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Alberto Asor Rosa
La crisi dei partiti e il colpo dei leader soli al comando
8 Giugno 2017
Democrazia
«La posta in gioco. Distrutti i partiti, i leader Berlusconi, Grillo, Salvini e Renzi marciano uniti, interpreti del nuovo regime siglato dalla legge elettorale. A sinistra ci vorrebbe una Costituente».

il manifesto, 8 giugno 2017, con postilla

In vita mia, – ormai piuttosto lunga, direi, – penso che non mi sia mai capitato d’imbattermi in una situazione politico-istituzionale come quella cui stiamo assistendo in Italia da alcune settimane, e che avrà fra poco la sua ultima sanzione e ricaduta. Intendo l’accordo di ferro stretto fra i quattro maggiori partiti italiani, il Pd, Forza Italia, Movimento 5Stelle e Lega Nord, - per varare una nuova legge elettorale e andare di corsa al voto. Sì, certo, nel 1953 il tentativo della Dc di far passare la cosiddetta “legge truffa”… I pericoli corsi dalla Repubblica nel 1960 con il governo Tambroni… L’ascesa al potere nel 1992 dell’esecrabile Berlusconi… Sì, certo, tutto questo e molto altro è già accaduto nel nostro instabile e stravolto paese. Ma la differenza, rispetto alla situazione di oggi, è che in tutti questi altri casi esisteva un’alternativa, un punto di riferimento visibile e consistente, in grado di opporsi ai disegni eversivi che attraversavano la nostra repubblica.

Oggi no, non c’è, o non si vede, o non ha abbastanza forza, per ora, per farsi vedere. Ciò consente, - e questo è un dato incontestabile sul piano pratico-storico, - di procedere d’amore e d’accordo tra quattro forze politiche (apparentemente) fra loro opposte allo scopo di realizzare una rivoluzione, appunto, politico-istituzionale, da cui sarà estremamente difficile tornare indietro.

Naturalmente tutto questo non sarebbe stato possibile, se non fosse il prodotto di un processo globale che viene avanti da anni (con responsabilità ampiamente diffuse anche nelle attuali minoranze); e cioè il mutamento di natura e di destinazione di quelle forme collettive che sono state il cuore del sistema democratico in Italia, in Europa e nel mondo, e cioè i partiti politici. Concepiti all’origine, e poi vissuti a lungo, con ideologie spesso contrapposte ma con modalità sostanzialmente omologhe, come espressione di larghi (o comunque significativi) settori della società contemporanea, essi hanno perduto a poco a poco questa funzione di rappresentanza allargata e sono diventati strumenti di ristretti gruppi dirigenti, anzi, nell’ultima e più significativa fase, semplicemente di un uomo solo.

Questo, forse, nella situazione italiana non è stato colto ancora fino in fondo. Nella gestione dei partiti si è fatta avanti, e alla fine si è imposta, la pratica di una categoria eminentemente privatistica come quella dell’utile riservato a uno solo, e da lui compiutamente e ormai incontestabilmente gestito (persino con una distribuzione, che si direbbe percentuale, degli utili fra i fedeli). Ha cominciato Berlusconi; ha continuato, con indiscutibile genialità creativa, Grillo; Salvini è puramente e semplicemente nato da questo; e Matteo Renzi, a colpi di primarie, ha plasmato il Pd su tale modello, talvolta sopravanzandolo nell’audacia delle proposte innovative.

Si capisce dunque perchè “i quattro dell’Orsa maggiore”, presunti protagonisti di una lotta morale fra loro nella vita politica italiana, si siano trovati così facilmente e rapidamente d’accordo su caratteristiche e finalità della legge elettorale, di cui in questi giorni si sta parlando. Il fatto è che essi hanno un interesse comune, che va ben al di là delle possibili (e peraltro molto ipotetiche) differenze di linea. Questo interesse comune consiste nel procurare e ottenere che la situazione prima sommariamente descritta, - partiti di natura profondamente diversa rispetto a quella lasciataci in eredità dalla tradizione, - diventi parte integrante del sistema istituzionale italiano: mediante una legge elettorale che ne consenta la perpetuazione, al di là dei limiti normalmente concessi all’avvicendamento delle forze politiche di governo.

Non entro nel merito dei particolari più tecnici della futura legge elettorale, perché voci più esperte della mia lo hanno già fatto e senza dubbio continueranno a farlo, ma mi soffermo sui punti per me più qualificanti.

1) La scelta, indiscussa e indiscutibile, da parte del Sovrano (capilista bloccati o no), degli individui, - di tutti gli individui, - che andranno a rappresentare il suo Partito, - che andranno a rappresentare lui medesimo, - in Parlamento;

2) La cancellazione di qualsiasi altra forza di rappresentanza popolare, che, affiancata o contrastante con le quattro principali forze politiche, ne metta in pericolo in qualche modo, – anche limitatamente, anche discrezionalmente, - la egemonica rappresentanza di quell’area;

3) La riduzione del sistema politico italiano ai quattro partiti facitori della nuova legge elettorale , in maniera che, dopo il voto, sia lasciato indiscussamente a ognuno di loro il gioco delle maggioranze e delle minoranze il patto del Nazareno, che anticipò eloquentemente queste conclusioni della legislatura, potrebbe essere uno di modi con cui il prossimo governo verrà fatto; ma perché no, nelle condizioni date, un patto fra i due antieuropeisti amici di Trump e Putin, Grillo e Salvini? Ma le previsioni in questo senso non possono essere che avventate: diciamo che tutto diventerebbe possibile).

Le leggi elettorali dovrebbero in generale consentire di esprimere al meglio il consenso, e favorire quindi di volta in volta l’alternanza delle diverse forze politiche al governo. Questa invece serve a rendere stabile, anzi permanente, lo status quo: i quattro Sovrani si trovano d’accordo sul principio che, innanzi tutto, la rappresentanza parlamentare venga statualmente divisa fra loro quattro: alleanze e combinazioni si vedranno poi, ma non c’è da dubitare che, in base alla loro scelta originaria, qualche “inciucio” ne salterà fuori. Dunque, una sorta di “colpo di forza” in veste compiutamente democratica? Del resto, soluzioni autoritarie di ogni tipo sono sempre state rese possibili, oltre che dall’esercizio puro e semplice della violenza, anche da maggioranze democraticamente espresse, che si trovano d’accordo nel legittimare formalmente un restringimento degli stessi spazi di democrazia, che avevano reso possibile il formarsi di quelle maggioranze.

Siamo dunque fra l'incudine del mutamento elettorale impostoci e il martello delle future deformazioni democratiche: non più la democrazia come un campo ampio di partecipazione, confronto e lotta, ma un serraglio ben delimitato della legge assunta a tale scopo.

Se altri argomenti non fossero persuasivi, ce n’è uno che chiarisce senza ombra di dubbi la situazione: la volontà, anche questa assolutamente condivisa e comune, di abbattere il più presto possibile il governo Gentiloni e di andare subito dopo al voto (con una campagna elettorale limitatissima nel tempo e nelle intenzioni, quasi tutta estiva: tanto che bisogno c’è di persuadere gli elettori, basta portarsi dietro, ognuno, le propri truppe). Ora, non si ripeterà mai abbastanza che l’abbattimento, in questa chiave e con tali metodi dell’attuale governo, costituisce un vulnus alla credibilità dell’Italia, ai sui bilanci, alla sua (sia pur limitata) coesione sociale (a questo proposito: esiste forse la possibilità che il Presidente Mattarella, solitamente attento a questo aspetto delle cose, respinga tale sciagura in nome dei “superiori interessi nazionali”?).

Dunque, cosa spinge “i quattro dell’Orsa maggiore” a imboccare una strada così perigliosa così in fretta? Non potrebbero anche loro, votata la “loro” legge elettorale, aspettare il naturale esaurimento della legislatura? No, non possono aspettare. Popolo, forze politiche e intellettuali, associazioni, opinione pubblica organizzata (la stampa, ad esempio, ed altro) potrebbero maturare un’opposizione più netta, più convinta, persino più ruvida, di quanto finora non sia avvenuto (ma in parte è già avvenuto). Dunque, fa parte della riuscita dell’impresa anche la rapidità fulminea con cui viene concepita, messa in opera e realizzata: anche il costringere a pensare poco, a riflettere meno e a discutere ancora meno, costituisce un connotato non irrilevante dell’intera operazione.

Un aspetto positivo va tuttavia riconosciuto alle proposte di riforma elettorale di cui abbiamo cercato di discutere. E cioè: le forze oppositive sopravviventi, quasi tutte per ora (si sarebbe detto una volta) “a sinistra”, se si presentassero al confronto politico e al voto così come sono, uscirebbero tranquillamente di scena, che è un altro fondamentale obiettivo dell’attuale riforma elettorale. La condizione della sopravvivenza, e dunque del perdurare di un effettivo gioco democratico, per quanto inizialmente difficilissimo, è che tali forze presentino un solo volto del paese: da Orlando (se possibile) a Bersani a Pisapia a D’Alema a Civati a Fratoianni…

E questo per due motivi. Il primo è il più ovvio: per entrare nel prossimo Parlamento bisognerà presentare un volto unico al paese, ossia, se si vuole entrare di più nel linguaggio elettorale di cui stiamo parlando, una sola lista.

Il secondo motivo è invece molto, molto più importante. Un’alternativa oggi non c’è: dunque va costruita, anch’essa rapidamente, finché c’è tempo. L’esperienza Macron in Francia, incomparabilmente più dignitosa e rilevante di quanto sta accadendo nel nostro paese, dimostra anch’essa tuttavia che le “vecchie sinistre”, prese ognuna per sé, nella grande maggioranza dei casi europei, non ce la fanno più a interpretare e rappresentare l’enorme mutamento che società e politica hanno attraversato in questi decenni in Europa (nel mondo?).

C’è uno spazio, identificabile con vaste aree di cultura dell’alternativa e della partecipazione, con cui sarebbe possibile anche in Italia incontrarsi e colloquiare. A patto, ovviamente, che, anche su questo versante, come sarebbe paradossale, non si realizzi un mero incontro elettorale, ma si proceda a una rifusione profonda delle forze in gioco, per arrivare a un organismo unico totalmente diverso. Non si parla più di “Costituente della sinistra”? Si torni a parlarne. La questione, infatti è tutt’altro che teorica, come ho cercato di argomentare dall’inizio di questo articolo. È, innanzi tutto, una questione di sopravvivenza: non dei singoli partiti; ma del sistema democratico-rappresentativo in Italia.

postilla
L'insieme dei gusci e dei nomi del millennio scorso saranno capaci di attrarre nell'arena delle decisioni elettorali una parte consistente del popolo di oggi?

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