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Maria Cristina Gibelli
Grand Lyon Métropole e Città Metropolitana Milanese: un confronto impari
25 Ottobre 2015
Maria Cristina Gibelli
Il 17 e 18 settembre scorsi la scuola di eddyurg si è strasferita a Lione per due giorni di fitti incontri con amministratori ...(continua a leggere)



Una riflessione documentata che evidenzia lo iato incolmabile fra le innovazioni in atto nel governo e nella pianificazione dell’area metropolitana lionese e i modestissimi risultati finora conseguiti nel percorso di istituzione e attribuzione di competenze alle nostre Città Metropolitane: in particolare a quella milanese.

Il 17 e 18 settembre scorsi la scuola di eddyburg si è strasferita a Lione per due giorni di fitti incontri con amministratori e tecnici del Grand Lyon e dell’Agence d’Urbanisme de l’Agglomération Lyonnaise. Queste mia note sono dedicate a mettere in evidenza, sia pure per cenni sintetici, lo iato incolmabile fra le innovazioni in atto nel governo e nella pianificazione dell’area metropolitana lionese e i modestissimi risultati finora conseguiti nel percorso di istituzione e attribuzione di competenze alle nostre Città Metropolitane (CM), in particolare a quella milanese.

Dal gennaio 2015 a Lione è attivo un ente di governo metropolitano a ‘statuto particolare’, grazie alla entrata in vigore nel 2015 della “Loi de modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation des métropoles” (MAPAM) la quale, a differenza della coeva ma dannosa legge Delrio[1], ha istituito città metropolitane con competenze molto estese, pur riconoscendo e legittimando percorsi istituzionali differenziati sulla base delle caratteristiche delle singole agglomerazioni metropolitane e dello stato di avanzamento dei processi locali di governance di area vasta. La Communauté Urbaine de Lyon, che partiva avvantaggiata grazie alla sua lunga e positiva tradizione di concertazione intercomunale, è stata considerata ‘matura’ per un passaggio immediato allo statuto di “collectivité territoriale unique[2].

La legge istituisce due altre collettività territoriali a statuto particolare: la Métropole du Gran Paris che entrerà in vigore nel 2016 raggruppando la capitale e i dipartimenti della petite couronne (Hauts-de-Seine, Seine-Saint-Denis et Val-de-Marne), con compiti di pianificazione territoriale e ambientale e di politica abitativa (mentre i trasporti continueranno ad essere in capo alla regione Ile-de-France); e la Métropole di Aix-Marseille Provence che a partire dal gennaio 2016 si sostituirà alle sei associazioni intercomunali esistenti sul territorio. La legge autorizza il passaggio volontario al governo metropolitano delle altre 10 Communautés Urbaines (Tolosa, Lille, Bordeaux, Nantes, Strasburgo, Rennes, Rouen, Grenoble, Montpellier e Brest). I tempi sono in questo caso flessibili ma, per sollecitarne l’istituzione, a legge approvata François Hollande ha immediatamente sottolineato che le dotazioni finanziarie erogate dallo Stato avrebbero potuto “variare in funzione dell’impegno delle amministrazione locali”. Risultato: tutte le potenziali Métropoles si sono rapidamente adeguate e hanno avviato il percorso istituzionale previsto dalla legge.

Da sottolineare poi che tutte le Métropoles sono istituzioni locali a fiscalità propria: una riforma federalista con la quale la nostra legge sulle CM non ha alcun elemento in comune.

La istituzione dei governi metropolitani non è che un passaggio (anche se certamente importante) di una più ampia riforma delle amministrazioni locali che ha già ridimensionato il numero delle Regioni[3] e che, sempre nel 2015, ha ridisegnato la struttura amministrativa del paese attraverso la Legge n. 991 del 7 agosto 2015 “portant nouvelle organisation territoriale de la République” (NOTRe): una legge che razionalizza e semplifica un sistema plurilivello, troppo articolato e frammentato, reso inefficiente dalle molteplici sovrapposizioni di competenze e divoratore di risorse pubbliche, che i francesi definiscono icasticamente "millefeuille territorial”.

Le competenze attribuite al neonato governo metropolitano lionese sono amplissime, e gli sono state obbligatoriamente trasferite (così come per tutte le istituende Métropoles) sia dal basso che dall’alto. Si aggiungono infatti a quelle già esercitate dalla Communauté urbaine de Lyon, ulteriori competenze precedentemente in capo ai comuni. Ma, soprattutto, a Lione si anticipa la riforma complessiva prevista dalla legge NOTRe: sul suo territorio essa esercita oggi anche le competenze spettanti al Département du Rhône, fra le quali quella fondamentale dei servizi alla persona. In questo modo, il governo metropolitano ha aumentato il numero di dipendenti (7.500) e portato il suo budget a 3,5 miliardi di euro. Insomma, Lione ha fatto di nuovo da apripista alle altre agglomerazioni urbane, e ha oggi a disposizione poteri e strumenti rilevanti per perseguire i suoi obiettivi ambiziosi e, come vedremo, non solo retorici: migliorare il ‘posizionamento competitivo’ di Lione; rendere più efficace e comprensibile l’azione pubblica; rispondere ai bisogni dei cittadini.

Quali sono oggi le competenze esclusive di Lyon Métropole? Ne faccio solo l’elenco. A quelle precedentemente in capo alla Communauté Urbaine (pianificazione territoriale, ambiente, politica abitativa, sviluppo sostenibile ed energia, trasporti e mobilità, sviluppo economico, relazioni internazionali, gestione dei rifiuti, gestione delle risorse idriche, strade, turismo e agricoltura), si aggiungono quelle precedentemente in capo al Département du Rhône (inserimento lavorativo, anziani, portatori di handicap, famiglia, istruzione superiore, infanzia, cultura, sport e turismo) e, infine, quelle previste dalla legge MAPAM (creazione e gestione dei servizi per la cultura - musei, teatri, biblioteche,…-, costruzione e gestione delle reti di climatizzazione e delle reti a banda larga ad alta velocità, prevenzione dalle inondazioni, prevenzione della delinquenza e accesso ai diritti, partecipazione alla governance delle stazioni ferroviarie, copilotaggio dei pôles de competitivité, gestione del parco alloggi, costruzione e gestione dei servizi per i veicoli elettrici, servizi antincendio, igiene e salute).

Voglio soffermarmi più in dettaglio sulle competenze di pianificazione territoriale e urbanistica, anche per evidenziarne la distanza siderale dai modesti obiettivi della legge Delrio e dalle iniziative sinora avviate nel contesto lombardo/milanese.

Oltre che del piano di area vasta (SCOT) già di sua competenza, il governo metropolitano diventa l’unico responsabile dei piani di destinazione d’uso dei suoli. Spetta infatti all’Agence d’Urbanisme de la Métropole la elaborazione del PLU (Plan Local d’Urbanisme) dell’intero territorio metropolitano - ovviamente in concertazione con i singoli Comuni-. Un PLU che oggi a Lione si sta trasformando (è in revisione) in PLU-H (Plan Local d’Urbanisme-Habitat), poiché anche tutta la politica abitativa è in capo al Grand Lyon e soggetta alla sua approvazione.

Nel PLU del Grand Lyon sono state introdotte delle modifiche sostanziali ad alcuni articoli delle norme tecniche di attuazione per consentire la messa in opera, sul territorio metropolitano, del dispositivo contenuto all’art.55 della legge urbanistica (SRU) del 2000 dedicato a ridurre l’emergenza e la segregazione abitativa dei soggetti più deboli[4]. In ogni progetto locale destinato nel piano a edilizia residenziale devono essere previsti i “secteurs de mixité sociale”; sono cioè prescritte quote non negoziabili di edilizia economico-popolare. In particolare, devono essere obbligatoriamente realizzate quote di alloggi in affitto articolate in PLAI (Prêt Locatif Aidé d’Intégration: riservato alle persone in situazione di grave precarietà), in PLUS (Prêt Locatif à Usage Social: l’HLM tradizionale) e in PLI (Prêt Locatif Intermédiaire): destinati a famiglie i cui redditi sono più elevati di quelli ordinari dell’HLM ma insufficienti per accedere al mercato privato. L’obiettivo per la metropoli è oggi di raggiungere una quota percentuale del 25% del patrimonio abitativo. E’ l’amministrazione metropolitana che definisce le modalità di intervento sia per gli aménageurs pubblici che per gli operatori privati. Ciò vale in particolare per i grandi progetti di rigenerazione urbana o di riuso di aree dismesse: ricorrendo a seconda dei casi al meccanismo delle ZAC (Zones d'Aménagement Concerté), alla formula del Projet Urbain Partenarial o al Permis d'Aménager attribuito al developer o di iniziativa pubblica.

