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Luigi Manconi
Le parole censurate di papa Francesco
23 Dicembre 2015
Jorge Mario Bergoglio
«Desidero rinnovare l’appello alle autorità statali per l’abolizione della pena di morte, là dove essa è ancora in vigore, e a considerare la possibilità di un’amnistia». E tuttavia anche questo secondo e vigoroso richiamo rimane assolutamente inascoltato».
Il manifesto, 23 dicembre 2015 (m.p.r.)

Ogni parola pronunciata da Papa Francesco viene - giustamente, molto giustamente a mio parere - riportata con grande attenzione e ampio spazio. E viene spesso condivisa e approfondita. Ma anche questa regola prevede una eccezione e accade così che una parola del pontefice - quella parola - sia inesorabilmente censurata. E la parola è: amnistia. L'attuale papa la pronunciò una prima volta lo scorso settembre: «Il Giubileo ha sempre costituito l'opportunità di una grande amnistia, destinata a coinvolgere tante persone che, pur meritevoli di pena, hanno tuttavia preso coscienza dell'ingiustizia compiuta e desiderano sinceramente inserirsi di nuovo nella società portando il loro contributo onesto».

Chiaro, no? Eppure si verificò un fatto singolare e istruttivo. Monsignor Rino Fisichella che, in qualità di presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, era il destinatario del documento, si affrettò manzonianamente a «sopire, troncare». Fisichella, da decenni definito «cappellano di Montecitorio» e aduso a comportarsi come tale, affermò che in quella lettera non c'era «alcuna intenzione di rivolgersi al governo e agli Stati». E così, «il monsignore più chic che c'è» (appellativo che un suo autorevole collega mi sussurrò un giorno all'orecchio) sostenne in sostanza che si era scherzato. Si potrebbe dire, uno scherzo da prete destinato a dare la baia a Giorgio Napolitano e ai radicali, al manifesto e a chi scrive, a numerosi e autorevoli giuristi e, soprattutto, a decine di migliaia di detenuti. Secondo Fisichella, insomma quella parola - amnistia - non andava presa alla lettera, non andava intesa in senso strettamente giuridico e non era indirizzata alle autorità politiche italiane e a quelle di altri paesi.
La cosa venne così tanto apprezzata dalla classe politica, si fa per dire, laica, che la parola impronunciabile ritornò immediatamente nell'oblio. Ma ecco che il 16 dicembre, implacabile, il Pontefice riprende l'argomento e le sue parole non consentono più dubbi: «Desidero rinnovare l’appello alle autorità statali (attenzione: rinnovare, nda) per l’abolizione della pena di morte, là dove essa è ancora in vigore, e a considerare la possibilità di un’amnistia». E tuttavia anche questo secondo e vigoroso richiamo rimane assolutamente inascoltato: al punto che non si apre nemmeno uno straccio di discussione pubblica. Eppure - è proprio il caso di dire - dio solo sa quanto un'amnistia sia oggi indispensabile e indifferibile, tenuto conto che le positive misure adottate dagli ultimi due ministri della giustizia, Annamaria Cancellieri e Andrea Orlando, hanno deflazionato una situazione abnorme, ma certo non l'hanno avviata a soluzione. E se c'è stata una riduzione del sovraffollamento penitenziario, le condizioni complessive della reclusione in Italia restano drammatiche; e il sovraccarico di fascicoli e procedimenti per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia penale, per limitarci a questa, costituisce un macigno che arriva a compromettere la stessa tenuta democratica del sistema.
Ciò nonostante, quella parola o, meglio, quelle due parole, amnistia e indulto, rimangono sottoposte a censura. Una censura in primo luogo culturale e ideologica. E che è il frutto della combinazione perversa tra il populismo penale di una classe politica codarda e priva di autonomia e un senso comune nevrotizzato da campagne d'odio che producono allarme sociale e panico morale. Tutto ciò è già accaduto e tende a riprodursi all'infinito. Nel novembre del 2002 papa Giovanni Paolo II, in visita alla Camera dei deputati chiese «alle pubbliche istituzioni» di manifestare «un segno di clemenza» attraverso una «riduzione della pena per i detenuti». Ci vollero quasi quattro anni prima che il Parlamento approvasse quella «riduzione della pena» (l'indulto). C'è da chiedersi: quanto ce ne vorrà, oggi, di tempo? Buon Natale a tutti, custoditi e custodi.
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