loader
menu
© 2024 Eddyburg
Maria Cristina Gibelli
‘Grandi progetti’ di rigenerazione urbana a Milano: un racconto incantatore condiviso da troppi attori
6 Maggio 2017
Milano
Una riflessione critica sul modello negoziale milanese relativo ai grandi progetti di trasformazione urbana: un modello condizionato dal capitalismo finanziario immobiliare. Sintetica analisi comparativa sull’esperienza francese dove è la regia pubblica che detta le condizioni al privato

Una riflessione critica sul modello negoziale milanese relativo ai grandi progetti di trasformazione urbana: un modello condizionato dal capitalismo finanziario immobiliare. Sintetica analisi comparativa sull’esperienza francese dove è la regia pubblica che detta le condizioni al privato


Come ha efficacemente sottolineato Giancarlo Consonni in un articolo pubblicato su la Repubblica del 13 aprile scorso dal titolo Tutti i rischi di eventopoli:la Milano da bere, il capoluogo lombardo sta subendo un bombardamento di messaggi trionfalistici sulle sue magnifiche sorti che meriterebbe una quotidiana azione di disvelamento. Fra i cittadini attenti sono comunque in molti a non cadere nella trappola mediatica, anche se il messaggio ridondante che arriva, anche dai quotidiani di diffusione nazionale e dalla televisione, continua a prediligere un racconto incantatore.

Quali sono gli attori che supportano questa narrazione effimera, accattivante e per molti aspetti lontana dalla realtà? Quale strategia è sottesa all’enfasi, davvero stucchevole, sul rango europeo o addirittura mondiale del capoluogo lombardo (un déjà vu inquietante rispetto alla “Milano da bere” degli anni ’80 che tutti sappiamo come si è conclusa)? In ultima istanza: chi comanda (o meglio, continua a comandare) a Milano grazie anche al supporto di questo stile argomentativo? Chi sono i suoi principali, e spesso entusiasti, supporter?

Chi comanda a Milano senza discontinuità l’abbiamo già capito da molto tempo: la finanza immobiliare. È attorno a questo indomabile impero che ruota il sistema decisionale milanese. E sono numerosi i complici, ben identificabili e davvero censurabili. Fra questi, spiccano alcuni attori che, in teoria, dovrebbero avere a cuore il bene comune della città (e di tutti i suoi cittadini).

Il primo, e principale, è rappresentato dall’amministrazione municipale. È dagli anni ‘90 che, malgrado il mutare delle maggioranze, il governo locale condivide, e facilita, una trasformazione della città che asseconda gli obiettivi e le strategie dei grandi gruppi privati e del settore finanziario/immobiliare. Questa strategia è contrabbandata, e questo appare davvero inaccettabile, per ‘rigenerazione urbana’ con un promesso benefico effetto sui consumi di suolo, ampiamente contraddetto in realtà dalle dinamiche attuali e prevedibili nell’hinterland.

Le cose non sono cambiate con i governi di ‘sinistra’. Lo ha immediatamente dimostrato, nella disillusione di molti suoi elettori, la giunta Pisapia approvando in gran fretta nel 2012 un Piano di Governo del Territorio affollato di interminabili chiacchiere retoriche, già compilate da Masseroli/Moratti - nel loro PGT adottato ma non approvato -, e attuato attraverso regole iperflessibili (ricordiamo, in particolare, il principio di ‘indifferenza funzionale’ e il modello della ‘perequazione estesa’’) che hanno rappresentato un vero e proprio regalo alla speculazione immobiliare.

