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Ci provano da quasi 40 anni, sempre bloccati dentro una storia che sembrava infinita. Ma ora ce l’hanno fatta: il cemento è arrivato, “Portopiccolo” sta per diventare realtà. Una grande speculazione turistico-immobiliare in uno dei più bei tratti di costa adriatica, nella baia di Sistiana, a 15 chilometri da Trieste.

Il luogo non solo è incantevole, con il suo microclima esclusivo, ma è anche carico di storia e di reminescenze letterarie, a un passo dal castello di Duino dei conti Thurn und Taxis, dove Rainer Maria Rilke scrisse le Elegie duinesi. La baia di Sistiana era l’unico tratto di litorale rimasto verde e inalterato dopo la massiccia cementificazione di tutta la riviera nord adriatica, dalla Laguna di Venezia alla Slovenia. Lì la costa si innalza smangiata da una cava di calcare, abbandonata negli anni Settanta: con la scusa di risanare e rimarginare quella vecchia ferita, in molti hanno provato a progettare interventi. Alla fine degli anni Settanta un ex ufficiale dei corazzieri, Quirino Cardarelli, arriva dall’Aquila con un progetto firmato dall’architetto Renzo Piano: “valorizzare” la costa con un porto turistico scavato nell’anfiteatro formato dalla cava ed edifici per 250 mila metri cubi. Il comune di Duino-Aurisina approva. La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ratifica.

Insorgono gli ambientalisti, il Wwf, i Verdi, i comitati locali, che denunciano la violazione della legge Galasso. Nel 1991 il ministero dei Beni culturali annulla le autorizzazioni concesse dalla Regione, giudicandole “illegittime per eccesso di potere e violazione di legge”. Subito dopo, la Fintour spa di Cardarelli affonda e nel novembre 1992 l’impresario viene arrestato per bancarotta fraudolenta.

Si fa sotto un altro imprenditore che arriva da fuori regione: questa volta è il mantovano Carlo Dodi, un venditore ambulante che distribuendo prodotti Rimmel e accessori per la Barbie, con la sua Gabbiano spa, è riuscito a diventare un ras nazionale del commercio. Dodi, in trasferta sulla costa triestina, si butta nel business immobiliare per realizzare il colpo grosso della vita. Dopo il crac di Cardarelli, la sua Immobiliare Santi Gervasio e Protasio (Sgp) riesce ad acquistare i terreni della Fintour (900 mila metri quadri) all’asta fallimentare a un terzo del loro valore, sborsando solo una dozzina di miliardi di lire. Ottiene in affitto dalla Regione anche l’area della cava dismessa (80 mila metri quadri), che poi, nel 2003, acquista per 2 milioni e mezzo di euro, conferendo poi i terreni alla sua società Sts, Servizi turistici Sistiana. La vendita è uno degli ultimi atti del presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Renzo Tondo (centrodestra), prima dell’arrivo di Riccardo Illy (centrosinistra).

Dodi riesce perfino a far cambiare una legge regionale, per poter costruire sul luogo anche prime case (fiscalmente più convenienti) e non solo insediamenti turistici. Si assicura anche un finanziamento europeo a fondo perduto di 14 milioni di euro, cui deve però rinunciare, perché i soldi andavano spesi in tempi rapidi, mentre il progetto di “riqualificazione della baia” aveva tempi più lunghi.

Intanto gli ambientalisti – il Wwf, Italia nostra, Greenaction transnational – continuano la loro battaglia contro quella che ritengono una speculazione ai danni della costa. Si unisce agli oppositori anche la forte minoranza slovena locale. Nel 1998, anche il settimanale Il Borghese aveva pubblicato inchieste di fuoco sull’affare e sulle sue coperture politiche: “Un gruppo di persone, sempre le stesse, da anni si passa la baia di Sistiana, di società in società, di fallimento in fallimento. Incassano i finanziamenti delle ipoteche concesse da banche compiacenti e non onorano i debiti”. L’allora presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Roberto Antonione (Forza Italia), aveva querelato per diffamazione, ma i giornalisti erano stati assolti. Alla fine, a opporsi restano poche voci fuori dal coro, gli irriducibili Simone Napolitano del Comitato turistico-economico Rilke, Paolo Parovel del settimanale triestino Il Tuono, Roberto Giurastante di Greenaction transnational. Articoli, inchieste, esposti alla magistratura di Trieste e alla corte di Strasburgo non ottengono, fino a oggi, alcun risultato.

Ora siamo a un passo dal traguardo. A edificare è la Rizzani De Eccher spa, colosso delle costruzioni con sede nei pressi di Udine, che si è aggiudicata un appalto di 110 milioni di euro. Così la vecchia cava sulla costa cara a Rilke viene trasformata in un grande centro immobiliare e del divertimento. Le istituzioni locali, dopo quasi quattro decenni di intrecci tra politica e affari, applaudono contente. Il sindaco di Duino-Aurisina, Giorgio Ret: “Sistiana è un bene ambientale per tutti”. La presidente della Provincia di Trieste, Maria Teresa Bassa Poropat: “Vinta la sfida: riqualificare senza offendere la naturalità del luogo, che potrà anche meglio integrare lingue e persone diverse del territorio”. E Renzo Tondo, tornato a presiedere la Regione dopo la parentesi di Illy: “Le idee camminano sulle gambe dell’uomo, la perseveranza ha vinto. Sistiana proietta il Friuli-Venezia Giulia sullo scenario internazionale”. Dietro i politici, i promotori privati brindano al successo dell’affare. Hanno già venduto in un anno il 70 per cento delle unità abitative (a costi che vanno dai 6.500 ai 7.500 euro al metro quadro) e superato il break-even dell’operazione. Ma intanto, nel luglio 2010, dopo oltre quindici anni di battaglie e proprio a un passo dal traguardo, il vincitore è apparentemente scomparso dall’affare Portopiccolo: Dodi ha passato la mano al Fondo Rilke, un fondo chiuso d’investimento immobiliare. Il project management, il controllo di gestione e di cantiere, è stato affidato alla anglo-australiana Bovis Lend Lease. Della commercializzazione si sta occupando il Gruppo Valdadige di Verona.

Che fine ha fatto Dodi? È davvero uscito dall’affare? No. Si è soltanto reso invisibile. Ha investito nel Fondo Rilke, restando però di fatto l’operatore di riferimento dell’operazione Portopiccolo. Tanto che a metterci la faccia resta sempre il suo braccio destro a Trieste, Cesare Bulfon, che ripete il suo slogan per la baia di Sistiana: “Trasformare qualcosa di devastato dall’uomo in un luogo dove gli uomini possano trovare serenità”.

Che cos’è il Fondo Rilke? Lo ha costituito nel 2010 la Serenissima sgr, controllata dalla Società autostrade di Brescia, Verona, Vicenza e Padova, concessionaria del tratto Brescia-Padova della A4. Serenissima sgr è tra le prime dieci società di gestione del risparmio in Italia attive nel settore dei fondi immobiliari, con asset per circa un miliardo di euro. Nel febbraio 2011 è passata di mano: il 51 per cento di Serenissima sgr è stato acquistato per 14 milioni di euro dalla Centrale Finanziaria di Giancarlo Elia Valori. Vecchia conoscenza dell’Italia dei poteri & dei misteri, Elia Valori è l’unico membro della P2 espulso dalla loggia di Licio Gelli perché faceva ombra al Maestro Venerabile.

Una bella coppia, potente e invisibile, l’ex venditore ambulante Dodi e il supermassone Elia Valori. Alla fine del 2013, Portopiccolo sarà pronta, promette il gentilissimo Bulfon. L’inaugurazione sarà però agli inizi del 2014, “perché le ultime piante di questo paradiso potranno essere messe a dimora soltanto a primavera”.

Qui un'ampia documentazione sulla vicenda di Baia Sistiana

Il patrimonio ambientale del Carso

Il Carso, che rappresenta gran parte della superficie delle Province di Trieste e Gorizia e che si estende anche ad est nel territorio della Repubblica di Slovenia, racchiude un insieme di ecosistemi ed un paesaggio di grandissima valenza ambientale e culturale. Ne è una riprova il fatto che quasi l’intera estensione di questo territorio è ricompresa all’interno di SIC (Siti di importanza comunitaria) e ZPS (Zone di protezione speciale), individuati in base ai precisi criteri scientifici indicati dalla direttive europee “Habitat” 92/43/CEE e “Uccelli” 79/409/CEE, tanto sul versante italiano, quanto – e ancor di più – su quello sloveno. Per questo motivo, da almeno un quarantennio, si susseguono le proposte per un’efficace tutela di tale straordinario patrimonio. Proposte, però, quasi tutte rimaste (almeno in Italia) lettera morta, malgrado il sostegno del mondo scientifico, dell’associazionismo ambientalista e di ampi settori dell’opinione pubblica.

Oggi, soltanto alcuni limitati lembi di territorio carsico sono effettivamente tutelati, in Italia, dalla legge del Friuli Venezia Giulia sulle aree protette (la n. 42 del 1996): si tratta di 5 riserve naturali regionali, le quali coprono un’estensione complessiva di poco più di 2.000 ettari, rispetto ad un’estensione complessiva delle aree carsiche in territorio italiano che supera i 25.000 ettari. Molto più grandi sono, naturalmente, i perimetri – sovrapposti tra loro - dei già citati SIC (9.648 ha) e ZPS (12.190 ha), privi però a tutt’oggi dei prescritti piani di gestione, così come mancano ancora – a 12 anni dall’approvazione della legge che le istituì - i Piani di Conservazione e Sviluppo per quasi tutte le riserve naturali citate.

In questo quadro, è evidente che un ruolo importante per la tutela del territorio carsico (e del suo straordinario sottosuolo, che rappresenta una parte fondamentale del pregio naturalistico, per l’enorme concentrazione di cavità e fenomeni carsici ipogei, in gran parte ancora inesplorati) spetta agli strumenti della pianificazione territoriale ordinaria, piani regolatori comunali in testa.

L’urbanistica dei Comuni carsici

I PRGC dei Comuni carsici non hanno dimostrato, generalmente, un’adeguata attenzione alle problematiche legate alla tutela del territorio (e del sottosuolo) carsico. Ne sono una prova lampante quello di Trieste, approvato nel 1997 (sindaco Riccardo Illy), ma anche quelli dei Comuni minori. Fa – o meglio faceva - eccezione il PRGC di Duino-Aurisina, approvato nel 1999 e redatto da Edoardo Salzano, Luigi Scano e Mauro Baioni. La nuova amministrazione comunale di centro-destra subentrata nel 2002, però, non paga di aver spianato la strada alla cementificazione della Baia di Sistiana, ha progressivamente svuotato il PRGC vigente di molti dei suoi elementi qualificanti, prima con la variante “agricola” e poi con un’ulteriore variante approvata nel 2007. Con il pretesto di dare risposta alle pressanti esigenze – solo presunte ma insistentemente manifestate - dei cittadini per nuove residenze o attività produttive (il figlio che deve metter su famiglia, l’azienda agricola che necessita di mega-serre, ecc.), si è riaperta la strada all’edificazione diffusa, che già tanti guasti aveva prodotto nei decenni precedenti.

Il PRGC di Sgonico

Il Comune di Sgonico, in provincia di Trieste, esteso su 3.130 ettari di territorio interamente carsico e senza affaccio al mare, è certo sottoposto a pressioni edificatorie di entità molto inferiore a quelle che hanno interessato Trieste e Duino-Aurisina. Almeno finora. Di recente, infatti, è stata adottata la variante n. 12 al PRGC (a tutti gli effetti un nuovo piano regolatore generale), che apre ampi varchi all’invadenza dello sprawl edilizio.

Va detto subito che gli stessi dati citati dai redattori della variante dimostrano l’inesistenza di un disagio abitativo nel Comune. A fronte dei 2.203 residenti nel 1996, se ne contavano infatti 2.099 nel 2006. Al censimento del 2001 (quando i residenti erano 2.226) risultavano occupate 826 abitazioni, mentre 89 erano quelle non occupate.La volumetria disponibile pro capite è pari a 280 m3/ab. nelle zone “B” e di 355 m3/ab. nelle zone “A” (si ricorda che la dotazione prevista dal Piano urbanistico regionale generale del 1978 era pari a 100 m3/ab…). Appare verosimile quindi che oggi, essendo diminuito il numero dei residenti, le abitazioni non occupate siano ulteriormente aumentate, anche se nel corso degli anni si è riscontrata una riduzione del numero di componenti per famiglia (2,72 nel 1995 e 2,46 nel 2006).

Malgrado ciò, la variante postula – senza giustificarlo in modo convincente - un “fabbisogno” di 58 nuove abitazioni, alle quali corrispondono 143 nuovi residenti (teorici). E’ previsto infatti un notevole ampliamento delle zone residenziali, la cui superficie complessiva passerebbe dai 654.987 metri quadrati del piano vigente a 778.144. A fronte di un futuro incremento (teorico) dei residenti pari al 6,8 per cento si programma quindi di aumentare del 18,8 per cento l’estensione delle aree da urbanizzare a fini di residenza.

Si tratta, dichiara ipocritamente la variante, di zone “B”, cioè “di completamento”, che nella prima versione della variante erano definite – correttamente - zone “C” di espansione. Era però arduo giustificare l’esigenza di ulteriori espansioni residenziali, a fronte di un calo demografico come quello che emerge dai dati sopra citati: la fantasia italica (anche se il Comune in questione è abitato in grande prevalenza da cittadini di lingua e cultura slovena, sindaco compreso) ha quindi prontamente provveduto a ridesignare le aree in questione.

Oltre 12 ettari di territorio carsico verrebbero quindi sacrificati per far posto a ville e villette, per di più in buona parte “sgranate” irrazionalmente lungo gli assi viari. Ma il consumo di territorio agricolo e naturale non si limiterebbe a questo. La variante prevede infatti anche notevoli ampliamenti delle zone industriali-artigianali e di quelle commerciali. Il principio della limitazione del consumo di suolo, sancito – sia pure soltanto a parole – anche nella (pur pessima) legge urbanistica regionale 5/2007, viene così tranquillamente ignorato.

Non basta: la variante considera attive due cave di pietra, abbandonate in realtà da circa 25 anni, che ricadono entro il perimetro del SIC e della ZPS: l’abbandono dell’attività estrattiva ha permesso l’insediamento di formazioni vegetali e specie animali che la riapertura ovviamente comprometterebbe, come sottolinea anche la relazione di incidenza che accompagna il nuovo strumento urbanistico, laddove si evidenzia come le aree in questione rivestano una “forte vocazione per il gufo reale”.

Ancora: come buona parte del territorio del Friuli Venezia Giulia, specie lungo la fascia di confine, anche il Comune di Sgonico era interessato da varie aree militari (una caserma, una polveriera, un piccolo aeroporto), dismesse da tempo. In proposito, però, la variante al PRGC contiene invece soltanto la vaga indicazione di un riuso per “funzioni di interesse pubblico”, mentre le stesse aree si presterebbero sia ad un riuso almeno in parte residenziale, in alternativa alla “villettizzazione” del territorio non urbanizzato, sia (l’ex polveriera, sita all’interno del SIC e della ZPS) ad un oculato intervento di rinaturalizzazione.

Quanto alle zone agricole, la normativa della variante appare più funzionale alla regolamentazione di “zone edificabili a bassa intensità”, piuttosto che di aree produttive del settore primario. Vi è, ad esempio, un’ambigua norma che esclude il mutamento delle destinazioni d’uso da agricola a residenziale, a seguito degli ampliamenti ammessi, degli edifici esistenti all’interno di SIC e ZPS: se ne deduce che in caso di analoghi ampliamenti in edifici esterni a SIC e ZPS il mutamento di destinazione d’uso sia ammesso. Il che, ovviamente, equivale alla creazione surrettizia di nuove zone residenziali “B” (o “C”?) anche in aree agricole. Viene poi consentita la costruzione di serre (altezza massima 3,20 m.) a libera localizzazione e senza vincoli dimensionali in lunghezza, mentre nella maggior parte delle zone agricole è ridotta a 1.000 m2 la superficie del lotto minimo edificabile.

La variante individua poi i “perimetri di insediabilità” per nuove edificazioni nelle zone di preminente interesse agricicolo”, per le quali è altresì ammessa un’altezza massima decisamente pari a 7,50 m. Tali perimetri sono ben 35 e non sono - in molti casi – affatto “in continuità o vicinanza ai centri edificati” come dichiarato nella normativa. Quanto agli aspetti paesaggistici (gran parte del territorio comunale è soggetto a vincolo ex art. 136 e 142 del D. Lgs. 42/2004) le prescrizioni della normativa di PRGC si limitano a indicare che gli interventi su edifici esistenti “dovranno tendere all’integrazione morfo-tipologica dei nuovi volumi curando l’omogeneità dei materiali (e i colori? – NdR), mentre per i nuovi interventi le tipologie dovranno “tendere alle soluzioni architettoniche dell’edilizia tradizionale locale”.

Nessuna previsione di un abaco delle tipologie edilizie ammesse, sulla scorta di quanto previsto in altri PRGC (ad esempio Duino-Aurisina). Nessuna prescrizione neppure per quanto concerne strutture ed infrastrutture ad elevata incidenza paesaggistica (es. interramento di linee elettriche e telefoniche, disposizioni sulle modalità di realizzazione di muri divisori, recinzioni, divieto di collocazione di roulottes in aree classificate agricole, ecc.).

Conclusioni

Sia pure su scala più ridotta rispetto ad altri Comuni, anche Sgonico pare aver scelto un approccio urbanistico sostanzialmente incurante sia dei limiti che il pregio naturalistico e paesaggistico dei luoghi, sia della realtà demografica. Un approccio funzionale di fatto agli interessi della rendita immobiliare, ai quali viene di fatto sacrificata la qualità del territorio e quindi anche la prospettiva di un suo uso sostenibile.

Il che dimostra una volta di più quanto pericoloso sia abbandonare (come accade con la legge urbanistica ed il Piano territoriale regionale del Friuli . Venezia Giulia) all’arbitrio dei comuni la gestione di territori preziosi, in assenza di linee guida e di serie normative sovraordinate per la tutela dei beni paesaggistici e naturalistici.

Spetterà ora al prosieguo dell’iter della variante l’eventuale correzione almeno delle storture più evidenti. Sarà interessante leggere il parere del competente ufficio regionale (visti altri precedenti e l’impostazione generale della politica territoriale, non c’è da attendersi nulla di buono) e vedere cosa accadrà in consiglio comunale al momento dell’approvazione definitiva.

Ultimo dettaglio non irrilevante: il Comune di Sgonico è retto (da sempre) da una maggioranza di centro-sinistra.

L’autore è Responsabile settore territorio del WWF Friuli Venezia Giulia

La storia della Baia di Sistiana sembrerebbe dimostrare che, quando gli interessi e i poteri sono forti, non li fermi. Così è stato finora. La variante 21 – lo strumento urbanistico su cui poggia il progetto – che, annullata dal TAR, risorge a nuova vita come l’araba fenice; il TAR che contraddice se stesso e autorizza in seconda istanza quei lavori di sbancamento in cava – preparatori all’edificazione di Portofinto, come l’ha chiamato Salzano – che aveva bloccato in precedenza; il consiglio comunale di Duino Aurisina – maggioranza di centrodestra e opposizione di centro sinistra, tutti d’accordo, tutti per lo “sviluppo” – che approva compatto in via definitiva il progetto di “valorizzazione turistica” (leggi come al solito “cementificazione”) della splendida Baia di Sistiana, miracolosamente preservata (non sia mai) dalla speculazione edilizia.

Nihil obstat a che finalmente si costruisca. E già si parla sulla stampa, e quindi sicuramente tra gli interessati, del futuro albergo e delle nuove case in baia, già si fanno i nomi di possibili acquirenti. E si parla di cifre, tanto ormai è sicuro. Manca solo – ma è un atto dovuto – l’approvazione da parte della Soprintendenza dell’autorizzazione paesaggistica comunale, poi si potranno rilasciare le concessioni edilizie, e via. Fine 2006, sessanta giorni, se entro febbraio 2007 la Soprintendenza dà l’ok o anche non si pronuncia, è fatta, per il silenzio-assenso.

L’atto dovuto arriva, il 23 febbraio, ed è una sonora, circostanziata bocciatura dell’autorizzazione comunale: carenze negli elaborati progettuali, inosservanza della normativa, incompatibilità del progetto (che comporta “un sostanziale rimodellamento morfologico e cospicue cubature”) rispetto al contesto paesistico tutelato.

Incredulità, sconcerto. Il sindaco Ret sulla stampa rassicura: si tratta di questioni tecnico-burocratiche di poco conto, facilmente superabili; e poi il Soprintendente è nuovo, non conosce bene il problema. WWF e Italia Nostra, da sempre impegnati nella storica battaglia per la difesa della Baia di Sistiana, plaudono pubblicamente all’iniziativa della Soprintendenza, che finalmente mette allo scoperto la superficialità, l’incompetenza e soprattutto la mancanza di oggettività con cui operano gli uffici tecnici del comune di Duino Aurisina pur di favorire i proponenti del progetto.

Scende in campo, ad autorevole sostegno, lo stesso Presidente del WWF Italia Fulco Pratesi con una lettera indirizzata al ministro Rutelli e alla gerarchia del ministero, con particolare elogio al Soprintendente del Friuli Venezia Giulia Stefano Rezzi. Nella sua lettera Pratesi auspica, tra l’altro, che “quanto avvenuto possa finalmente indurre Regione e Comune a un doveroso ripensamento sulla posizione fin qui tenuta sul progetto di valorizzazione turistica della Baia” e ricorda, con rammarico, come “a nulla siano valsi, nei confronti del Comune e della Regione, gli appelli di autorevoli esponenti del mondo scientifico e culturale nazionale, né la documentazione inoppugnabile dei guasti che la realizzazione del progetto avrebbe comportato”.

Intanto per il sindaco Ret è campagna elettorale, vuol essere (e sarà) rieletto. Come si fa con gli oneri di urbanizzazione per gli edifici previsti, che si sarebbero dovuti iscrivere a bilancio e ora minacciano di sparire? Facile, si fa come le altre volte: annullata una variante se ne fa un’altra uguale, se una sentenza del TAR è sfavorevole, la prossima rovescerà la prima e sarà favorevole, e così via. Allora basta rilasciare una nuova autorizzazione paesaggistica, e già che ci siamo metterci anche le concessioni edilizie, senza aspettare il placet della Soprintendenza, anche se forse non sarebbe proprio corretto. Meglio anticipare. Intanto è comunque opportuno che la proprietà ricorra al TAR contro il primo annullamento, non si sa mai. Detto, fatto.

Quante autorizzazioni paesaggistiche avrà il coraggio di annullare la Soprintendenza nei confronti di un comune il cui Consiglio è tutto d’accordo sul “fare la Baia” e che ha dietro di sé la Regione, Governatore in testa? Due per intanto sì, com’è puntualmente avvenuto il 6 luglio. Né poteva essere diversamente, se operano funzionari competenti e onesti: autorizzazione paesaggistica praticamente fotocopia della prima (tanto, che ci provino ad annullare pure questa), nessuna modifica progettuale, carenze rilevate nella prima rimaste tali e quali, integrazioni incongrue e inconsistenti. Insomma il giudizio conferma e rafforza il primo annullamento.

Qui comincia il brutto della storia. Brutto perché “sporco”. Rutelli viene a Trieste per altro (un convegno di Confindustria sul turismo). Illy e Ret colgono l’occasione per perorare presso di lui “politicamente” la causa della Baia di Sistiana, difficilmente difendibile per altra via. La stampa locale non ha esitazioni nel riportarlo; nessuno (destra, sinistra, centro) dice niente né tanto meno si scandalizza. E’ normale. Pochi giorni dopo il sottosegretario agli Interni Rosato, per non sentirsi escluso, risolti i problemi di terrorismo e ordine pubblico, si aggiunge all’allegra brigata. Più si è più forza si ha.

Si accorgerà Rutelli che delegittimare la Soprintendenza è un po’ delegittimare se stesso? Per ricordarglielo, interviene una seconda volta il WWF Italia con una lettera del neopresidente Venini all’onorevole ministro, nella quale, denunciando la manovra politica in corso, Venini sottolinea come non abbia alcun peso il giudizio espresso da Illy (“ora il progetto è fatto bene”) rispetto alle analisi e alle valutazioni dell’organo tecnico competente del ministero, cioè la Soprintendenza, il cui provvedimento di annullamento dev’essere pertanto difeso e sostenuto con la massima determinazione.

Una lettera in difesa della Baia di Sistiana e del decreto della Soprintendenza sarà sottoscritta nei prossimi giorni da uomini di cultura, urbanisti, ambientalisti. Come è già accaduto in passato (purtroppo, senza esito) a testimonianza dell’attenzione che esiste a livello nazionale sulla Baia di Sistiana.

Insomma, qualche soccorso è partito. Basterà, o finirà come ad Alamo?

Carlo Dellabella è responsabile della sezione di Trieste del WWF

Baia di Sistiana. Il WWF: “Manca un disegno per lo sviluppo sostenibile del territorio. Regione e Comune di Duino-Aurisina proni agli interessi della rendita immobiliare.”

“Miope e appiattito sugli interessi della speculazione immobiliare”. Così il WWF giudica l'atteggiamento del Comune di Duino-Aurisina, dopo il parere positivo della Commissione Edilizia Integrata sul progetto relativo agli interventi nella cava di Sistiana.

Il progetto, firmato dagli arch. Francesco Luparelli e Barbara Fornasir, contiene sostanziali modifiche rispetto a quanto previsto nel piano particolareggiato. Addossati al fronte della cava e nel finto villaggio previsto attorno alla darsena artificiale (che dovrebbe essere realizzata scavando il piazzale antistante la cava) sorgerebbero infatti 342 alloggi destinati a “residenze turistiche”. Cambia quindi destinazione d’uso e diventa “residenza turistica” il grande albergo previsto dal piano (e ampiamente pubblicizzato dalla proprietà), mentre nel finto villaggio troveranno posto un piccolo hotel con sole 54 stanze ed ancora altre “residenze turistiche”, contornate da verde privato.

Molti aspetti importanti del progetto sono descritti in termini solo indicativi: tinteggiature, materiali, particolari architettonici degli edifici, specie di essenze vegetali previste per il verde ornamentale, ecc.

Il finto “villaggio” sul fondo cava non è più qualificato come “istro-veneto”, ma gli edifici presentano comunque elementi tipologici (bifore, archi, ecc.) incongrui rispetto all'architettura tradizionale dei luoghi.

Vengono enunciati, a mero titolo di “principi”, il recupero delle acque piovane per usi antincendio, l'irrigazione e lo scarico dei water, come pure l'utilizzo della geotermia per il riscaldamento, senza alcun riferimento preciso nel progetto (l'argomento è rinviato a stadi progettuali successivi). Anche l'impianto fognario è presentato a livello di schema di massima.

Ce n'era insomma abbastanza, secondo il WWF, perché la Commissione edilizia decidesse – come la rappresentante indicata da WWF e Italia Nostra ha chiesto ripetutamente, ma invano - di rinviare il giudizio, richiedendo sostanziali integrazioni (e/o modifiche) del progetto. Nulla di tutto ciò: su indicazione del Sindaco, tutti i componenti della Commissione hanno “disciplinatamente” espresso parere favorevole. Unico voto contrario, quindi, quello di WWF e Italia Nostra.

Non è certo la prima volta che il Comune di Duino-Aurisina dà prova di totale appiattimento nei confronti degli interessi dei proprietari della Baia (imitato in questo, peraltro, dalla Regione). Stavolta però si è giunti al limite del servilismo.

Si aggiunga che, come di consueto, i componenti della Commissione hanno appreso l’ordine del giorno della seduta (vale a dire l’esame dei progetti edilizi in cava) il giorno stesso della medesima e non hanno quindi avuto il tempo sufficiente per un esame approfondito degli elaborati. Non è stata fornita neppure una relazione istruttoria sul progetto da parte degli uffici comunali. Un ulteriore esempio di gestione scellerata delle competenze in materia di tutela del paesaggio, che il Comune di Duino-Aurisina persegue ormai da anni, nella più completa inerzia della Regione che tali competenze ha ceduto ai Comuni (e si appresta a cederne altre con la riforma della legge urbanistica). Unica voce, finora, a denunciare questo andazzo scandaloso, quella del WWF e di pochi altri ambientalisti, nel più completo silenzio da parte del mondo delle professioni e della cultura, evidentemente in tutt’altre faccende affaccendato.

“La Regione Sardegna – osserva Dario Predonzan, responsabile territorio per il WWF Friuli Venezia Giulia - con il presidente Soru ha messo fine ad anni di grande disordine nella gestione delle aree costiere, varando il nuovo Piano Paesaggistico Regionale, uno strumento che garantisce un’adeguata tutela del territorio regionale e delle coste in particolare, in un’ottica di sviluppo di un turismo di elevata qualità. In Friuli Venezia Giulia la Regione di Illy asseconda invece – in assenza di un piano paesaggistico - modelli di sviluppo da anni ’60, promuovendo in ogni modo la costruzione di grandi complessi di appartamenti sulla linea di costa.”

“Mentre cresce la richiesta di un turismo di qualità, fondato sulla bellezza paesaggistica e naturalistica, la valorizzazione delle risorse locali, il restauro dei borghi esistenti e la trasformazione in albergo diffuso, gli agriturismi, ecc., l’asse Regione-Comune di Duino-Aurisina si dimostra prono agli interessi della rendita edilizia più che a un progetto di futuro sostenibile per il territorio.”

Alla IV Commissione del Consiglio regionale

Baia di Sistiana. Memoria del WWF

1. L’incuranza per i valori ambientali

Il progetto di “valorizzazione turistica” comporta la distruzione di oltre di 2 ettari di area boscata interna al SIC IT 334001 “Falesie di Duino” (oggi compreso all’interno del SIC/ZPS IT 3340006 “Carso triestino e goriziano”), distruzione già in gran parte attuata, con il consenso della Regione che avrebbe dovuto impedirla.

Il progetto prevede inoltre la trasformazione in parcheggio – e la sostanziale distruzione - di una superficie di circa 16 ettari, a boscaglia e landa carsica (con presenza anche di doline).

Il progetto prevede ancora la costruzione di una darsena artificiale, in un’area dal problematico equilibrio idrogeologico (rischio di interferenza con la falda carsica).

Il tutto in un’area tutelata, in teoria, dal vincolo paesaggistico. E’ significativo che perfino le disposizioni, molto precise, sancite nel 1992 dal Ministero per i beni culturali, per quanto concerne gli interventi nell’area della ex cava di Sistiana, sono state platealmente disattese e contraddette dagli organi preposti alla tutela del paesaggio (Regione e Soprintendenza). Secondo le prescrizioni del Ministero, infatti, “Il ciglio naturale alla sommità del costone roccioso, costituente l’attuale fronte di cava, deve essere conservato nel suo profilo attuale, con l’esistente coronamento di alberature e di verde (piano boscato) da sistemare, reintegrare e migliorare opportunamente … al fine di garantire la continuità dei profili paesaggistici naturali dell’intero comprensorio…”.

A nulla sono serviti gli appelli, le proposte, i documenti inviati nel corso di alcuni anni in varie forme (osservazioni nell’ambito della VIA, osservazioni sugli strumenti urbanistici, lettere aperte agli amministratori comunali e regionali, ecc.) dal WWF, da Italia Nostra e da altri, allo scopo di far modificare il progetto, almeno nei suoi contenuti di maggiore impatto sull’ambiente ed il paesaggio.

Merita considerare, soprattutto, il danno a lungo termine che l’intervento “turistico” nella Baia di Sistiana produrrebbe per quanto concerne la conservazione della biodiversità lungo l’importantissimo “corridoio ecologico” rappresentato dalla fascia costiera in Provincia di Trieste (cfr. i pareri del prof. Livio Poldini, all. 1 e 2).

Su tutto ha prevalso la volontà dei proprietari della Baia, sui quali si sono appiattiti sia il Comune di Duino-Aurisina, sia la Regione, di realizzare l’intervento di “valorizzazione turistica” della Baia, nei termini quantitativi (per quanto concerne le volumetrie, gli spazi occupati, i volumi di escavazione, ecc.) previsti fin dall’inizio dell’operazione (cioè nel 2000), senza alcuna modifica sostanziale.

Hanno anche avuto il sapore della beffa, le dichiarate volontà di “mediazione” tra le parti in conflitto, da parte del Presidente della Regione, Illy, emerse dalla stampa (e soltanto da questa) agli inizi del 2005. Una pura operazione di immagine, con un Presidente autonominatosi esperto di paesaggio e come tale pronto a certificare la bontà del progetto, pur proponendone delle modifiche “migliorative”. Modifiche spacciate all’opinione pubblica con finalità palesemente truffaldine, perché o già previste nelle “prescrizioni” del provvedimento di VIA, o semplicemente irrealizzabili (come il rispetto del ciglio della cava, già distrutto con il “modellamento” di cui sopra).

2. L’incuranza per le leggi

Tutte le norme vigenti in materia urbanistica e ambientale sono state forzate, se necessario, per consentire la realizzazione dell’intervento nella Baia nei termini voluti dai proprietari.

Così è stato per quanto concerne le procedure di approvazione della variante al PRGC e del piano particolareggiato (violata la legge urbanistica regionale, per quanto concerne la discussione in Consiglio comunale delle osservazioni). Così anche per la normativa regionale sulla VIA (è stata forzata una conclusione positiva dell’iter, pur in presenza di danni al SIC “Falesie di Duino”, di compensazioni inesistenti, di evidente e clamorose lacune nello studio di impatto ambientale).

Così ancora per l’enorme escavazione (a fini commerciali), ammessa sotto le mentite spoglie di un “modellamento”, prescindendo da qualsiasi normativa regionale sulle attività estrattive, nell’ex cava di Sistiana. E’ opportuno ricordare che la gran parte del materiale scavato a Sistiana viene utilizzato ai lavori di costruzione del “MOSE” nella laguna di Venezia.

Così è stato anche per quanto concerne la perdurante scandalosa mancanza di atti fondamentali per la tutela dell’ambiente e del paesaggio, pur previsti per legge da molti anni ma ancora inesistenti (piano paesaggistico, di cui alla Legge 431 del 1985, piani di gestione dei SIC, previsti dal DPR 357 del 1997, piani di conservazione e sviluppo delle riserve naturali, previsti dalla legge regionale 42 del 1996), che per logica avrebbero dovuto precedere interventi di grande portata come quelli proposti a Sistiana, al fine di costituirne il quadro di riferimento programmatico.

Risalta, in un simile contesto, la sostanziale inerzia degli organi pubblici che a vario titolo dovrebbero assicurare il rispetto delle norme e delle procedure.

Emblematico il fatto che le associazioni ambientaliste (WWF e Italia Nostra) siano dovute ricorrere alla giustizia amministrativa e penale, nel tentativo di ottenere il rispetto delle leggi violate. Non è certo irrilevante il fatto che in tutte le cause amministrative avviate, WWF e Italia Nostra si siano trovate a lottare contro una coalizione di forze che riuniva i proprietari privati della Baia, il Comune di Duino-Aurisina e la Regione Friuli-Venezia Giulia.

urtroppo, neppure tali iniziative si sono rivelate in grado di fermare lo scempio in atto dalla primavera del 2004, anche per un inspiegabile voltafaccia del TAR, che nel settembre 2005 respingeva il ricorso di WWF e Italia Nostra contro le autorizzazioni al “modellamento” dell’ex cava di Sistiana, contraddicendo la propria precedente sentenza del dicembre 2004 sullo stesso argomento.

3. L’incuranza per i diritti dei cittadini

L’intera operazione Sistiana denota inoltre un evidente disprezzo delle istituzioni pubbliche locali per i diritti dei cittadini. In primo luogo il diritto all’informazione, come dimostra ad abundantiam il fatto che nessuna iniziativa di informazione ed illustrazione del progetto di “valorizzazione turistica” è stata promossa dal Comune di Duino-Aurisina. Ciò malgrado le reiterate richieste delle associazioni ambientaliste e le promesse - regolarmente disattese – del sindaco Ret. Eppure si tratta di un progetto che incide in modo sostanziale, sia sull’aspetto, sia sulla conformazione dei luoghi, sia sulla fruizione tradizionalmente consolidata di un ampio tratto di costa.

Del tutto assente, in materia, anche la Regione.

Va ancora sottolineato come in più occasioni siano state tentate operazioni di autentica disinformazione, nei confronti dell’opinione pubblica. Ad esempio quando si è cercato di accreditare la tesi secondo cui i lavori nell’ex cava consistevano nella “messa in sicurezza” della stessa (laddove il progetto menzionava esplicitamente il “modellamento finalizzato alla realizzazione delle opere edilizie previste nel piano particolareggiato approvato”, con l’estrazione di 780.000 metri cubi di roccia). Oppure quando per mesi, senza mostrarne alcun dettaglio (in quanto i documenti erano stati “secretati” dal sindaco), si sosteneva tuttavia che il “nuovo” piano particolareggiato adottato nel settembre 2005, era sostanzialmente diverso dal precedente (la cui approvazione era stata, come detto, annullata dal TAR su ricorso di WWF e Italia Nostra).

Un semplice confronto delle carte, permette agevolmente di capire come le “novità” siano del tutto marginali e che quasi nulla sia mutato tra le due versioni del piano. Nulla, in particolare, per quanto concerne gli impatti sull’ambiente ed il paesaggio e gli aspetti relativi alla fruizione pubblica della Baia.

Sono scomparse, invece, le simulazioni dell’aspetto del villaggio turistico “istro-veneto” previsto alla base dell’ex cava (con il finto campanile, ecc.).

