, il loro carattere e la successione in relazione all’ordine di priorità;

f) lo stato di previsione di larga massima dei costi per la realizzazione del piano, per quanto compete agli investimenti pubblici e l’indicazione della presumibile partecipazione dell’iniziativa privata alle operazioni di espansione, risanamento e rinnovamento urbano;

g) le norme di attuazione del piano;

h) una relazione generale esplicativa dei criteri e delle soluzioni adottate.

Art. 22 - Adozione del piano comunale generale.

Il piano comunale generale, comprensivo dello stato di previsione dei costi e delle norme di attuazione, elaborato di concerto con gli Enti pubblici interessati facenti parte dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e dell’Organo di Pianificazione Regionale, oltrechè con gli Enti ed Istituti per l’edilizia popolare e sovvenzionata, è adottato dal Consiglio comunale entro un anno dall’autorizzazione data dall’Organo di Pianificazione Regionale a norma dell’articolo 20.

Art. 23 - Pubblicazione, osservazioni e controdeduzioni.

Il piano adottato è integralmente posto in pubblicazione per giorni 30 e nei 30 giorni successivi saranno raccolte le osservazioni di carattere generale presentate da Enti e da privati e le opposizioni relative agli elenchi catastali di cui all’art. 21 d).

Alle osservazioni presentate il Comune controdeduce con deliberazione consigliare. Entro 6 mesi dalla data di adozione, il piano, unitamente alle controdeduzioni, è trasmesso dal Sindaco all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale che, dopo averlo esaminato, in relazione anche al corrispondente piano regolatore territoriale, lo sottopone, congiuntamente a questo, all’Organo di Pianificazione Regionale, non oltre i 6 mesi dal ricevi. mento di esso.

Art. 24 - Approvazione:

L’Organo di Pianificazione Regionale, esaminato il piano comunale generale e constatata la rispondenza al relativo piano regolatore territoriale ed ai programmi di sviluppo regionale, esprime il giudizio di merito e, in caso di parere favorevole, sottopone il piano all’approvazione del Presidente della Regione. L’Organo di Pianificazione Regionale ha facoltà di respingere il piano o di stralciarne delle porzioni da rinviare, per emendamento, ai Comuni.

Gli emendamenti saranno successivamente adottati, pubblicati ed approvati con la stessa procedura del piano. Nel caso in cui i piani comunali generali non ricadano in territorio dotato di piano regolatore territoriale formato, l’Organo di Pianificazione Regionale li esamina ponendoli in relazione alle indicazioni di prima approssimazione, relative ai piani stessi, contenute nel programma comprensoriale poliennale, secondo il disposto del comma c) dell’articolo 12.

Qualora in sede di Organo di Pianificazione Regionale il giudizio di merito sul piano non raggiunga una maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea, o su ricorso, avverso il deliberato dell’Ordine di Pianificazione Regionale, presentato dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale od anche da Associazioni nazionali a carattere culturale erette in Ente morale, il piano deve essere sottoposto al parere del Consiglio Tecnico Centrale. Il Consiglio Tecnico Centrale, entro 60 giorni dal ricevimento di esso, esprime il proprio parere, che ha carattere vincolante per l’Organo di Pianificazione Regionale, il quale predispone l’approvazione secondo le modalità dei commi precedenti.

Art. 25 - Validità dei piani comunali generali; vincoli su immobili; decadenza di licenze e di lottizzazioni in contrasto; varianti.

Le Amministrazioni comunali delle città, che per la loro dimensione e per la dinamica dei fenomeni demografici ed economici investono e caratterizzano un intorno che si estende notevolmente oltre i confini comunali, possono richiedere all’Organo di Pianificazione Regionale la costituzione di un Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, esteso a tutto il territorio interessato.

Di analoga facoltà possono fruire gruppi di Comuni che ne facciano collegialmente motivata domanda. In ogni caso, l’Organo di Pianificazione Regionale, istruite le domande, si pronuncia inappellabilmente su di esse entro il termine di sei mesi.

Le prescrizioni del piano generale hanno validità tempo indeterminato e carattere di obbligatorietà per tutte le Amministrazioni centrali, ivi comprese quelle demaniali, per le locali e per i privati.

I vincoli relativi alla conservazione degli immobili di carattere storico ed ambientale e paesistici, sono notificati dal Comune ai singoli proprietari entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto di approvazione sul Bollettino ufficiale della Regione e trascritti, nei successivi 30 giorni, nei registri immobiliari.

Le licenze edilizie e di lottizzazione e le altre concessioni e autorizzazioni materia edilizia comunque rilasciate dai Comuni prima dell’approvazione dei piani comunali generali, se ed in quanto in contrasto con questi, decadono dalla data dell’approvazione stessa.

Le eventuali varianti al piano devono essere preventivamente autorizzate dall’Organo di Pianificazione Regionale su proposta dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, in relazione a mutate esigenze nell’ambito territoriale; esse devono essere formate ed approvate secondo la stessa procedura stabilita per il piano comunale generale.

Art. 26 - Norme di salvaguardia.

Dalla convalida rilasciata a norma dell’art. 20 dall’Organo di Pianificazione Regionale sul piano d’insieme e fino al decreto presidenziale di approvazione del piano generale, non potranno essere rilasciate licenze per trasformazioni e costruzioni in contrasto con le previsioni del piano in progetto.

Analogo divieto è operante anche nelle zone stralciate a norma dell’art. 24.

Art. 27 - Provvedimenti economici e finanziari.

L’Organo di Pianificazione Regionale, in base allo stato di previsione dei costi per i piani in tutto o in parte approvati, invia annualmente al Comitato Nazionale di Pianificazione l’elenco delle opere pubbliche che ritiene debbano effettuarsi, indicandone i costi presunti e l’ordine di priorità.

Il Comitato Nazionale inserisce annualmente. nel bilancio dello Stato, le spese a carico dei Ministeri interessati, emana disposizioni per gli stanziamenti a carico degli Enti o Società a partecipazione statale, e stabilisce un fondo di anticipazioni e contributi per la realizzazione dei piani e lo ripartisce per Regioni, Comprensori e Comuni.

Art. 29 - Piani esecutivi; obbligatorietà.

I piani comunali generali, là dove prevedano trasformazioni d’uso per espansioni, per risanamento o per altri interventi, si attuano esclusivamente a mezzo dei piani esecutivi nel quadro del programma di attuazione redatto dai Comuni interessati a norma del successivo art. 30.

Art. 30 - Programma di attuazione.

Entro due mesi dal decreto di approvazione del piano generale, il Consiglio comunale delibera il programma di attuazione, per la durata del suo periodo amministrativo, in conformità ai disposti del piano generale e in base alle proprie risorse ed agli stanziamenti, alle anticipazioni ed ai contributi assegnatigli, e ne inserisce le previsioni nel bilancio comunale.

Il programma comprende essenzialmente:

a) l’indicazione dei piani esecutivi formati o da formare., da attuarsi in tutto o in parte nel periodo amministrativo ;

b) l’elenco e la distribuzione di tutte le opere, le attrezzature e gli impianti pubblici da realizzare o da iniziare nel detto periodo;

c) la specificazione delle aree da acquisire per le trasformazioni previste dal piano generale e da quelli esecutivi e, in particolar modo, delle aree destinate ad edilizia popolare e sovvenzionata e di quelle per la formazione del patrimonio immobiliare comunale di cui all’art. 47.

Art. 31 - Approvazione e aggiornamenti del programma di attuazione.

Il programma di attuazione è operante quando abbia ottenuto dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale il parere di conformità al piano generale.

Esso può essere annualmente integrato e revisionato con le stesse modalità.

A ciascun rinnovo di Amministrazione, il Consiglio comunale, entro due mesi dal suo insediamento, delibera il programma di attuazione per il proprio periodo amministrativo.

Sezione 2° - Piani esecutivi

Art. 32 - Piani esecutivi; principi generali.

Il piano esecutivo contiene tutte le prescrizioni tecniche per l’utilizzazione del suolo con le specificazioni planimetriche e volumetriche degli edifici, i progetti di massima delle opere e delle attrezzature pubbliche, e quanto altro necessario alla disciplina edilizia, oltrechè il piano finanziario di attuazione.

A seconda delle finalità, i piani esecutivi possono caratterizzarsi in piani di espansione, di trasformazione o di risanamento.

L’approvazione del piano esecutivo, a norma dei successivi articoli, comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da eseguire entro i termini di tempo in esso fissati. Le prescrizioni del piano esecutivo relative alle trasformazioni d’uso ed i vincoli sulla proprietà immobiliare hanno validità a tempo indeterminato. Le aree destinate ad attrezzature pubbliche saranno acquisite dalle Amministrazioni interessate entro i tempi previsti dal piano finanziario.

A. Piani esecutivi di espansione e di trasformazione.

Art. 33 - Piani esecutivi di espansione.

1 piani esecutivi di espansione riguardano le zone di ampliamento dei centri abitati ed i nuovi insediamenti. Essi contengono:

a) la rappresentazione planimetrica ed altimetrica dello stato di fatto catastale;

b) il tracciato della rete stradale pubblica, comprensiva del piano viario, dei posteggi, delle canalizzazioni, dell’arredo di superficie ecc., i progetti di massima degli edifici pubblici e la specificazione delle zone a verde;

c) la caratterizzazione delle ione residenziali, con la eventuale suddivisione in comparti e lotti di edificazione o di trasformazione, ivi compresi quelli riservati all’edilizia popolare e sovvenzionata, con la rispettiva attribuzione di volumi e con la specificazione delle opere di urbanizzazione primaria (strade residenziali, passaggi pedonali, piazzuole, fognatura, acquedotto, illuminazione pubblica ecc.);

d) la caratterizzazione planivolumetriea ed architettonica delle zone direzionali e dei centri civici di nuovo impianto e le modalità per l’utilizzazione di aree edificate da trasformare per tale destinazione;

e) la caratterizzazione delle zone industriali, comprendente essenzialmente la suddivisione in lotti con i relativi vincoli, come l’indicazione del tipo di industria e gli inombri massimi planivolumetrici degli stabilimenti, oltrehè la specificazione degli edifici di servizio generale alla zona stessa;

f) un quadro dei tempi di attuazione suddiviso in periodi amministrativi;

g) l’indicazione dei progetti esecutivi di tutti gli edifici, delle attrezzature e degli impianti pubblici da eseguire nel periodo amministrativo in corso;

h) l’elenco delle proprietà vincolate dal piano, o dal Ministero della Pubblica Istruzione a norma dell’art. 77, ai fini della tutela dell’ambiente e del paesaggio;

i) il piano dell’eventuale ricomposizione particellare e delle rettifiche dei confini;

l) il piano finanziario esecutivo di tutte le opere del periodo amministrativo in corso e quello di massima dei periodi successivi;

m) le norme particolareggiate di attuazione;

n) una relazione esplicativa di tutti i punti precedenti.

Il piano esecutivo, al subentro di un nuovo Consoglio comunale, è integrato con l’indicazione dei progetti esecutivi di cui al comma 1) e con il piano finanziario esecutivo per il successivo periodo amministrativo.

Art. 34 - Piani esecutivi di trasformazione.

I piani esecutivi di trasformazione concernono le zone urbane non contemplate negli artt. 33 e 35., e che il piano comunale generale destina a trasformazione, sia per ragioni di risanamento igienico-edilizio, sia per diversa destinazione d’uso con ristrutturazione planivolumetriea.

Essi contengono

a) l’indicazione planivolumetriea dello stato di fatto con le indicazioni catastali e dei vincoli esistenti;

b) il piano d’insieme planivolumetrieo delle trasformazioni, con le destinazioni d’uso;

c) il progetto della rete viaria e dell’arredo stradale, compresi autoposteggi ed autorimesse;

d) il progetto della rete di impianti;

e) il progetto dei giardini pubblici e l’indicazione di quelli privati;

f) l’eventuale suddivisione della zona in comparti e l’indicazione di quelli per i quali è obbligatoria la formazione di consorzi tra i proprietari con l’elenco dei medesimi;

g) il piano delle eventuali ricomposizioni particellari e rettifiche di confine;

h) l’elenco delle proprietà vincolate ai fini della tutela dell’ambiente e del paesaggio;

i) il piano finanziario;

l) le norme tecniche e i tempi di attuazione;

m) una relazione esplicativa di tutti i punti precedenti.

B. Piani esecutivi di risanamento conservativo.

Art. 35 - Definizione.

I piani di risanamento conservativo riguardano le zone storico-ambientali intangibili o suscettibili di parziali tra. sformazioni con gli speciali vincoli di cui all’art. 21, d).

Art. 36 - Contenuto.

Il piano di risanamento conservativo consta di

a) una relazione programmatica, accompagnata da grafici, compilata a cura della commissione di esperti, di cui all’art. 37, e preventivamente approvata dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale;

b) la planimetria catastale d’insieme con l’indicazione dei vincoli esistenti;

c) il rilievo dello stato di fatto di tutti gli edifici compresi nella zona interessata dal piano, alla scala non inferiore ad 1:200;

d) il piano d’insieme delle trasformazioni, alla scala non inferiore ad 1:200., contenente:

1. l’indicazione delle opere di consolidamento delle strutture essenziali;

2. le modalità di restauro interno ed esterno degli elementi originari;

3. l’eliminazione delle sovrastrutture recenti dannose all’ambiente ed all’igiene;

4. la ricomposizione delle unità immobiliari per miglioramento funzionale ed igienico-edilizio;

5. le demolizioni;

6. la sistemazione a terra degli spazi liberi;

e) la distribuzione delle destinazioni d’uso per le aree inedificate e per gli immobili nella zona risanata, con particolare riguardo alle pubbliche attrezzature che possono essere ospitate in edifici storico-ambientali ;

f) il progetto dell’arredo stradale, della rete degli impianti e dell’illuminazione pubblica;

g) l’eventuale piano di rifusione particellare;

h) l’eventuale formazione di consorzi obbligatori;

i) l’elenco catastale degli edifici vincolati dal piano ad intangibilità e delle aree non edificabili;

l) il piano finanziario delle opere pubbliche suddiviso per quadrienni;

m) le norme tecniche ed i tempi di attuazione secondo una graduatoria d’urgenza.

Art. 37 - Commissione regionale di esperti.

Il risanamento conservativo è programmato e diretto da una commissione di esperti, nominata dall’Organo di Pianificazione Regionale, e comprendente:

- il Soprintendente ai Monumenti, Presidente;

- due urbanisti, di cui uno docente universitario ;

- un docente di storia dell’arte o dell’architettura;

- un igienista;

con il compito di definire i caratteri, i limiti ed i tempi di elaborazione dei singoli piani di risanamento conservativo.

Ognuno di tali piani è elaborato da uno o più architetti o ingegneri scelti dal Consiglio comunale su proposta della commissione di esperti.

Art. 38 - Obblighi e facoltà dei proprietari.

Entro i tempi fissati dalla notifica secondo la graduatoria d’urgenza di cui all’art. 36, m), i proprietari degli immobili compresi nel piano di risanamento conservativo e gli eventuali consorzi obbligatori dovranno presentare al Comune il progetto esecutivo di risanamento eseguito secondo le prescrizioni notificate e corredate dalle stime del valore degli immobili prima e dopo la trasformazione e dei costi di trasformazione.

È in facoltà dei proprietari o dei consorziati richiedere, entro 60 giorni dalla notifica, la compilazione d’ufficio del progetto esecutivo, da parte di progettista scelto dalla commissione di esperti, e di proporre, entro lo stesso termine, la cessione dei diritti di proprietà.

Trascorso il termine fissato dalla notifica per la presentazione del progetto, per i proprietari che non abbiano provveduto a detta presentazione, il Comune procede d’ufficio alla compilazione del progetto, all’esproprio degli immobili ed all’esecuzione delle opere.

Art. 39 - Commissione di periti.

In ogni comprensorio, l’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale nomina una commissione di periti per la stima degli immobili da risanare.

La commissione è composta da

- il Provveditore regionale alle 00. PP., Presidente;

- l’ingegnere capo del Genio civile;

- l’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Erariale;

- un tecnico designato dalla commissione provinciale delle imposte dirette;

- un ingegnere o architetto designato dagli ordini.

Per ogni tipo di risanamento sono aggregati alla commissione dei periti due ingegneri o architetti designati dall’assemblea dei proprietari che hanno ricevuto notifica, entro 60 giorni da tale data, su convocazione del Comune; in caso di mancata designazione, il Comune procede di ufficio..

Art. 40 - Compiti.

La commissione dei periti ha il compito di accertare il valore dichiarato nelle stime di cui all’art. 38, in base a verifiche eseguite dall’Ufficio Tecnico Erariale per quanto concerne i valori dell’immobile e dal Genio Civile per quanto riguarda i costi di trasformazione.

In tutti i casi in cui la trasformazione comporta una diminuzione di valore rispetto al valore iniziale più i costi di trasformazione, la commissione delibera modalità ed importi per compensare la perdita subita, secondo i disposti dell’articolo seguente.

Art. 41 - Agevolazioni ai privati proprietari.

Sono ammesse le seguenti agevolazioni ai proprietari degli immobili di cui all’articolo precedente:

a) sgravio fiscale dell’immobile trasformato, fino alla durata massima di 30 anni;

b) sgravio totale o parziale dall’imposta sul dazio per i materiali da costruzione occorrenti per la trasformazione;

c) contributi a fondo perso, per i casi in cui la trasformazione comporti una diminuzione di valore o particolari oneri per opere di consolidamento e di restauro in edifici storici o artistici di notevole importanza.

Art. 42 - Ricorso contro le deliberazioni della commissione dei periti.

Tutte le deliberazioni della commissione dei periti sono sottoposte all’approvazione dell’Organo di Pianificazione Regionale; le deliberazioni approvate sono pubblicate sull’albo regionale e di esse è data notizia sui quotidiani locali.

Avverso alle deliberazioni della commissione dei periti è ammesso, entro 30 giorni dalla pubblicazione, il ricorso alla magistratura ordinaria.

Il ricorso non sospende la procedura di trasformazione.

Art. 43 - Ente nazionale per il finanziamento del risanamento conservativo.

Nel termine di un anno dalla promulgazione della presente legge sarà istituito; con apposito provvedimento legislativo, un Ente nazionale per il finanziamento del risanamento conservativo dotato di congrui fondi per l’erogazione di crediti a lungo termine a favore dei Comuni per le operazioni di risanamento conservativo, per le anticipazioni ai privati e per l’erogazione dei contributi a fondo perso di cui all’art. 41, c).

