loader
menu
© 2024 Eddyburg
Maria Pia Guermandi
Le punture di spillo: Bologna 40 anni dopo
18 Febbraio 2017
Maria Pia Guermandi
Ormai da una decina di giorni la zona universitaria a Bologna è attraversata da assemblee e cortei.

Le proteste di questi giorni riaccendono il fuoco... (segue)

Le proteste di questi giorni riaccendono il fuoco di una rivolta che, con andamento carsico, perdura ormai da mesi. La miccia, in questo caso, è stata accesa dal caso della biblioteca universitaria di lettere. Un paio di settimane fa sono stati installati i tornelli per il controllo degli accessi. Tornelli immediatamente smontati dal CUA, il Collettivo Universitario a capo della rivolta, che ha successivamente presidiato la biblioteca. Mercoledì 9 febbraio, su disposizione del prefetto richiesto di un intervento dagli organi di governo universitari, la polizia, in assetto antisommossa, ha fatto irruzione nei locali della biblioteca, dove erano presenti numerosi studenti- non solo appartenenti al CUA, ma semplici utenti - e ne ha sgomberato gli spazi. Da qui la reazione del CUA che rivendica il diritto al libero accesso della biblioteca e che, da allora, quotidianamente, ha indetto proteste su questa vicenda.

L’accesa discussione aperta dall’episodio ha visto il sindaco Merola prontamente schierato a difesa del rettorato, mentre il personale delle biblioteche universitarie ha sottolineato a più riprese le difficili condizioni in cui si trova ad operare. Non frequento quelle biblioteche se non in maniera del tutto saltuaria. Non vivendola in prima persona, non so quindi valutare la gravità del degrado vissuto nelle aule e nell’area universitaria in genere, né soprattutto i rapporti di forza fra i vari gruppi che usano a diverso titolo quegli spazi. So che ormai da mesi, a partire dagli scontri per il caro mensa dello scorso autunno, cova sotto la cenere una rivolta che dà voce ad un disagio estremamente diffuso.

So, da cittadina bolognese, che questa città ha ormai perso anche gli ultimi residui di ciò che la rendeva famosa per l'accoglienza. Che la politica locale vivacchia, ormai da decenni, nella più completa stasi culturale, contrabbandando, ad esempio, per urbanistica del centro storico - ambito che l'aveva resa maestra in Italia e in Europa, molti anni fa - operazioni estemporanee di discutibile maquillage ad uso turistico.
Praticamente nulla, da molti lustri a questa parte, è stato fatto per offrire agli studenti quei servizi di cui la città è sempre stata avarissima, con fenomeni di caro-affitti mai combattuti con soluzioni organiche e di lungo periodo. Eppure l’alma mater rappresenta da parecchi anni a questi parte la principale “azienda” bolognese e gli studenti (circa 85.000 iscritti su una popolazione di circa 380.000 abitanti) una percentuale importante degli users cittadini, di certo la più vitale. Città universitaria per eccellenza, quindi, che ha però sempre vissuto il rapporto con gli studenti dell’Ateneo in modo ambiguo. La politica locale degli ultimi decenni, asfittica e inconsapevole, ne è cartina al tornasole perfetta.

A più riprese, in questi giorni, se non altro per la suggestione della ricorrenza anniversaria, sono stati evocati paralleli con il movimento del '77 che qui a Bologna ebbe uno dei centri principali di azione e di elaborazione. Paralleli manifestati soprattutto in negativo, per respingerli, quasi apotropaicamente, e derubricare le vicende odierne sotto l’etichetta di un disagio sociale indistinto o di puri e semplici vandalismi. “Punture di spillo” (Carlo Galli) sono state definite le proteste di oggi a confronto con il Movimento di allora.