Lo sta dimostrando la giunta attuale. Giuseppe Sala, un personaggio apparentemente gioviale e talora anticonformista(1) sta assecondando, con il suo profilo basso, tutti i progetti di trasformazione attualmente proposti dai privati. Chi invece si espone in prima linea è il suo assessore all’urbanistica, Pierfrancesco Maran il quale, anziché adoperarsi, forte delle deleghe che gli sono state affidate, per arginare le mire speculative degli attori privati, sta di fatto ripercorrendo un modello di mero marketing urbano, ormai più che obsoleto e abbandonato da decenni nelle grandi città europee: un modello attento solo alla immagine esterna della città, agli annunci pubblicitari, alla continua evocazione dei grandi progetti in cantiere - qualsiasi ne sia il contenuto -, a una modalità di comunicazione sui media enfatica e ridondante, alla sponsorizzazione di manifestazioni culturali effimere ma di garantito successo mediatico.

Continua comunque a mancare, dopo decenni di deregolazione urbanistica, una valutazione degli effetti a scala municipale – e a scala metropolitana – dei grandi progetti già realizzati; e, a maggior ragione, di quelli prevedibili con la realizzazione dell’accozzaglia di progetti di rigenerazione urbana oggi in discussione. Manca insomma totalmente, in attesa che partano i lavori per il nuovo PGT, una valutazione complessiva degli effetti prodotti sul territorio milanese (e metropolitano) dal PGT approvato dalla giunta Pisapia, da misurare, come si fa nelle migliori pratiche internazionali, attraverso indicatori di prestazione di efficacia, sostenibilità, equità, vivibilità e, oggi più che mai, accoglienza.

Considero dunque le attuali iniziative urbanistiche del Comune di Milano più che desuete, perché improntate a un modello di marketing urbano che ha goduto di un transeunte fascino nelle città europee soltanto negli ormai lontani anni ’80.

Come giudicare altrimenti il questionario enfaticamente somministrato ai cittadini sul sito dell’Assessorato all’Urbanistica e contrabbandato come iniziativa partecipativa preliminare all’elaborazione del nuovo PGT (2)? Il questionario (3) appare incomprensibile ai più per il linguaggio che utilizza - anche se familiare a chi ha insegnato al Politecnico…. Il suo obiettivo è meramente retorico, sia per i quesiti complessi somministrati all’incauto cittadino volonteroso, sia perché si configura come un episodio una tantum che non prelude all’avvio di procedure formalizzate e continue di ascolto.

Sarebbe stato molto più utile per coinvolgere i cittadini presentare una disamina attenta dei risultati ottenuti con il ‘vecchio’ PGT, evidenziandone successi e limiti, e individuando possibili alternative qualitative e scenariali per il nuovo PGT, sulle quali invitare i cittadini ad esprimere le loro valutazioni e le loro priorità.

E ancora: come giustificare l’artificio di aver sbandierato come un grande evento partecipativo la presenza di migliaia di visitatori alla mostra dei progetti per gli scali ferroviari? L’evento, intitolato con la consueta enfasi “Gli scenari per immaginare il futuro della città”, ha in realtà presentato i progetti per il riuso degli scali elaborati da cinque affermati studi di architettura (su incarico non del Comune ma di FS Sistemi Urbani).

Sulla scelta ampiamente discutibile della giunta Pisapia di porre ai voti un Accordo di Programma per gli scali ferroviari quando era ormai in scadenza di mandato – un accordo clamorosamente bocciato dal consiglio comunale nel dicembre 2015 - è stato già scritto molto, soprattutto su Arcipelago Milano (e i contributi più interessanti sono stati pubblicati su eddyburg).

Si concedevano a FS Sistemi Urbani indici volumetrici elevatissimi e spalmabili indiscriminatamente su aree che rappresentano l’ultima occasione per realizzare progetti di vera mixité: progetti di intensificazione e non di mera densificazione. Stupisce però che la esposizione dei progetti, con i loro rendering mistificatorî, sia stata ampiamente pubblicizzata sul sito del Comune, anche incorrendo in un imbarazzante ‘lapsus freudiano’(4).