Per contrastare la doppia velocità urbana, si utilizzano i Contrats urbains de cohésion sociale (CUCS) attraverso i quali i finanziamenti dello Stato vengono concentrati su 63 quartieri difficili appartenenti a 25 Comuni della Métropole. Si tratta di contratti che attivano misure per favorire l’accesso alla istruzione e all’impiego dei gruppi sociali emarginati, promuovere l’accesso ai diritti e alla socialità. I CUCS sono spesso di accompagnamento a progetti di rigenerazione fisica dei quartieri. La Métropole ha infatti un ambizioso programma di “renouvellement urbain” (ricostruzione della città su sé stessa): una prima tranche di finanziamenti su 12 siti ha investito 1,8 miliardi di euro per demolizione, ricostruzione, creazione di servizi e spazi pubblici.

Nei grandi progetti recenti di rigenerazione urbana si stanno realizzando densità molto elevate. Ma si tratta di mera densificazione o di intensificazione? La recente legge ALUR (n. 366 del 24 marzo 2014 “pour l'accès au logement et un urbanisme rénové”), oltre ad affrontare il problema del disagio abitativo e della crisi degli alloggi con l’intento di “favorire l’accesso di tutti a un alloggio accessibile” attraverso una serie di misure molto dettagliate sia cogenti che incentivanti, introduce anche norme per valorizzare la qualità urbana e degli spazi pubblici e, simmetricamente, per la tutela ambientale e il controllo di consumo di suolo agricolo, come esplicitamente statuito dalle Grenelle 2 sull’ambiente[5]. Infatti, contrasta la dispersione urbana attraverso nuovi strumenti di politica fondiaria affidati alle collettività locali, e con il progressivo trasferimento a tutte le associazioni intercomunali (non soltanto le Métropoles quindi) delle competenze, oggi comunali, in materia di elaborazione dei piani urbanistici d’uso dei suolo.

Inoltre, proprio per ottemperare agli imperativi della Grenelle 2, si è costituito volontariamente un innovativo coordinamento partenariale fra tre Agenzie di Pianificazione territorialmente contigue della Regione Rhône Alpes: l’Agence d’urbanisme de la région grenobloise, l’Agence d’urbanisme de la région stéphanoise e, naturalmente, l’Agence d’urbanisme de l’agglomération lyonnaise): “un partenariato su misura, di lungo periodo, dedicato alla coerenza e qualità dei progetti di territorio” che pone al centro la moderazione del consumo di suolo e il contrasto all’urbanizzazione a bassa densità.

Fra i grandi obiettivi strategici del governo metropolitano lionese primeggia dunque la lotta al consumo di suolo e la tutela perenne delle aree agricole e di pregio ambientale. E’ in questo quadro (metropolitano, non comunale) che vanno valutate le densità elevate che si registrano in alcuni nuovi grandi progetti di rigenerazione urbana realizzati o in corso di completamento (il più grande è Lyon Confluence); e anche alla luce di questi nuovi territori a geometria variabile costituiti da reti volontarie finalizzate a combattere lo sprawl insediativo.

Insomma, una mera comparazione con le densità di alcuni progetti milanesi (peraltro spesso orribili, come City Life), completamente affidati a logiche speculative e comunali, rischia a mio avviso di banalizzare il problema. Lyon Confluence può suscitare perplessità: ma soprattutto per alcuni aspetti relativi alla qualità della progettazione architettonica (che ha suscitato perplessità anche in molti “eddyburghiani”…). Ma il criterio della mera comparazione delle densità rischia di oscurare altri aspetti in cui le differenze con i progetti milanesi sono evidentissime: ad esempio per quanto riguarda il mix funzionale realizzato, la elevata offerta di HLM (il 25% della nuova offerta abitativa), la formidabile accessibilità pubblica, la dotazione di servizi di rilevanza locale e sopralocale e, soprattutto, il simmetrico arresto dell’espansione insediativa in aree di cintura metropolitana a elevato valore ambientale e agricolo[6].

Ulteriori elementi differenziano in maniera sostanziale il modello di governo metropolitano all’opera a Lione da quello che si prospetta per le nostre CM. Nel Grand Lyon la fiscalità urbanistica è di competenza metropolitana (dal 2012 si tratta, per le agglomerazioni francesi, di due tasse: “taxe locale d’aménagement” - 1/8 delle entrate ottenute viene riversato ai comuni- e “versement pour sous-densité”). È l’amministrazione metropolitana che definisce gli oneri urbanistici a partire dalle destinazioni d’uso del PLU di area vasta. E ancora, è il Grand Lyon che, su richiesta di molti Comuni (soprattutto i più piccoli), istruisce le procedure relative alle concessioni edilizie. Ad oggi, sono 22 i Comuni che si affidano all’amministrazione metropolitana: in particolare all’ADS (pôle Autorisation du Droit des Sols) che istruisce i dossier, dà supporto tecnico e operativo, suggerisce ai sindaci le decisioni da prendere, lasciando loro la decisione finale e la firma dell’autorizzazione. E questo aspetto non soltanto garantisce probabilmente scelte tecniche più efficaci, ma certamente anche una migliore coerenza con il progetto cha sostanzia il piano urbanistico generale di scala metropolitana.