Anche quarant’anni fa, però, come qualsiasi testimone poco men che distratto sa, per molto tempo fu negata ai protagonisti del Movimento qualsiasi dignità politica in senso pieno. All'epoca dei fatti - tutto si consumò in pochi mesi, meno di un anno - la sinistra storica si rivelò straordinariamente incapace di comprendere quel fenomeno, letto dai più benevoli solo come pulsione vitalistica senza sbocchi, e di cui si vollero cogliere soprattutto gli aspetti deteriori di violenza, condannabili senza riserve, ma fino ad un certo momento non prevalenti. E persino oggi, nelle “celebrazioni” che si riaffacciano (v. la Repubblica del 12 febbraio) si tende a riconoscere e rivalutare, del ’77, quasi esclusivamente l’aspetto “culturale” (come se ‘cultura’ e ‘politica’ fossero poi due sistemi scindibili), quella carica dirompente di innovazione creativa che ribaltò le modalità comunicative ed espressive di quella e delle generazioni successive. Quei ragazzi apparvero irriducibili alle vecchie categorie politiche, come lo sono i ragazzi del CUA oggi, privi, ora come allora, di ogni rappresentanza nel quadro delle forze politiche più o meno storiche.

I tornelli dell’alma mater non ci parlano solo di Bologna, ovviamente. Nelle stesse ore in cui si svolgevano questi fatti, il 10 febbraio, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il così detto “Daspo urbano”, un provvedimento che conferisce ai sindaci poteri di ordinanza contro episodi di degrado e vandalismo, ma anche contro attività che con i temi securitari non hanno una stretta connessione, come il commercio abusivo. Il decreto, che consentirebbe l'inibizione di intere aree urbane di "pregio" a chi è colpito da “daspo”, ha suscitato un residuo di perplessità persino nel sindaco Nardella, che ha definito il provvedimento "talmente potente" da dover essere usato “cum grano salis”.

Occorrerà analizzarne attentamente il testo, che apre molti interrogativi sulla legittimazione di una sorta di categorizzazione degli spazi urbani, ma fin da ora sembra evidente che l’uso della forza pubblica è l’unica risposta che si continua a fornire agli episodi di degrado. Accomunando e appiattendo, in questa categoria, fenomeni fra loro diversi e diversissimi e condannandosi, con ciò, alla loro incomprensione.

Dagli spazi universitari alle “zone di pregio” delle città, l’unica risposta al degrado diffuso è una sorta di “militarizzazione” degli spazi pubblici, proprio per questo destinati ad essere completamente snaturati. Una città suddivisa in zone a differente gradiente di sicurezza, in cui la differenza fra periferie e aree di pregio – i centri storici turistici e monumentali innanzi tutto - è destinata inevitabilmente a ingigantirsi.

Tornelli e daspo sono stati i provvedimenti con cui, in anni recenti, si è cercato di contrastare la violenza degli stadi: nessuna radicale inversione di tendenza del fenomeno si è verificata e gli stadi continuano ad essere tristi catini semivuoti, disertati dal pubblico delle famiglie o comunque non ascrivibile alla categoria degli ultras.

Queste risposte, applicate agli spazi urbani come unica misura preventiva, appaiono null’altro che una manifestazione, tragica quanto inconsapevole, di impotenza di fronte ad un disagio sociale crescente e diffuso. Che questa risposta venga dalla classe di governo, ha purtroppo smesso di stupirci; più inquietante è che nella stessa risposta si rifugi l’università. Quello che dovrebbe essere il luogo del confronto e dell’innovazione culturale, della condivisione dei saperi e che invece, sempre più avvitata in logiche aziendaliste, si sta trasformando, per dirla con le parole di Federico Bertoni, professore dell’alma mater (Universitaly. La cultura in scatola, Laterza 2016) in una “customer oriented corporation”.

p.s. Neppure nei giorni più caldi del '77, quando via Zamboni, sede storica dell’Università, era attraversata da barricate e le autoblindo presidiavano minacciosamente l’intera area, la polizia fece mai irruzione nei locali universitari. Limite invalicabile che neppure le forze dell’ordine di epoca fascista osarono infrangere. Fino ad oggi.

Riferimenti

Sul "daspo" e sulle sue nuove applicazioni da parte dal governo renziano attuale vedi su eddyburg gli articoli raccolti sotto il titolo I poveri come huligani

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg