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Filippomaria Pontani
L'operazione ideologica nella ricostruzione della Piazza di Postdam
9 Ottobre 2017
Filippo Maria Pontani
Quando sbarchi all'aeroporto di Berlino-Schoenefeld, i chilometrici e scomodi corridoi ti accolgono con manifesti cubitali che reclamizzano le bellezze di Potsdam, le terrazze e i padiglioni dei suoi parchi, le sale magnifiche dei suoi palazzi (segue).

Quando sbarchi all'aeroporto di Berlino-Schoenefeld, i chilometrici e scomodi corridoi ti accolgono con manifesti cubitali che reclamizzano le bellezze di Potsdam, le terrazze e i padiglioni dei suoi parchi, le sale magnifiche dei suoi palazzi (segue).

Quando sbarchi all'aeroporto di Berlino-Schoenefeld, i chilometrici e scomodi corridoi ti accolgono con manifesti cubitali che reclamizzano le bellezze di Potsdam, le terrazze e i padiglioni dei suoi parchi, le sale magnifiche dei suoi palazzi. Ma Potsdam, per chi vi arrivi dalla capitale oltrepassando il Ponte delle Spie o in tram costeggiando il Wannsee, non è solo il favoloso castello Sanssouci di Federico II di Prussia (1712-1786), le pagode cinesi e la memoria di Voltaire; non è nemmeno solo il castello di Cecilienhof, dove nell'estate del 1945 Stalin, Truman e il subentrato Attlee si riunirono per l'ultima volta a disegnare il futuro dell'Europa. Potsdam è anche una città vera, piccolo ma importante capoluogo del Brandeburgo, una città antica della quale i palazzoni di stampo sovietico denunciano il passato di avamposto della Repubblica Democratica Tedesca (1949-1990).

Impossibile, per esempio, non vedere da lontano l'alta mole dell'hotel Mercure, che al tempo della DDR si chiamava Interhotel e rappresentava il meglio degli alberghi dell'est: ebbene, il Mercure - finito nelle mani della catena francese, e dunque non nella disponibilità del Comune - pare oggi l'unico edificio provvisoriamente al riparo dalla furia iconoclasta intesa a "riqualificare" il centro città. "Riqualificare" vuol dire, in primo luogo, rimuovere le tracce del passato recente, specialmente quello socialista, anche a costo di ricreare dei falsi architettonici maestosi, e riallacciarsi d'emblée al periodo della grandeur prussiana. È qui che un'operazione in apparenza solo urbanistica ("Genuinamente di qui. Impulsi per una città che cresce" è lo slogan sui cartelloni) assume una caratura ideologica.

In Germania, il problema è naturalmente di più vasto respiro: il Paese gestisce ancora con imbarazzo tanto l'eredità architettonica nazista (si pensi al difficile recupero dell'enorme area dei raduni di Norimberga, più volte in passato minacciata di distruzione e ancor oggi in preda a un incerto futuro) quanto quella comunista (il parco Treptow di Berlino, ancora regolarmente visitato dai capi di stato russi, mantiene viva tutta la forza propagandistica dell'Unione Sovietica, con slogan e iconografie che ad alcuni - specie a Berlino - potrebbero dar noia).

Ma ora il centro del contendere è la piazza di Potsdam: gravemente danneggiata dalle bombe alleate e dall'artiglieria russa, essa appare ormai tutta nuova fiammante. Su un suo lato, ha riaperto da pochi mesi, in forma di museo, il Palais Barberini, la copia conforme di un edificio che Federico II fece erigere come copia conforme del Palazzo Barberini alle Quattro Fontane, a Roma (ma c'è chi maligna che il nome fosse da intendere come segreto omaggio a un'amante del sovrano). Passato nella sua storia da residenza reale a sala da concerto a deposito, raso al suolo il 14 aprile del 1945, il Palais è stato appena ricostruito ex novo e riportato agli antichi fasti da un mecenate privato, l'imprenditore del software Hasso Plattner (capo della SAP, l'impresa europea più grande del settore), il quale vi ha allocato la propria collezione d'arte, promettendo di offrire, a rotazione, mostre di alto profilo; la prima, che va dagli Impressionisti a Nolde, è senz'altro notevole. La facciata del Palais dialoga pertanto adesso sia con il barocco castello cittadino (anch'esso ricostruito dal nulla, grazie anche ai soldi dello stesso Plattner, e riaperto nel 2014 per ospitare il Parlamento del Land del Brandeburgo), sia con il vecchio Municipio in stile palladiano, sia con la grande chiesa neoclassica di San Nicola che ha proprio dinanzi, eretta negli anni '30 dell'Ottocento in uno stile più degno di un tempio greco che di uno cristiano.

Una vista della piazza, a destra l'edificio della Fachhochschule
(foto dell'autore)

Una veduta della piazza con Palais Barberini in fronte
(foto dell'autore)

In questo magniloquente concento di antiche forme, pochi forse avranno cuore di ricordare che proprio in San Nicola e in questa piazza il 21 marzo del '33 si tenne, nell'ambito della solenne presentazione ufficiale del nuovo Parlamento al presidente Hindenburg (il famigerato "Potsdamer Tag"), la messa che consacrò l'alleanza tra la Chiesa luterana e il potere nazista appena insediato (una splendida mostra su Lutero e il Nazismo, alla Topographie des Terrors di Berlino, ne offre la documentazione fotografica). "Potsdam costruisce una Sinagoga" risponde oggi un grande manifesto che campeggia 200 metri più in là, dando sostanza di slogan all'auspicio della locale comunità ebraica; ma da 6 anni ancora non si sa bene se, quando e dove tale sinagoga dovrebbe sorgere.

Oggi la memoria che la borghesia cittadina (e di riflesso il Comune) vuole rimuovere, è anzitutto quella della DDR; il rischio da evitare, nella logica celebrativa del potere unitario, è quello dell'Ostalgie, la nostalgia per il vituperato regime della Germania Est. E allora l'ultimo superstite, l'intruso da eliminare, è l'edificio modernista della Fachhochschule (Istituto superiore di formazione professionale) che ancora occupa l'angolo nord della piazza, con le sue finestre strette e le colonne snelle, gli interni in legno e le sobrie decorazioni sulle porte, molto più nuovo e smaliziato dell'ideologia che lo produsse (e infatti, a rigore, è molto simile al Centro Pastorale Cattolico costruito nel '62 da Mies van der Rohe a Des Moines in Iowa). Esempio straordinario dell'architettura dei primi anni '70, tirato su come funzionale polo di aggregazione per gli studenti, ospita oggi qualche ufficio residuo, centri d'ascolto per famiglie, il progetto "Higher Education for Refugees", una galleria d'arte; ma, délabré e provato dal tempo, sembra in larga parte votato all'abbandono.

L'edificio della Fachhochschule (foto dell'autore)
La cupola della chiesa di San Nicola e in primo piano un
dettaglio della facciata del'edificio Fachhochschule
(foto dell'autore)

L'idea di raderlo al suolo per ricostruirvi case in stile anticato, espungendo da una piazza composita l'eredità più recente e apparentemente più scomoda, non piace a tutti: 15mila cittadini hanno firmato una petizione contro l'abbattimento degli edifici di epoca comunista; sul sito "potsdamermitteneudenken.de" si raccolgono idee per trasformare la Fachhochschule in uno spazio di condivisione e di ricerca; i centri sociali più vivi organizzano una resistenza, denunciando tra l'altro l'oscenità delle architetture "di sostituzione" (il brutto cubo grigio del Bildungsforum eretto di fresco in piazza dell'Unità, a pochi metri; la triste stazione ferroviaria). Ma lo spirito dei tempi va in senso contrario. Sfuggita ai fantasmi del XX secolo (il Passo del secolo di W. Mattheuer, nel cortile del Palais Barberini, mostra un uomo che fa a un tempo il saluto nazista e il pugno chiuso), aleggia di nuovo, prepotente dopo la mega-mostra del centenario (2012), l'ombra di Federico II, le cui spoglie mortali furono traslate proprio a Potsdam nell'agosto del 1991 in una controversa cerimonia notturna alla presenza di Helmut Kohl - all'epoca, un migliaio di contestatori antimilitaristi, che ricordavano l'analogo omaggio di Hitler in quel fatale marzo del '33, erano stati dispersi dalla polizia.

Oggi il culto degli Hohenzollern, come osservano anche i visitatori più distratti di Berlino, presiede al rifacimento ex nihilo del loro castello, proprio dinanzi al Duomo della capitale: un monumentale falso architettonico volto a riempire "come una volta" la defunta piazza Marx-Engels, creata nel 1950 dopo la demolizione del castello vero (danneggiato dalla guerra), e contornata negli anni '70 dal parlamento della DDR, che dopo la caduta del Muro venne prima bonificato dall'amianto e poi - al termine di una sapiente campagna mediatica - definitivamente raso al suolo nel 2008.

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