Ai crediti ed ai contributi possono accedere i proprietari di immobili ricadenti in zona soggetta a piano di risanamento conservativ, muniti di licenza di trasformazione e della relativa deliberazione dei periti, e che ne facciano domanda al Comune

C. Approvazione dei piani esecutivi

Art. 44 – Termini

I piani esecutivi sono adottati dal Consiglio comunale e posti in pubblicazione per la durata di 30 giorni. Qualora essi prescrivano obblighi di costituzione di comparti, l’avvenuta pubblicazione sarà notificata ai proprietari interessati entro i primi 10 giorni dalla pubblicazione stessa. Nel termine di 30 giorni dall’avvenuta pubblicazione, i proprietari interessati potranno chiedere al Comune la variazione del perimetro del comparto.

Nel termine dei successivi 30 giorni possono essere presentate osservazioni e opposizioni.

Le osservazioni e le opposizioni, oltrechè le richieste di modifica del perimetro dei comparti, sono trasmesse all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale unitamente alle deduzioni del Comune deliberate in Consiglio comunale.

Art: 45 - Procedura.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, entro e non oltre 30 giorni dal ricevimento delle osservazioni ed opposizioni e delle relative deduzioni comunali, esprime il parere di merito e lo trasmette, assieme al piano, all’Organo di Pianificazione Regionale che entro i successivi 60 giorni delibera l’accoglimento o il rigetto totale o parziale del piano stesso, delle osservazioni ed opposizioni e delle modifiche di perimetro.

Il piano è approvato dal Presidente della Regione con decreto pubblicato sul Bollettino Ufficiale.

Qualora in sede di Organo di Pianificazione Regionale il giudizio di merito sul piano non raggiunga una maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea, o su ricorso, avverso il deliberato dell’Organo di Pianificazione Regionale, presentato dall’Ente Comprensoriale od anche da Associazioni nazionali a carattere culturale erette in Ente morale, il piano deve essere sottoposto al parere del Consiglio Tecnico Centrale. Il Consiglio Tecnico Centrale, entro 60 giorni dal ricevimento di esso, esprime il proprio parere, che ha carattere vincolante per l’Organo di Pianificazione Regionale, il quale predispone l’approvazione secondo le modalità dei commi precedenti.

I vincoli imposti dai piani esecutivi sono notificati dal Comune ai singoli proprietari entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto di approvazione sul Bollettino Ufficiale della Regione.

I piani esecutivi di risanamento conservativo, oltrechè all’Albo comunale, saranno pubblicati contemporaneamente, per uguale periodo, agli Albi provinciale e regionale. Per essi l’Organo di Pianificazione Regionale, prima di proporli all’approvazione del Presidente della Regione, dovrà sentire il parere del Consiglio Tecnico Centrale.

I vincoli relativi alla conservazione degli edifici di carattere storico ed ambientale e quelli paesistici sono trascritti a cura del Comune nei registri immobiliari entro 30 giorni dalla notifica.

D. Lottizzazione

Art. 46 – Piani di lottizazione.

Nei Comuni dotati di piano generale possono essere presentati, dagli interessati, progetti di oottizzazione limitatamente alle zone di espanzione indicate dal piano. Il progetto di lottizzazione ha, in tal caso, le stesse caratteristiche tecniche dei piani esecutivi previsti per dette zone ed è approvato con le stesse procedure..

Nei Comuni sprovvisti di piano generale comunale, il frazionamento di aree a scopo di trasformazione d’uso è subordinato alla formazione di un piano di lottizzazione, conforme alle indicazioni del relativo piano regolatore territoriale vigente o in formazione. Esso consta di:

a) un grafico dimostrante l’ubicazione della lottizzazione ed il suo inserimento nel P.R.T.;

b) un piano planivolumetrico comprensivo delle opere edilizie con la loro destinazione, della rete stradale e degli impianti primari;

c) una relazione indicativa dei costi delle opere di urbanizzazione e dei tempi di attuazione.

Il piano di lottizzazione deve essere redatto da un architetto o ingegnere; esso è un piano esecutivo a tutti gli effetti e segue la procedura di approvazione dei piani esecutivi.

TITOLO V

ATTUAZIONE DEI PIANI COMUNALI

Art. 47 - Patrimonio comunale di aree.

Il Comune forma, in base al piano e conformemente ai programmi di attuazione, un patrimonio comunale di aree da urbanizzare, destinandovi obbligatoriamente un’aliquota dei contributi concessigli in base all’art. 27, fissata nello stesso decreto di concessione.

Al medesimo fine deve essere investita un’aliquota delle somme a qualunque titolo rivenienti al Comune dalla attuazione del piano.

Realizzata l’urbanizzazione, il Comune può cedere il diritto di superficie dei lotti edificabili ad Enti e privati che si impegnino a realizzare l’edificazione secondo le prescrizioni del piano. Può altresì cederne la proprietà nei casi previsti dagli artt. 58 e 60.

Art. 48 - Cessione gratuita di aree da parte dei privati. Assunzione dei costi di urbanizzazione. primaria.

Nelle zone di espansione entro il perimetro di ciascun piano esecutivo grava sul complesso delle proprietà, escluse quelle vincolate a carattere monumentale o paesistico. l’obbligo di cessione gratuita al Comune di un’aliquota del 30% dell’area totale per le attrezzature pubbliche (articolo 33, b), mentre le spese per quella parte di esse che costituisce urbanizzazione primaria (art. 33, c) gravano sulle aree edificatorie interessate.

L’esecuzione di dette opere può essere fatta dal Comune stesso con rimborso rateato delle relative spese, oppure essere dal Comune affidata ai proprietari singoli, o riuniti in consorzio, mediante convenzione.

Art. 49 - Consorzi coattivi per l’attuazione del piano esecutivo.

I comparti di cui agli articoli precedenti costituiscono unità comprensive di aree destinate all’edificazione, alla viabilità ed alle altre indispensabili attrezzature pubbliche e degli eventuali edifici e manufatti esistenti.

I proprietari di tutte le aree ed edifici ricadenti nel comparto, sono tenuti a costituirsi in consorzio per l’attuazione del piano, compresa la realizzazione e la manutenzione delle relative opere di urbanizzazione primaria.

Entro i 45 giorni successivi alla notificazione di cui all’art. 44, i consorzi stabiliti dal piano debbono essere giuridicamente costituiti.

A costituire il consorzio basterà il concorso dei proprietari rappresentanti, in base alla consistenza immobiliare, i due terzi del valore dell’intero comparto. I consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del comparto mediante l’espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non aderenti.

Quando sia decorso inutilmente il termine stabilito nell’atto di notifica, il Comune procederà, secondo le stesse norme dell’art. 58, all’espropriazione del comparto.

Per l’assegnazione di esso, in blocco o in parti, con l’obbligo di provvedere ai lavori di edificazione e di trasformazione a norma del piano esecutivo, il Comune indirà una gara fra i proprietari espropriati sulla base del prezzo di espropriazione maggiorato del 5%.

In caso di diserzione della gara, il Comune potrà procedere all’assegnazione mediante gara aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara fra i proprietari espropriati.

Art. 50 - Consorzi volontari.

È ammessa la formazione di consorzi volontari raggruppanti il complesso delle proprietà ricadenti in un determinato perimetro per la realizzazione di piani esecutivi su progetti elaborati secondo le norme degli artt. 33, 34, 36, 48 e 49.

Analoga facoltà è concessa all’eventuale unico proprietario dell’area di un intero comparto.

I relativi progetti, presentati al Comune, sono esaminati, entro 60 giorni, da una commissione formata dal Sindaco, presidente, da tre consiglieri comunali, di cui uno di minoranza, e da tre esperti urbanisti designati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale. La commissione provvede all’istruttoria del progetto e, con gli emendamenti eventualmente concordati con i proponenti, lo sottopone, assieme col proprio parere, al, Consiglio comunale.

L’approvazione avviene secondo le modalità degli articoli 45 e 46.

Art. 51 - Agevolazioni.

I consorzi, comunque costituiti, i quali operino trasformazioni con carattere di prevalente risanamento igienicosociale, non costituenti in complesso operazioni economicamente attive, possono fruire delle agevolazioni di cui agli artt. 41 e 43, facendone richiesta alla commissione dei periti del relativo comprensorio.

Nei casi in cui il Comune o altri Enti pubblici si sostituiscano ai privati ed ai Consorzi per l’attuazione di opere di risanamento conservativo e di risanamento non economicamente attivo, in esecuzione all’art. 38, i subentranti usufruiscono delle stesse agevolazioni.

Art. 52 – Ricomposizione particellare.

Alla ricomposizione particellare di sui agli artt. 33 i), 34 g), si precede là dove la ripartizione attuale delle aree non consenta la realizzazione delle prescrizioni c piano esecutivo.

Il Comune invita i proprietari delle singole partite a concordare, entro un termine fissato, una ricomposizio aderente alle prescrizioni stesse, mediante permute o compravendite. Decorso inutilmente il termine stabilito, Comune procede nei loro confronti secondo le norme d l’art. 49.

Art. 53 - Rettifica dei confini.

Nei casi in cui l’andamento dei confini di proprietà ostacoli la strutturazione edilizia prevista dai piani esecutivi, il Comune invita i proprietari limitrofi a rettificare linee di confine. Trascorso il termine all’uopo assegnato il Comune promuove l’espropriazione delle necessarie porzioni di area a favore e per conto delle proprietà che tal modo si regolarizzano.

Art. 54 - Diritti reali, servitù, ipoteche.

Nella formazione dei comparti, nella ricomposizione particellare e nella rettifica di confini, i diritti reali, servitù ed ipoteche esistenti sulle precedenti particelle, graveranno, nello stesso ordine, sulle nuove particelle att buite al medesimo proprietario, salvo per quanto concerne le servitù, per le quali il piano può disporre diversamen

Art. 55 - Perequazione dei volumi edificabili.

Entro il perimetro dei piani esecutivi, di espansione e di trasformazione, tutti i proprietari ed i titolari di diri di superficie compresi nei diversi comparti del pian hanno diritto alla perequazione dei volumi edificabili.

Tale perequazione verrà computata, per ogni particella, dalla differenza tra il volume effettivamente attribuito dal piano esecutivo ed il volume teorico-medio, ottenuto dall’uniforme distribuzione del volume edificati complessivo ammesso sull’intero territorio incluso nel perimetro.

Le particelle cui è attribuito un volume effettivo inferiore a quello teorico-medio, riceveranno, a perequazione, un compenso di diritto di volume da parte delle particelle cui è stato attribuito dal piano un volume maggiore quello teorico-medio.’

La localizzazione dei volumi spettanti alle particelle in difetto viene definita, mediante sorteggio da parte del Autorità comunali, secondo le forme di legge, entro 60 giorni dal decreto di approvazione del piano esecutivo e notificata al proprietario entro i 30 giorni successivi. Il diritto di volume è commerciabile.

Art: 56 - Addebito ai proprietari delle spese p opere di urbanizzazione primaria.

Le spese per eventuali opere di urbanizzazione primaria, in tutto o in parte già eseguite a spese del Comune, saranno dal Comune stesso addebitate, in relazione al relative spettanze, ai proprietari singoli o riuniti in consorzio; essi sono tenuti a completare tali opere entro e non oltre i due anni a partire dalla notifica dell’addebito,

Non sono in ogni caso addebitabili le opere di urbanizzazione primaria eseguite anteriormente a 10 anni dal l’entrata in vigore della presente legge.

Art. 57 - Lottizzazioni sprovviste di opere di urbanizzazione primaria.

Nelle lottizzazioni, iniziate entro il periodo di cui all’ultimo comma dell’articolo precedente, tuttora sprovviste delle opere di urbanizzazione primaria, queste dovranno essere eseguite a carico del consorzio, secondo le modalità dell’art. 48, entro e non oltre i due anni dalla entrata in vigore della presente legge.

Per gli intasati urbani e per le lottizzazioni completamente edificate anteriori al detto periodo e sprovviste in tutto o in parte delle opere di urbanizzazione primaria, il Comune, entro due anni dall’entrata in vigore della presente legge, dovrà provvedere a proprie spese alla dotazione di tali opere.

Art. 58 - Acquisizione degli immobili per l’attuazione dei piani.

Il computo del valore delle aree, edifici e manufatti la cui proprietà debba essere trasferita a norma degli articoli precedenti per l’attuazione dei piani generali ed esecutivi e per la formazione del patrimonio immobiliare comunale, di cui all’art. 47, è effettuato sulla base del prezzo di mercato degli immobili stessi, nella loro destinazione d’uso precedente all’approvazione dei piani, con esclusione di qualsiasi incremento o decremento derivante dalle differenti destinazioni stabilite dai piani stessi.

Per la procedura di stima .e di corresponsione del relativo prezzo si applicano le norme degli artt. 24 e seguenti della legge 25 giugno 1865, n. 2359, con reciproca facoltà, per il Comune e per gli interessati, di compensazione meliante cessione di proprietà di lotti edificabili nelle aree li cui all’art. 47.

Art. 59 - Occupazione temporanea.

Nei casi in cui il Presidente della Regione, su proposta dell’Organo di Pianificazione Regionale, consenta eccezionalmente l’occupazione temporanea o d’urgenza degli imnobili da acquisire, il decreto che autorizza l’immissione in possesso dovrà stabilire un congruo indennizzo per il periodo di occupazione da corrispondersi anticipatamente ,1 proprietario degli immobili stessi.

Contro la determinazione dell’ammontare dell’indennizzo è ammesso gravame innanzi alla magistratura ordinaria.

Art. 60 - Perequazione dei valori.

Le proprietà immobiliari che, per effetto dell’attuazione dei piani esecutivi, durante un periodo amministravo beneficiano di un incremento di valore, sono tenute a orrispondere al Comune, entro il successivo periodo e seondo modalità da stabilirsi, la metà di esso, dedotto il alore delle aree cedute a norma dell’art. 48, e le spese er le opere di urbanizzazione, sopportate a norma dello ‘esso articolo e salve le perequazioni già effettuate in base all’artiicolo 54.

I valori d’incremento o decremento vanno computati rieptto al valore d’uso degli immobili precedente alla data di adozione del piano d’insieme, di cui all’art. 20.

Le proprietà immobiliari che subiscano un decremento di valore per effetto di mutamenti di destinazione rispetto a precedenti piani regolatori particolareggiati, formati in base a leggi precedenti alla presente, o piani esecutivi formati ai sensi della presente, o piani di lottizzazione, tutti regolarmente approvati secondo le rispettive procedure, hanno diritto ad un indennizzo pari al danno subito. Tale indennizzo, è corrisposto dal Comune o mediante corrispettivo in danaro secondo modalità da stabilirsi, o mediante cessione di proprietà di lotti edificabili nelle aree di cui all’art. 47, e comunque entro un periodo non superiore a 5 anni dalla data dell’accertamento.

L’accertamento è promosso dalle parti ed eseguito dall’Ufficio Tecnico Erariale, per quanto concerne le aree, e dall’Ufficio del Genio Civile per gli edifici e manufatti.

Avverso l’accertamento è ammesso gravame innanzi alla magistratura ordinaria.

Art. 61 - Aree destinate . ad edilizia popolare statale o sovvenzionata.

Le aree destinate ad edilizia popolare statale o sovvenzionata, specificate nel programma di attuazione, di cui all’art. 30, sono acquistate dagli Enti interessati alle stesse condizioni contemplate dall’art. 58. Le cessioni di dette aree è obbligatoria; l’obbligo è notificato dal Sindaco entro 30 giorni dall’approvazione del programma stesso.

Art. 62 - Fondo regionale per l’urbanizzazione.

La Regione provvede alla costituzione di un Fondo regionale per l’urbanizzazione, formando un consorzio fra Enti pubblici ed Istituti di Credito, al fine di anticipare ai privati ed Enti obbligati alle opere di urbanizzazione primaria, di cui agli articoli precedenti, le somme occorrenti, con rimborso decennale ed al tasso ufficiale maggiorato del 2% per spese di gestione. Analoghe anticipazioni potranno essere consentite ai Comuni per le opere di urbanizzazione di loro spettanza.

Art. 63 - Termini per l’attività edilizia privata.

I proprietari delle aree comprese in un piano esecutivo, o in un piano di lottizzazione approvato, sono obbligati ad eseguire le opere di trasformazione nel tempo fissato dai piani. I proprietari inadempienti, al termine del periodo fissato dal piano, sono messi in mora dal Comune per un periodo non superiore a mesi 12, trascorso il quale, il Comune procede all’esproprio dell’area attribuendole un valore inferiore del 25% a quello di mercato, con ulteriore deduzione delle spese per l’urbanizzazione primaria di loro competenza non ancora corrisposte. L’area espropriata viene messa all’asta per l’edificazione. Gli eventuali ricavi dall’operazione sono devoluti al fondo di cui all’articolo 47.

Art. 64 - Poteri di vigilanza dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale ha potere di vigilanza sulla fedele attuazione dei piani generali ed esecutivi; esso si sostituisce all’Autorità comunale nei casi in cui questa operi in contrasto o in deroga con le prescrizioni dei piani approvati.

TITOLO VI

NORME REGOLATRICI DELL’ATTIVITÀ COSTRUTTIVA EDILIZIA

Art. 65 - Licenza di costruzione e di trasformazione edilizia.

Su tutto il territorio nazionale la costruzione di edifici e la trasformazione di quelli esistenti non potrà iniziarsi senza il preventivo rilascio di apposita licenza edilizia da parte delle Autorità competenti.

Ogni demolizione di immobile o di alberatura vincolata ai fini paesistici, a norma dell’art. 33 h), deve essere preventivamente autorizzata.

Art. 66 - Rilascio della licenza edilizia.

Il rilascio della licenza è subordinato all’accertamento del pieno rispetto delle prescrizioni dei piani generali ed esecutivi, ove esistano; nel qual caso essa è di competenza del Sindaco su conforme parere della commissione edilizia comunale, sentito altresì il parere vincolante della commissione degli esperti, di cui all’art. 37, nel caso di progetti ricadenti nelle zone di risanamento conservativo.

Nei Comuni non obbligati a redigere i piani comunali e facenti parte di un comprensorio, essa è rilasciata dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale per i nuovi insediamenti di edilizia popolare e sovvenzionata, per le lottizzazioni e le nuove costruzioni in zone soggette a vincolo storico. ambientale e paesistico, per i nuovi insediamenti industriali e per gli ampliamenti superiori al 30% del volume degli edifici industriali esistenti, per l’appoderamento agrario di estensione pari o superiore alle 10 unità poderali minime; dal Sindaco per le restanti opere pubbliche e private, sentito il parere della commissione edilizia competente.

La licenza è rilasciata, in ogni caso, entro e non oltre 90 giorni dalla domanda; entro la stessa data sono notificate, con motivazione, le domande respinte o sospese in attesa di emendamento o per effetto di salvaguardia, ai sensi dell’art. 26.

I progetti sottoposti all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale per il rilascio di licenza debbono raggiungere l’unanimità di giudizio; in caso contrario il progetto, unitamente al giudizio espresso dall’Ente Comprensoriale, è sottoposto all’esame dell’Organo di Pianificazione Regionale; in caso di particolare importanza l’Organo di Pianificazione Regionale ha facoltà di rimettere il giudizio definitivo al Consiglio Tecnico Centrale.

Art. 67 - Licenza di abitabilità.

Nessun edificio di nuova costruzione o trasformato ricadente nel perimetro dei piani esecutivi potrà avere alcuna utilizzazione se non dopo il rilascio della licenza di abitabilità che dovrà attestare la rispondenza dell’edificio al progetto e l’avvenuta esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria ad esso connesse.

Per gli immobili non ricadenti nel perimetro dei piani esecutivi e fuori dalle lottizzazioni approvate può essere concessa la licenza di abitabilità soltanto se siano garantiti almeno la provvista di acqua potabile ed uno smaltimento igienico delle acque luride.

Art. 68 - Regolamento edilizio comunale.

Ciascun Comune dotato di piano generale provvede. entro 6 mesi dalla pubblicazione del decreto di approva zione, alla compilazione di un proprio regolamento edili zio, in armonia con le disposizioni contenute nella presente legge e nel testo unico delle leggi sanitarie R. D. 27 lu glio 1934, n. 1265, e suoi aggiornamenti, oltrechè con le prescrizioni del piano generale.

Esso detta norme essenzialmente sulle seguenti materie:

1. - formazione, attribuzioni e funzionamento della commissione edilizia comunale;’

2. - procedura di presentazione delle domande di licenza per costruzione o trasformazione edilizia e lottiz zazioni;

3. - caratteristiche tecniche dei progetti, di cui alla domanda precedente, e degli elaborati obbligatori (plani metria quotata; rilievo degli eventuali edifici da trasfor mare; piante, prospetti e sezioni degli edifici in progetta con i particolari costruttivi ed architettonici e l’indica zione dei materiali e dei colori; impianti tecnici ecc.);

4. - particolari prescrizioni dimensionali costruttive ed estetiche ad integrazione delle norme dei piani generali ed esecutivi per determinate zone urbanizzate o da urba nizzare ;

5. - norme igieniche di interesse edilizio;

6. - arredo stradale e sistemazione a terra dello sco perto pubblico e privato e loro manutenzione;

7. - occupazione temporanea di suolo pubblico, lavori nel sottosuolo, garanzia per la pubblica incolumità;

8. - vigilanza sull’esecuzione dei lavori per assicurare l’osservanza delle disposizioni di legge, dei regolamene e dei piani.

Art. 69 - Regolamento edilizio comprensoriale.

A cura dell’Ente Comprensionale per la pianificazioni territoriale saranno redatti regolamenti edilizi, da valere per i Comuni del comprensorio non dotati di piano o non obbligati a redigerlo. Esso, oltre a dettare norme sulle materie di cui al precedente articolo, salvo i punti 1 e 4, determina i tipi edilizi e ne fissa le caratteristiche. L’Ente Comprensoriale, sentite le Amministrazioni interessati provvede alla costituzione di una o più commissioni edilizie competenti per gruppi di detti Comuni.

Art. 70 - Approvazione dei regolamenti edilizi.

I regolamenti edilizi comunali sono adottati dal Consiglio comunale e trasmessi al competente Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale che li presenta con il proprio parere all’approvazione dell’Organo di Pianificazione Regionale.

I regolamenti edilizi comprensoriali sono adottati dall’assemblea dell’Ente Comprensoriale e, dopo la pubblicazione nei Comuni interessati per un periodo di 30 giorni, sono trasmessi, con le eventuali osservazioni, all’Organo Pianificazione Regionale per l’approvazione.

Gli uni e gli altri sono resi esecutivi con decreto e Presidente della Regione.

Art. 71 – Vigilanza sulle costruzioni nel territorio comunale.

CAPO 1. FINALITà

Articolo 1. La pianificazione del territorio

1. La presente legge detta norme relative alla pianificazione del territorio.

2. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze.

3. La pianificazione del territorio è lo strumento fondamentale attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione denominata: tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Nonché delle seguenti materie oggetto di legislazione concorrente a norma dei commi terzo e quarto del medesimo articolo 117 della Costituzione: protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Nonché infine di materie oggetto di legislazione esclusiva delle Regioni, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo 117 della Costituzione, quali viabilità e opere pubbliche di interesse regionale e locale. La pianificazione del territorio è altresì lo strumento attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della tutela del paesaggio ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione.

4. Relativamente a ogni aspetto delle materie di cui al comma 3 non disciplinato dalle norme della presente legge valgono i relativi atti aventi forza di legge, nel rispetto delle competenze costituzionalmente garantite dei Comuni, delle Province; delle Città metropolitane, delle Regioni, dello Stato.

5. La presente legge provvede altresì al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

Articolo 2. La titolarità pubblica della pianificazione del territorio

1. La pianificazione del territorio compete esclusivamente a pubbliche autorità.

2. La formazione degli strumenti di pianificazione spetta ordinariamente agli enti territoriali: Comuni, Province o Città metropolitane, Regioni, Stato.

3. Il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, è operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza esclusiva di definizione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province, Città metropolitane.

4. La legislazione dello Stato e quella regionale possono attribuire competenze nel campo della formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette, all’erogazione di servizi di interesse collettivo, e simili, ad altre autorità pubbliche, con la concorrenza di diversi enti territoriali, fermo restando che anche in tali casi la competenza decisionale finale deve spettare all’ente territoriale nella cui circoscrizione rientri l’intero ambito oggetto dello specifico strumento di pianificazione.

5. La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, specificano i casi di prevalenza dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale sugli ordinari strumenti di pianificazione e le modalità di adeguamento di questi ultimi alle disposizioni dei primi. Sono altresì specificati i casi in cui il raggiungimento d’intese con le autorità pubbliche competenti conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni le valenze e le efficacie dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

Articolo 3. La pianificazione come metodo

1. Gli strumenti di pianificazione sono rivolti a regolare le trasformazioni, fisiche o funzionali, del territorio e degli immobili che lo compongono, e a conferire loro coerenza, in relazione sia alla loro collocazione nello spazio che alla loro successione nel tempo.

2. Gli atti e le azioni delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi a strumenti di pianificazione. Fanno eccezione unicamente gli atti assunti nei casi di straordinaria necessità di provvedere, con interventi urgenti, alla difesa militare o alla sicurezza della Nazione, ovvero a prevenire il verificarsi di calamità naturali, di catastrofi e di altri eventi calamitosi, o a rimediare ai suddetti eventi, e comunque nel rispetto delle specifiche norme legislative.

3. Le facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili non possono essere annullate o modificate da sopravvenuti strumenti urbanistici unicamente ove sia intercorso l’ottenimento del provvedimento abilitativo a operare le trasformazioni, e le relative attività abbiano avuto inizio entro un periodo di tempo predeterminato dalle leggi.

Articolo 4. Il diritto alla città e all’abitare

1. La pianificazione assicura che l’impiego delle risorse territoriali non ne comprometta la consistenza. La loro utilizzazione è garantita in condizioni equivalenti a tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali ed ambientali e del patrimonio culturale, alla dignità umana nonché al diritto di proprietà.

2. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la legislazione dello Stato determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva, e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurate negli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.

3. In particolare, il Comune, per ridurre le condizioni di disagio abitativo, definisce, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione, le localizzazioni e le modalità realizzative per ampliare l’offerta di edilizia sociale.

Articolo 5. Onerosità della trasformazione urbanistica

1. L’attività di trasformazione urbanistica presuppone l’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie per la mitigazione ambientale.

2. Ogni trasformazione urbanistica concorre al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste. La legislazione regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da pervenire ad un equilibrio tra somme introitate dal comune e costi da sostenere e che le opere di urbanizzazione generale siano ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sull’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.

Articolo 6. La partecipazione e la condivisione delle conoscenze

1. La partecipazione dei cittadini alla formazione delle scelte della pianificazione è condizione essenziale per la loro efficacia. Essa ha la sua necessaria premessa nella condivisione di tutte le informazioni riguardanti il territorio, la pianificazione e le trasformazioni.

2. Anche al fine di cui al precedente comma 1, gli enti pubblici promuovono la costituzione di strutture atte a garantire la diffusione di esaurienti ed adeguate forme di conoscenza continua e di monitoraggio attinenti ai processi di pianificazione e di trasformazione urbana, nelle loro premesse, formazione e attuazione.

Articolo 7. Il contenimento dell'uso del suolo

e la tutela delle attività agro-silvo-pastorali

1. Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.

2. Le leggi regionali assicurano che, sul territorio non urbanizzato, gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, né demolizioni e ricostruzioni, o consistenti ampliamenti, di edifici, se non strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all'estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalle leggi.

3. Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma 2 siano assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali sia prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale viene assentita la trasformazione, nonché l'impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici, o delle loro parti, attivando utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente all'estensione richiesta per la trasformazione ammessa.

4. Le leggi regionali disciplinano altresì le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e ricostruzione.

5. Le leggi regionali prevedono la demolizione senza ricostruzione dei manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici, qualora perdano la destinazione originaria.

6. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre ulteriori limitazioni, fino alla totale intrasformabilità, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell'ambiente, dell'ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico, storico-testimoniale, del patrimonio edilizio esistente.

Articolo 8. La tutela degli insediamenti storici

1. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, d’intesa con il competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come tali:

- gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

- le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

2. Resta ferma la competenza dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali di integrare le predette individuazioni con propri provvedimenti amministrativi.

3. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili suindicati sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, come definite dalla legislazione regionale. Laddove siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite d’intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengono luogo delle speciali autorizzazioni dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

CAPO II. GLI STRUMENTI E LE PROCEDURE

Articolo 9. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale

1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per l’ambiente e la tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e acquisiti i pareri delle competenti commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, entro diciotto mesi dall’approvazione della presente legge. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento, e alla loro eventuale variazione, almeno ogni tre anni, nonché, comunque, ove se ne presenti la necessità.

2. Nella formazione delle linee suddette è inserito e reso coerente il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale quali: il piano dei trasporti, il piano energetico, i piani delle aree naturali protette, i piani paesaggistici.

3. Si tiene altresì conto degli atti ufficiali dell’Unione europea, comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

Art. 10. Gli strumenti e gli atti di pianificazione

1. Le leggi regionali stabiliscono l’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti e, per ciascuno di essi:

- la pubblica autorità competente, in base ai principi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;

- i contenuti, le efficacie, l’arco temporale di riferimento, le modalità di attuazione;

- le procedure di formazione, nel rispetto dell’articolo 11.

2. E’ attribuita alla pianificazione provinciale e, rispettivamente, regionale, la competenza relativa alle scelte per le quali la scala del comune e, rispettivamente, della provincia, non è adeguata a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. Ciò vale, in particolare, per il riordino delle aree conurbate, promuovendo il contenimento della dispersione insediativa.

Articolo 11. Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione

1. Le leggi regionali, in relazione alla natura degli strumenti di pianificazione e delle trasformazioni da questi disciplinate, stabiliscono, oltre a quanto espressamente previsto nel successivo articolo 16, le procedure di formazione nel rispetto delle disposizioni di cui ai seguenti commi.

2. Le scelte oggetto degli strumenti di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e atti amministrativi, dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione.

3. Precedentemente all’adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurata la partecipazione al processo di definizione delle relative scelte degli enti territoriali competenti alla definizione degli atti amministrativi, con particolare riferimento agli strumenti di pianificazione, sovraordinati, nonché di qualsiasi altra autorità responsabilie della tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

4. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del processo di formazione degli strumenti di pianificazione; a tal fine devono essere stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.

5. Nel provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione, l’amministrazione procedente illustra in che modo ha tenuto conto dei pareri espressi dalle altre amministrazioni nonché dei risultati delle consultazioni dei cittadini.

6. Successivamente al provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurato un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prendere visione degli strumenti di pianificazione adottati e presentare una formale osservazione.

7. A decorrere dalla data di adozione degli strumenti di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, che siano in contrasto con i predetti strumenti, ovvero tali da comprometterne o renderne più gravosa l’attuazione. Può essere previsto che anche in fasi antecedenti del processo di formazione degli strumenti di pianificazione, atti amministrativi appartenenti a tale processo possano inibire l’effettuabilità di determinate trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte che si intende assumere.

8. Deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e gli strumenti di pianificazione sovraordinati, mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza di amministrazioni.

9. Nel provvedimento di approvazione, l’amministrazione procedente deve controdedurre alle osservazioni pervenute, motivando le determinazioni assunte.

10. Le eventuali variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente giustificate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.

Articolo 12 Gli accordi di programma

1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, programmi di intervento, opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richieda l’azione integrata e coordinata di Comuni, Province o Città metropolitane e Regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, secondo quanto disposto dall’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. Gli accordi di programma sono stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente.

3. Gli accordi di programma con la partecipazione dei privati devono rispettare i principi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti, e devono dimostrare l’interesse pubblico alla loro realizzazione.

Articolo 13. I vincoli di tutela

1. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili considerati, sotto il profilo dell’interesse culturale, oppure sotto il profilo delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

2. Non danno parimenti luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovino in predefinite relazioni con altri immobili, ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti, e simili.

3. Non danno infine luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.

Articolo 14. I vincoli a contenuto espropriativo

1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione che siano dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisite dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle suindicate disposizioni.

2. Decorso inutilmente il suddetto termine, gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente. I proprietari di tali immobili hanno diritto a una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi con riferimento al momento del perfezionamento del loro acquisto da parte del soggetto pubblico. Tale diritto si estingue a norma dell’articolo 2946 del codice civile. La somma suindicata è rivalutata di anno in anno con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertate dall’ISTAT. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto, fino alla data di liquidazione.

3. Gli strumenti di pianificazione possono stabilire che non abbia applicazione quanto sopra sancito, laddove l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili, anche se per funzioni pubbliche o collettive, non comporti necessariamente la loro preventiva acquisizione, e la loro gestione, da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni e gestibili nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, pur se regolata da convenzioni che garantiscano gli obiettivi di interesse generale.

Articolo 15. Attuazione degli strumenti di pianificazione

1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, quali i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane e significative variazioni funzionali devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni.

2. Gli strumenti di cui al comma 1 garantiscono la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono. La partecipazione ai benefici e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli, e degli edifici eventualmente esistenti.

3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dai piani relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il Comune può dichiarane la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.

Articolo 16. Le procedure di valutazione

1. Gli strumenti di pianificazione sono soggetti alla valutazione ambientale durante il loro processo di formazione, a esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, la valutazione ambientale non è necessaria.

2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti sull’ambiente delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante l’elaborazione e prima dell’adozione dei suddetti strumenti.

3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e il minore impatto negativo sull’ambiente. A tal fine, ove necessario, devono essere sottoposte a confronto le proposte alternative.

4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:

- del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione attuali;

- dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;

- della fase in cui i suddetti strumenti si trovano nel processo decisionale;

- della misura in cui taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio, onde evitare duplicazioni della valutazione.

5. Le leggi regionali assicurano che:

- qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione Europea, siano previste adeguate forme di consultazione transfrontaliera;

- qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, la consultazione sia allargata alle autorità responsabili della tutela dell’ambiente e agli enti territoriali della regione confinante.

6. Il Ministero per l’ambiente e la tutela del territorio e le Regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tal fine le Regioni, o gli enti da esse delegate, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali siano evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.

7. Al fine di perseguire un’uniforme applicazione della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, è emanato, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e sentita la Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, uno specifico atto di coordinamento recante criteri e linee guida per lo svolgimento della valutazione ambientale.

Articolo 17. La carta unica del territorio

1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da previsioni legislative. In tal modo, essa costituisce la carta unica del territorio e rappresenta l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.

Articolo 18. Il sistema informativo territoriale

1. I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato, singoli o associati, partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione per la verifica dei loro effetti.

2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:

- l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio, articolata nelle fasi della individuazione e raccolta dei dati riferiti alle risorse essenziali del territorio, della loro integrazione con i dati statistici, della georeferenziazione, della diffusione, conservazione e aggiornamento;

- la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;

- la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazioni del territorio.

3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.

CAPO III. NORME TRANSITORIE E FINALI

Articolo 19. Modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio

1. Anche ai fini del contenimento dell’uso del suolo di cui articolo 7 e a quelli della conservazione del paesaggio aperto, per il contributo che esso fornisce a uno stabile assetto del territorio, si stabiliscono le seguenti modifiche al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

2. All'articolo 142, comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

"n) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale".

3. All'articolo 142 sono aggiunti i seguenti commi:

“5. I comuni, d'intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell'ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui al comma 1, lettera n)”.

“6. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 5 il territorio di cui al comma 1, lettera n), coincide con l’insieme delle zone di cui alla lettera E) dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 1968, n. 97, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti”.

“7. L’utilizzazione del territorio di cui al comma 1, lettera n), al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali può essere definita ammissibile, nei nuovi strumenti di pianificazione, d’intesa con la competente soprintendenza, soltanto ove non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti”.

4. All'articolo 143, comma 2, è inserita la seguente lettera:

"d) per il territorio di cui al precedente articolo 142, lett. n), il piano paesaggistico prevede obiettivi e strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato".

5. Nel territorio di cui al comma 1, lettera n), dell’articolo 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come modificato e integrato per effetto dei commi 2, 3 e 4, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai principi fondamentali dettati dalla presente legge nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio, eccezione fatta per quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.

Crediti

L’iniziativa di questa proposta di legge è di Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sulla legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso,modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano, Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti della “Legge Lupi” che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella proposta. Tra questi hanno espresso consenso e/o formulato proposte di correzione e integrazionePiergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Francesco Indovina; delle loro proposte si è tenuto conto nell’ultima stesura del testo e,dove ciò non è stato ritenuto possibile od opportuno, se ne è fatto cenno nella relazione.

Inseriamo qui di seguito la parte iniziale della relazione introduttiva di Patrizia Colletta al convegno nazionale “Il governo del territorio: la sfida della qualità e della innovazione”, Firenze 16 ottobre 2006, il cui testo integrale è allegato in formato .pdf. In calce le osservazioni di E. Salzano

VERSO LA RIFORMA DEL GOVERNO DEL TERRITORIO

Il tema del governo del territorio ha una grande rilevanza per far esprimere al “sistema Paese” le sue potenzialità, determinate dalla complessità e dalla ricchezza del patrimonio urbano, infrastrutturale, storico-artistico, ambientale e paesaggistico. Solo declinando questi temi in un’ottica di sviluppo sostenibile è possibile costruire una ipotesi di modernizzazione e di innovazione del Paese.

Uno dei punti fondamentali per il rilancio del Paese e per l’azione del Governo è rappresentato dalla sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio e la sua sicurezza, il sistema delle città e delle infrastrutture la qualità dell’ambiente urbano, la riconversione ecologica del sistema produttivo.

Per vincere questa sfida è necessario pensare alla qualità del territorio, delle città e della produzione, come uno dei “motori” per far ripartire l’Italia, coniugando le opportunità della modernizzazione con il limite delle risorse non rinnovabili, a cominciare dal suolo, dall’aria e dall’acqua con le politiche di solidarietà, di equità e di inclusione sociale.

Per affrontare il tema del governo del territorio, dei suoi principi e delle sue regole, è necessario partire dalle condizioni che hanno determinato le trasformazioni subite dal territorio e dalle città in questi anni, ma anche dalle scelte effettuate e dagli strumenti che abbiamo utilizzato per “governare il cambiamento”. Significa anche oggi rendere esplicito e positivo il tema della “leale collaborazione” tra le istituzioni titolari di diverse competenze che contribuiscono a determinare le decisioni democratiche, condivise e trasparenti sugli obiettivi dello sviluppo e della trasformazione del territorio, rendendo consapevoli i cittadini dell’effetto di tali scelte.

Il ruolo delle Regioni è stato determinante, molte di queste hanno avviato significativi percorsi legislativi, con riforme di nuova generazione in virtù delle responsabilità che la Costituzione ha loro assegnato.

Il dibattito sul governo del territorio è ormai avviato da più di dieci anni. In questo periodo, si sono registrati alcuni fatti di particolare rilevanza, passaggi istituzionali e di mutamento della società italiana; questi elementi sono utili per l’impostazione del nostro ragionamento e riguardano:

- il contesto istituzionale e politico di riferimento del quadro legislativo nazionale costituito dalla Legge 1150 del 1942, del tutto diverso e antitetico a quello attuale, che si è poi evoluto nella realtà dello sviluppo immobiliare del dopoguerra e dei successivi periodi di contrazione economica, con la modificazione dei modelli insediativi e della produzione, che hanno provocato una “stratificazione” normativa, spesso di settore, che rende oggi particolarmente complessa e contraddittoria l’azione di pianificazione del territorio;

- il progressivo e sempre più deciso riformismo regionale ha visto dal 1995 ad oggi l’introduzione e la sperimentazione operativa di strumenti, regole e istituti che possono costituire una solida base di partenza;

- in ultimo, l’esperienza – con aspetti positivi e negativi – prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all’interno delle regole di pianificazione delle regioni.

Oggi abbiamo le premesse e le condizioni per riorganizzare, ottimizzare e innovare una disciplina che vede coinvolte tutte le istituzioni dello Stato e che è centrale rispetto al tema della competitività e della coesione in ambito europeo per le nostre città e per i sistemi territoriali.

Un passaggio importante lo abbiamo fatto nel programma dell’Unione nel quale si considera il territorio un grande patrimonio per … la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica, per la presenza diffusa di beni culturali, storici e archeologici. Rappresenta quindi una risorsa fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro.

L’ampio dibattito nelle sedi politiche e culturali che si è aperto sui diversi disegni di legge ha prodotto elementi di informazione, di conoscenza e di esplicitazione dei diversi temi che formano la disciplina del governo del territorio.

Le stesse iniziative politiche svolte nell’ambito delle attività del Dipartimento Politiche della sostenibilità dei DS negli ultimi due anni e il dibattito alla Festa nazionale dell’Unità di Pesaro, del settembre scorso, hanno contribuito in modo sostanziale all’ulteriore avanzamento della proposta programmatica.

L’approccio è stato quello di elaborare le scelte con il contributo e il sostegno di chi, come le nostre amministrazioni e istituzioni, si cimentano quotidianamente sulle scelte politiche di governo locale, valorizzando le esperienze e il patrimonio del confronto politico e culturale, rappresentato anche dai contenuti delle nostre proposte di riforma presentate nelle scorse legislature.

Proponiamo quindi, di consolidare il percorso di confronto e di dialogo con i nostri rappresentanti nelle istituzioni a partire dagli enti locali, nella comunità scientifica e accademica, nel mondo della rappresentanza sociale e ambientalista, oltre che nel mondo economico e dei portatori di interessi diffusi, al fine di predisporre una legge sul “governo del territorio” che rappresenti un punto di vista avanzato e condiviso di una questione così complessa.

Alcuni temi di riflessione:

- la necessità di coordinare e allineare la normativa nazionale sul “governo del territorio” alla realtà istituzionale rinnovata e alle esperienze regionali, rendendola sinergica con le discipline interconnesse e con quelle settoriali (ambiente, tutela e valorizzazione dei beni paesistico-ambientali, aree protette…, infrastrutture e mobilità) e inquadrando le regole in un sistema coerente e condiviso di “principi”;

- l’esigenza di programmare lo sviluppo e la trasformazione del territorio, delle infrastrutture e delle nostre città, tenendo conto della programmazione e degli indirizzi comunitari, con la partecipazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle città metropolitane per costituire un “sistema unico coordinato” del governo del territorio;

- la possibilità di creare le condizioni per rafforzare la capacità di governo del territorio da parte delle Amministrazioni locali per la riqualificazione della città, la manutenzione del territorio, per lo sviluppo dell’impresa agricola multifunzionale e la prevenzione dai rischi naturali e antropici.

La riforma costituzionale del Titolo V, approvata dal centrosinistra, ha costruito un sistema complesso di materie e funzioni che hanno attinenza allo sviluppo e alla trasformazione del territorio, con una diversa attribuzione delle funzioni legislative in via esclusiva, concorrente e, in parte, anche residuale. Riconnettere e rendere sinergici tutti gli aspetti che contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini è un compito della riforma del governo del territorio attuata da un sistema istituzionale nazionale, regionale e locale coeso che agisca con programmi, piani, misure e strumenti coerenti e sinergici.

I soggetti protagonisti di questa azione di rinnovamento e di nuova capacità di gestione del territorio sono principalmente le regioni e gli enti territoriali i quali devono trovare in una legge quadro per il governo del territorio gli elementi costitutivi e i principi fondamentali al fine di operare con riferimenti di certezza e omogeneità, ma dotati della necessaria flessibilità per consentirne la declinazione in base alle diverse situazioni economico-sociali e ambientali dei territori regionali.

Ma la complessità della materia e la sua interconnessione con diverse altre comporta tuttavia, una formulazione normativa differenziata e dinamica, in particolare per quanto riguarda gli elementi e i requisiti minimi da rendere omogenei sul territorio nazionale.

In questo senso, il disegno di legge sul governo del territorio dovrà essere il risultato di un processo di discussione dal “basso verso l’alto” volendo costruire, anche nel metodo di formazione della legge, quegli elementi di condivisione e di concertazione indispensabili e ineludibili di qualsiasi scelta riguardante lo sviluppo e la trasformazione del territorio.

Se le funzioni legislative concorrenti e quelle amministrative sono attribuite alle Regioni vi sono alcuni aspetti di competenza esclusiva dello Stato, che devono essere espressi con norma di dettaglio, si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della fiscalità urbanistica.

Il dibattito che si è svolto fino ad oggi ha consolidato una serie di orientamenti.

La legge non deve prefigurare modelli “astratti” o standardizzati, ma favorire le migliori pratiche già in essere, assumendo queste come riferimenti per far progredire il complesso delle normative, degli strumenti, dei metodi e dei processi di governo del territorio.

Infatti, l’attuazione della funzione di “governo” alla luce della nuova Costituzione risiede nella capacità di governare il territorio programmandone lo sviluppo, l’assetto e l’uso del suolo, in connessione con le tematiche di tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e delle risorse ambientali.

La proposta di riforma del governo del territorio dovrà allora contenere:

- la definizione dei principi e delle finalità del governo del territorio;

- il sistema di relazione tra i soggetti istituzionali e il coordinamento tra le diverse materie ricomprese nel governo del territorio e quelle connesse di tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali, dell’ambiente nonché la programmazione economica e quella del sistema infrastrutturale;

- la disciplina della pianificazione, i contenuti, gli strumenti e le relative modalità di attuazione;

- la disciplina edilizia e le regole per la legalità del territorio.

Il documento di Patrizia Colletta prosegue sviluppando i punti ora elencati; si veda il testo integrale allegato in formato .pdf. Qui di seguito la nota di Edoardo Salzano

OSSERVAZIONI ALLA RELAZIONE DI PATRIZIA COLLETTA

Cara Patrizia, hai cortesemente chiesto il mio parere sul tuo documento del 13 ottobre. Ho colto lo sforzo di tener conto di tutte le posizioni, anche quelle che finora sono state tenute ai margini. Ma leggo anche molte ambiguità, e qualche passaggio francamente preoccupante. Ecco qualche rapida osservazione, seguendo l’ordine del tuo testo.

