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Slavoj Zizek
Il politicamente corretto è il vero razzismo
16 Giugno 2017
Sinistra
La paradossale riflessione del filosofo sloveno su un comportamento dell sinistra nei confronti delle migrazioni. «Dovremmo chiederci se essere politicamente corretti sia davvero qualcosa che appartiene alla sinistra: non si tratta invece di una strategia di difesa contro le istanze della sinistra radicale?».
La paradossale riflessione del filosofo sloveno su un comportamento dell sinistra nei confronti delle migrazioni. «Dovremmo chiederci se essere politicamente corretti sia davvero qualcosa che appartiene alla sinistra: non si tratta invece di una strategia di difesa contro le istanze della sinistra radicale?».

il Fatto quotidiano, 16 giugno 2017

Se qui in Occidente volessimo davvero sconfiggere il razzismo, il primo passo sarebbe farla finire con questo processo politicamente corretto di auto-colpevolizzazione. Anche se le critiche di Pascal Bruckner (uno scrittore francese, tra i nouveaux philosophes, ndr) agli approcci della sinistra di oggi spesso sfiorano il ridicolo, questo non gli impedisce di fare qualche analisi utile: non si può che essere d’accordo con lui quando identifica nella auto-flagellazione politicamente corretta dell’Europa il rovescio di una rivendicazione di superiorità.

Ogni volta che l’Occidente viene attaccato, la sua prima reazione non è una difesa aggressiva ma colpevolizzarsi: cosa abbiamo fatto per meritarci tutto questo? In ultima analisi, la colpa di ogni male è soltanto nostra, per le catastrofi del Terzo mondo e la violenza dei terroristi è soltanto una reazione ai nostri crimini… la forma positiva del “fardello dell’uomo bianco” (la responsabilità di colonizzare i barbari) viene rimpiazzata dalla sua versione negativa (la colpa dell’uomo bianco): se non possiamo più essere i dominatori benevoli del Terzo mondo, possiamo almeno essere la fonte privilegiata dei suoi mali, privandoli con paternalismo di ogni responsabilità riguardo al loro destino (se un Paese del Terzo mondo si macchia di terribili crimini, non è mai pienamente sua responsabilità: sta soltanto imitando quello che faceva il padrone coloniale ecc.).

La logica del politicamente corretto attiva quei meccanismi che possiamo chiamare di “sensibilità delegata”, spesso secondo questa linea di argomentazione: “Io sono un duro, non mi urtano i discorsi sessisti o razzisti o di odio, o chi si prende gioco delle minoranze, ma io parlo a nome di quelli che potrebbero essere offesi da quelle parole”. Il punto di vista è quindi quello di questi “altri” che, viene dato per scontato, sono così ingenui e indifesi da aver bisogno di protezione perché non capiscono l’ironia o non sono in condizione di rispondere agli attacchi. Deleghiamo l’esperienza passiva di una sensibilità da pastore su un “altro” ingenuo, producendo così una sua infantilizzazione. Per questo dovremmo chiederci se essere politicamente corretti sia davvero qualcosa che appartiene alla sinistra: non si tratta invece di una strategia di difesa contro le istanze della sinistra radicale? Di un modo per neutralizzare l’antagonismo invece che affrontarlo in modo esplicito? Molti degli oppressi percepiscono chiaramente come la strategia del politicamente corretto aggiunga insulti alle ingiurie: mentre l’oppressione rimane, loro – gli oppressi – devono anche ringraziare per come i liberal li proteggono…

Uno dei sottoprodotti più sgradevoli della ondata di rifugiati che è arrivata in Europa nell’inverno 2015-2016 è stata l’esplosione dell’indignazione moralista tra molti progressisti di sinistra: “L’Europa sta tradendo la sua tradizione di libertà e solidarietà! Ha perso la sua bussola morale! Tratta i rifugiati come invasori, bloccando il loro ingresso con filo spinato, chiudendoli in campi di concentramento!”. Questa empatia astratta, combinata con la richiesta di aprire le frontiere senza condizioni, merita la grande lezione hegeliana dell’Anima bella: quando qualcuno dipinge il quadro della definitiva degenerazione dell’Europa, bisognerebbe chiedersi che grado di complicità ha questa posizione con ciò che critica, in che modo coloro che si sentono superiori al mondo corrotto in realtà, segretamente, vi partecipano. Nessuna sorpresa che, con l’eccezione degli appelli umanitari alla compassione e alla solidarietà, gli effetti di questa auto-flagellazione siano completamente nulli… E se gli autori di questi appelli sapessero perfettamente che non contribuiscono in alcun modo ad alleviare la piaga dei rifugiati ma che l’effetto finale dei loro interventi è soltanto quello di nutrire il sentimento anti-immigrati? E se segretamente fossero ben consapevoli del fatto che quanto chiedono non succederà mai perché scatenerebbe all’istante una rivolta populista in Europa? Perché, quindi, si comportano così?

C’è soltanto una risposta coerente: il vero scopo di questa loro attività, dei paladini del politicamente corretto, non è quello di aiutare davvero i rifugiati, ma attraverso le proprie accuse raggiungere il Lustgewinn.

Il processo dell’ “ottenimento del piacere / Lustgewinn” opera attraverso la ripetizione: chi manca l’obiettivo ripete il movimento, provando ancora e ancora, così che alla fine il vero scopo non è più l’obiettivo desiderato ma il movimento ripetitivo del tentativo di raggiungerlo in se stesso. Mentre il contenuto desiderato (oggetto) promette di offrire piacere, un piacere ancora maggiore può essere ottenuto dalla forma stessa (procedura) di inseguimento dell’obiettivo. L’esempio classico: mentre l’obiettivo di succhiare un seno è di essere nutriti dal latte, l’aumento di libido è prodotto dal movimento ripetitivo di succhiare che quindi diventa un fine in se stesso.

Dopo la chiusura serale, nei supermarket della catena Walmart si trovano molti carrelli pieni di prodotti ma abbandonati tra gli scaffali: sono stati lasciati lì dagli appartenenti alla classe media impoverita che non sono più in grado di fare davvero acquisti. Così visitano il supermercato, attraversano il rituale dello shopping (mettendo le cose di cui hanno bisogno o che desiderano nel carrello) e poi abbandonano tutto nel negozio. In questa triste accezione, ottengono il surplus di piacere dovuto allo shopping in questa forma puramente isolata, senza comprare nulla. Non ci impegniamo spesso in attività simili la cui “irrazionalità” non è però altrettanto visibile? Facciamo qualcosa – come lo shopping stesso – senza uno scopo preciso, ma in realtà siamo indifferenti a quale dovrebbe essere questo scopo perché la vera soddisfazione deriva dalla attività stessa? Con il Lustgewinn, lo scopo del processo non è il suo obiettivo ufficiale (la soddisfazione di un bisogno), ma la riproduzione stessa del processo.

Il Lustgewinn prodotto delle accuse sui rifugiati è il sentimento di superiorità morale rispetto agli altri che prova chi le lancia. Più rifugiati vengono respinti e più crescono i populismi anti-immigrati, più queste “anime belle” si sentiranno giustificate: “Vedete, gli orrori continuano, avevamo ragione noi!”.

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