Non è qui possibile entrare nel merito del sistema di perequazione territoriale introdotto per le associazioni intercomunali francesi all’inizio di questo secolo grazie a una legge votata nel 1999. Si può solo sottolineare che, anche se sono state modificate nel corso del tempo le fonti di prelievo a sostegno della perequazione intercomunale[7], essa continua a trasferire alle Métropoles e a tutte le associazioni volontarie intercomunali mediamente il 40% delle entrate fiscali locali. I comuni ricevono dallo stato una compensazione proporzionale alla rilevanza e numerosità delle competenze trasferite all’ente intercomunale. Si tratta di un modello di grande successo che più volte abbiamo richiamato come buona pratica e del quale non troviamo traccia nella nostra legislazione nazionale (né in molte leggi regionali…tantomeno in quelle della Regione Lombardia). Ma è proprio questo modello di solidarietà fiscale in ambito metropolitano che ha arginato le propensioni autonomistiche e individualistiche delle amministrazioni comunali; che ha consentito di porre un argine alla loro propensione a fare cassa attraverso la “zecca immobiliare” a scapito della tutela del territorio non urbanizzato.

Anche le politiche e gli strumenti messi in campo per la concertazione con gli attori e il coinvolgimento dei cittadini sono potenti ed istituzionalizzati. Li cito soltanto, senza entrare nel merito, poiché scopi e aggiornamento delle attività sono reperibili in internet: il Conseil de développement, la Commission consultative des services publics locaux, la Commission Intercommunale d'Accessibilité e la interessantissima Charte de la Participation Citoyenne già in vigore dal 2003 e approfondita nel 2011 per i Contrat Urbain de Cohésion Sociale relativi ai progetti di riqualificazione urbana.

Quest’anno, per effetto dei tagli alla spesa pubblica effettuati a livello nazionale, dopo un periodo di stabilità Grand Lyon sarà costretto (come già da alcuni anni sta avvenendo nelle altre grandi agglomerazioni urbane francesi) ad aumentare le tasse sulla casa: aumenteranno infatti sia la Taxe Foncière (la tassa che si applica sulla proprietà degli immobili) che la Taxe d’Habitation che è dovuta dal soggetto che abita l’immobile a qualunque titolo. Naturalmente qualsiasi riferimento all’ipotesi di abolizione di IMU e TASI caldeggiata da Matteo Renzi è puramente casuale…

E Milano?

Alla luce di quanto sommariamente evidenziato sull’attività riformatrice del governo francese in materia di legislazione urbanistica e di riforma amministrativa, che dire del modesto esercizio riformatore della legge Delrio e, in particolare, delle vicende esitanti della CM milanese e del disinteresse manifesto dell’amministrazione del capoluogo? Che certamente i nostri ‘policy maker’ nazionali e i nostri amministratori locali poco conoscono, e comunque assai poco si interessano, delle buone pratiche in ambito metropolitano all’opera nelle città europee. Non sono certamente consapevoli che le buone pratiche di concertazione intercomunale hanno funzionato in Francia come un formidabile acceleratore di innovazione economica, sociale e ambientale sia a livello centrale che locale[8].

Ma Milano e la Lombardia sono più che disattente.

Il 29 settembre 2015 è stata approvata dal Consiglio Regionale, con l’inaccettabile astensione del centro-sinistra e con il solo voto contrario dei 5Stelle, la legge 92 che definisce le competenze attribuite alla Città Metropolitana[9]. Si tratta di una legge pessima. E anche se le aspettative erano modeste viste le propensioni mercatistiche di un governo regionale in mano alla Lega e ai suoi sodali, decimati da quotidiane vicende di corruzione, una volta di più si è persa una occasione di pensare al futuro dell’area metropolitana ‘più metropolitana’ d’Italia. Altro che “locomotiva d’Europa”! Uno slogan ormai vecchio di 30 anni che continua ad essere rispolverato da chi amministra la regione e la città, e che dovrebbe essere sostituito da immagini ben più consapevoli e problematiche, poiché Milano e il suo territorio rischiano, come ho argomentato recentemente e in maniera approfondita, un vero e proprio ‘decadimento urbano [10].

