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Mariolina Sesto
Vince il No con il 60%, affluenza record
5 Dicembre 2016
Difendere la Costituzione
Articoli di

Articoli di Marco Galluzzo, Mariolina Sesto,Carmelo Lopapa, Marco Palombi

, Daniela Preziosi, dal Corriere della sera, il Sole 24 ore, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano online, il manifesto, 5 dicembre 2016 (c.m.c.)

Corriere della sera

IL NO BATTE RENZI
TANTI AL VOTO
«LASCIO PALAZZO CHIGI»
di Marco Galluzzo

«Io ho perso, nella politica italiana non perde mai nessuno, io sono diverso e lo dico a voce alta, anche se con il nodo in gola — perché non siamo robot —. Non sono riuscito a portarvi alla vittoria, ho fatto tutto quello che si poteva fare. Credo nella democrazia, quando uno perde non fa finta di nulla e fischietta». Pausa, subito dopo: «Adesso sta all’opposizione fare la proposta sulle regole». La vittoria del No è netta: 59,7% (quando mancano poche sezioni da scrutinare), il Sì al 40,3%.

Poco dopo mezzanotte Matteo Renzi, dopo aver parlato al telefono con Sergio Mattarella, annuncia le sue dimissioni. Parla a braccio, a tratti sembra commuoversi, ma dà l’unica risposta possibile, politicamente, al voto degli italiani: «Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta, a chi ha vinto le mie congratulazioni, a loro vanno oneri e onore per il futuro, per le proposte, a cominciare dalla legge elettorale. Un grande abbraccio a tutti coloro che hanno scommesso sul Sì. Come è evidente fin dal primo giorno l’esperienza del mio governo finisce qui, volevo cancellare altre poltrone, non ce l’ho fatta e quella che salta è la mia». Alla fine del discorso ringrazia «Agnese e i miei figli, per la fatica di questi mille giorni».

Oggi Renzi riunirà il suo ultimo Consiglio dei ministri, poi salirà al Quirinale per le dimissioni. È, per il capo del governo, indubbiamente una sconfitta che brucia, nettissima, più grande di qualsiasi previsione, con un voto che per ampiezza acquisisce subito una fortissima caratura politica. Domani verranno riuniti anche gli organi direttivi del Pd e non è da escludere che Renzi possa lasciare anche la carica di segretario.

Quasi 35 milioni di italiani sono andati a votare, un record di affluenza. La maggior parte di loro, circa sei su dieci, ha bocciato il referendum sulla Costituzione. E insieme a questo ha clamorosamente bocciato anche Renzi e il suo governo, costruendo il peggiore scenario che il presidente del Consiglio potesse aspettarsi. Con una forbice fra il No e il Sì che arriva anche sfiorare i venti punti percentuali: i sondaggi delle scorse settimane avevano previsto la vittoria del No, ma l’avevano sottostimata ampiamente.

Per alcuni mesi il premier e il suo staff hanno detto di contare su un’alta affluenza perché la riforma potesse essere approvata. L’affluenza è stata sorprendente — 68,5% — più alta delle più rosee previsioni, a livelli da elezioni politiche, e il pronostico del premier è stato bocciato. I dati sono ancora più impressionanti se confrontati con i due precedenti referendum costituzionali. A quello del 2001 sulla modifica del Titolo V andò a votare il 34,1% degli elettori, a quello del 2006 sulla devolution il 53,6% (si votava in due giorni).

Hanno vinto tutti coloro che hanno puntato sul tavolo del No: Berlusconi, la minoranza del Pd, Sinistra italiana, la Lega di Salvini, il movimento di Beppe Grillo. Poco dopo le 23, sull’onda dei primi exit poll, la notizia della sconfitta di Renzi è una breaking news in tutti i notiziari del mondo. Stessa cosa per l’annuncio delle sue dimissioni. Le cancellerie internazionali, insieme ai mercati finanziari, auspicavano una vittoria della riforma, nel segno della stabilità politica. Quello che sem-brava uno dei Paesi più stabili della Ue da oggi, dopo la Brexit, con elezioni politiche in Francia e Germania il prossimo anno, aggiunge incertezza al tavolo dell’Unione.

il Sole 24 ore
VINCE IL NO CON IL 60%,
AFFLUENZA RECORD
di Mariolina Sesto

«Partecipazione al voto al 68,48% - In alcune città del Mezzogiorno i voti contrari arrivano fino al 70%»

Una vittoria netta del No, che sfiora il 60% dei voti. E una partecipazione numerosissima degli elettori (intorno al 70%) alla consultazione referendaria. Sta in questi due dati la fotografia del voto di ieri che ha bocciato la riforma costituzionale Renzi-Boschi approvata lo scorso aprile dal Parlamento senza maggioranza assoluta.

I dati dello spoglio, iniziato subito dopo l’apertura dei seggi, non lasciano margini di dubbio. A scrutinio quasi completato (61.523 sezioni su 61.551 per l’Italia e 789 sezioni su 1.618 per l’estero), i voti contrari alla riforma si attestano al 59,56%, confermando i precedenti exit poll e proiezioni.

Ampio lo scarto con il Sì pari a circa 18 punti percentuali. I voti pro riforma, sempre secondo i dati non ancora definitivi del Viminale, si sono attestati al 40,3 per cento.

Notevolissima l’affluenza alle urne, che assume anch’essa un significato politico di prima grandezza: si è attestata al 68,48%, oltre ogni previsione. Una partecipazione definita da «elezioni politiche». Non regge infatti il confronto con la partecipazione agli altri referendum costituzionali: nel 2006, sulla cosiddetta «devolution» votò il 53,6% degli aventi diritto, nel 2001, sulla riforma del Titolo V, il 34,1 per cento.

Buona l’affluenza anche all’estero: 30,89 per cento (hanno votato 1.251.728 elettori). In questo caso però la differenza rispetto al referendum costituzionale di 10 anni fa non è poi così marcata: allora andò a votare il 27,7% dei residenti all’estero. Lo scarto è quindi solo di poco più di tre punti percentuali. L’affluenza più alta si è registrata in Europa dove è stata pari al 33,81%; in America Meridionale è stata del 25,57%; in America Settentrionale e Centrale del 31,60%; in Africa-Asia-Oceania del 32,12 per cento.

Il No si è affermato su tutto il territorio nazionale sebbene non ovunque con lo stesso peso: al Nord i voti contrari alla riforma hanno fatto registrare un risultato ovunque intorno al 60 per cento.

Le regioni centrali sono state le più generose sia nei confronti di Renzi che della riforma: lo stacco tra No e Sì è stato infatti poco marcato e in alcune regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna (e al nord anche nella provincia autonoma di Bolzano) il Sì risulta leggermente in vantaggio sul No. Certa la vittoria del Sì nelle città di Firenze, Perugia, Bergamo, Mantova, Bologna e Milano. Al Sud lo scarto è invece nettissimo, con il No in molti casi (come la Sardegna e alcune città di Sicilia e Calabria) al 70 per cento. E in media sempre intorno al 67 per cento.

Quanto all’affluenza, il dato generale è stato spinto soprattutto dal Centro-nord. Meno marcato, ma sempre abbondantemente sopra il 50% al Sud.

Il boom di partecipazione rimane dunque lontanissimo dall’affluenza di qualunque consultazione referendaria, anche le più recenti come quella sull’acqua pubblica del 2011 (che registrò il 54,8%) e quella di quest’anno sulle trivelle (il 31,1%). Per trovare dati raffrontabili bisogna guardare alle ultime politiche. Nel 2013 per la Camera andò a votare il 75,1% degli aventi diritto. E il confronto non reggerebbe neppure con le europee 2014 quando la partecipazione si fermò al 57,2 per cento.

Buona l’affluenza persino nelle zone del terremoto, dove i seggi (spesso accorpati) sono stati allestiti in sedi alternative, dalle tensostrutture alle palestre. E ai residenti è stata lasciata la scelta di votare anche nelle zone in cui sono sfollati.

Giornata elettorale tesissima quella di ieri, che si è portata dietro i nervosismi di una campagna elettorale durissima. A dominare è stata la polemica sulla matite copiative. Aiutati dal tam tam sui social, alcuni dubbi sui lapis distribuiti ai seggi, ritenuti dai votanti non copiativi, cioè cancellabili, sono rimbalzati da nord a sud. E il caso è montato pian piano tenendo banco per parecchie ore della giornata. In alcuni casi le segnalazioni sono poi sfociate in vere e propie denunce ai presidenti di seggio o interventi della polizia.

Tra i primi a denunciare sospetti sulla matita per il voto il cantante Piero Pelù, che posta anche la foto di quanto messo a verbale al seggio e innesca molte reazioni sul suo profilo. Le segnalazioni si moltiplicano. Interviene il leader della Lega, Matteo Salvini, che invita a tenere «occhi aperti» e a «non farsi fregare». In Campania è Fulvio Martusciello, europarlamentare di Fi e responsabile nazionale dei “difensori del voto”, a mettere in guardia. Infine l’intervento ufficiale del Viminale per assicurare che «le matite sono indelebili» e servono solo per il voto. Svelata anche la marca: è la tedesca Faber Castell. Quest’anno, fa sapere l’Interno, ne sono state acquistate 130mila e le «Prefetture possono utilizzare anche le matite che sono rimaste in deposito dagli anni precedenti». Ma il caso non sembra chiuso. Il Codacons infatti ha annunciato che presenterà un esposto al ministero dell’Interno e in 140 procure.

La Repubblica
LE DIMISSIONI

di Carmelo Lopapa

«Boom di votanti ai seggi. Bocciata la riforma costituzionale cui il premier aveva legato la prosecuzione del mandato. Il Sì travolto al Sud, avanti solo in Toscana, Emilia e Trentino. Il capo del governo nella notte parla in tvIl No dilaga al 59%. Renzi lascia in lacrime “La sconfitta è mia, ora tocca a chi ha vinto”»

Una valanga di No travolge la riforma costituzionale, affonda il governo Renzi, impallina il segretario del Partito democratico. E il capo dell’esecutivo non attende un solo istante, le dimissioni sono immediate, nella notte, il viso segnato dalle lacrime, il nodo in gola: «Io ho perso e lo dico a voce alta. Non si può fare finta di nulla. Domani pomeriggio (oggi,ndr)riunirò il Consiglio dei ministri e salirò al Quirinale per le dimissioni. Il No vince in modo netto, ai loro leader le mie congratulazioni, a loro onori e oneri insieme alla grande responsabilità della proposta a cominciare dalle regole. Ci abbiamo provato, ma non ce l’abbiamo fatta. Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta». La moglie Agnese lo guarda a pochi metri di distanza, commossa anche lei.

La conferenza stampa era stata convocata già in serata, quando il tam tam degli exit-poll non lasciava margini di dubbio, poi confermati alla chiusura dei seggi. A mezzanotte il dato è già inequivocabile: 59 per cento i No (Ipr marketing-Piepoli per Rai), il Sì lontano un abisso: al 41. Trascorrono pochi minuti dalla chiusura delle urne e i falchi dell’opposizione vanno subito in tv per dichiarare “morto” il governo Renzi, preannunciare le dimissioni del premier, dichiararsi i veri vincitori. Così Matteo Salvini, il primo, poi Renato Brunetta («Game over»), Giovanni Toti («Legislatura finita») infine i grillini in sequenza («Al voto subito »).

Un risultato che viaggia sull’onda di un’affluenza da record, che tocca quasi percentuali da politiche: le prime proiezioni danno qualche decimale appena sotto il 70 per cento (nel 2013 per Camera e Senato era stata al 75). Marea che tanti esperti avevano stimato avrebbe avvantaggiato il Sì. I risultati dicono il contrario. Lo si è capito già dopo le 19, quando il flusso di elettori ai seggi era lievitato a dismisura in regioni quali Veneto, Sardegna e Sicilia, autentiche roccaforti antirenziane.

La famosa «maggioranza silenziosa » sulla quale il presidente (dimissionario) Matteo Renzi aveva investito è davvero andata a votare. Ma schierandosi dalla parte opposta a quella da lui sperata. Fallito anche l’ultimo tentativo del segretario pd di “de-politicizzare” la consultazione. Il voto diventa politico, punitivo per il suo governo, oltre ogni attesa. Soprattutto al Sud. Le prime proiezioni del Viminale confermano un trend schiacciante.

Dalla Sicilia alla Puglia si viaggia in media con percentuali vicine al 65 per cento per il No, al 35 per il Sì. Col boom clamoroso della Campania del governatore (renziano) Vincenzo De Luca: quando erano scrutinate 122 sezioni, il No aveva toccato la quota del 70 per cento. A mezzanotte, solo in tre regioni, Trentino Alto-Adige, Emilia e Toscana, il Sì risulta in vantaggio.

Non è un caso del resto se sono politiche e immediate le conseguenze che Matteo Renzi trae già in nottata. Adesso entra in gioco il Quirinale. Domani la direzione del Pd.

Il Fatto Quotidiano online
LA CARTA HA VINTO COL 60%.
AL VOTO 34 MILIONI DI ITALIANI
di Marco Palombi

«Risultati - Affluenza altissima vicina al 69%. Sono circa 20 milioni i voti contro la riforma Boschi-Verdini, 5 in più dei Sì che vincono solo in Toscana, Emilia e Trentin»

Ha vinto il No. E ha vinto bene. Ha perso Matteo Renzi. E ha perso male. Questo dicono i numeri e i voti: quando lo scrutinio è oltre il 50% dei voti i No sono quasi uno su sei, un’enormità. Anche perché – sulla valanga istituzionale innescata dal referendum – pesa in primo luogo un dato numerico che è anche squisitamente politico: un’affluenza che per un referendum non si vedeva da oltre vent’anni, dalle consultazioni radicali del 1993, trainate dal referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, che portò alle urne il 77% degli elettori.

Ieri ai seggi sono andati quasi 34 milioni di italiani – il 69% circa del corpo elettorale – per votare sulla riforma costituzionale proposta dal governo di Matteo Renzi ed era già una buona notizia: per questo patrimonio di partecipazione dobbiamo paradossalmente ringraziare proprio il presidente del Consiglio, che ha trasformato la consultazione in un’ordalia sul suo esecutivo, costringendo molti italiani a schierarsi.

La seconda buona notizia – buona notizia almeno per noi del Fatto, assai meno a Palazzo Chigi – si fa chiara nella notte: gli italiani hanno respinto in massa la riforma scritta da Maria Elena Boschi, Denis Verdini e soci. L’idea di perdere il diritto di voto per il Senato e passare in buona sostanza la funzione legislativa dal Parlamento al governo non hanno fatto abbastanza proseliti, nonostante le energie e i milioni di euro spesi dal premier e dal Pd per convincerli del contrario.

Gli italiani, peraltro, non solo hanno respinto la riforma, lo hanno fatto in un numero tale che rende definitivo il fallimento politico dell’operazione di Palazzo tentata da Matteo Renzi su mandato di Giorgio Napolitano, la cui fragile eredità politica svanisce nella notte che ha condotto l’Italia al 5 dicembre. Alla fine sono oltre sei milioni in più i voti di chi ha bocciato la riforma: i Sì, circa 13 milioni e mezzo, vincono bene solo nella provincia di Bolzano (nettamente) e sembrano avanti di poco in Toscana e Emilia Romagna. Il resto è un pianto, specie al Sud.

Risultato netto, dunque, i cui contorni andranno studiati con cura. A partire dall’affluenza: alta, molto, se si pensa che al referendum costituzionale di dieci anni fa che bocciò la cosiddetta devolution di Berlusconi e Bossi – riforma non a caso assai simile a quella di Renzi – si presentò solo il 52,4% degli aventi diritto, vale a dire 25,7 milioni di italiani.

Altissima la partecipazione nel Nord Italia, ma non bassa neanche nel Mezzogiorno, dove storicamente si vota di meno. Grandi numeri in Lombardia, ma soprattutto in Veneto, dove il Pd è ridotto ormai a un partitino residuale e infatti i No volano verso il 62% col 76,6% di affluenza, la più alta. Notevole che – anche se stavolta non c’era quorum – per la prima volta da molto tempo in tutte le Regioni italiane è stato superato, e in scioltezza, il 50% degli aventi diritto.

Questi numeri dicono una cosa ulteriore. Evidentemente – al di là del merito della riforma, assai poco frequentato anche da Renzi – il voto è stato pienamente politico e i bacini elettorali dei vari partiti hanno retto. Tradotto: il premier non è riuscito a prendersi i voti degli altri, almeno non in misura sufficiente visto che la sua potente e ricca macchina elettorale ha comunque messo assieme 13 milioni e mezzo di voti. Come detto, ahilui, sei milioni abbondanti in meno delle schede che chiedevano una bocciatura della riforma su cui Renzi ha deciso di giocarsi tutto. Le prime analisi sui flussi (degli exit poll) rivela che la grande maggioranza degli elettori di Forza Italia, Lega e M5s si è mossa come chiedevano i partiti.

D’altra parte è stato lo stesso Renzi a mettere in gioco il suo governo e la sua carriera nella competizione finendo per ingolosire le opposizioni, soprattutto dopo la scoppola – mai ammessa – rimediata alle Comunali di giugno: hanno visto l’opportunità di buttarlo giù e l’hanno usata. Fortunatamente, per quella che chiamano eterogenesi dei fini, hanno finito per salvare la Costituzione dallo scempio.

Breve nota sul voto estero. Le veline di Palazzo Chigi – che propalavano una affluenza al 40% con 1,6 milioni di voti – si sono rivelate false esattamente come Il Fatto aveva scritto sabato: affluenza al 30,8% con 1,25 milioni di voti arrivati nell’hangar di Castelnuovo di Porto, vicino Roma. Tra gli italiani all’estero, come previsto, alla fine sembra aver vinto il Sì largamente. Visti i numeri dei votanti in patria, però, lo sforzo (assai costoso) per convincere gli emigrati non è servito a granché.

il manifesto
UNA VALANGA DI NO
SEPPELLISCE IL GOVERNO.
RENZI: FINISCE QUI
di Daniela Preziosi

«Il popolo sovrano. I primi dati parlano del 60 per cento. Oggi va al Quirinale Il premier: «Non ce l’abbiamo fatta, la responsabilità è mia». Il (quasi ex) premier ora alle prese con il nodo del partito. Martedì convocata la direzione»

«Ho perso, mi prendo tutta la responsabilità», «l’esperienza del mio governo finisce qui, perché non possono restare tutti incollati alle loro abitudini prima che alle loro poltrone. Non ce l’ho fatta e la poltrona che salta è la mia». Poco dopo la mezzanotte il presidente del consiglio si presenta a Palazzo Chigi alle telecamere e rassegna in diretta tv le sue dimissioni da premier. Oggi pomeriggio salirà al Colle per farlo davvero, rispettando la Costituzione che gli elettori gli hanno impedito di modificare male. Renzi si commuove quando ringrazia la moglie Agnese e i figli, quando manda «un abbraccio forte agli amici del Sì».

Finisce qui, dice lui, la storia del governo Renzi. Seppellito da una valanga di No. Mentre il manifesto chiude questa edizione poco più della metà delle schede scrutinate dicono No al 59,5 per cento e Sì al 40,5.
È una sconfitta netta, annunciata da ore. Quando manca più di un’ora alla chiusura dei seggi, gli exit poll in teoria ancora sotto embargo. Ma la notizia è clamorosa, non si trattiene, straripa sulla rete, nei canali tv che stanno per dare inizio alle loro maratone. La forbice fra No è Sì è impressionante. Quando, a urne chiuse comincia lo spoglio reale delle schede, è pure meglio. Peggio per il governo e la sua maggioranza.

La sconfitta è irreparabile, definitiva. Forse non inaspettata, ma difficile da governare date le dimensioni. Una sportellata senza precedenti. Forse, in scala, il risultato delle scorse amministrative era stata un aperitivo, un assaggio, una premonizione. Che Renzi e i suoi però non hanno voluto forse saputo vedere.

È una valanga quella che seppellisce la proposta di riforma Renzi-Boschi, e con la riforma dà uno scossone al governo, alla sua maggioranza e al Partito democratico. Al Nazareno tira un’ariaccia già alle otto di sera. I sondaggi riservati circolano fra le scrivanie e non lasciano margini di dubbio da giorni. Tetragoni alla realtà che bussa alle porte, quelli del comitato Bastaunsì non hanno smesso la propaganda. Uno degli ultimi sms distribuiti a pioggia agli elenchi dei votanti delle primarie: «Siamo in fortissimo recupero. Siamo sul filo dei voti. Gli sforzi di queste ore possono essere decisivi. Avanti tutta, basta un Sì». Alla mezzanotte di domenica questi messaggi sembrano una beffa grottesca, quella di un partito (e un governo) che ha voluto testardamente andarsi a schiantare a tutta velocità contro il muro della propria autosufficienza.

È Lorenzo Guerini, alle 23, a metterci la faccia. Il vicesegretario è terreo. Laconico. «Renzi parlerà in conferenza stampa fra circa un’ora. Noi oltre a valutare i risultati che arriveranno, convocheremo gli organi del partito nel giro di pochi giorni e già martedì convocheremo la direzione nazionale per l’analisi dell’esito referendario». Al partito sono arrivati Deborah Serracchiani, i capigruppo Rosato e Zanda, il ministro Dario Franceschini. Al Nazareno circola la voce che se le dimensioni della sconfitta restano queste delle prime ore della notte martedì potrebbero arrivare le dimissioni di Renzi, stavolta da segretario del Pd. Del resto le aveva promesse all’inizio della sua corsa

referendarie, cambiando poi parecchie volte opinione. Ma è difficile: «È tempo di rimettersi in cammino» dice alla fine del suo discorso di Palazzo Chigi. Mentre Guerini parla, Renzi da tempo ha dato appuntamento ai giornalisti, segnale inequivocabile di sconfitta. Gli elettori e le elettrici hanno dimostrato di non apprezzare nulla di lui: la riforma, la boria, l’insulto dell’amico e del nemico, la narrazione tossica delle proprie leggi, i mille giorni di governo, mille giorni di errori da meditare.

Dall’altra parte «l’accozzaglia» gioisce, ciascuno con il suo stile e la sua misura. Il primo a scattare è Matteo Salvini. Il primo a chiedere le dimissioni di Renzi: «Se i dati verranno confermati, gli italiani Renzi lo hanno rottamato». Dimissioni vengono chieste a gran voce da tutta la destra: Giorgia Meloni, Renato Brunetta. Ma il prossimo governo dovrà fare una legge elettorale nuova, dopo che la Corte Costituzionale si sarà pronunciata sull’Italicum. A meno che non la bocci per intero.

Da sinistra i toni sono tutt’altri. L’«accozzaglia» non è un fronte politico comune, a differenza di quello che Renzi e i suoi hanno ripetuto fino allo sfinimento in campagna referendaria, a reti unificati. Senza mai convincere elettori ed elettrici. Arturo Scotto, di Sinistra italiana, chiede un intervento del Quirinale. «Renzi lascia un campo di macerie, ora ci affidiamo alla saggezza del presidente Mattarella». La sinistra bersaniana, riunita in una casa privata, frena i commenti. Non è il momento di assecondare pulsioni autodistruttive, il partito è già nel caos. «Eravamo nel giusto», dice solo Roberto Speranza.

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