Tutto ciò dà l’impressione di una decisione ormai presa, di un accordo lieto fra l’amministrazione e una azienda pubblica che agisce da privato, nel quale il ruolo di regolatore e di decisore ultimo, che dovrebbe essere in capo al governo locale, si è, come ormai da decenni avviene, completamente affievolito. Ancora più inquietante è il sospetto che, nella più totale mancanza di trasparenza e di procedure di evidenza pubblica, ai cinque studi di architettura incaricati da FS Sistemi Urbani per suggerire visioni progettuali per il complesso degli scali sia già stata garantita la progettazione di singoli scali, come si scopre da un articolo pubblicato dal Journal of the American Institute of Architects che dà per scontato l’incarico a MAD Architects per la progettazione esecutiva dello scalo di Porta Genova (5).

Ma vi è un secondo attore sul cui comportamento vorrei avanzare una perentoria riflessione critica, perché pare a me sommamente censurabile il ruolo che, da qualche anno a questa parte, sta giocando sul tavolo delle decisioni che contano nella trasformazione di Milano: il sistema universitario milanese. Ne sono protagonisti soprattutto alcuni atenei e, in particolare, alcuni accademici in posizione apicale. È una pratica, quella del coinvolgimento degli atenei milanesi, che non esito a definire, in taluni casi, come ‘collusiva’, sottolineando al proposito che agli accademici spetterebbe il compito precipuo di elaborare il pensiero critico più avanzato sulla società e sulla città e, soprattutto, spetterebbe loro il compito eminente di ‘guardiano culturale dei beni comuni’.

Invece, a Milano non vi è strumento urbanistico, progetto di rigenerazione, ma anche occasione speculativa promossa dal capitalismo finanziario/immobiliare (6)che, soprattutto negli anni recenti (quelli della ‘sinistra al governo’), non siano stati legittimati anche ricorrendo a esimi consulenti del Politecnico di Milano; in particolare, al suo ex rettore (Giovanni Azzone) e relativo prorettore (Alessandro Balducci), e a docenti appartenenti all’area urbanistica /progettuale: dal supporto tecnico-scientifico al PGT adottato dalla giunta Pisapia (un piano fotocopia di quello approvato dalla Giunta Moratti), al coinvolgimento diretto nel progetto per il riuso dell’area exEXPO, alla presidenza della società titolare dell’area(7), al progetto per ridefinire il futuro di Città Studi, colpita dalla decisione, dissennata e comprensibile solo in termini immobiliari, di trasloco della facoltà scientifiche della Università Statale.

In questo caso è intervenuto il rettore della Statale Gianluca Vago intenzionato a deportare tutte le facoltà scientifiche di Città Studi nelle aree exEXPO, grazie anche al sostegno dei contributi finanziari erogati dal governo centrale (8). Anche se la decisione sembra ormai presa, il progetto sta incontrando, a differenza degli scali ferroviari che sono costituiti da siti prevalentemente in abbandono, l’opposizione dei residenti e degli studenti di Città Studi; un movimento nato dal basso che ha già dato luogo a un comitato preparato, agguerrito e in rapida crescita: il Comitato “Salviamo Città Studi”).

Il terzo soggetto, sempre più influente nella capitale della moda e del design, è ovviamente rappresentato dalle archistar, abilissime nel catturare il supporto osannante e martellante dei media. Quante volte abbiamo letto e visto, sui quotidiani più diffusi e in televisione, le meraviglie del Bosco Verticale dello studio Boeri e associati? Dal 12 al 17 giugno prossimi, è in programma a Milano la “Prima settimana dell’architettura”: una manifestazione ‘diffusa’ - come è d’obbligo oggi dichiarare, in ossequio al principio, più evocato che agìto, del rilancio delle periferie - guidata da Stefano Boeri, il quale ha dichiarato al Sole 24Ore: «C’è stato un cambiamento spettacolare della città – Prada, Feltrinelli, City Life (sic!), Porta Nuova (sic!) – ed è avvenuto con qualità elevate e in un periodo molto breve»(9).

E gli ‘urbanisti’? Salvo rare e qualificate eccezioni, sembrano una ‘specie in estinzione’, sempre al seguito del potere, e persino un po’ patetica nel rimpiangere, nel caso rarissimo in cui ciò rischi di verificarsi, le occasioni perdute: per la finanza immobiliare naturalmente(10).

Ciò che conta, insomma, per tutti gli attori sinteticamente evocati qui sopra, non è interrogarsi davvero sul futuro della metropoli lombarda, ma assecondare, sempre e comunque, decisioni prese altrove: nelle segrete stanze di chi decide della città col mero scopo di incrementare rendite e profitti privati.

Che cosa hanno guadagnato e possono guadagnare la città e la cittadinanza da tutte queste violente trasformazioni, al di là di uno skyline più ‘moderno’? Come si comportano in altri paesi più attenti ai beni collettivi? Può forse essere utile rammentare a tutti noi urbanisti, e soprattutto a chi decide del destino della città (perché di questo si tratta, considerando la rilevanza dei progetti di trasformazione in discussione), come si articola il processo decisionale relativo ai progetti negoziati di trasformazione urbana in Francia: un processo normato da leggi nazionali e periodicamente aggiornato sulla base delle trasformazioni economiche e politiche e di un costante affinamento critico.

Concluderò quindi questa mia riflessione con un cenno, sia pure sintetico e schematico, alle procedure, rigidamente strutturate, adottate in quel paese, per la realizzazione dei progetti di trasformazione urbana qualora si realizzino in deroga agli strumenti urbanistici vigenti e attraverso il partenariato pubblico/privato: attraverso le Zones d’Aménagement Concerté (ZAC).

Cosa è una ZAC. La procedura di Zac si applica a 3 categorie di interventi: viabilità primaria e secondaria; servizi pubblici di rilevanza locale e sopralocale; interventi del privato da immettere sul mercato (abitazioni, terziario,…); ma si prevede sempre anche una quota rilevante di HLM (abitazioni in affitto per gruppi a basso reddito).

I plusvalori fondiari e immobiliari devono essere ripartiti equamente fra pubblico e privato; mentre i costi delle infrastrutture e dei servizi pubblici sono completamente a carico del privato.

I vantaggi pubblici ottenuti con la procedura di ZAC, rispetto a quelli ricavati dalla fiscalità urbanistica ordinaria, sono elevati perché garantisce un recupero molto più significativo dei costi relativi alla realizzazione di servizi e infrastrutture grazie agli accordi su misura realizzati da un attore pubblico in posizione di forza (nella SEM, la società di economia mista che presiede a ogni ZAC, la partecipazione pubblica - fra il 51% e l’85% del capitale - garantisce che in seno al consiglio di amministrazione, di cui fanno parte anche gli amministratori locali, vi sia uno stretto controllo della corrispondenza del progetto agli interessi della collettività).

L’evoluzione della ZAC. Nel corso del tempo, la procedura della ZAC è più volte stata riformata in coerenza con le riforme urbanistiche nazionali.

1967: le ZAC vengono istituite con la «Loi d'orientation foncière» del 30 dicembre1967 (strumenti cardine della pianificazione urbanistica sono il POS - il nostro PRG- e lo SDAU - Schema direttore intercomunale). Le ZAC devono essere inquadrate dallo SDAU : devono cioè essere compatibili con le strategie indicate dal piano di area vasta.

1982/83: si approva la legge sul decentramento che conferisce ampia autonomia decisionale ai comuni anche in materia urbanistica. Lo SDAU diventa opzionale e, come conseguenza, le ZAC vengono ‘municipalizzate’. I Comuni ne faranno un uso disinvolto: grande fortuna dei progetti in deroga - più del 50% dei progetti realizzati negli anni ‘80 nelle maggiori agglomerazioni urbane; proliferazione eccessiva di ZAC di piccola dimensione promosse dalle amministrazioni locali che interpretano il decentramento in chiave deregolativa; spreco di risorse pubbliche dedicate al marketing territoriale, specialmente nei comuni di corona metropolitana afflitti dalla deindustrializzazione.

2000: con la riforma della legge urbanistica approvata dal governo Jospin (Solidarité et Renouvellement Urbain/ SRU del 13 dicembre 2000), vengono corrette alcune distorsioni verificatesi negli anni ’80/’90. La procedura di ZAC torna a essere subordinata a un quadro di coerenza territoriale complessivo predisposto dal piano direttore intercomunale (SCOT: Schéma de la Cohérence Territoriale), riformato in termini più cogenti rispetto allo SDAU; e agli obiettivi di fondo del riformato piano urbanistico comunale (PLU/Plan Locale d’Urbanisme).

La procedura di ZAC oggi. La realizzazione di una ZAC prevede due passaggi obbligatori attraverso i quali devono emergere con chiarezza e trasparenza i vantaggi pubblici offerti dal progetto: dossier de création; dossier de réalisation; inoltre, è fatto obbligo di realizzare in primo luogo i servizi e le infrastrutture pubbliche; successivamente si può procedere al completamento del progetto; la ZAC, una volta approvata, viene incorporata nel piano urbanistico comunale: il progetto, il suo mix funzionale non saranno più modificabili.

Dossier de Création. La legge SRU ha soppresso il PAZ (Plan d’aménagement de zone) sostituendolo con il PADD: Projet d’aménagement et de développement durable. Nel PADD il dossier de création deve essere costituito da: una relazione di presentazione del progetto; una valutazione di impatto ambientale corredata da una sintesi accessibile al più ampio pubblico; un piano particolareggiato con la precisa delimitazione dell’area; il modello finanziario e di attribuzione di competenze per la realizzazione delle opere; il regime fiscale prescelto (Taxe Locale d'Equipement – i nostri oneri di urbanizzazione - o regime di partecipazione negoziata: quasi sempre preferito); il cronoprogramma dei lavori. E’ inoltre obbligatorio attivare procedure di coinvolgimento pubblico (abitanti, associazioni, interessi organizzati). Quanto al perimetro: una ZAC può costituirsi in qualsiasi porzione del tessuto consolidato di un comune, se dotato di un POS o un PLU. Il dossier de création è approvato dall’organo deliberante dell’ente pubblico che ha preso l’iniziativa del progetto.

Dopo il dossier de création, si passa alla fase realizzativa. E’ necessaria la acquisizione al pubblico dei terreni, dato che il progetto richiede una ricomposizione delle parcelle e la realizzazione in primis di servizi e infrastrutture. L’«acte de création» ha dunque affetti sul regime fondiario, anche in assenza di un diritto di prelazione. I proprietari di suoli nelle aree sottoposte alla ZAC beneficiano di un «droit de délaissement» per la cessione delle loro proprietà (entro 1 anno). Se non si perviene a un accordo di cessione amichevole con la proprietà, si può ricorrere all’esproprio.

Dossier de réalisation. Definisce le condizioni economiche, tecniche e finanziarie necessarie per la progettazione e l’infrastrutturazione della ZAC. Approvato dall’organo deliberante della collettività locale, o dal Prefetto, deve essere sottoposto a procedure di evidenza pubblica, così come il dossier de création. Con la SRU, il dossier de réalisation ha assunto un peso rilevante. Deve infatti includere: il progetto dettagliato dei servizi pubblici da realizzare; il programma complessivo delle nuove costruzioni; la previsione delle modalità di finanziamento. Queste ultime sono indicative, devono essere spalmate nel tempo, devono essere basate su una realistica ipotesi previsionale di entrate e spese.
Le spese di acquisizione e aménagement dei terreni devono in linea di principio essere compensate dalle entrate ottenute dalla vendita dei lotti costruiti. Si devono evidenziare gli impegni rispettivi degli operatori privati e quelli a carico della amministrazione locale, oltre che i rischi eventuali per quest’ultima. Quanto alle modalità di realizzazione di una ZAC, l’amministrazione locale può realizzare direttamente il progetto, assumendosene i rischi finanziari; oppure ricorrere alla Concession d’Aménagement, che è il modello preferito: chi realizza possono essere delle agenzie pubbliche, delle strutture ibride come le SEM o delle imprese private

In estrema sintesi, tutti i grandi progetti di rigenerazione urbana sono in Francia affidati a una salda e inaggirabile (incontournable) regia pubblica e a processi di coinvolgimento civico strutturati e continui. Niente dunque hanno a che vedere con le effimere, pubblicitarie e opache iniziative milanesi che vengono promosse per legittimare (e velocizzare) le decisioni in merito ai progetti di trasformazione/rigenerazione urbana.

Forse gli amministratori pubblici di ‘eventopoli’, della sedicente ‘metropoli globale milanese’, dovrebbero guardarsi un po’ attorno, anziché continuare ad assecondare, con il supporto dei loro corifei, la privatizzazione delle politiche urbanistiche e, quindi, della città.

note

1) E’ del 21 aprile il suo sostegno alla manifestazione in favore del consumo libero di marjuana!
2) Si veda a questo proposito la critica ironica e puntuale di Marianella Sclavi, “Piano di Governo del Territorio: casalinga di Voghera dove sei? L’apprendista stregone nel castello dei questionari”, arcipelagomilano.org, 4 aprile 2017.
3) Il questionario è stato pubblicato sul sito del Comune di Milano il 27 marzo; termine ultimo per le risposte il 14 aprile!
4) Una gaffe dell’ufficio stampa del Comune di Milano, il quale il 3 aprile pubblica un post in cui si scrive che è l’amministrazione ad “aver selezionato” i cinque studi di architettura che stanno propinando ai milanesi le visioni progettuali per gli scali ferroviari. Subito dopo, alla domanda di un lettore attento (“ma i progetti non sono stati elaborati per un committente esterno, vale a dire la FS Sistemi Urbani?”), l’ufficio stampa censura la frase incauta, con tante scuse!
5)“MAD architects will construct Scalo Porta Genova for events, performances, and markets to encourage social interaction”. Si veda Carodine V. (2017), “Scali Milano, MAD Architects”, Architects, Journal of the American Institute of Architects, 12 aprile.
6) Perché di questo oggettivamente si tratta: anche quando sono gli attori pubblici i proprietari delle aree, è la logica speculativa che prevale – esempio paradigmatico l’uso e il riuso delle aree dedicate all’EXPO.
7) Arexpo s.p.a. è partecipata da Fondazione Fiera Milano con una quota del 27,66%, Comune di Milano e Regione Lombardia, che detengono ciascuno il 34,67%. Quote minori sono possedute dalla Città Metropolitana di Milano (2%) e dal Comune di Rho (1%).
8) Vago gode inoltre del pieno sostegno del governo regionale; infatti, ha nominato nell’aprile 2016 come direttore amministrativo dell’Università Statale, Walter Bergamaschi, già direttore generale dell’assessorato alla Sanità.
9) Luca De Biase, “La città del futuro possibile”, Il Sole24Ore, 16 aprile 2017.
10) Si veda al proposito la riflessione preoccupata e volutamente banale di Federico Oliva su arcipelagomilano.org del 20 settembre 2016 dal titolo “Scali ferroviari: il meglio è nemico del bene. Non buttare via il lavoro fatto”. Si tratta di una riflessione critica in merito all’intenzione espressa dalla giunta Sala appena insediata di rivedere l’ADP sugli scali ferroviari bocciato dal consiglio comunale precedente, che termina con questa frase a dir poco di ovvia saggezza e sconfinata furbizia: “Concludendo, non vorrei che alla fine di un lungo e faticoso percorso, il presunto meglio (tutto ancora da definire) fosse nemico del bene, come spesso accade nelle vicende urbanistiche nostrane”.





















ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg