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Antonio Cederna
Napoli: lo scudetto della ricostruzione
8 Aprile 2016
1980 Napoli il piano delle periferie
In occasione dell'iniziativa
In occasione dell'iniziativa Una città un piano sul programma di ricostruzione del post-terremoto di Napoli, recuperiamo un articolo di Antonio Cederna che descrive i risultati raggiunti e le lezioni impartite, la Repubblica, 20 maggio 1987 (m.b.)
Non c’è solo la Napoli che vince il campionato di calcio, non c' è solo la città disastrata da inquinamento, caos edilizio e dalla speculazione: c' è una Napoli tutta diversa di cui bisogna parlare perché finora è stata completamente, inspiegabilmente ignorata dalla stampa, dalla televisione, dagli stessi partiti politici.
E' la Napoli delle periferie ricostruite dopo il terremoto del novembre 1980, che senza mezzi termini può essere definita un modello di pianificazione urbanistica. Chi vuole scoprirla deve affrontare itinerari inconsueti, essere accompagnato da qualcuno dei valenti tecnici dell' ufficio da sei anni preposto al programma straordinario di edilizia residenziale (in base alla legge 219 del maggio 1981), e arrivare finalmente a Soccavo, a Secondigliano, a Piscinola-Marianella, a S. Pietro a Patierno, a Ponticelli, a Miano, a Barra-San Giovanni.
E qui, dove più grave era il disagio abitativo e più pesanti i danni del terremoto, ci si può rendere conto che si sta portando a compimento il più importante piano di edilizia economica e popolare degli ultimi decenni in Italia. A sette anni dal terremoto il settanta per cento del programma è realizzato. Dei 14.000 alloggi (per 63.000 vani) previsti dalla legge della ricostruzione, più di 7.000 sono ultimati, e di questo quasi 5.000 sono già abitati. Assieme agli alloggi sono ultimate 32 sedi scolastiche (e altre 36 sono in fase avanzata), 6 impianti sportivi fra cui due piscine; oltre un centinaio di ettari sono riservati a parco, giardino, verde condominiale; 1.500 sono i negozi e i laboratori artigianali, in gran parte ricavati al pianterreno dei nuovi complessi edilizi, per 2.500 addetti. Insomma, oltre 22.000 persone vivono già negli insediamenti rinnovati della periferia: il che vuol dire che in appena quattro anni (da quando cioè è stata pubblicata la prima graduatoria per l' assegnazione degli alloggi febbraio ' 83 si è attuato senza particolari traumi, drammi o disordini un trasferimento di popolazione di proporzioni mai viste, da nuclei edilizi fatiscenti e con intollerabili indici di affollamento (fino a tre persone per stanza) a quartieri finalmente civili. Ed entro l' anno si prevede che saranno sistemate in tutto ottomila famiglie.
Già questo è un risultato eccezionale, ma altre ancora sono le lezioni che ci impartisce la ricostruzione di Napoli, avviata dalla giunta di sinistra nell' 81 allorché, in base alla legge, al sindaco furono assegnati poteri di commissario straordinario di governo. Gli uffici comunali vennero potenziati con un' équipe di giovani estremamente competenti coordinati da Vezio De Lucia e affiancati da consulenti di prestigio nazionale (ricordiamo solo Giuseppe Campos Venuti, Leonardo Benevolo, Cesare De Seta, Italo Insolera, Tommaso Giuralongo, Alessandro Dal Piaz): e i tempi strettissimi imposti dalla legge vennero rispettati.
In appena dieci giorni vennero individuate le aree, due mesi sono bastati per espropriare poco meno di 600 ettari e per stipulare le convenzioni con le imprese concessionarie. Tutte operazioni che meritano un commento.
1) Si è proceduto all' esproprio perché, come insegnano i paesi avanzati, non si possono condurre a buon fine interventi di tale entità, se l' ente pubblico non entra in possesso dei suoli per assicurarsi il controllo delle operazioni ed evitare speculazioni. Quei suoli sono stati espropriati a un prezzo maggiorato del 70 per cento rispetto a quanto previsto dalla legge Bucalossi del ' 77: per una spesa di 390 miliardi, che ha inciso per meno del 10 per cento sul costo globale della ricostruzione, e l' ha resa possibile.
2) Non si realizzano in modo razionale i programmi se non si può contare su un' imprenditoria efficiente e su un costante controllo pubblico. L' ufficio tecnico del commissariato ha saputo concordare procedure, tempi e modalità della ricostruzione, e ha esercitato una verifica permanente dei progetti e della loro rispondenza alle prescrizioni: l' istituto della concessione è stato così depurato dei rischi che di solito comporta quando il potere pubblico lascia carta bianca ai privati. Qui ricordano ancora un fatto memorabile, il giorno in cui nella sala della giunta comunale furono stipulate le convenzioni con le imprese private (ottanta, riunite in dodici consorzi): l' applauso che imprenditori e costruttori riservarono al comunista Guido Alborghetti, vicepresidente della commissione lavori pubblici della Camera, che il sindaco-commissario Valenzi aveva voluto dirigesse l' operazione. E poco dopo il giornale della Confindustria scriveva che a Napoli si era verificato quasi un miracolo. Quale? Per la prima volta, in questa città sottoposta da sempre a saccheggio edilizio, imprenditori e costruttori potevano iniziare a lavorare senza pagare tangenti. E Leonardo Benevolo commentava: Dopo decenni di malgoverno, si assiste al recupero della legalità, della correttezza urbanistica e dell' efficienza amministrativa.
3) E' una lezione più propriamente urbanistica. Per circa due terzi la ricostruzione (oltre ad alcuni interventi puntuali nel centro storico) è stata concentrata nella periferia, nei dieci ex-comuni rurali che mezzo secolo fa furono annessi a Napoli: gli stessi che erano stati compresi in uno strumento adottato dal comune sette mesi prima del terremoto, il piano delle periferie. La lezione è dunque questa: se il terremoto ha accelerato la decadenza della città abbandonata all' incuria, il piano straordinario di ricostruzione è sfuggito alla logica dell' emergenza e ha accelerato l' attuazione di un intervento ordinario. Ovvero, l' emergenza-terremoto non è stata usata per sconvolgere il piano regolatore, ma per realizzare un programma già predisposto e disponibile. A Napoli dunque si sta portando a compimento il più vasto programma di riqualificazione urbana mai attuato in Italia, e le modalità sono di grande interesse.
Non è stata scelta la strada facile della tabula rasa. Dei 14.000 alloggi previsti, circa 3.000 sono frutto di recupero: di un' operazione cioè che comprende la conservazione e il risanamento di quanto è possibile conservare e risanare, la sostituzione degli edifici in condizione di degrado irrimediabile e il completamento nelle aree marginali, il tutto finalizzato al sostanziale rispetto del tessuto insediativo preesistente. Così, la periferia riqualificata offre uno spettacolo non comune in Italia.
Colpisce l' ordine e la misura dei volumi edilizi, la presenza dei servizi e delle attrezzature sociali (che, altra cosa rara, vengono realizzati contemporaneamente agli alloggi), colpisce la qualità e la distribuzione delle aree verdi, l' accuratezza con cui vengono adottate le tecniche antisismiche nei vecchi edifici risanati, la buona qualità dell' architettura: a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che la buona architettura può nascere solo dalla buona urbanistica.
Ammiriamo allora a Secondigliano (non lontano dall' omonimo quartiere di edilizia sovvenzionata che tanto male ha fatto parlare di sé) il modo in cui sia l' edilizia di sostituzione che quella interamente nuova rispettano la preesistente tipologia a corte e come siano permeabili dal verde, come sono sistemati il parco, il parcheggio, gli edifici scolastici. A San Pietro a Patierno, come i nuovi edifici sono inseriti nel vecchio tessuto, le vaste piazze a giardino all' interno dei lotti, la scuola col piccolo teatro all' aperto, il restauro in corso del vecchio nucleo. A Piscinola-Marianella le nitide case in armonia con l' andamento del terreno, collegate da passaggi coperti. A Milano, il lungo edificio curvilineo affacciato sul verde, le grandi corti attrezzate, la ristrutturazione in atto dell' edificato esistente. A Ponticelli la strada tra due file di edifici con percorsi pedonali sopraelevati, l' inalterata gerarchia dei percorsi stradali nella ristrutturazione del centro storico, l' ampio giardino su cui prospetta la bella scuola materna. A Barra, il restauro in corso delle vecchie case a corte, alcune sostituite con elementi prefabbricati, nel rispetto dell' antico impianto edilizio.
A S. Giovanni, il restauro del nucleo di Villa e, ai piedi del grande e nuovo edificio con strada interna a negozi, la grande sorpresa: un pezzo di Scandinavia calato nella periferia napoletana, senza paragone altrove nel nostro paese. E' il gran parco di Taverna del Ferro, di dieci ettari, col lago di acqua zampillante, la collina panoramica alberata, il giardino all' italiana, il giardino d' inverno, il vivaio, il teatro all' aperto, spazi per il riposo e il gioco. C' è da restare a bocca aperta.
Il verde pubblico è stato una delle più innovative realizzazioni del piano straordinario di edilizia residenziale: un centinaio di ettari (per 110 miliardi), parchi di quartiere e parchi urbani, che hanno più che raddoppiato la dotazione di verde di Napoli, portandola dalla media infima di 0,6 metri quadrati per abitante (un loculo, un tombino) a 1,77. Quando nel programma della ricostruzione queste aree furono destinate a verde, i tecnici furono presi per matti: per la torpida mentalità delle pubbliche amministrazioni il verde non è infatti un servizio pubblico essenziale alla vita associata ma un lusso, un vuoto da riempire se non un letamaio. Anche per questo è doveroso ricordare il nome di qualcuno degli esperti, competenti e appassionati, che hanno impostato e stanno portando a termine il programma straordinario: Elena Camerlingo, Giovanni Dispoto, Giancarlo Ferulano, Maria Franca de Forgellinis, Carlo Gasparrini, Roberto Giannì, Giuseppe Pulli, Laura Travaglini, e ci scusiamo con gli altri. (Coordinatore, oggi, è Michele Martuscelli).
Quale la dimensione finanziaria del programma? Circa 5.400 miliardi: 851 per gli alloggi, 427 per le opere di urbanizzazione primaria (strade, reti di servizi, ecc.); 571 per l' urbanizzazione secondaria (tra cui 1290 posti di asilo nido, incrementando del 430 per cento quelli esistenti; 2.450 posti in scuola materna; 12.350 posti-alunno della scuola dell' obbligo, verde, attrezzature collettive: dai distretti sanitari ai centri per anziani, dai centri culturali agli uffici comunali, dalle biblioteche ai centri civici eccetera); 1.300 per le infrastrutture generali (adeguamento della rete fognaria e idrica, grandi arterie viarie), il tutto al servizio di un bacino di utenti parecchie volte superiore alla popolazione insediata e da insediare negli alloggi del programma straordinario.
Una novità sostanziale è stata la fissazione del prezzo a forfait anche per il recupero per evitare le lungaggini e quindi le lievitazioni dei costi che avrebbe comportato la determinazione a misura: ed è stato confermato che il recupero alla fine risulta meno costoso delle costruzioni interamente ex-novo. Tutto perfetto dunque, chiederebbe a questo punto il furbo di turno?
I problemi naturalmente ci sono (qualche attività produttiva che si rivela incompatibile con la residenza, una ancora non risolta distinzione tra spazi pubblici e spazi privati che ha riflessi sui rapporti di vicinato, qualche difetto di progettazione come nel gran parco con lago che abbiamo ricordato, ancora viziata dai vecchi criteri del giardinaggio all' italiana, eccetera). Ma sono problemi marginali che col tempo e la gestione si aggiustano, problemi inevitabili proprio quando ci si deve adattare a migliori e più umane condizioni di vita associata: quel che conta è che si sta portando a termine una grandiosa operazione urbanistica, sociale, economica.
Una cosa che non sembra interessare il nostro paese amante delle chiacchiere: nemmeno il partito comunista che pure l' ha avviata ha mai dedicato ad essa un convegno, una discussione, uno studio, mai un articolo sull' Unità. Alla nostra cultura vetero-architettonica interessa di più la sagoma deforme del nuovo palazzo di giustizia in costruzione nel nuovo centro direzionale, che si intravede dalla tangenziale mentre ci si sposta da una periferia all' altra.
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