Sostenibilità ambientale, economica e sociale

Fin dall’inizio del tuo testo ti riferisci alla “sostenibilità ambientale, economica e sociale delle politiche e delle strategie che interessano il territorio ecc.”. Mi sembra che con questa espressione il termine “sostenibilità” perde il significato, compromissorio ma severo, che aveva nell’accezione della Commissione Brundtland, e diventi sinonimo di “sopportabile”.

Non è questione solo terminologica. Mentre nell’accezione ONU rinvia a una precisa nozione di limite non superabile nell’uso delle risorse ambientali, e pretende la giustificazione di ogni utilizzazione di una risorsa ambientale non sostituibile, nell’accezione che adoperi le risorse ambientali, indipendente da ogni loro limite e sostituibilità, diventano qualcosa che va adoperato tenendo conto di non gravare sulle simmetriche esigenze dell’economia (quale?) e della società (quale?).

Insomma, nell’accezione che tu adotti “sostenibile”, divenuto “sopportabile”, è attributo a qualsiasi meccanismo di crescita indefinite di alcunché: dalla crescita nasceranno anche le risorse utili per mitigare, addolcire, imbellettare, rendere “sopportabili”, gli effetti degli sprechi di risorse che episodicamente commuovono i direttori dei giornali.

Programmi complessi e integrati

Più avanti (p. 2) ti riferisci a “l’esperienza – con aspetti positivi e negativi - prodotta con le diverse generazioni di programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all’interno delle regole di pianificazione delle regioni”.

Mi sembra un giudizio troppo neutrale. Non credo che si possa dimenticare che lq stragrande maggioranza di quegli strumenti è stata adoperata per violare le regole urbanistiche, avvantaggiare la proprietà immobiliare, ottenendo contropartite sociali irrisorie e mobilitando risorse private del tutto marginali.

Se si vuole continuare ad adoperare strumenti simili (invece di dare analoghi contenuti agli strumenti tipici della pianificazione attuativa) occorrerebbe ribadire con forza che essi devono essere rigorosamente conformi gli strumenti urbanistici formati con le procedure garantiste ordinarie.

“Parità fra diritti pubblici e diritti privati”

A proposito delle “funzioni esclusive dello Stato” (p. 3-4) affermi la necessità di garantire la “parità nel processo di pianificazione e attuazione fra diritti pubblici e diritti privati”. Mi sembra un evidente scivolone lessicale. La titolarità pubblica della pianificazione, e quindi l’originaria disparità tra diritti pubblici e diritti privati in questo campo, mi sembra implicito nel concetto stesso di pianificazione urbanistica democratica.

Del resto tu stessa, poco più avanti, affermi (con parole limpide) che “il principio di pianificazione, espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali, deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e consentendo l’uguaglianza dei diritti e dei doveri all’uso e al godimento degli stessi beni”.

Consumo di suolo

Scrivi che “gli atti di governo del territorio dovranno fondare le proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili e essenziali, limitando in particolare il consumo di suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle risorse degradate e garantendo una efficace tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonché la riduzione dei consumi e l’incremento dell’efficienza energetica (p. 5).

Giusto, ma adoperare – a proposito del concumo di suolo – il termine “limitando” mi sembra di una debolezza estrema, se si tiene conto dei processi reali. Vogliamo davvero arrestare lo sprawl, la dispersione insediativi, l’espansione indefinita della “repellente crosta di cemento e asfalto”. E allora bisogna prescrivere e rigidamente applicare regole che prescrivano la rigorosa dimostrazione della necessità sociale di ogni sottrazione di un metroquadrato di terra alle utilizzazioni non urbane.

Assetto territoriale nazionale

Parli giustamente della necessità di una “stretta connessione tra la programmazione economica, quella infrastrutturale e per la mobilità con la pianificazione del territorio”. Sostieni che “sarebbe utile pensare che annualmente il Governo, nella sede della Conferenza Stato-Regioni, possa concertare un Documento di programmazione del territorio, assegnando le priorità di intervento e di investimento per il perseguimento degli obbiettivi di coesione territoriale, dando così certezza sia agli enti territoriali che alle imprese e ai cittadini”. Ma credo che prima della programmazione annuale sia necessario quello che le leggi dello Stato già prevedono fin dal 1977, cioè la formazione di un documento che definisca “i lineamenti dell’assetto territoriale nazionale”, dove le diverse esigenze (tutele, infrastrutture di vario tipo, altre politiche territoriali nazionali) trovino la loro composizione.

Pianificazione strutturale

Scrivi che “é ormai consolidata l’esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione un doppio livello, con un piano di governo del territorio strategico strutturale, non conformativo della proprietà e l’altro operativo, che invece conforma il regime dei suoli e dà attuazione alle previsioni”.

Sono stato tra i primi a proporre e a sperimentare il “doppio livello”, quindi figurati se non sono d’accordo. Ma credo che prima di promuoverne la generalizzazione bisognerebbe verificare in che modo è stato applicato nelle diverse legislazioni regionali. Secondo me malissimo (almeno a considerare l’esperienza della Toscana, che conosco meglio), nonostante le potenzialità della proposta.

Il fatto è che la pianificazione strutturale dovrebbe essere rigida per quanto riguarda le tutele, partire dal livello regionale e provinciale, essere verificata nell’attuazione dei suoi precetti. Tieni conto che nella pratica viene impiegata per evitare qualsiasi verifica regionale sulle scelte concrete di trasformazione del suolo.

Pubblico/privato

Scrivi: “è importante definire le regole per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti privati, il partenariato pubblico-privato per l’attuazione degli interventi, in un quadro di riferimento strategico a regia pubblica definita dal piano, con modalità che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e l’efficienza, il miglioramento e l’innovazione nei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia” (p. 7).

Il piano non deve dare solo “un quadro di riferimento strategico”: deve dare localizzazioni, quantità, regole, modi e tempi per l’insieme delle trasformazioni territoriali. Non deve essere solo “a regia pubblica”, nel senso che non deve comporre interessi diversi (ciooè gli interessi forti dei diversi poteri immobiliari), ma deve essere “pubblico” tout court, ed esprimere l’interesse generale.

Diritti edificatori

Scrivi: “anche sulla definizione dei contenuti minimi della proprietà e l’equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la competenza esclusiva della materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali” (p. 8).

Secondo me non ha senso fare un passo indietro rispetto alla situazione di diritto attuale. E oggi una giurisprudenza costante conferma che i diritti edificatori nascono SOLO con il rilascio dell’atto abilitativo. Piani generali e attuativi non conferiscono OGGI alcun “diritto”, tanto meno “edificatorio”. Vogliamo fare questo regalo alla rendita? Non ne riesco a comprendere la ragione. Magari la ragione c’è, e io non la vedo: discutiamone.

“Modalità espropriative, perequative e compensative”

Scrivi ancora che le amministrazioni locali “ tenendo conto delle ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative” (p. 8). Questo è un punto chiave: non giuridico né tecnico, ma prima d’ogni altra cosa politico.

L’unica perequazione e compensazione pulita è quella che si fa, a partire dal 1967, all’interno dei piani attuativi conformi ai piani urbanistici generali. Le “dotazioni territoriali” si ottengono accollandole agli utilizzatori mediante la cessione delle aree e gli oneri di urbanizzazione, i quali devono essere vincolati alla realizzazione delle urbanizzazioni previste dai piani. Tutto questo c’era già nelle “leggi di riforma” (quando le riforme erano una cosa abbastanza seria), occorre ricordarlo e, là dove il berlusconismo lo ha appannato, restaurarlo.

Quando gli espropri si devono fare si fanno: le leggi relative all’indennità espropriative erano state progressivamente migliorate, non so se poi le cose sono cambiate ma anche qui, se è necessario, vanno restaurate e fatte funzionare quelle che c’erano. Il problema vero è come far sì che i costi delle urbanizzazioni (che devono essere interamente pagate dall’operatore immobiliare) non vengano accollate al consumatore finale (affitto) in aggiunta alla rendita immobiliare: ma questo è un problema di prelievo fiscale. Il Governo Prodi sembrava voler andare in questa direzione: imbocchiamo la strada opposta?

Già, perchè l’altra “perequazione” è semplicemente un regalo alla rendita immobiliare. Esamina i numerosissimi casi. L’operazione che sta andando avanti in larga scala, in tutte le regioni d’Italia, è questa: il regalo di edificabilità agli immobiliaristi in cambio di “crescita”, e della cessione di qualche pezzo d’area destinato a standard: qualche pezzo cui magari per qualche anno si potrebbe rinunciare, lasciandola (o destinandola) a verde agricolo (che non è un vincolo “di tipo espropriativo”, e che spesso può essere un vincolo “ricognitivo”). Pezzi storici di “aree a standard” saranno sottratti per sempre alla fruizione pubblica per consentire alla città di “crescere” inutilmente: guarda la mia nota su Carta di domani).

Su questo argomento (l’uso perverso della perequazione) aprirò una campagna in eddyburg. Mi piacerebbe se anche tu vi partecipassi.

Edoardo Salzano, Venezia 25 ottobre 2006

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