In secondo luogo, anche l’unico strumento previsto dalla normativa vigente, per la partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche, è stato svilito e vanificato (v. sopra par. 2), con la mancata discussione in Consiglio comunale delle osservazioni presentate dai cittadini.

In terzo luogo, va ricordato che il tentativo del Comitato “L’altra Baia” di indire un referendum consultivo comunale sul progetto, è stato vanificato, con motivazioni discutibili.

Sorprendono perciò le reiterate affermazioni del sindaco Ret, circa il fatto che la grande maggioranza dei cittadini di Duino-Aurisina sarebbero favorevoli al progetto, poiché nessun riscontro oggettivo esiste (perché lo si è voluto cercare) in tal senso.

Sconcerta, infine, l’iniziativa assunta dal Consiglio comunale di Duino-Aurisina e fatta propria dal sindaco, nel senso di studiare con i propri legali la possibilità di “rivalersi” nei confronti degli ambientalisti, per il tempo perduto e le spese sostenute a causa delle azioni legali intentate da WWF e Italia Nostra (!).

Trattasi certo soltanto di un mero – e sgangherato – tentativo di intimidazione verso gli oppositori più tenaci del progetto. Tuttavia, il fatto stesso che una simile iniziativa sia stata votata a maggioranza in Consiglio comunale e che abbia suscitato scarse reazioni anche tra le forse politiche di opposizione, preoccupa non poco, in quanto sintomo di una concezione alquanto distorta della democrazia e del rapporto tra i cittadini e chi rappresenta le istituzioni elettive.

4. L’incuranza per il contesto

Un intervento di grande portata, come quello prefigurato nel progetto di “valorizzazione turistica”, richiederebbe una grande attenzione al contesto territoriale ed ambientale, al fine di armonizzarlo – se possibile – con quanto già esiste e garantirne la compatibilità complessiva.

In quest’ottica, fin dall’inizio WWF e Italia Nostra avevano aggiunto alle proprie osservazioni sul progetto, una serie di proposte per le “condizioni al contorno”, che coinvolgevano diversi altri Enti e soggetti, oltre al Comune di Duino-Aurisina. Tra questi i primo luogo la Regione (per quanto riguarda gli aspetti relativi alla pianificazione paesistica, l’ampliamento e la gestione delle aree protette, lo sviluppo di linee di trasporto marittimo alternativo a quello motorizzato privato, ecc.), ma anche l’ANAS (per una serie di interventi di ripristino ambientale sulla viabilità adiacente la baia, per cercare di ripristinare una continuità tra il corridoio ecologico lungo la fascia costiera ed il Carso retrostante), ecc.

Nessun ascolto hanno avuto tali proposte, ancorché più volte reiterate, da parte degli interlocutori istituzionali.

Un intervento come quello prospettato per Sistiana, avrebbe inoltre richiesto un serio approfondimento sulla fattibilità e la sostenibilità economica dell’operazione, per esempio attraverso la produzione (e l’analisi da parte sia del Comune, sia della Regione) di un business plan. Nulla di tutto ciò è stato prodotto, né richiesto dagli enti competenti. Eppure, di fronte ad un intervento di tale portata, proposto da società prive di qualsiasi credibile esperienza pregressa nel settore, con una capofila dichiaratamente attiva soltanto nel settore immobiliare (l’ Immobiliare Santo Gervasio e Protasio di Mantova), un approfondimento di questo aspetti avrebbe dovuto rappresentare un’esigenza primaria e ineludibile per qualsiasi serio amministratore della cosa pubblica.

Non esiste, pertanto, alcuna seria garanzia circa il fatto che l’intervento proposto possa effettivamente essere realizzato, né che lo stesso – dopo aver impegnato per anni gran parte delle risorse tecniche ed amministrative del Comune di Duino-Aurisina – si risolva davvero in un “volano di sviluppo economico” per tutto il Comune, come i sostenitori pedissequamente ripetono, anziché (come appare invece assai più verosimile, viste le esperienze fatte con analoghe operazioni, per esempio a Muggia - Porto San Rocco) in una semplice speculazione immobiliare incentrata sulla compravendita di prime e seconde case.

5. Conclusioni

La triste vicenda della Baia di Sistiana è purtroppo emblematica, rispetto all’atteggiamento generalmente assunto dalla classe dirigente locale (o almeno dalla maggior parte di essa) nei confronti dei temi ambientali. Il Friuli – Venezia Giulia, in questo senso, rappresenta probabilmente uno dei punti più bassi raggiunti dal ceto politico nazionale, in sostanziale continuità tra centro – destra e centro - sinistra.

Un atteggiamento fatto – come si è visto da quanto precede - di supponenza, pressoché totale ignoranza (voluta) del merito delle questioni e dei problemi, disprezzo per il ruolo ed i diritti dei cittadini, noncuranza delle leggi, ma anche asservimento delle istituzioni pubbliche ad alcuni interessi privati. Interessi, per lo più, rappresentati dalla rendita speculativo-immobiliare, come il caso Sistiana ha ampiamente dimostrato.

Emblematica, a tale proposito, la svendita della cava di Sistiana (fino al 2003 proprietà della Regione) ai proprietari del resto della Baia. La cava, strategica per posizione e per dimensioni nell’ambito del progetto di “valorizzazione turistica”, avrebbe potuto (e dovuto) rappresentare una carta fondamentale da giocare per ottenere dai privati modifiche sostanziali del progetto, nel senso del suo ridimensionamento per ragioni di tutela ambientale e paesaggistica. Oppure, almeno, per ottenere in cambio garanzie serie di ricadute economiche ed occupazionali a beneficio del territorio.

La cava è stata invece svenduta per un prezzo ridicolo, verosimilmente presto recuperato dagli acquirenti con la semplice vendita della roccia scavata per il “modellamento”…

13 giugno 2006

Dario Predonzan, Carlo Della bella

Responsabile settore territorio Responsabile Sezione WWF Friuli – Venezia Giulia di Trieste

Incomprensibili, secondo WWF e Italia Nostra, le motivazioni della recente sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia, che ha respinto il ricorso delle due associazioni contro l’autorizzazione paesaggistica regionale e la concessione edilizia comunale per il “modellamento” della cava di Sistiana. Gli ambientalisti sottolineano come il TAR, inspiegabilmente, abbia assunto un atteggiamento diametralmente opposto, rispetto a quanto accaduto l’anno scorso, quando la precedente autorizzazione paesaggistica e la concessione edilizia per il “modellamento” della cava erano state annullate, sempre a seguito di un ricorso di WWF e Italia Nostra che evidenziava i medesimi profili di illegittimità. E ciò, aggiungono gli ambientalisti, benché il progetto presentato dalla “Immobiliare Santi Gervasio e Protasio” sia rimasto esattamente lo stesso, con 780 mila metri cubi di roccia da scavare (per quasi metà già scavati), parziale distruzione del SIC “Falesie di Duino” compresa. Eppure, stavolta il TAR ha giudicato legittime l’autorizzazione e la concessione edilizia, sostenendo trattarsi di un intervento “autonomo” dal piano particolareggiato della Baia di Sistiana,. Quest’ultimo prevedeva la realizzazione di una serie di opere (villaggio turistico, darsena artificiale, ecc.), rispetto ai quali l’escavazione era allora ed è tutt’oggi la premessa necessaria ed indispensabile.

Nel 2004, in effetti, lo stesso TAR aveva giudicato l’intervento di “modellamento” funzionale (com’è peraltro espressamente dichiarato nel progetto della “Gervasio e Protasio”) alla realizzazione delle opere previste nel piano particolareggiato. Piano che nell’aprile 2004, sempre a seguito di un ricorso di WWF e Italia Nostra, era stato peraltro annullato, da cui il conseguente annullamento delle autorizzazioni al “modellamento” della cava, che ormai mancavano di un indispensabile presupposto. Gli ambientalisti esprimono anche sconcerto per il rigetto, nella sentenza recente del TAR, del motivo di ricorso che si riferiva alla mancata comunicazione alle due associazioni, dell’avvio dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni. Ciò è previsto dalla legge 241/1990 sulla trasparenza degli atti amministrativi. E’ evidente, sostengono WWF e Italia Nostra, che – essendo stati accolti ben due volte dal TAR Friuli Venezia Giulia i ricorsi degli ambientalisti relativi ad atti concernenti la baia di Sistiana – era certamente agevole individuare chi poteva “ricevere un pregiudizio negativo” (come sancisce la legge 241/1990) dal rilascio delle nuove autorizzazioni. Da ciò discendeva l’obbligo di comunicare ufficialmente a WWF e Italia Nostra l’avvio dei nuovi procedimenti, cosa che però né la Regione, né il Comune di Duino-Auisina hanno fatto.

La recente notizia ufficiale, secondo cui quanto estratto dalla Baia viene ceduto per la costruzione delle opere del MOSE veneziano, dimostra infine la fondatezza anche di un altro motivo di ricorso sbrigativamente respinto dal TAR, e cioè che ci troviamo in presenza di una vera e propria cava, con utilizzazione del materiale a scopo industriale ed edilizio.

Il TAR dovrà comunque pronunciarsi anche su un ulteriore ricorso di WWF e Italia Nostra : quello contro la variante 21 al piano regolatore di Duino-Aurisina, riapprovata a fine 2004. Si tratta di uno strumento urbanistico predisposto anch’esso in funzione del progetto di “valorizzazione turistica” della Baia di Sistiana : la precedente versione della variante era stata anch’essa annullata dal TAR nell’aprile 2004 (insieme al piano particolareggiato della Baia) su ricorso degli ambientalisti, con la sentenza sopra ricordata. Contro la nuova variante WWF e Italia Nostra erano ricorsi al Presidente della Repubblica, ricorso ora trasposto al TAR Friuli Venezia Giulia.

Postilla

Le vicende di Baia Sistiana e del MOSE si intrecciano per più di una ragione. L'incapacità di instaurare - durante la formazione dei piani e dei progetti - un serio dibattito sui pro e sui contro delle decisioni sposta il conflitto dalle aule dei consigli (dove i progetti incontrano un favore pressoché unanime) a quelle dei tribunali oppure generano altre forme di protesta ( Scanzano, Val di Susa, Inceneritore ad Acerra) a cui devono ricorrere tutti coloro che vogliono esprimere il proprio dissenso. Poiché le ragioni degli ambientalisti e degli oppositori alle grandi opere appaiono quasi sempre molto sensate, bisognerebbe chiedersi perchè le procedure ordinarie non funzionino correttamente e si debba afferrare sempre i problemi dalla coda anziché dalla testa. (m.b.)

WWF Friuli Venezia Giulia - Italia Nostra Trieste

Ill resoconto di una serie di atti e dichiarazioni che rivelano come la legge e il rispetto di norme antichissime (1942-1946) che garantiscono la partecipazione dei cittadini vengano calpestati da amministrazioni democratiche. Allegato il testo integrale del documento del 27 gennaio 2005

[…] Per quanto attiene l’iter della variante n. 21 al PRGC di Duino-Aurisina, la relazione dell’assessore [regionale – ndr] Sonego omette di dire che la sentenza del TAR n. 287/2004 ha annullato le delibere di approvazione sia della variante in questione, sia del successivo piano particolareggiato relativo all’intervento di “valorizzazione turistica” della baia di Sistiana (ambito A 8 secondo il vigente PRGC) . L’annullamento è stato motivato con la clamorosa violazione da parte del Comune di Duino-Aurisina, in entrambi i casi, dell’art. 31, c. 7 della L.R. 52/1991, che prescrive l’esame puntuale - da parte del Consiglio comunale - delle osservazioni presentate dai cittadini.

E’ quanto meno sorprendente che ai competenti uffici regionali, sia “sfuggito” il fatto che nessuna osservazione era stata esaminata dal Consiglio comunale di Duino-Aurisina. Non si comprende perciò come possa essere stata presa per buona l’affermazione palesemente falsa contenuta nella delibera poi annullata dal TAR (affermazione poi incredibilmente ripresa anche nella relazione dell’assessore), secondo cui “Il Consiglio comunale di Duino-Aurisina approvava la variante n. 21 al PRGC con le modifiche conseguenti all’accoglimento di parte delle osservazioni…”. Quale accoglimento, se le osservazioni non erano state esaminate dal Consiglio (e ciò era evidente ictu oculi ad un semplice esame della delibera poi annullata dal TAR) ?

Addirittura la relazione dell’assessore fa propria l’interpretazione riduttiva della sentenza del TAR, sbandierata ai quattro venti dal sindaco di Duino-Aurisina, nell’evidente – ed umanamente comprensibile, ma non per questo giustificabile – tentativo di sminuire la clamorosa illegalità commessa. Scrive infatti l’assessore che “La sentenza di annullamento è stata determinata dall’illegittimità procedurale consistente nel non aver esaminato in sede di Consiglio comunale ciascuna delle osservazioni e opposizioni presentate, in quanto le stesse sono state valutate in modo raggruppato tenuto conto della tipicità ed omogeneità delle richieste.” Come detto, non di “illegittimità procedurale” si tratta (“formalità” ha ripetuto per mesi il sindaco di Duino-Aurisina, sperando che qualcuno ci credesse e almeno uno – l’assessore Sonego – sembra averci creduto…), bensì di esplicita e grave violazione di una disposizione di legge. Chi è il primo custode del rispetto delle leggi regionali, se non la Regione stessa ?

Va rimarcato che la norma in questione rappresenta un’evidente garanzia a tutela del diritto dei cittadini di intervenire nell’iter degli strumenti urbanistici, garanzia brutalmente ignorata dal Consiglio comunale di Duino-Aurisina. Non è certo di consolazione il fatto che la delibera in questione sia stata approvata a larga maggioranza, compresi quindi anche molti esponenti dell’opposizione di centro-sinistra. Semmai questo è un sintomo preoccupante dell’indifferenza “trasversale”, con cui vengono trattati i diritti dei cittadini in certe assemblee elettive…

Inoltre, gli uffici della Direzione regionale della pianificazione territoriale, che tra l’altro avevano ricevuto (com’è facile verificare al protocollo…) copia delle osservazioni di WWF, Italia Nostra e Legambiente, non possono non essersi accorti che nessuna delle dettagliate osservazioni presentate era stata esaminata, né singolarmente, né “raggruppata”. Perché allora avallare la tesi del sindaco di Duino-Aurisina ? Sta di fatto, appunto, che una delibera palesemente illegittima è “passata” impunemente sotto gli occhi degli uffici regionali, che infatti ne hanno predisposto la conferma di esecutività, e soltanto il ricorso al TAR di WWF e Italia Nostra ha permesso di ristabilire la legalità sostanziale.

E’ altresì quanto mai significativo chela Regione si sia guardata bene (come anche il Comune, del resto) dall’impugnare al Consiglio di Stato la sentenza n. 287/04. Appare perciò quanto meno azzardato affermare che rappresenti un “atto dovuto” la conferma di esecutività, da parte della Giunta regionale, sulla delibera del Consiglio comunale di Duino-Aurisina, di riapprovazione della variante n. 21.

[…]

Rimane tuttavia necessario, a giudizio di WWF e Italia Nostra, anche un ripensamento globale da parte della Regione (e ovviamente anche da parte del Comune di Duino-Aurisina) sull’intera questione del progetto di “valorizzazione turistica” della Baia di Sistiana, anche se i più recenti atti della Giunta regionale non vanno certo in questa direzione.

Si è appreso infatti (v. comunicato dell’ufficio stampa della Giunta regionale del 20/1/2005) che :

1) il presidente Illy ha incontrato il sindaco di Duino-Aurisina, con il quale ha esaminato l’ ”ultimo progetto” per il “recupero della Baia”, progetto che ha giudicato “a misura d’ambiente e d’equilibrio sociale, oltre che accettabile dal punto di vista paesistico” ;

2) ciò è avvenuto “dopo essersi adoperato per favorire il dialogo tra la proprietà della baia ed alcune forze politiche di maggioranza che rappresentano le principali associazioni ambientaliste”.

Va osservato che nessuna competenza ha il presidente della Regione, per giudicare in merito alla compatibilità ambientale, sociale e paesistica di progetti di qualsivoglia natura, esistendo norme, procedure ed uffici (regionali e statali) all’uopo preposti. Dichiarazioni del tenore di quelle sopra riportate hanno semmai il sapore di indebite ingerenze e pressioni nei confronti di chi ha il compito di svolgere queste funzioni. Quale funzionario regionale oserà mai esprimere valutazioni negative sul progetto della Baia di Sistiana, dopo le “esternazioni” del presidente Illy ?

Va altresì osservato che l’”ultimo progetto” non è noto ad alcuno, essendo stato presentato al Comune di Duino-Aurisina – a quanto si appreso dalla stampa – già l’anno scorso, venendo subito “secretato” dal sindaco.

[…]

Sempre dagli organi di informazione si è poi appreso (v. comunicato dell’ufficio stampa della Giunta regionale del 22/1/2005) che :

1) il presidente Illy, “dopo aver parlato con alcune forze della maggioranza regionale ed in particolare con il segretario regionale dei Verdi, ha incontrato i rappresentanti della società promotrice del progetto” ;

2) il presidente ha presentato 11 richieste “affinché il progetto possa essere sostenibile sotto l’aspetto sociale, ambientale e paesaggistico”, richieste che “sono state accolte e saranno inserite nel progetto”.

Rendete la Baia di Sistiana inedificabile. Una ventina di urbanisti e architetti italiani, docenti alla Sapienza di Roma o al Politecnico di Milano, più il capogruppo dei Verdi in consiglio comunale a Milano, più la vicepresidente della Provincia di Roma, in taluni casi vicini al Wwf, hanno scritto una lettera al presidente della Regione, Riccardo Illy, e al sindaco di Duino Aurisina, Giorgio Ret. Contrastano il fatto che in «un luogo di assoluta eccellenza per la bellezza del paesaggio, ai primi posti di una possibile classifica nazionale» si faccia «un pesante insediamento carico di grandi cubature edilizie, non giustificabile con la mistificatoria accezione di ’’sviluppo’’ turistico».

Parole dure per rifiutare insediamenti: «Anni di tentativi dimostrano che non esistono le capacità imprenditive in grado di realizzare un intervento di turismo qualificato e pienamente sostenibile, quale quello prefigurato dal Prg del 1997/2000 - dice il documento - , e che l’unico destino possibile della Baia, se la sua utilizzazione è determinata dagli interessi economici dei proprietari, è la sua distruzione». Secondo gli urbanisti (fra cui vi è Edoardo Salzano dello Iuav di Venezia, autore del Prg di Duino Aurisina), «per evitare che la Baia diventi un quartiere residenziale anonimo o un villaggio turistico squalificato, l’unica possibilità è conservare la Baia così com’è. Siamo veramente allarmati - proseguono -, riteniamo pienamente condivisibili le prese di posizione di Wwf e Italia nostra e, al contrario, sorprendenti e incomprensibili le adesioni delle autorità regionali e comunali al progettato intervento di privati: tanto da volersi opporre in Consiglio di Stato, appunto insieme ai proprietari, contro la sentenza del Tar che accogliendo il ricorso di Wwf e Italia nostra, ha annullato l'autorizzazione paesaggistica e la concessione edilizia regionale per il cosiddetto modellamento nell'ex cava». I firmatari chiedono che si preservi l’uso «naturale» del sito, che si fermino i lavori nella cava, che «si promuovano immediatamente le procedure per stabilire con assoluta chiarezza il vincolo di inedificabilità totale e di intangibilità».

Da tempo seguiamo le vicende relative ai progetti e alle azioni tesi a trasformare un luogo di assoluta eccellenza per la bellezza del paesaggio, vale a dire perfetta compartecipazione di costa e mare nella definizione di un punto geografico ai primi posti di una possibile classifica nazionale, in un pesante insediamento carico di grandi cubature edilizie, certo non giustificabile con la mistificatoria accezione di “sviluppo” turistico.

Anni di tentativi dimostrano che non esistono le capacità imprenditive in grado di realizzare un intervento di turismo qualificato e pienamente sostenibile, quale quello prefigurato dal PRG del 1997/2000, e che l’unico destino possibile della Baia, se la sua utilizzazione è determinata dagli interessi economici dei proprietari, è la sua distruzione. Per evitare questo destino, per evitare che Baia Sistiana diventi un quartiere residenziale anonimo o un villaggio turistico squalificato, l’unica possibilità è quella di conservare la baia così com’è.

Scriviamo a loro, signor presidente e signor sindaco, perché siamo veramente allarmati. Riteniamo che la presa di posizione e il continuo impegno del WWF e di Italia Nostra per difendere “la baia di Rilke” siano condivisibili pienamente e che, al contrario, siano sorprendenti e incomprensibili le pervicaci adesioni delle autorità regionali e comunali al progettato intervento di privati: tanto da volersi opporre in Consiglio di Stato, appunto insieme ai proprietari dei terreni, contro la sentenza del Tar del dicembre 2004 che, accogliendo il ricorso di WWF e Italia Nostra, ha annullato l'autorizzazione paesaggistica e la concessione edilizia regionale per il cosiddetto modellamento nell'ex cava.

A questo punto, per conservare l’ambiente attuale, gli unici provvedimenti che dirigenti politici e amministratori davvero intenzionati a salvaguardare i territori che ricadono sotto la loro pertinenza urbanistica, e in questo caso anche di preservarne l’uso per così dire naturale che da sempre i cittadini e i visitatori ne fanno, devono essere, a nostro giudizio:

- negare ogni ripresa dei lavori relativi alla cava;

- accantonare qualsiasi progetto di intervento nella baia e nel contesto territoriale;

- promuovere immediatamente le procedure per stabilire con assoluta chiarezza il vincolo di inedificabilità totale e di intangibilità della condizione paesaggistica esistente.

Convinti di un Loro ripensamento,

- Lodovico Meneghetti, professore ordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano

- Edoardo Salzano, professore ordinario di Urbanistica, Istituto universitario di architettura di Venezia

- Maurizio Baruffi, capogruppo dei Verdi nel Consiglio comunale di Milano

- Irene Berlingò, presidente Assotecnici, Roma

- Lorenzo Berna, professore ordinario di Urbanistica, Università degli studi di Perugia

- Piero Bevilacqua, professore ordinario di Storia contemporanea, Università “La Sapienza”di Roma, coordinatore del bollettino di studi e ricerche di storia ambientale “ I frutti di Demetra”

- Sergio Brenna, professore associato di Fondamenti di urbanistica, Politecnico di Milano

- Giancarlo Consonni, professore ordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano

- Vezio De Lucia, urbanista, Roma

- Antonio di Gennaro, agronomo, Napoli

- Maria Pia Guermandi, dirigente istituto Beni culturali della Regione Emilia

Romagna, Bologna

- Fausto Martino, architetto, ex assessore all'urbanistica di Salerno, funzionario del ministero dei Beni artistici e culturali, Roma

- Rosa Rinaldi, vicepresidente della Provincia di Roma, Roma

- Mariarosa Rizzi, architetto, esperto politiche territoriali Regione Umbria, Perugia

- Sergio Rizzi, architetto, consulente del WWF per l’Isola d’Elba, Campo nell’Elba (Livorno)

- Michele Sacerdoti, membro delle Commissioni edilizie e urbanistiche dei Consigli di circoscrizione 1, 2 e 3 di Milano

- Graziella Tonon, professore straordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano

Come si legge nella cronaca, Illy “di recente si è adoperato anche per favorire il dialogo tra la proprietà della Baia di Sistiana e alcune forze politiche della sua maggioranza che rappresentano le principali associazioni ambientaliste, da sempre scettiche e critiche sul piano di recupero”. Strabiliante

E intanto la Variante 21 supera l’esame

Da Il Piccolo del 21 gennaio 2005.

Variante 21, versione 2, la rivincita. La Giunta regionale ha approvato la nuova versione della Variante 21 al piano regolatore del comune di Duino Aurisina, riveduta e corretta dopo l'annullamento del provvedimento (o meglio, della fase di approvazione da parte del Comune) da parte del Tar per una serie di vizi di forma. Dopo la ripetizione dell'iter, con una serie di modifiche, da parte del consiglio comunale di Duino Aurisina, nei giorni scorsi è toccato alla Giunta regionale – non senza polemiche da parte dei Verdi e di Rifondazione comunista, che avevano chiesto di bloccare l'iter autorizzativo – ratificare il documento urbanistico, che entrerà in vigore con la pubblicazione.

Ambientalisti ed esponenti di Rifondazione comunista avevano chiesto prima di Natale – sulla base della vittoria di un altro ricorso al Tar, relativo alle procedure di autorizzazione dei lavori di ripristino della ex cava – che i provvedimenti della Giunta in merito alla Variante 21 venissero bloccati in via cautelativa. Ma l'assessore Sonego ha spiegato la scelta della Giunta: «Il documento presentato dal Comune di Duino Aurisina risulta a posto dal punto di vista formale, e la ratifica della Giunta regionale si legge come atto dovuto nell'ambito di una regolare procedura».

E' stato dunque riassorbito in circa sei mesi il ritardo dovuto all'annullazione del documento urbanistico, che ha fatto cadere, come in un complesso domino, anche il piano particolareggiato della Baia. Spetta ora proprio alla proprietà della Baia presentare nuovamente il piano particolareggiato, e rendere finalmente noti i nuovi disegni relativi ai lavori in cava. L'ex soprintendente, Giangiacomo Martines, infatti, aveva concordato con il Comune e la proprietà una versione meno impattante sul territorio del grande albergo e del borgo sul mare che dovrebbero sorgere dai resti della cava, ma dopo il blocco della Variante 21 quei disegni erano stati secretati. Intanto si attende di sapere l'esito dei «controricorsi» relativi all'annullamento della concessione edilizia per i lavori nella ex cava: ci vorranno almeno due mesi per capire se le posizioni del Tar saranno confermate o meno dal Consiglio di Stato.

Intanto la proprietà si muoverà sul fronte del piano particolareggiato, e - alla luce delle novità - lo ripresenterà certo fra breve.

fr. c.

Illy dà il placet al progetto della Baia di Sistiana

Il presidente della Regione mediatore tra i «contrari» della sua maggioranza e la proprietà del sito

Cambia, per lo meno politicamente, lo scenario relativo alla intricata questione della Baia di Sistiana, da mesi alle prese con ricorsi al Tar e con un piano particolareggiato ancora fermo, e anzi da ripresentare.

Ieri il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, ha incontrato il sindaco di Duino Aurisina, Giorgio Ret, e lo ha rassicurato sulla validità dell'ultimo progetto - non ancora reso noto pubblicamente, però - per il recupero della Baia di Sistiana, che ha definito «a misura d'ambiente e d'equilibrio sociale, oltre che accettabile dal punto di vista paesistico».

Illy di recente si è adoperato anche per favorire il dialogo tra la proprietà della Baia di Sistiana e alcune forze politiche della sua maggioranza che rappresentano le principali associazioni ambientaliste, da sempre scettiche e critiche sul piano di recupero. Rifondazione comunista e Verdi in particolare stanno conducendo una serrata battaglia.

Ma Illy ha sottolineato ieri al sindaco l'importanza di provvedere al recupero della Baia e ha notato d'aver riscontrato, da parte della proprietà dell'area, la disponibilità ad accogliere i suggerimenti delle associazioni ambientaliste «sul mantenimento delle caratteristiche del sito».

Illy e Ret hanno infine concordato su un punto importante, che interessa anche molti cittadini, firmatari di petizioni: la necessità di conservare alla comunità il libero utilizzo di tutte le spiagge.

Ret ha confermato al presidente della Regione che la parte della Costa dei Barbari appartenente al momento al proprietario della cava e della Baia di Sistiana sarà ceduta al Comune. E dunque il Comune intende rendere anche questa zona disponibile al pubblico.

Baia: tutti spiazzati dal «sì» di Illy

Da Il Piccolo del 22 gennaio 2005

Intanto anche la giunta ricorre al Consiglio di Stato per i lavori nella cava

E’ sceso in campo a favore del progetto della Baia di Sistiana con un colpo di scena, all'insaputa di tutti: politici, amministratori e tecnici. Il presidente della Giunta regionale, Riccardo Illy, dribbla le polemiche e si esprime in maniera netta a favore della Baia. Convoca in gran segreto il sindaco di Duino Aurisina, Giorgio Ret («Non l'ho detto nemmeno a mia moglie», confida il sindaco), si fa mostrare le carte, svolge verifiche, rimanda a casa Ret con la richiesta del più totale riserbo sull'incontro, e poi, a tarda sera, fa diramare un comunicato nel quale conferma «la validità dell'ultimo progetto», definito «a misura d'ambiente e d'equilibrio sociale, oltre che accettabile dal punto di vista paesistico». Terapia d'urto, insomma, per la Baia di Sistiana, da anni insabbiata nelle polemiche e bloccata da ricorsi al Tar: e proprio in merito al Tar, ieri nuovo importante passaggio in Giunta regionale, dove – fatta eccezione per l'assessore di Rifondazione, Roberto Antonaz – si è votato a favore del ricorso al Consiglio di Stato sull'annullamento della concessione edilizia per i lavori di ripristino della cava. Dopo la proprietà e il Comune (che deve formalizzare l’atto), ora anche la Regione sceglie di tutelare quanto fatto sul piano formale per avviare i lavori.

«Sono rimasto sorpreso dall'immediatezza che Illy ha dimostrato nel prendere posizione a favore del progetto, e sono soddisfatto: un segnale che ci permette di andare avanti più spediti - dice Ret -. Il presidente della Giunta ha visto il nuovo piano, decisamente più vicino alle richieste degli ambientalisti. L'obiettivo ora è marciare uniti». Se Illy ha dato un segnale forte (forse più forte di quanto i sostenitori del progetto potessero sperare), non mancano i distinguo. Ieri il verde Gianni Pizzati e il consigliere di Rifondazione Igor Canciani hanno compilato una lunga lista della spesa: quindici richieste a proprietà e Comune in cambio del loro appoggio al progetto. I temi riguardano libertà di fruizione delle spiagge, gratuità dello shuttle, prezzi modici e controllabili per i parcheggi, meno impatto dell'albergo e del parcheggio stesso, cessione della Costa dei Barbari al Comune, zone filtro per isolare natura da turismo, convenzione chiara e piano del porto, mantenimento dell'attuale ciglione della cava, ovvero niente più scavi. L'incontro con Illy pare aver sbloccato anche la situazione delle società nautiche: la prossima settimana Ret è pronto ad attivarsi sul piano formale per avviare definitivamente il processo.

Il 29 dicembre su questa pagine l’ex-presidente della Legambiente Trieste, Roberto Barocchi, scriveva un “malinconico addio a Martines”, Sovrintendente ai Beni culturali. Il 30 dicembre la Giunta regionale ha confermato l’esecutività della variante 21 al PRGC di Duino-Aurisina, riguardante il progetto di “riqualificazione turistica” della Baia di Sistiana.

Sono rammaricato anch’io per il trasferimento dell’ottimo arch.Martines, che proprio sulla questione di Sistiana si è speso moltissimo urtando molte sensibilità. Tuttavia ritengo che il futuro delle valenze ambientali e paesaggistiche della nostra Regione non possa dipendere dalle capacità di un Soprintendente. Servono regole, precise ed efficaci normative, che impediscano la distruzione del nostro patrimonio naturale. La legge Galasso (L.431 del 1985, ora compresa nel Decreto Urbani), che impone delle fasce di rispetto sulle coste, le sponde dei fiumi, dei laghi, ecc. – dopo vent’anni – non ha ancora trovato applicazione nella nostra Regione, per precise responsabilità dei nostri amministratori, sia politici sia funzionari regionali. La conseguenza dell’inadempienza della Regione Friuli-Venezia Giulia è sotto gli occhi di tutti: il progetto di Muja Turistica, l’espansione edilizia a Barcola-Bovedo e Grignano, la Baia di Sistiana, la cementificazione totale dell’Isola dei Bagni a Monfalcone, fino ai palazzoni previsti a Grado ed alla piscina nella Pineta di Lignano. Un vero assalto alla costa, di fronte al quale centro-destra e centro-sinistra appaiono in grande sintonia.

I giornali nazionali usano accomunare il nostro Presidente Illy a quello della Sardegna Soru, due imprenditori di successo alla guida di due Regioni a statuto speciale. Eppure il Presidente Soru, appena insediato, per far fronte ad anni di mancata pianificazione urbanistica, ha emesso una delibera con la quale fissava l'inedificabilità per una profondità di due chilometri sulle coste sarde, fino all’approvazione di un piano paesistico regionale; per contro la nostra Regione è ferma ad un Piano urbanistico del 1978, diventato vecchio senza essere mai stato applicato e non adeguato alla normativa nazionale. Soru si batte per la chiusura della Base Nato della Maddalena e la restituzione di quel mare e di quella costa alla popolazione del luogo, mentre Illy si fa fotografare vestito da top-gun su un bombardiere americano della Base di Aviano, per la quale auspica il raddoppio. Soru ha manifestato l’intenzione di acquistare terreni privati di particolare pregio, per salvaguardarli dalle speculazioni, mentre il nostro Illy è promotore – con Lunardi e Berlusconi – del Corridoio 5 che devasterà l’Isontino ed il Carso, aree di valore naturalistico inestimabile.

Con il nulla osta della Regione alla cementificazione della Baia di Sistiana spero che la Giunta del Friuli-Venezia Giulia abbia toccato il fondo. Certo la classe politica non scende dal cielo ma rispecchia la realtà culturale della società che democraticamente se la sceglie. Alla società civile, alle associazioni, al mondo accademico, prima che alla classe politica, spetta un lungo cammino per riconquistare una dignità che oggi appare davvero compromessa.

Una nuova sentenza del Tar, un’altra vittoria ambientalista. Basterà a fermare il massacro di Baia Sistiana? Già la scorsa primavera il Tar aveva accolto il ricorso degli ambientalisti contro la realizzazione di un complesso “turistico” da oltre 170 mila metri cubi in una delle zone più belle lungo la costa triestina. Regione e Comune, però, non hanno mai impedito la prosecuzione dei lavori mascherandoli sotto il progetto di “modellamento” della ex cava Sistiana e ignorando anche le diffide degli ambientalisti al presidente della Regione, Riccardo Illy ed al sindaco di Duino-Aurisina, Giorgio Ret.Il “modellamento” consisteva nell’estrazione di ben 780 mila metri cubi di roccia carsica, preliminare alla costruzione di un albergo e di un finto villaggio istro-veneto con una darsena artificiale e un megaparcheggio: elementi cardine del progetto “turistico” originale. Il presunto “modellamento” ha comportato anche la distruzione di circa 2 ettari di bosco sopra l'ex cava, di elevato pregio naturalistico e compreso all'interno di un Sito d’Importanza Comunitaria.

“L’ultima sentenza – commentano WWF e Italia Nostra – dimostra su quale colossale alterazione dei fatti e di illegittimità si sia voluto fondare il sedicente progetto “turistico”, e non per semplici vizi formali. Il Tar dichiara, senza ombra di dubbio, che i lavori di escavazione (e viene ribadito che non si trattava affatto della “messa in sicurezza” della cava, come continua a ripetere il sindaco di Duino-Aurisina), non dovevano legittimamente proseguire dopo che la precedente sentenza aveva annullato il piano regolatore comunale ed il piano particolareggiato. Non solo, ma anche l’ autorizzazione regionale mancava delle necessarie motivazioni e perciò non poteva tutelare il bene ambientale plurivincolato: un obbligo che la Regione doveva assolvere nell’interesse pubblico.”

L’attività di tutela degli ambientalisti continuerà ora con la segnalazione all'Unione Europea per la parziale distruzione del bosco soprastante l'ex cava, area S.I.C., e probabilmente con l’avvio di una richiesta di risarcimento per il danno ambientale prodotto con l'escavazione illegale. Vi è, poi, la questione delle responsabilità penali per l’abuso paesaggistico compiuto mediante il falso “modellamento”: responsabilità di chi materialmente ha estratto la roccia, ma anche di chi lo ha illegittimamente autorizzato e di chi, potendo, non è intervenuto per impedire lo scempio.

“Ci auguriamo – concludono WWF e Italia Nostra – che la sentenza del TAR faccia cambiare rotta agli amministratori rispetto a quanto fatto finora, ponendosi l'obiettivo di tutelare l'interesse pubblico alla difesa dell'ambiente e del paesaggio anziché appiattirsi su interessi privati orientati alla rapina del territorio. E’ una questione urgente dopo che il Comune di Duino-Aurisina ha riapprovato la variante al piano regolatore bocciata dalla sentenza del TAR di aprile, mentre sta per essere presentato un nuovo piano particolareggiato dalla SGP.”

Dopo questa sentenza, si evidenzia prepotentemente la gravità dell’assenza di un Piano Paesistico regionale, obbligatorio per legge dal 1985 ma mai approvato, che impedirebbe episodi come quello di Sistiana in cui la Regione copre scelte urbanistiche scellerate come quelle del Comune di Duino-Aurisina.

Sappiamo che la cosiddetta variante agricola del piano regolatore di Duino-Aurisina non è stata approvata nella seduta del 25 agosto. Ma sappiamo che i timori espressi dal WWF sono fondati. L’esperienza ci dice che “la sagra dell’ipocrisia” (così il WWF) sfocerà alla fine nell’approvazione, magari con qualche ritocco insignificante che, dubitiamo, potrebbe accontentare l’opposizione. Il sindaco, la giunta, i consiglieri di maggioranza la vogliono fortemente questa che Predonzan ha denominato “villettizzazione del territorio”, contropartita di un surplus di voti garantiti. Il falso denunciato di una variante che il tranello nominalistico non riesce a nascondere rappresenta l’addio all’integrità e alla salvaguardia del territorio carsico, l’abolizione del milionesimo pezzo di territorio nazionale di alto valore storico, paesaggistico, produttivo. Così sia nel Malpaese, come ogni giorno da sessant’anni. Dovremmo ridiscutere la questione della democrazia locale e dei poteri assegnati ai sindaci e alle giunte (ai governatori, ai presidenti…) da un riforma che non avrebbe avuto bisogno degli anni trascorsi dall’adozione per convincermi della sua pericolosità: un’apertura a una sorta di dittatura della persona al vertice e delle oligarchie alla base. Posso dirlo serenamente, insieme ad altri vecchi insospettabili che, sembra ora un paradosso ma non lo è, si sono battuti dal dopoguerra in favore delle autonomie locali.

Salzano ha manifestato i propri dubbi sul funzionamento delle nuove amministrazioni dopo le elezioni di giugno vinte dal centrosinistra. Penso che comprendessero la preoccupazione circa, appunto, i poteri che oggigiorno (vedi anche il progetto della destra riguardo alla figura del primo ministro) la cultura media dei politici, non esclusi certi all’opposizione, vuole sempre più ampi e forti e concentrati anche nella singola persona, in omaggio a un principio di assoluta stabilità governativa da cui non può non conseguire l’aumento della debolezza delle minoranze: già ora penosamente respinte come in ricetti medievali dove non possono combattere ad armi pari sul terreno, non riescono ad attaccare con qualche speranza, al contrario devono condurre l’estrema difesa buttando a casaccio roba dall’alto dopo aver bruciato le scale di legno.

I poteri personali e oligarchici nelle amministrazioni locali dei tre livelli ci vietano l’uso del vecchio linguaggio. Esempio: per noi la locuzione “sindaco democratico” era peculiare; il sindaco era primo fra i pari (e “democratico” significò, ad un certo momento della battaglia politica, “di sinistra”). La nuova definizione dovrebbe essere “sindaco padrone”, padrone altresì spesso arrogante anche perché sostenuto da un’uguale vocazione degli assessori. Ancora l’11 agosto scorso Salzano si è sentito costretto a ribadire la sua posizione – da tanti altri di noi condivisa e manifestata in Eddyburg – sullo scandalo dell’auditorium di Ravello, giacché l’insolente tracotanza del sindaco e dei colleghi di giunta, purtroppo apprezzata addirittura da Bassolino per umiliazione dell’amico napoletano Eddy, è cresciuta a un tal grado che li colloca, a mio parere, fuori della democrazia. Lo sapete: se la costruzione dell’auditorium è inammissibile a causa delle regole del piano, dunque procedere sarebbe illegale, le si modifichi ad hoc per ammetterla. Si commetteranno due reati, due atti illegali, non uno solo, perché una variante ad hoc, in realtà ad personam, strombazzata prima a destra e a manca è già fuori degli obblighi di correttezza. Ma cosa importa al nuovo tipo di amministratore podestarile?

Che dire, noi milanesi, del sindaco Albertini e della sua giunta che lasciano Milano in mano a imprenditori e impresari edili, finanzieri, commercianti, signori della moda? A costoro il compito liberista di negare nei fatti le regole dopo che la giunta le ha negate in documenti ufficiali curiosamente scritti da colleghi di una sinistra culturale denominata cinica (o postmoderna). Così ci siamo goduti in questi anni l’illegalità sostanziale di interventi quali la nuova Bicocca di Tronchetti Provera, colossale “variante”, espansione urbana fuori di qualsiasi cenno di pianificazione almeno a scala comunale (peraltro insufficiente in situazioni di gigantismo metropolitano come quello milanese) e persino di una qualche idea di città pubblicamente espressa. Discussioni? Sì, intime, riservate, signorili, quelle richieste dalla contrattazione/negoziazione (ah! la geniale anticipazione della proposta Lupi di nuova legge urbanistica nazionale) fra l’ex industriale, tanto incapace di reggere il compito di produrre beni e profitto quanto pronto a recitare da protagonista nel campo della rendita fondiaria/edilizia, e un’amministrazione pubblica prona, adorante. E oggi? Dobbiamo goderci, fra un mucchio di annose illegalità ritenute “minori” (per esempio, quei 16.000 primi casi di neo-condono emersi appena si era vista l’occasione dell’ennesima sanatoria mentre era lontanissima dalla conclusione – e lo è tutt’oggi – la regolarizzazione dell’immenso abusivismo anteriore), l’osceno “maggiore” stravolgimento della linea del cielo di Milano a causa dell’applicazione senza freni della famosa legge regionale cosiddetta dei sottotetti (vedi nel sito i miei interventi del 10.12.03 e del 24.6.04): una dimostrazione di come si può fare a pezzi una città, certe strade, certe case mediante l’impiego di una legge ad hoc: precisamente come a Ravello cambiare le norme (a Milano relative all’inabitabilità dei sottotetti) per rendere legale l’illegale. Ci sovrastano ormai poco meno che 4.000 casi di interventi pesantissimi, ossia rifacimenti radicali con vasti ampliamenti, nuove edificazioni aeree, trasformazioni irragionevoli: il tutto riguardante edifici di buona e alta qualità, vale a dire dotati di una loro forma architettonica dignitosa quando non addirittura di un’assoluta bella presenza ottocentesca o novecentesca. E nuovi progetti e attuazioni premono.

Su “la Repubblica” del 13 settembre Pietro Citati racconta il caso del sindaco di Welsberg (Monguelfo nella ridicola obbligatoria versione italiana), provincia di Bolzano. Verso la fine di ottobre del 2001 la combinazione fra declassamento del sovrintendente, poteri del sindaco, onnipotenza della giunta provinciale ha ottenuto la demolizione, voluta ostinatamente da Friedrich Mittermair, di un vecchio edificio adibito a pretura dotato di parti del XV e XVI secolo. Questa volta non tutto è andato liscio al molto energico personaggio. Dopo diversi interventi di Consiglio di stato, Ufficio di tutela dei beni culturali di Bolzano, Tar e “non so quanti altri istituti” esigenti la tutela dei ruderi, nel giugno scorso il sindaco è stato processato al tribunale di Bolzano. A una richiesta del P. M. di cinque mesi di reclusione il giudice Carla Scheide ha risposto con una condanna a dodici mesi di reclusione e ad altrettanti mesi di interdizione dai pubblici uffici. “Mai in Italia – scrive Citati quasi che il Sud Tirolo non vi appartenga – potrebbe accadere qualcosa di simile: un sindaco condannato a un anno per aver offeso un vecchio edificio”. Eppure, penso, le province autonome e le regioni a statuto speciale godono di privilegi che, a sessant’anni dalla fine della guerra sarebbe ora di giudicare anacronistici. I poteri autonomi erano già molto estesi e indiscussi ben prima della riforma relativa alle amministrazioni locali normali; sarebbero occorse riforme per diminuirli. Si aggiunga alla situazione abnorme dei poteri personali e oligarchici privi di controlli, salvo quelli occasionali della magistratura, l’altra ugualmente eccezionale, cioè il trasferimento di somme dallo stato le quali, paragonate ai finanziamenti delle regioni a statuto normale, rivelano valori pro capite del doppio, triplo e più. Si concluderà che quella specialità e autonomia funzionano a piacere degli amministratori senza giustificare esattamente la destinazione politica ed economica delle risorse avute in dono: soprattutto in merito alle politiche urbanistiche ed edilizie, città, casa, territorio, paesaggio. A questo proposito l’Alto Adige, nonostante il sindaco pazzo di Welsberg, è sempre parso a chi lo conosce nel complesso ed evita ogni esagerata laudatio una specie di paradiso: opposto, che so, a una Sicilia inferno, regione a statuto speciale epitome di tutti gli abusi, di tutte le convalide politiche “legali” delle illegalità, insomma di tutte le realizzazioni più stravolgenti ma convenienti ai potenti che la concentrazione e l’indipendenza assoluta, personali e oligarchiche, dei poteri ha reso facilissime: una volta tacitato il popolo con l”equa redistribuzione” dei trasferimenti statali che i clan e il primo di essi, il governo regionale, sono in grado di attuare con storica, siciliana finezza. Lo stato disastroso delle città, del territorio, delle zone monumentali e così via è una risultante geometrica, non un accidente casuale nel corso astuto della storia.

E per quale motivo non ci occupiamo mai – urbanisti, uomini di cultura, politici attenti – di un’altra regione autonoma, la Valle di Aosta, circa la quale può capitarci di sentir cantare che T.v.t.b.m.l.m. ( Tout va très bien madame la marquise) poiché le statistiche indicano un tasso di abusivismo edilizio dello zero virgola…? Grazie tante. Ecco un caso perfetto di legalitàlocale speciale, soddisfatti e vanterini i bravi centomila valdostani tutti ricchi o benestanti: per benevolenza statale ma soprattutto per la rendita e il reddito edilizi enormi e capillari generati da piani “regolari” compiacenti che i due livelli dei poteri, regionale e comunale, varano da decenni con ritmo allegro costante e coerente all’obiettivo economico-sociale. Favolosa come le masche dei recessi montani questa legalità valdostana convenientemente costruita, e tipica come la fontina. Ogni visitatore non cieco sa cosa ha comportato: la violazione e poi la distruzione dei caratteri storici, paesaggistici e architettonici della grande valle; non bastano i castelli o le residue case lignee coi loro bravi funghi pietrosi di sostegno a riscattarne la rovina. Il Breui/Cervinia era già infrequentabile quarant’anni fa, tanto ripugnava ai nostri sensi la sua caotica bruttezza.

Vorrei che tornassimo indietro. Vorrei ricuperare il tempo del confronto democratico e delle discussioni sincere, del rispetto delle regole e norme severe non costruite ad arte, degli amministratori locali difensori integri dei beni comuni, dei tecnici comunali e degli urbanisti non servili consapevoli della delicatezza dei loro compiti, dei cittadini pensosi della comunità e non dell’interesse personale. Vorrei, come il giovane Marx dei Quaderni etnologici, il regresso come progresso.

Dopo qualche giorno di riposo (compimento di un numero troppo alto di anni...) trovo la gran bella notizia. Grazie WWF, grazie Italia Nostra. Ma, anche, nostra soddisfazione per essere stati attenti, per esserci allarmati. Come abbiamo fatto in ogni frangente, come dobbiamo fare ogniqualvolta i pochi residui di Belpaese entro l'enorme Malpaese vengono minacciati di morte. (Dusana: aspetto nuove osservazioni, ma non ritenerti obbligata, potresti stufarti) Vedi la cartella SOS Carso

Anche il sito del WWF Trieste

E’ in discussione in questi giorni il PTRP (Piano Territoriale Regionale Particolareggiato), con contenuti di piano paesistico, predisposto per la fascia costiera della Provincia di Trieste, che interessa i Comuni di Duino-Aurisina, Trieste e Muggia.

Si tratta del primo tentativo di dare attuazione anche in Friuli Venezia Giulia (con un ventennio di ritardo) ad un preciso disposto della Legge 431/1985 (la cosiddetta “Legge Galasso”, poi assorbita nel D. Lgs. 490/1999).

1. Gli antefatti.

E’ bene ricordare che il Friuli Venezia Giulia fu in prima fila tra le Regioni che, nel 1985, tentarono di far annullare la 431, presentando ricorso alla Corte Costituzionale. Ne uscirono sconfitte, ma il Friuli Venezia Giulia riuscì – anche per l’ignavia del Ministero per i Beni Culturali – a far passare comunque la curiosa tesi secondo cui già con il P.U.R.G. (Piano Urbanistico Regionale Generale) del 1978 si era data, addirittura in anticipo, attuazione a quanto previsto dalla “Galasso”.

Non era vero, ma a tanti faceva comodo crederlo e così per almeno quindicennio tutto continuò come prima (cioè male).

Immeritatamente assurto al rango di “prima della classe” tra le Regioni italiane fin dagli anni ‘70, per il solo fatto di disporre di un Piano Urbanistico Regionale, il Friuli Venezia Giulia ha conosciuto infatti – in misura solo leggermente ridotta - gli stessi fenomeni di degrado territoriale tipici di altre Regioni del Nord Italia : espansione incontrollata delle aree urbanizzate a spese di quelle agricole e naturali, dispersione degli insediamenti produttivi e commerciali sul territorio (specie lungo i principali assi viari), pessima qualità architettonica dei nuovi interventi, nessun riguardo alle peculiarità dei luoghi e della loro identità urbanistica ed edilizia, ecc.

Anche il “sistema delle aree protette”, che rappresentava il fiore all’occhiello del P.U.R.G. (erano previsti 14 parchi regionali e 76 “ambiti di tutela ambientale” per una superficie complessiva pari al 30 % circa del territorio regionale), si rivelò ben presto un’esile foglia di fico. I parchi rimasero sulla carta, in quanto appunto “parchi di carta”, risolti tutti nella fase pianificatoria delegata all’iniziativa dei Comuni e privi in compenso di qualsiasi struttura gestionale, di norme, personale e fondi ad hoc.

Idem per gli “ambiti di tutela”, che disponevano di norme di tutela esclusivamente urbanistiche e sui quali la Regione non esercitava comunque alcuna reale vigilanza, essendo quindi anch’essi lasciati totalmente alla mercè della buona (che qualche volta c’era) o della cattiva (più frequente) volontà dei Comuni.

Per le aree protette fu gioco forza dotarsi di una legislazione ad hoc (varata però soltanto nel 1996, dopo asperrime lotte con le lobby contrarie – cacciatori ed agricoltori – ed i loro referenti politici trasversali agli schieramenti), riducendosi però a tutelare solo il 7 % circa del territorio con un sistema di parchi e riserve naturali “veri”, secondo i dettami della Legge-quadro statale 394/1991.

Rimaneva il problema di come garantire la tutela del resto del territorio e da questo punto di vista l’attuazione della “Galasso” restava un problema aperto.

2. Il PTRP.

L’ultima maggioranza di centro sinistra degli anni ’90 riuscì – prima di essere sconfitta alle elezioni del 1998 – a varare uno stanziamento finalizzato alla redazione di un PTRP, con contenuti di piano paesistico, per l’area costiera triestina (sottoposta da decenni al vincolo ex L. 1497/1939).

L’incarico fu affidato nei primi mesi del 2000, abbastanza controvoglia, dalla nuova Giunta di centro-destra subentrata nel ’98, ad un team guidato dal prof. Luciano Semerani.

Un nutrito gruppo di architetti, naturalisti, geologi, biologi marini e giuristi si mise al lavoro, producendo una notevole serie di analisi soprattutto per quanto concerne gli aspetti ambientali del territorio costiero (e dei fondali marini antistanti).

Il WWF, affiancato da Italia Nostra, Legambiente e Acli “Anni Verdi”, produceva nel giugno 2000 una serie di “osservazioni preliminari” al redigendo PTRP, come contributo propositivo sia per gli estensori del nuovo strumento, sia per i decisori che ne avrebbero seguito l’iter.

Articolato in una Fase 1, seguita da una Fase 2, il PTRP frutto del lavoro di Semerani & co. sconta tuttavia dei limiti strutturali evidenti : eccessiva complessità, astrusità di linguaggio in alcune parti, ma soprattutto la rinuncia a priori ad intervenire in alcune parti del territorio costiero (proprio quelle di maggiore delicatezza, in quanto oggetto di piani attuativi in itinere, derivanti da PRGC preesistenti). A questo proposito, si veda l’analisi puntuale del PTRP contenuta in un recente documento della Sezione WWF di Trieste (nel sito http://ambiente.triesteincontra.it/wwf/, che contiene anche il documento di osservazioni preliminari del giugno 2000 e molto materiale sulle altre vicende urbanistiche relative all’area triestina), frutto del lavoro congiunto di Wilma Diviacchi, Dusana Valecich e del sottoscritto.

Basti dire che praticamente nulla dice il PTRP a proposito della Baia di Sistiana, nè sul Porto Vecchio di Trieste (al centro di confusi progetti di “riuso”, che si intrecciano con la candidatura di Trieste per l’Expo 2008 e che scontano peraltro anche la mancanza di un piano regolatore del Porto – si veda in proposito l’apposita sezione del sito già citato), nè su altre zone costiere in Comune di Trieste, di Muggia, ecc.

In pratica, il PTRP viene a ridursi ad un piccolo numero di “progetti strategici”, riferiti a porzioni tutto sommato modeste del territorio costiero (la zona circostante le risorgive del Fiume Timavo e la fascia soprastante la battigia a sud della Baia di Sistiana in Comune di Duino-Aurisina, l’area dei terrazzamenti – i “pastini” – tra Trieste e Duino-Aurisina, l’area costiera più occidentale in Comune di Muggia).

Per queste zone vengono soltanto “proposti” interventi di vario genere (consolidamento di versanti franosi, ripristino o creazione di percorsi pedonali e ciclabili, di terrazzamenti e di colture agrarie tradizionali, ristrutturazione di viabilità comunale o provinciale, ecc.), con soluzioni in molti casi interessanti e migliorative rispetto alla situazione attuale.

A ciò si aggiunge un corposo insieme di norme, in pratica equivalenti ad un (buon) regolamento edilizio : prescrizioni circa l’uso di materiali, i colori degli edifici, ecc.

Il vero problema irrisolto è però il rapporto con gli altri strumenti di pianificazione, piani regolatori comunali in primis.

Sia il PRGC di Trieste, sia quello di Muggia, infatti, contengono previsioni del tutto incompatibili con una seria tutela del paesaggio.

2.1. Trieste

Va infatti ricordata l’edificazione diffusa consentita dal PRGC di Trieste (varato ai tempi della Giunta Illy, ma sicuramente gradito anche all’attuale amministrazione di centro-destra) nelle zone “turistiche” e nelle molte zone di espansione residenziale previste lungo la costa.

Merita citare ad esempio l’ignobile piano particolareggiato per il raddoppio dell’hotel “Riviera” in località Grignano - a due passi dal Parco e dal castello di Miramare – con pesantissimo impatto paesaggistico, approvato di recente anche con i voti di tutto il centrosinistra all’opposizione in Consiglio comunale, forse perchè firmato dall’ing. Giovanni Cervesi, ex assessore all’urbanistica della precedente Giunta Illy, nonchè uomo-chiave anche nella distribuzione del potere gestita dalla Giunta regionale presieduta dal “governatore” Illy ....

Per non parlare del previsto raddoppio, in piena area boscata anch’essa a ridosso del Parco di Miramare, della SISSA (scuola internazionale superiore di studi avanzati), per la quale è pronto a cominciare l’iter un altro piano particolareggiato affidato all’ing. Ondina Barduzzi, pure ex assessore all’urbanistica della Giunta Illy.

2.2. Muggia

Anche a Muggia, il piano regolatore vigente prevede massicce edificazioni “turistiche” in tutte le aree verdi costiere, sopravvissute alle devastazioni pianificate tra gli anni ’60 e gli ’80 (ma anche dopo) dalle amministrazioni di sinistra di quegli anni.

In pratica, tra massicci interramenti, nuove darsene nautiche e colate di cemento per alberghi residences, ecc. (pronti alla trasformazione in residenze vere e proprie, come sta accadendo nel celebrato Porto San Rocco, costruito con pessimo gusto estetico nel sito dell’omonimo ex cantiere navale) neppure un metro di costa rimarrebbe indenne, con l’evidente corollario di una sostanziale privatizzazione dell’intera fascia costiera.

Qui, almeno, l’iter dei piani particolareggiati appare più lento ed irto di ostacoli, sia per la reazione crescente dei cittadini (stimolati dall’efficace azione delle associazioni ambientaliste e di comitati locali), sia per divisioni interne all’amministrazione comunale di centro-destra (non certo per l’efficacia dell’opposizione di centro-sinistra, che fatica alquanto a smuoversi da posizioni di retroguardia...).

2.3. Duino-Aurisina.

L’unica “isola felice” nel desolante panorama urbanistico triestino era fino a qualche tempo fa il Comune di Duino-Aurisina (dotato di un ottimo PRGC, approvato nel 1999 dopo decenni di pessima gestione del territorio), nel quale però la nuova Giunta di centro-destra sta riportando la situazione nel solco della “normalità” italica.

Lo testimoniano non soltanto le tristi e anche turpi vicende della Baia di Sistiana – più volte trattate su “eddyburg.it” – ma anche l’opera di progressiva demolizione dello strumento urbanistico vigente, cominciata proprio sulla scia della vicenda di Sistiana e proseguita con l’infame variante “agricola”, le ulteriori varianti in arrivo, ecc.

2.4. La “devolution cementificatrice”.

In un simile contesto, è evidente che soltanto un forte strumento di tutela, sovraordinato ai piani di livello comunale, poteva permettere di impedire la prosecuzione degli scempi e la banalizzazione speculativa del territorio.

Spunti interessanti in questa direzione erano contenuti negli elaborati del PTRP di “Fase 1”, ma sono pressochè scomparsi in quelli successivi. La pietra tombale è stata però rappresentata dalla delibera di “generalità” con cui la Giunta regionale il 17/10/2003, ha avallato quanto dichiarato dal presidente Illy, e cioè che “ ... nella stesura definitiva del Piano non saranno inserite previsioni che contrastino o contraddicano gli strumenti urbanistici dei comuni interessati”.

E’ evidente il contrasto tra questa impostazione del PTRP e quanto previsto dall’art. 149 del D. Lgs. 490/1999, secondo il quale i piani paesistici sono sovraordinati rispetto agli strumenti urbanistici di livello inferiore. Concetto confermato anche dal Consiglio di Stato, con la decisione n. 1763/99 dell’8/6/1999, che concludeva un contenzioso tra la Regione Friuli Venezia Giulia ed il Comune di Trieste, innescato proprio dalle modifiche introdotte nel ’97 dalla Regione nel PRGC della Giunta Illy e motivate da ragioni di tutela paesaggistica (l’area per il raddoppio della SISSA, alcune zone residenziali lungo la costa, ecc....).

La decisione del Consiglio di Stato è stata “venduta” negli anni successivi da Illy e dai suoi come un fondamentale riconoscimento della totale autonomia comunale in campo urbanistico, contro le intromissioni indebite della Regione (quindi una vittoria del “federalismo” e della “sussidiarietà”), benchè il suo contenuto non giustifichi affatto tale interpretazione.

Nei fatti, invece, l’esito della battaglia legale tra Regione e Comune di Trieste si è risolto nell’avallo alle scelte cementificatrici del PRGC, che – come il Consiglio di Stato conferma – soltanto un piano paesistico poteva consentire di mettere in discussione. Una volta arrivato al governo della Regione, Illy si è premurato di evitare questo rischio ...

3. Conclusioni.

Il guaio peggiore è che la furia “federalista” (al di là delle pagliacciate leghiste di cui sono piene le cronache politiche nazionali) trova convinti e determinati esecutori ad ogni livello amministrativo e – come si vede – del tutto trasversali agli schieramenti politici.

Infatti, proprio la falsa lettura della citata decisione del Consiglio di Stato sul PRGC di Trieste, viene usata da anni per legittimare la rinuncia della Regione Friuli Venezia Giulia a qualsiasi serio intervento sui PRGC e ad ogni velleità di pianificazione d’area vasta (paesistica o d’altro genere) degna di questo nome.

Quella lettura è infatti, dichiaratamente, la base di partenza della “riforma urbanistica” che la nuova Giunta regionale di Riccardo Illy ha in programma di portare a termine (utilizzando per di più come testo di riferimento la bozza di legge predisposta - con la leghista Federica Seganti assessora alla pianificazione territoriale - dalla precedente Giunta di centro-destra).

Certo, non è questo l’unico esempio di come forze e ceti politici di “centro-sinistra” finiscano per fare propri valori e scelte tipici della destra. Non è neppure una sorpresa che proprio l’urbanistica e le scelte sulla gestione del territorio rappresentino, purtroppo, un terreno privilegiato di queste “trasversalità”. Rimane il fatto che ciò avviene nel momento in cui anche i pochi presidi esistenti a livello normativo vengono meno (si pensi al passo indietro compiuto, proprio in materia di paesaggio, con il “Codice Urbani” rispetto al D. Lgs. 490/1999), con il che anche le speranze di contrasto sul piano delle azioni legali vengono assai ridimensionate.

Resta solo la speranza in una decisa reazione dei cittadini, come l’esempio citato di Muggia sta a testimoniare. Basterà

Non è tanto la sovrabbondanza di vincoli e burocrazia ad ostacolare (come ha lamentato di recente il noto viticoltore Edi Kante) l’attività agricola sull’altopiano carsico, quanto la mancanza di strumenti adeguati per la pianificazione e la tutela del territorio.

Infatti, se l’attività agricola e l’allevamento tradizionali costituiscono un elemento essenziale per la conservazione del paesaggio storico e naturale del Carso, è chiaro che ciò deve avvenire rispettando nel contempo le straordinarie peculiarità naturalistiche di questo territorio (i campi solcati, le doline, gli ecosistemi indispensabili per la vita delle specie vegetali e animali che rendono quest’area unica in Europa dal punto di vista della biodiversità), le quali rappresentano anche un ovvio fattore di richiamo turistico.

Uno degli strumenti per far convivere armonicamente la conservazione di questo straordinario patrimonio con le attività tradizionali (e favorirne la valorizzazione), è rappresentato dal Parco del Carso, che tra l’altro consentirebbe anche di semplificare e ricondurre in capo ad un unico ente (il Parco, appunto) le competenze oggi sparpagliate irrazionalmente tra i Comuni, la Provincia, i vari uffici regionali, ecc.

Sarebbe questa anche l’occasione per eliminare vincoli – come quello idrogeologico – che in Carso (come osserva giustamente Kante) non hanno alcun senso.

Peccato che la proposta del Parco (internazionale, perchè il Carso è uno solo, di qua e di là dal confine : il WWF lo chiede da oltre 15 anni) non abbia finora suscitato alcun interesse reale in chi occupa le istituzioni.

Il perchè lo spiega – involontariamente - l’intervento del vicesindaco di Duino-Aurisina, Romita, il quale nel replicare a Kante (sul PICCOLO del 13 aprile scorso) non trova di meglio che rivendicare a merito della propria amministrazione la variante “agricola” al piano regolatore.

Peccato si tratti di uno strumento che, con il pretesto di favorire l’agricoltura, apre in realtà all’edificazione praticamente ogni area classificata “agricola” sul territorio comunale.

Si vorrebbe infatti diminuire drasticamente la superficie minima di territorio coltivato che da’ diritto ad edificare. Verrebbero ammesse poi nuove edificazioni - anche residenziali - non soltanto per gli agricoltori, ma anche per i parenti di primo grado.

Agli agricoltori “non a titolo principale”, cioè in pratica a chiunque, verrebbe inoltre consentito di edificare 150 metri cubi (destinati a qualsivoglia uso) in qualsiasi punto di qualsiasi zona agricola.

Si ammetterebbe ancora la proliferazione dei “capanni per attrezzi” e la costruzione di serre di grandi dimensioni (fino a 7 metri di altezza).

Non basta : la variante permetterebbe di modificare le destinazioni d’uso di qualsiasi edificio nelle zone agricole (da produttivo a residenziale e viceversa). E così via.

Porte aperte, quindi, alla “villettizzazione” del territorio, alla sua banalizzazione paesaggistica ed al degrado naturalistico. Altro che agricoltura !

Ulteriore prevedibile effetto della variante “agricola” sarebbe quello di innalzare a dismisura i prezzi correnti dei terreni. Una volta rese edificabili anche le aree agricole, infatti, è evidente che il loro costo salirebbe di molto rispetto ad oggi, con evidenti danni per i veri agricoltori, che dovessero trovarsi nella necessità di acquistare terra per ampliare le proprie aziende.

Siccome sul cemento non crescono nè viti, nè altro, sembra evidente che la variante “agricola” in questione rappresenti un esempio di ciò che i veri agricoltori del Carso dovrebbero aborrire con tutte le forze.

E’ anche, purtroppo, evidente, che fino a quando i destini del Carso saranno affidati a culture amministrative e politiche come quelle che ispirato la suddetta variante di Duino-Aurisina, c’è da temere il peggio per questo territorio. La speranza è che questo strumento venga perciò cassato da chi ne ha il potere (la Regione), perchè altrimenti si porrebbe una pesante ipoteca sul futuro di una parte essenziale dell’altopiano, condannandolo probabilmente alla definitiva banalizzazione e quindi al disvalore tanto ambientale, quanto – in definitiva - economico.

Ringraziando per l’ospitalità che spero possa essermi concessa, porgo i più distinti saluti

La baia di Sistiana, stupendo tratto di costa in Provincia di Trieste (Comune di Duino-Aurisina) è minacciata da un progetto di “valorizzazione turistica” che la trasformerebbe in una sorta di “Disneyland dei poveri”. Il progetto prevede infatti la realizzazione di un finto villaggio “istro-veneto, di una darsena artificiale, di un’area ludico-ricreativa corredata di cascate artificiali, giochi d’acqua ed altre “attrazioni”.A questo si aggiunge un albergo di otto piani reso “invisibile” da una mascheratura vegetale, un mega-parcheggio da 2.000 posti auto – esteso su 14 ettari – sull’altopiano a monte della baia e collegato a questa da una funicolare scavata nella roccia.

Il tutto con pesanti costi ambientali: distruzione di vaste aree boscate, rilevanti escavazioni (circa 1 milione di metri cubi) con rischio di distruggere grotte di pregio e di danneggiare il complesso regime idrico sotterraneo (in un’area di risorgenze carsiche), intrusione – con disboscamenti ed escavazioni – anche all’interno di un Sito di Importanza Comunitaria.

Inoltre l’area verrebbe quasi interamente privatizzata, di fatto escludendone i fruitori abituali (bagnanti provenienti da buona parte del Friuli Venezia Giulia e non solo) e precostituendo le condizioni perchè l’intervento “turistico” si trasformi ben presto in una mera speculazione immobiliare di prime e seconde case.

Il WWF è molto critico nei confronti della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, che ha fatto favorito la realizzazione del progetto, forzando sulla procedura di Valutazione di Impatto ambientale, pur in presenza di gravi carenze negli approfondimenti di molti aspetti decisivi (l’impatto delle opere sull’idrologia sotterranea, la mancata valutazione di alternative, la mancanza di un’adeguata analisi sul senso economico dell’intera operazione), segnalate anche dalle osservazioni di WWF, Italia Nostra e Legambiente.

La Regione si appresta inoltre a svendere (ad un prezzo pari ad 1/10 del valore corrente di mercato) un’ex cava di proprietà regionale – compresa nell’ambito di intervento – alla società proponente del progetto. Anche la locale Soprintendenza ha espresso parere negativo, in sostanza coincidente con quanto segnalato da anni dagli ambientalisti.

Il Comune di Duino-Aurisina, in una sostanziale convergenza di quasi tutte le forze politiche di maggioranza (centro-destra) ed opposizione (centro-sinistra), ha manifestato ripetutamente l’intenzione di approvare gli strumenti urbanistici funzionali alla realizzazione del progetto, senza alcuna modifica sostanziale di quanto proposto dalla società privata. Considerata la grande bellezza dei luoghi, che già videro nel 1989 la mobilitazione, allora vincente, di molte personalità del mondo della cultura e dell’ambientalismo italiano, contro un analogo progetto firmato da Renzo Piano e fortemente sostenuto in sede locale.

Le associazioni chiedono al Comune di Duino-Aurisina di modificare gli strumenti urbanistici relativi alla Baia di Sistiana al fine di tutelarne i valori irrinunciabili, e agli organi competenti dello Stato e della Regione, affinché intervengano per garantire la tutela dei beni protetti dalla Costituzione come il paesaggio e l'ambiente.

Aprile 2003

A giorni si riunisce la commissione consiliare in vista dell’approvazione del piano «Portofinto». E’ questo il nomignolo, evocativo quanto basta, che gli oppositori al progetto per la Baia di Sistiana hanno affibbiato all'intervento turistico.

La definizione si deve in realtà a Edoardo Salzano, (il progettista del piano regolatore in vigore a Duino Aurisina), che nel suo sito Internet (www.eddyburg.it, molto noto tra gli addetti ai lavori) così definisce il progetto per la Baia.

Gli ambientalisti non ci hanno messo molto a mutuare dal noto urbanista quella che appare loro essere una «felice sintesi», in grado di riassumere - sempre a loro parere - tutta la differenza tra un sito fortunato come Portofino, e il progetto di recupero turistico della Baia, ancora secondo gli ambientalisti troppo «finto», troppo artificiale, appunto, per essere concretizzato.

E mentre sono attese a giorni, a Duino Aurisina, le riunioni della commissione consiliare che dovrebbero risultare preliminari all'approvazione del piano particolareggiato stesso, la locale sezione del Wwf ha messo in campo tutte le proprie forze «mediatiche», al fine di portare l'argomento alla ribalta nazionale, tentando così di arginare l'iniziativa del Consiglio comunale tesa ad approvare il progetto entro breve tempo.

La protesta del Wwf è partita ieri mattina via Internet, subito ripresa dai notiziari ambiente delle principali agenzie di stampa nazionali: sul sito nazionale del Wwf, www.wwf.it, è stato pubblicato un inserto, un vero e proprio dossier che ripercorre da un lato l'iter tecnico che ha portato alla realizzazione del piano particolareggiato, dall'altro le motivazioni, già note a livello locale, che, secondo il Wwf, Legambiente e Italia Nostra, porterebbero a bocciare l'attuale progetto, giunto fino all'adozione e ora tecnicamente quasi pronto ad essere definitivamente approvato.

Le critiche degli ambientalisti sono già conosciute a livello locale, ma ampiamente riassunte sul web: si fondano «sulla perdita di una rilevante porzione di natura, sulla previsione di un maxi-posteggio a spese di un'area di boscaglia carsica, sulla mancata salvaguardia delle grotte di pregio, sulla distruzione di parte di un Sic, sito di interesse comunitario».

Fin qui l'aspetto ambientale, condito poi dalla critica relativa alla progettazione: secondo gli ambientalisti, infatti, alla base del progetto ideato dall'architetto Francesco Luparelli vi è il criterio del «falso programmatico, architettonico e naturalistico: finto villaggio istro-veneto, finti laghetti, albergo mascherato», giusto per rimarcare il concetto di «Portofinto».

Estremamente categoricaa e pesante, infine, la sintesi critica del progetto, definito come «sfruttamento intensivo della proprietà privata in un intervento di tipo condominiale travestito da intervento turistico».

Gli ambientalisti, insomma, non sono andati leggeri: dopo aver chiesto modifiche alla proprietà (alcune delle quali sono state attuate), dopo aver criticato la valutazione di impatto ambientale, e dopo essersi rivolti al Comune con una serie di osservazioni e opposizioni, ora passano alla sfida finale, coinvolgendo i mass media e utilizzando Internet per raggiungere tutti gli ambientalisti: una strategia che lascia pensare a una questione non ancora chiusa, mentre il Comune di Duino Aurisina si appresta all'atto finale di approvazione.

Francesca Capodanno

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Il colpo di grazia per il paesaggio carsico? WWF, Italia Nostra e Legambiente contro la variante "agricola" al piano regolatore di Duino-Aurisina.

Sintesi della conferenza stampa di venerdì 20/6/2003

Un’immagine del Carso in autunno: pietra grigia e sommaco rosso.

Rischia di avere effetti devastanti, per il territorio ed il paesaggio del Carso, la variante "agricola" al piano regolatore di Duino-Aurisina.

La denuncia viene dalle principali associazioni ambientaliste triestine, WWF, Italia Nostra e Legambiente, che oggi hanno illustrato in una conferenza stampa le osservazioni presentate sulla variante n. 22 allo strumento urbanistico comunale.

Con il pretesto di favorire l'agricoltura, rilevano le associazioni, la variante apre in realtà all'edificazione praticamente ogni area classificata "agricola" sul territorio comunale.

Si prevede infatti di diminuire drasticamente la superficie minima di territorio coltivato che da' diritto ad edificare. Verrebbero inoltre concessi ad ogni agricoltore consistenti ampliamenti delle strutture produttive esistenti, fino ad un limite fissato, che però potrebbe facilmente essere superato in base ad una semplice relazione agronomica. Verrebbero concesse anche nuove edificazioni anche residenziali non soltanto per gli agricoltori, ma anche per i parenti di primo grado.

Agli agricoltori "non a titolo principale", cioè in pratica a chiunque, verrebbe consentito edificare 150 metri cubi (destinati a qualsivoglia uso) in qualsiasi punto di qualsiasi zona agricola.

Si ammetterebbe anche la proliferazione dei "capanni per attrezzi" e la costruzione di serre di grandi dimensioni (fino a 7 metri di altezza).

Ancora : la variante 22 ammette la possibilità di modificare le destinazioni d'uso di qualsiasi edificio nelle zone agricole (da produttivo a residenziale e viceversa !).

Non basta : verrebbero cancellate tutte le norme - presenti nell'attuale piano regolatore - finalizzate alla tutela dell'ambiente e del paesaggio, definite "non pertinenti con uno strumento urbanistico" in quanto già previste da altre normative (che però in realtà non esistono, oppure necessitano di essere precisate).

Grave pericolo corre inoltre la landa carsica - la cui esistenza è legata al pascolo - per la quale si ammette il ripristino di pratiche agricole tradizionali, senza limitazioni di sorta.

La conclusione degli ambientalisti è drastica. "Oggi, con la variante 18 attualmente vigente, Duino-Aurisina dispone di uno strumento urbanistico di forte tutela del paesaggio carsico ma anche della "vera" attività agricola. Se venisse approvata, invece, la variante 22, si spalancherebbero le porte alla "villettizzazione" del territorio, alla sua banalizzazione paesaggistica ed al degrado naturalistico.

Un altro effetto prevedibile della variante "agricola" sarebbe poi quello di innalzare a dismisura i prezzi correnti dei terreni. "Una volta rese edificabili anche le aree agricole - osservano le associazioni - è evidente che il loro costo salirebbe di molto rispetto ad oggi, con evidenti danni per i "veri" agricoltori, che dovessero trovarsi nella necessità di acquistare terra per ampliare le proprie aziende."

WWF, Italia Nostra e Legambiente si appellano perciò al Consiglio comunale di Duino-Aurisina, affinchè vengano ripristinate le norme della variante 18. La variante 22 è stata infatti soltanto adottata lo scorso dicembre, ma dev'essere ancora discussa per l'eventuale approvazione definitiva. Le associazioni si attiveranno affinchè anche altri enti ed uffici intervengano sul Comune di Duino-Aurisina nello stesso senso.

"Va ad ogni costo impedito - concludono gli ambientalisti - che vada a compimento il tentativo di "far fuori" l'attuale piano regolatore di Duino-Aurisina, tentativo già chiaramente avviato con la Variante 21 per la Baia di Sistiana.

OGGETTO : VARIANTE N. 22 AL PRGC. OSSERVAZIONI

In merito alla variante n. 22 al PRGC, adottata dal Consiglio comunale in data 18/12/2002 con delibera n. 59 del Consiglio comunale, le scriventi associazioni formulano le seguenti osservazioni.

PARTE I: Introduzione

La variante n. 22 in oggetto, la cosiddetta variante agricola, si configura in realtà come una variante “edilizia” che tenta di bypassare i vincoli di tutela delle zone in questione, stabiliti con la vigente variante generale n. 18 al PRGC.

Aspetti, questi, particolarmente importanti: qui non si tratta infatti della pianura padana, ma di zone di delicatissimo equilibrio ambientale, di grande, se non eccezionale pregio naturalistico e paesaggistico e in cui l’agricoltura può essere uno dei modi di conservazione degli ecosistemi naturalistici.

La variante, nel suo insieme, smentisce e contraddice se stessa.

Infatti nei primi due elaborati, A1, (Valutazione delle dinamiche del settore agricolo) e A2 (Analisi delle economie aziendali in atto), ci si sofferma sul binomio “agricoltura - ambiente”…”quale risposta alla accresciuta coscienza ambientalista presente nella nostra società”(A1, pag. 4).

Si individuano , secondo il PSR regionale, i cardini “dell’ossatura portante dell’agricoltura” in “Sostegno alle competitività delle imprese” , “sviluppo del territorio rurale”, “salvaguardia e valorizzazione delle risorse ambientali”; si insiste sulla “sinergia fra agricoltura e ambiente”.

Belle parole, con cui si ammanta di ambientalismo una serie di modifiche normative che vanno in ben altra direzione.

In realtà nella parte normativa della variante (elaborato A3) si eliminano le norme di tutela, richiamandosi al altre norme regionali, si glissa sui vincoli delle recinzioni e delle tipologie facendo riferimento ad un regolamento edilizio non ancora approvato, o a una redigenda relazione agronomica, si considera urbanistico solo l’aspetto edilizio, si fanno concessioni che rischiano di snaturare tutto l’assetto del territorio che la variante 18 era riuscita a conservare. Sul rapporto agricoltura - paesaggio, ci si limita a dire che, poiché si tratta di un’attività estremamente stabile legata alla proprietà esistente “non ci sono da temere stravolgimenti ambientali per effetto dello sviluppo del settore agricolo” (allegato 3, pag.1).Tutto qua.

Ora, che significa sviluppo (magica parola che tutto consente di questi tempi) del settore agricolo?

Incentivi, finanziamenti, ricorso a tal fine ad altri enti come la Regione?

No, sviluppo, tanto per cambiare, anche in questo caso significa nuova edilizia

Appare infatti significativo degli interessi deviati rispetto al tema dell’agricoltura, il ripetersi nel testo della variante n. 22 della dicitura “aspetti non strettamente urbanistici”, portata a giustificazione di ogni “eliminazione” dal PRGC di norme tendenti alla salvaguardia naturalistica, ambientale e paesaggistica, o meglio di ogni introduzione di evidenti lassismi a proposito delle possibilità costruttive e di varia trasformabilità per le “aree verdi” del territorio comunale. Programmaticamente, la variante propone l’eliminazione di tutti gli “ aspetti non prettamente urbanistici e normati da leggi specifiche” e dei “ divieti di comportamenti non rilevanti sotto l’aspetto urbanistico (allegato 3, pag.2)

Ma chi ha detto che il PRGC non deve occuparsi dell’intera gamma degli interventi di trasformabilità, limitando gli “aspetti strettamente urbanistici” a quelli inerenti la pura costruibilità?

Certamente non lo dice la L. R. 52/91; dato che per sua stessa definizione riguarda la “pianificazione territoriale ed urbanistica” complessivamente intesa e che, come già sopra riportato , intende il PRGC quale strumento che “ considera la totalita' del territorio comunale”, e che “ deve contenere: la definizione degli interventi per la tutela e valorizzazione delle risorse naturali, ambientali, agricole, paesistiche e storiche”.

E chi ha poi detto che il PRGC non debba comprendere “aspetti normati da leggi specifiche”, ossia da singole discipline di settore? Il fatto di riprendere e riportare tali norme, offrendo il quadro completo della legislazione vigente per un determinato territorio, nella loro totalità e indipendentemente dai soggetti che li hanno promulgati, non è forse un servizio offerto ai cittadini, in termini di chiarezza, comprensibilità, trasparenza dei provvedimenti complessivamente in essere per quel medesimo territorio? E ciò non va forse a garanzia della sua effettiva tutela e valorizzazione, nonché di una reale efficacia delle stesse norme del PRGC?

A ciò dobbiamo aggiungere che le norme sovraordinate possono cambiare, e quindi può accadere, com’è accaduto in questo caso, che alcune norme stralciate perché già normate, non lo siano più. Infatti alcune norme, presenti nella variante 18 e stralciate con la variante 22 perché già normate, non sono presenti nel Decreto regionale in materia forestale del 26 marzo 2003 (Decreto del Presidente della Regione 12/2/2003, n. 032/Pres. "L.R. 2/2000. Art. 1, c. 25. Regolamento forestale per la salvaguardia e l'utilizzazione dei boschi e per la tutela dei terreni soggetti a vincolo idrogeologico.), e perciò vanno ripristinate perché essenziali alla conservazione dell’integrità naturalistica del territorio.

La variante n. 22 si potrebbe configurare quale variante di settore per le attività agricole. Ai sensi della L. R. 52/91, art. 34I piani comunali di settore […] sono strumenti finalizzati a disciplinare modalita' di esercizio di attivita' di rilievo sociale, economico ed ambientale relativamente all'intero territorio comunale […] integrano le indicazioni del PRGCe costituiscono, ove necessario, variante al piano stesso […]”.

La legge definisce pertanto i piani di settore quali piani di specificazione delle previsioni già contenute dal PRGC, con possibilità di modifica alle stesse, ma – è evidente – soltanto per quanto concerne l’attività espressamente considerata; in questo caso, invece, il piano di settore è stato usato come strumento/alibi per procedere a cambiamenti relativamente ad altri aspetti.

La variante 22, infatti, attraverso la revisione normativa per le zone agricole, va in realtà ad intaccare, snaturando in profondità, uno dei contenuti salienti del PRGC vigente: la tutela e la valorizzazione ambientale e paesaggistica del territorio comunale, ai fini di quella che il medesimo PRGC definisce “la tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale”, e che provvede altresì a perseguire in termini effettivi, precisamente determinati, e non di pura, vuota, enunciazione di principio.

Clamorosa, da questo punto di vista, è la modifica apportata al capo 1.1.2 “Elementi e complessi di interesse naturalistico”, all’articolo riguardante la landa (art. 1.1.2.5.).

Premettiamo che la landa carsica (cfr. ad es. gli atti del Convegno “Landa carsica, Luogo d’incontro tra natura, cultura ed economia”, 25 settembre 1997, pubblicati a cura della Regione Friuli Venezia Giulia) è un fattore essenziale di biodiversità strettamente collegata al pascolo, unica attività che favorisce la sua conservazione assieme all’apicoltura. La lettera a) del comma 1 dell’articolo in questione, così come inserito nelle N.T.A. della Variante 18, non ammetteva nella landa mutamenti di assetto vegetazionale e d’uso dei suoli; la variante 22, invece, elimina il “non” e ammette tali mutamenti, senza specificazioni di sorta. Si citano, nella nota, “trasformazioni di utilizzazione dei suoli per il ripristino delle pratiche agricole tradizionali”. Il che può significare tutto, seminativi, frutteti ecc.: una condanna a morte della landa.

Venendo allo “sviluppo” agricolo, si parla nell’introduzione alla variante soltanto di consentire “strutture minimali specifiche” per il conduttore principale dell’azienda media.

Ora, tra le strutture minimali vi è, per ciascun agricoltore, un “pacchetto” preconfezionato comprendente una casa di 150 mq., una bella villetta insomma, più una seconda casa per un parente di primo grado, pur se con vincolo ventennale, oltre alle strutture agricole (stalle, deposito macchinari ecc.).Si abbassa la superficie di SAU (suolo agricolo utilizzato) necessaria per l’edificabilità. Si fissa un tetto massimo per ciascun tipo di costruzione, ma esso è facilmente superabile con una semplice relazione agronomica, che non si definisce da quale ufficio competente sarà valutata..

Senza contare il recepimento (errato) della norma regionale che consente la trasformazione di strutture agricole in strutture residenziali.

La variante 18, invece, legava l’edificabilità alla redditività in essere dell’azienda, per evitare che si potesse “farsi contadini” per farsi la villetta. Ora, per snellire le pratiche burocratiche che indubbiamente la variante 18 contiene, si apre la strada alla trasformazione radicale del territorio carsico da zona di tutela in zona residenziale. Certo, le pratiche burocratiche si possono snellire, o quanto meno semplificare e rendere più accessibili dal punto di vista del linguaggio. Del resto, ricordiamo che tali pratiche già non sono più prescrittive, il quanto la variante 21, con il cosiddetto “emendamento Eramo”, ha reso discrezionali tutte le norme della parte terza della variante 18, quindi anche le norme relative alla presentazione dei piani agricoli.

Le scriventi associazioni sono perfettamente consapevoli che l'agricoltura (intesa in senso lato, comprendendovi cioè anche l’allevamento) è l'unica attività compatibile – purchè contenuta entro certi limiti quantitativi e dimensionali - con il paesaggio che si vuole tutelare e che il Carso è un paesaggio agrario estremamente dinamico e quindi "a rischio".

Perciò da qualche tempo sono sempre più frequenti le pratiche di sostegno economico: con il passaggio dalla difesa del prodotto alla difesa del reddito, le normative europee di sostegno vedono (e premiano) sempre più l'agricoltura come presidio ambientale

Ma questa è una variante urbanistica il cui nucleo centrale sono le edificazioni.

Due sono i pericoli che corre il Carso, soprattutto in assenza del parco del Carso e di norme di tutela sovraordinate. Il primo è il degrado dovuto ad abbandono ed incuria (e quindi l’agricoltura va tutelata), il secondo la trasformazione del territorio in periferia di Trieste: abitativa (svilletizzazione), o ricreativa (appezzamento di terreno con baracca per ricreazione domenicale).

Dal punto di vista dell’agricoltura tradizionale come ausilio alla tutela del paesaggio, sembra assai pericolosa e contraddittoria l’introduzione di incentivi all’attività florovivaistica, oggi praticamente inesistente, che con le sue serre può deturpare irrimediabilmente il paesaggio carsico, e a cui viene concessa la nuova edificazione con una porzione piccolissima di terreno agricolo coltivato

Rispetto al secondo tipo di pericoli, di perdita dell’integrità naturalistica, del territorio e paesaggistica, la variante non apporta norme di tutela, ma favorisce proprio questa nefasta trasformazione.

Tanto più che è stato recepito, in sede di approvazione, un emendamento del sindaco e della giunta che permette anchein deroga ai commi precedenti, la costruzione di un deposito agricolo di 24 mq in zona E5, e di 12 mq in zona E3, nonché ampliamenti fino a 200 mc e una casa di 150 mc anche a imprenditori agricoli NON A TITOLO PRINCIPALE.

L’agricoltore “a titolo non principale” è una figura non codificata dalla legge, cioè di fatto non esiste. Del resto, nell’allegato A 2 ”Analisi delle economie aziendali in atto”, si ammette che l’agricoltura part-time non è specificatamente definita e codificata da apposite normative” (pag 18).

Infatti, continua la variante, l’agricoltore part-time non può essere identificato né per la dimensione dell’attività, né dall’indirizzo produttivo, ragion per cui “sfugge a qualsiasi rilevazione statistica”. Ciononostante, tale figura rappresenta un “valido soggetto attivo nella cura e nella conservazione del paesaggio rurale ed ambientale.

Le scriventi associazioni osservano, però, che questa figura sfuggente e non identificabile, con la quale pertanto chiunque può identificarsi, non può essere beneficiaria di concessioni edilizie a titolo agricolo.

In primis “la possibilità di edificare piccoli depositi di attrezzi di 12 mq” (elaborato A3, pag. 3), estesa a 24 mq dall’emendamento, che diventa non l’agevolazione all’agricoltore (il quale è tale solo se lo è a titolo principale), ma praticamente a chiunque, l’avvocato, il medico, l’artigiano, il pensionato, ecc. che coltiva un po’ di terra a tempo perso e che possedendo un terreno può dar vita allo “spazio domenicale”, recintato, con la casetta per pic-nic e week-end: la periferia della città a titolo ricreativo, che poco ha da spartire con l’agricoltura.

Tanto più che si prevede, (art. 8, pag 11) la possibilità di trasformazione di edifici di base residenziali in edifici strutturalmente conformati in strutture specialistiche e viceversa.

Così il gioco è fatto: un capanno si trasforma facilmente in un piccolo chalet.

Ancor più grave appare l’emendamento del sindaco e della giunta (comma 21 quater) che consente nuove costruzioni fino a 150 metri cubi anche agli imprenditori agricoli non a titolo principale.

In pratica chiunque può costruirsi la villetta.

Che cos’è questo, se non l’inizio – o l’inizio della fine - dello “svillettamento” del territorio carsico, che nulla ha a che fare con lo sviluppo del settore agricolo, ma solo con la volontà di edificare ovunque ?

Appare inoltre molto grave che la variante in oggetto si configuri cone una normativa generalizzata, che prescinde dall’individuazione delle caratteristiche e vocazioni specifiche delle zone agricole del territorio comunale.

Infatti colpisce non poco l’impostazione astratta della variante in questione. Essa si presenta avulsa dalla realtà degli aspetti non solo naturalistici e paesaggistici, ma anche colturali e insediativi, peculiari alle singole zone verdi del Comune; indifferenziata nei contenuti rispetto alle loro vocazioni, agli effettivi problemi e anche alle odierne istanze e tendenze.

A leggere la variante, attraverso gli interventi che ammette ovunque, sembra che:

1) tutti i terreni, indistintamente, si prestino alla viticoltura, alle altre coltivazioni pregiate o di qualsivoglia genere (il che appare paradossale se non altro da un punto di vista pedologico);

2) i territori classificati quali agricoli (e anche quelli di tutela naturalistica) dal PRGC siano interessati da una molteplicità di edifici preesistenti (mentre tradizionalmente le strutture produttive per l’agricoltura del Carso si sono concentrate nei borghi, con la conseguente pressoché totale assenza – oggi - di edilizia sparsa);

3) le positive istanze di riconversione delle strutture preesistenti a fini di agriturismo, riguardino edifici sparsi (il che ovviamente non può essere, proprio in ragione della preesistenza di tali strutture in forma concentrata nei borghi);

4) aziende agricole siano insediabili ovunque (e non, com’è invece ovvio, solo in specifiche parti

già predeterminabili);

5) parimenti i depositi attrezzi per le attività a carattere per lo più non imprenditoriale, ma di agricoltura part-time e di tempo libero, siano accettabili in forma diffusa, indipendentemente dalle diverse caratteristiche morfologiche e naturalistiche delle rispettive aree di pertinenza e dai conseguenti differenti impatti ambientali e paesaggistici;

6)l’altezza di 8 metri per i fabbricati vada sempre comunque bene, per ogni costruzione, per ogni relativa destinazione d’uso.

La variante così concepita, per il disegno complessivo che rivela, risulta facilmente prevedibile negli effetti conseguibili: indifferenziazione, impoverimento e banalizzazione di un territorio, che proprio per la varietà di situazioni intrinseche, si pone quale elemento di importanza primaria per l’identità culturale dei luoghi e della sua comunità.

Vogliamo ancora sottolineare un aspetto importante. A seguito dell’edificabilità ammessa praticamente ovunque nelle zone agricole, è ovvio che i valori di mercato di queste aumenteranno notevolmente, con la conseguenza che il contadino “vero” intenzionato ad espandere la propria azienda, dovrà pagare il terreno agricolo a prezzi da terreno edificabile !

A questo punto, potrebbe sorgere anche il problema di far pagare l’ICI anche agli “agricoltori” (almeno a quelli “non a titolo principale”).

Un’ultima osservazione: l’elaborato A5, “Valutazione di incidenza dei SIC”, contiene affermazioni non veritiere e in contrasto con la nuova normativa introdotta (elaborato A3)

Vi si afferma infatti che nelle zone E3 la realizzazione di edifici di tipo agricolo non è legata ad incrementi di superficie e/o volume rispetto agli edifici preesistenti: la variante normativa, invece, nelle zone E3 prevede, al comma 11 dell’art.1.1.1.2 proprio “ampliamenti con unità immobiliari aggiuntive”, e al comma 16 del medesimo articolo“Nuova edificazione di edifici,” concessi in seguito all’introduzione dell’art. 21 ter (emendamento del sindaco e della giunta) anche ad agricoltori non a titolo principale.

Il più a rischio sembra essere il sito del Monte Hermada, in quanto inserito parte in zona F2, parte in E3 ed in E5.

Troppo superficiali ed ottimistiche sembrano le previsioni che in questo sito ci sarà “un’interferenza estremamente limitata con le componenti biotiche, abiotiche e con l’intero ecosistema”. Ci si basa sul fatto che le costruzioni sorgeranno nelle zone prossime ai centri abitati, ma tale aspetto non è affatto normato nella variante 22; si nota che la zootecnia è un’attività da insediare nella landa a sua tutela, ma anche tale previsione non è normata. Pericolosissima per tutti i SIC ci sembra inoltre l’eliminazione delle norme di tutela in quanto ritenute “non urbanistiche”.


PARTE II: Osservazioni specifiche

Le zone prese in esame nell’ elaborato A3, variante normativa sono 4.

1) articolo 1.1.1.1. Aree di tutela della complessità degli ecosistemi naturalistici (F2a)

La prima zona (F2a) è un ambito di tutela, che, si legge nell’introduzione alla variante 18, ha come epicentro il monte Ermada ma interessa anche S. Pelagio e aree verso la costa, “ nelle quali le associazioni biotiche hanno raggiunto un maggiore equilibrio e nelle quali quindi la tutela della complessità naturalistica, e del paesaggio che essa determina assume carattere prioritario”.

Appare quindi assurdo lo stralcio di tutte le norme di tutela, in quanto “non pertinenti dal punto di vista urbanistico”, dato che la zona trova la sua definizione proprio come ambito di tutela.

Rifacendoci a quanto detto nell’introduzione ricordiamo che. :

Ai sensi della L. R. 52/1991, Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica, testo base per la pianificazione del territorio regionale:

-Il PRGC è lostrumento di sintesi di tutte le disposizioni in materia di assetto territoriale del territorio comunale -In particolare il PRGC è finalizzato a garantire: la tutela e l'uso razionale delle risorse naturali nonché la salvaguardia dei beni di interesse culturale, paesistico ed ambientale (art. 29, commi 2 e 3 - lett. a);

-Il PRGC, che considera la totalita' del territorio comunale, deve contenere: ladefinizione degli interventi per la tutela e valorizzazione delle risorse naturali, ambientali, agricole, paesistiche e storiche […]. Con il PRGC possono essere posti vincoli di inedificabilita' relativamente a: protezione delle parti del territorio e dell' edificato di interesse ambientale, paesistico e storico - culturale; (art. 30, commi 1, lett. c) e 2, lett. a)).

La variante n 22, Variante normativa (zone agricole), al vigente PRGC di Duino Aurisina, prescinde completamente, nell’impostazione e nei contenuti, dalle succitate attribuzioni predeterminate dalla legislazione vigente in materia.

Quindi là ove si prefigge l’“eliminazione di aspetti non strettamente urbanistici e normati da leggi specifiche” e nelle modifiche che ne conseguono, appare in evidente contrasto con il principio sostenuto dalla legge quadro regionale della totalità del territorio comunale e delle azioni da intraprendersi a suo riguardo nonché con quello della tutela delle risorse naturali, ambientali e paesaggistiche quali obiettivo prioritario del PRGC.

Sulla base di tali premesse si chiede il mantenimento delle norme del PRGC per ogni contenuto volto alla tutela e valorizzazione naturalistica, ambientale e paesaggistica del territorio comunale e, in particolare all’art.1.1.1.1.:

il mantenimento del testo integrale delle norme del PRGC vigente – variante 18 - relativamente all’ art. 1.1.1.1. Aree di tutela della complessità degli ecosistemi naturalistici, e precisamente i commi

2, lettere c), d), e), f) ; 3, lettere a), b), c) ; 7 ; 8, lettere a), b) ; 9, lettera b) ; 10, lettere a), b), c), d).

Non è accettabile che alcune di queste norme di tutela siano state stralciate in quanto presenti nel regolamento edilizio. In primo luogo si tratta proprio di norme pertinenti l’urbanistica; in secondo luogo non esiste in questo momento, un regolamento edilizio vigente nel comune di Duino-Aurisina.

Sono particolarmente importanti dal punto di vista naturalistico, e non normati da legislazione regionale, i commi 2 e 10, lettera b).

2) Articolo 1.1.1.2 Aree agricole di connessione funzionale e biologica del sistema naturalistico (E3).

2.1 Per lo stesso discorso fatto precedentemente, si chiede il ripristino di tutte le norme di tutela della variante 18 stralciate con la variante 22.

E precisamente commi 2, lettera c); 4; 5, lettere b) e h) ; 6.

2.2 si chiede il ripristino del comma 8 nella stesura originaria, poiché la modifica introdotta con la variante 22 stravolge completamente la norma per cui le trasformazioni al punto 7 nondevono convertire edifici di base residenziali in edifici strutturalmente conformati per funzioni specialistiche e viceversa, diventa “possono”.

Si vorrebbe così consentire la trasformazione di qualsiasi struttura agricola in residenziale, stravolgendo il paesaggio e lasciando mano libera alla speculazione edilizia. Ciò rifacendosi ad un’errata interpretazione della legge regionale 52/91, art. 41, del resto già in vigore al momento della stesura e approvazione della variante 18.

Si tratta infatti di un riferimento normativo errato

L’art. 41, comma 4, della L.R. 52/91, dispone al proposito: “…per gli annessi rustici sono ammessi interventi di risanamento conservativo con modifica di destinazione d'uso in residenza agricola”.La norma regionale vincola pertanto tali possibilità di trasformazione al solo intervento di risanamento conservativo (con esclusione pertanto di tutti quelli richiamati dai citati articoli del PRGC) e alla sola destinazione per “residenza agricola” (con esclusione di tutte le altre degli “edifici di base residenziale”).

Si rileva peraltro come la norma del PRGC in questione non risulti in contrasto con la normativa nazionale (legge 5/12/1985, n. 730 e successive modifiche) e regionale (L. R. 22/7/1996, n. 25 e successive modifiche) in materia in agriturismo, né è dato di capire a quale parte di detta legislazione la variante n. 22 si riferisca parlando di tale presunto contrasto. Si sottolinea altresì come la succitata legge nazionale, per le regioni a statuto speciale, deleghi esplicitamente (art. 15) alle regioni medesime la disciplina della materia in oggetto.

2.3 comma 11: in base a quanto affermato nelle osservazioni generali, si chiede il ripristino delle norme precedenti. L’emendamento si configura infatti più come un progetto edilizio che come una norma urbanistica.

Le trasformazioni fisiche di mero ampliamento, trasformazioni fisiche di ampliamento connesse a quelle di ristrutturazione edilizia, o di demolizione e ricostruzione, degli edifici strutturalmente conformati per funzioni specialistiche di cui all’art. 1.1.1.2. Aree agricole di connessione biologica e funzionale del sistema naturalistico (E3), comma 11, poiché contiene una modifica normativa che risulta assolutamente inaccettabile:

-per la quantità dimensionale complessiva – che in termini di sommatoria delle quantità consentite per singole articolazioni funzionali – consente di realizzare;

-per l’assenza di un qualsiasi parametro che rapporti il nuovo rispetto al preesistente, sia per quanto concerne le costruzioni, sia per la specifica area di pertinenza (parametro indispensabile per il controllo dell’impatto paesaggistico dell’intervento);

-per la macchinosità e la rigidità dei calcoli, basati su un’articolazione eccessiva e peraltro esclusivamente funzionale, con di contro, per l’appunto, la possibilità di poter paradossalmente realizzare costruzioni, nel complesso, assolutamente dimensionalmente incontrollabili.

-Per la previsione di un’unità immobiliare aggiuntiva, con destinazione d’uso residenziale, agli interventi di ampliamento destinata ad un parente di primo grado: nuova costruzione, dunque, non semplice ampliamento di strutture specialistiche.

2.4 Consequenzialmente, si chiede il ripristino dei commi 16, 17, 18, 19 della variante 18.

La nuova stesura del comma 16 riguarda le nuove edificazioni di aziende agricole di nuova costituzione e prevede l’obbligo di presentare un piano di sviluppo aziendale. Pur tuttavia, in maniera del tutto incongrua, inserisce, alla lettera a, un paragrafo riguardante anche le aziende già operanti sul territorio comunale, concedendo il superamento dei limiti previsti al comma 11 con una semplice relazione agronomica, allargando così le maglie anche per gli interventi di ampliamento. Ci si chiede inoltre quale ufficio competente dovrebbe valutare e giudicare le relazioni agronomiche giustificative.

Si fa presente, inoltre, che viene ripresa dalla variante 18 la previsione di un vincolo ventennale di inedificabilità da registrare a cura dell’Ufficio tecnico erariale, benché tale norma si sia già rivelata tecnicamente inattuabile.

Il comma 19, “trasformazioni di nuova edificazione”, prevede nuove costruzioni con massimali identici a quelli previsti dal comma 11(ampliamento), ma di nuova edificazione. Tali massimali possono essere superati con una semplice relazione agronomica che li giustifichi: tutto ciò apre veramente la strada a edificazioni massicce ed incontrollabili. Tanto più che è prevista anche un’unità aggiuntiva residenziale per un parente di primo grado.

2..5 Si chiede il ripristino del comma 21 , ovvero del limite dell’80 % dei prodotti lavorati, perché un’azienda che usa solo il 50 % dei propri prodotti non si configura più come azienda agricola territoriale o agriturismo, ma come azienda di trasformazione.

2.6 Si chiede il ritiro del comma 21 bis, che prevede la costruzione di serre dell’altezza massima di 7 metri, valore tanto mostruoso e incredibile che si può pensare ad un errore materiale.

2.7 Commi 21 ter e 21 quater: emendamento del Sindaco e della Giunta.

Si respinge fermissimamente questo emendamento che permette, in deroga ai commi precedenti, la costruzione di un deposito agricolo di 12 mq, ampliamenti fino a 200 mc e una casa di 150 mc anche agli imprenditori agricoli non a titolo principale.

2.8 Si chiede il ripristino del comma 24 , in base al ragionamento precedentemente esposto, circa la “totalità” degli aspetti che una variante pur se configurata come agricola, deve considerare per il territorio.

Le norme in questione sono infatti norme urbanistiche molto importanti per la conservazione degli aspetti del territorio e del paesaggio che ne caratterizzano l’identità culturale, e non possono essere stralciati con un riferimento ad un piano inesistente, e precisamente ad una “redigenda relazione agronomica”.

2.9 Si chiede il ripristino dei commi 28, 29, 31, 34, 35 . L’aspetto dello sviluppo dell’agriturismo è stato introdotto nella variante in maniera superficiale, senza un’analisi delle zone in cui tali strutture dovrebbero sorgere e le ricadute sul paesaggio. La possibilità, in quest’area praticamente priva di edificazioni sparse, di “realizzazione di superficie coperta” per attività agrituristica, sia come nuova costruzione, sia come utilizzo di spazi scoperti pertinenziali (emendamento del Sindaco), rischia di aprire la strada alle proliferazione di costruzioni sparse, con gravi ripercussioni sul paesaggio. Inoltre troppo vaga e generica è la dizione di “attività connesse e pertinenti con l’attività agricola e agrituristica compresa la realizzazione di superficie coperta”(Emendamento del sindaco e della giunta), genericità che ammetterebbe qualsiasi tipo di attività, al limite anche artigianale o industriale, purché in qualche modo “connessa” all’attività agricola.

E’ del tutto incongruo, inoltre, inserire questa norma che permette di realizzare superfici coperte tra le “utilizzazioni” e non prevederne i parametri nelle nuove edificazioni.

3)Articolo 1.1.1.3. Aree agricole di controllo dei caratteri del paesaggio (E4).

Si legge nella relazione della variante 18 che “si tratta di parti del territorio nelle quali vanno invece privilegiate le utilizzazione agricole dei caratteri del paesaggio, e nelle quali quindi gli interventi necessari per l’esercizio delle attività agricole siano realizzati e progettati in modo da garantire la conservazione, il ripristino e la valorizzazione: e delle colture tradizionali, […]degli assetti poderali,[…]e in generale delle tracce e dei segni sul territorio che testimonino di precedenti assetti morfologici e proprietari.”

Si tratta quindi di zone agricole in cui molto importanti sono anche gli aspetti visivi delle strutture. Tali zone hanno un’estensione limitata e sono poste in fregio ai borghi e lungo i pendii della Costiera. La loro edificabilità, esclusa dalla variante 18, non può pertanto essere concessa a cuor leggero, proprio perché il precedente piano individuava tali zone (oggi prive di edifici) proprio in virtù della loro non comune bellezza paesaggistica.

3.2 Si chiede il ripristino del comma 1, lettera f)

3.3 Si chiede lo stralcio del comma 1, lettera h), di nuova introduzione, per il ragionamento esposto nella parte generale: l’imprenditore agricolo non a titolo principale non è identificabile e non può essere beneficiario di norme edilizie, che potrebbero stravolgere l’assetto del territorio.

Si chiede lo stralcio del comma 1, lettera i), per i ragionamenti precedentemente esposti. Tale norma non prevede alcun assetto urbanistico di tutela "del controllo del paesaggio" e consente nuove edificazioni difficilmente quantificabili, in quanto il superamento dei parametri predisposti è ovviabile con una semplice relazione agronomica giustificatoria. Il fatto che nella nota si specifichi che sono consentiti “i soli fabbricati che costituiscono parte fondamentale e irrinunciabile per la pratica agricola” e “non tutte le tipologie esistenti funzionali all’attività agricola”, non vuol dire nulla per la sua genericità.

3.4 Si chiede il ripristino del comma 2 all’art. nel testo introdotto con la variante 18.

4) 1.1.1.4 Aree di preminente interesse agricolo. (E5)

4.2 Si chiede il ripristino del comma 1, lettera g) , nel testo introdotto con la variante 18, che tutela l’integrità del paesaggio.

4.3 Si chiede il ripristino del comma 4 , nel testo introdotto con la variante 18, poiché il nuovo testo ammette la conversione di “edifici di base residenziali” in “edifici strutturalmente conformati per funzioni specialistiche e viceversa”, il che apre la porta a costruzioni incontrollate, per riferimento normativo errato (v. sopra punto 2.2).

4.4 Si chiede il ripristino, nel testo introdotto con la variante 18, dei commi 7, 8, 9,10,12, 13,14, 15 .

Le novità introdotte consentono un’edificazione difficilmente quantificabile e tale da preludere a una possibile diffusa urbanizzazione del territorio agricolo carsico.

La previsione di edificabilità in relazione al possesso di un solo ettaro, se a vigna, o di 5000 mq se a floricoltura, ci sembra eccessivamente generosa e tale da consentire un’edificazione eccessiva in relazione alle aziende agricole. L’edificabilità ci sembra eccessiva e difficilmente quantificabile sia per gli ampliamenti che per le nuove costruzioni, perché i limiti fissati si possono superare con una semplice relazione agronomica (v. sopra il punto 2.4 delle presenti osservazioni). Come precedentemente detto, il vincolo ventennale non viene accettato dall’ufficio tecnico erariale. Assurda ci sembra inoltre la previsione di nuova edificazione per un parente di primo grado.

Con l’aggravante dell’emendamento del sindaco e della giunta, che consente anche agli agricoltori non a titolo principale un ampliamento una tantum di 200 mc e nuove costruzioni fino a 150 mc.

4.5 Si chiede il ripristino del comma 16, nel testo introdotto con la variante 18, in considerazione dell’altezza assurda prevista per le serre (7 metri).

4.5 Si chiede il ripristino del comma 17, nel testo introdotto con la variante 18,per il ragionamento già esposto sull’inopportunità di fare concessioni in campo edilizio agli imprenditori agricoli “non a titolo principale”.

4.6 Si chiede il ripristino del comma 18, nel testo introdotto con la variante 18, ovvero del limite dell’80% dei prodotti lavorati, perché un’azienda che usa solo il 50% dei propri prodotti non si configura più come azienda agricola territoriale o agriturismo, ma come azienda di trasformazione (v. sopra punto 2.5 delle presenti osservazioni).

4.7 Si chiede il ripristino del comma 19, che limita le superfici edificabili, in base alle trasformazioni degli edifici esistenti, alle zone E3 ed E5.

L’emendamento introdotto elimina tali limitazioni, con la motivazione in nota: l’azienda agricola costituisce unità economico produttiva a prescindere dalla collocazione dei vari appezzamenti.

Tale asserzione, pur vera, annulla il concetto di tutela di aree particolari dal punta di vista naturalistico. Si potrebbe dunque edificare, fino ai notevoli limiti concessi dagli emendamenti precedenti, (veri e propri complessi abitativi-pertinenziali, più simili alle masserie di altre regioni che alla tradizione del Carso) anche nella landa carsica, nei boschi, nella macchia mediterranea, se vi esistesse un agricoltore

4.8 Si chiede il ripristino del commi 20, 21, 22 23 , in base al ragionamento precedentemente esposto, per quanto concerne la “totalità” degli aspetti che una variante pur se configurata come agricola, deve considerare per il territorio.

Le norme in questione sono norme urbanistiche molto importanti per la conservazione degli aspetti del territorio e del paesaggio che ne caratterizzano l’identità culturale, e non possono essere stralciati con un riferimento ad un piano inesistente, e precisamente ad una “redigenda relazione agronomica”.

4.9 Si chiede il ripristino del comma 25

5: Elementi e complessi di interesse naturalistico

Art. 1.1.2.1. RoveretoSi chiede il ripristino del comma 1, lettera c) , in quanto aspetto non normato nel decreto del presidente della Regione 26 marzo 2003 (Decreto del Presidente della Regione 12/2/2003, n. 032/Pres. "L.R. 2/2000. Art. 1, c. 25. Regolamento forestale per la salvaguardia e l'utilizzazione dei boschi e per la tutela dei terreni soggetti a vincolo idrogeologico.)

Si chiede il ripristino del comma 1, lettera e).

Art 1.1.2.2 Bosco ripariale

Si chiede il ripristino del comma 1 lettera c) , non normato nel decreto del Presidente della Regione 26 marzo 2003 (Errata corrige. “Populus s.p.», non «Ulmus»)

Si chiede il ripristino del comma 1, lettera f) .

Art. 1.1.2.3 Vegetazione mediterranea

Si chiede il ripristino del comma 1, lettere a) e c).

Art. 1.1.2.4. Pinete ed arbusteti di nocciolo

Si chiede il ripristino del comma1, lettere a), c), d), e) del comma 2

Art. 1.1.2.5.Landa

Si chiede il ripristino integrale dell’articolo come formulato nella variante 18.

Particolarmente importante, per quanto già detto nell’introduzione, il ripristino della dicitura della lettera a), che non consente mutamenti di assetto vegetazionale e d’uso dei suoli.

La giustificazione data nella nota 114 rivela l’assoluta indifferenza per il mantenimento della landa carsica: si motiva l’introduzione di altre colture con il fatto che “l’assetto attuale è in progressiva modificazioneverso il pascolo cespugliato e la boscaglia”. In parole povere: dato che si sta riducendo, facciamola sparire definitivamente.

Art. 1.1.2.6 Complessi vegetazionali e faunistici (F2E)

Si chiede il ripristino del comma 2 , in quanto è verosimile che la norma concerna i complessi a carpino bianco, di solito presenti nel fondo delle doline (Asaro-carpinetum)

Art. 1.1.2.7. Depressioni doliniformi

Si chiede il ripristino del comma 3, lettere a), b), c).

Art. 1.1.2.8. Cavità carsiche. Appare del tutto incongruo l’emendamento che propone di inserire a questo punto della variante le norme della variante 21, trattandosi di diverse problematiche: qui la tutela delle cavità carsiche, nella variante 21 il procedimento da adottare nel caso di scoperta di nuove cavità.

L’osservazione nel sito del WWF Trieste

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