Con la legge 92, la Regione accentra tutte le funzioni precedentemente esercitate dalla Provincia di Milano, soprattutto quelle che dovrebbero costituire ambiti fondamentali per la sostenibilità economica, ambientale e sociale del territorio metropolitano: l’agricoltura, la cultura, l’ambiente e l’energia[11]. Inoltre, la Regione si è attribuita un ruolo di controllo (in realtà una vera e propria invasione di campo, una interferenza inaccettabile che impedirà eventuali e auspicabili innovazioni che potrebbero scaturire ‘dal basso’ sul territorio metropolitano): mi riferisco alla decisione di istituire una Conferenza Permanente tra Regione e Città Metropolitana che potrebbe trasformarsi in un meccanismo di controllo occhiuto e probabilmente paralizzante da parte del governo regionale. E ancora: il PTM (il Piano Territoriale Metropolitano: in pratica, il vecchio Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale senza alcuna nuova competenza se non quella relativa al retorico, letterario ed effimero “piano strategico” della durata di 3 anni e aggiornabile ogni anno!) è subordinato al Piano Territoriale Regionale. Insomma, per avviare la Città Metropolitana milanese si rafforza un modello gerarchico e ‘a cannocchiale’ da decenni vituperato a parole dai tanti sostenitori della governance multilivello i quali, però, in occasione della discussione e approvazione di questa legge miserabile, sono stati silenti o distratti[12].

Né la giunta milanese, né il neonato governo metropolitano, né l’opposizione in Regione hanno espresso sostanziali rilievi critici. Men che meno la stampa: neanche quella locale, impegnata a sottolineare quotidianamente, e ossessivamente, i successi di EXPO2015 e del suo Commissario Straordinario Giuseppe Sala (un ulteriore viatico per la sua elezione a sindaco di Milano?).

Meglio continuare a nascondere il vuoto di idee e di lungimiranza della ‘sinistra’ con dichiarazioni trionfalistiche e autoreferenziali…basti dire che, recentemente, partecipando a Milano alla presentazione della Carta dei Valori in vista delle primarie milanesi del 7 febbraio 2016, in una Casa della Cultura completamente deserta se si eccettuano giornalisti e reti televisive, il sindaco Pisapia, evocando il trionfo di EXPO, ha collocato Milano addirittura ai vertici della gerarchia mondiale delle città (sic!).

Tanti auguri alla Città Metropolitana Milanese: ma, visti da Lione, i primi passi sono davvero scoraggianti.

[1] Ho evidenziato le principali criticità della legge Delrio alla scuola di eddyburg del 2013: Gibelli M. C. (2013), Intercomunalità in ambito metropolitano”, eddyburg.it, 13 novembre.
[2] Di grand Lyon fanno parte 59 comuni e 1.281.971 “grand Lyonnais”.
[3] Legge n. 29 del 16 gennaio 2015 “relative à la délimitation des régions, aux élections régionales et départementales et modifiant le calendrier électoral”: le Regioni a partire dal primo gennaio 2016 passeranno da 22 a 13.
[4] La legge urbanistica (Legge 2000-1208 del 13 dicembre “relative à la solidarité et au renouvellement urbains”) all’art. 55 recita: “Si obbligano i comuni di più di 3.500 abitanti (1.500 in Ile-de-France) che facciano parte di una agglomerazione di più di 50.000 abitanti comprendente un comune di più di 1.500 abitanti, a realizzare un numero di alloggi sociali in affitto superiore al 20% del totale del patrimonio abitativo comunale. I comuni dove la quota è inferiore al 20% vengono sottoposti a un prelievo sulle loro risorse fiscali. Questo prelievo è utilizzato per sostenere la costruzione di alloggi”.
[5] Legge n. 788 del 12 luglio 2010 “portant engagement national pour l'environnement “.
[6] Baioni M. (2015)“Lyon Confluence: un quartiere nato due volte”, in eddyburg.it, 28 settembre.

[7] La CET(Contribution Économique Territoriale) dal 2010 ha sostituito la TPU (Taxe Professionnelle Unique); è costituita da quote delle entrate fiscali locali derivanti dalle attività produttive, dalle abitazioni in proprietà e dalle tasse sulle proprietà fondiarie, sia edificate che non edificate.

[8] Si vedano le mie riflessioni a proposito della vicenda milanese pubblicate sul numero monografico di Meridiana dedicato alla Città Metropolitana: Gibelli M. C. (2014), “Milano città metropolitana fra deregolazione e nuova progettualità”, Meridiana, n. 80.

[9] Disposizioni per la valorizzazione del ruolo istituzionale della Città metropolitana di Milano e modifiche alla legge regionale 8 luglio 2015, n. 19 (Riforma del sistema delle autonomie della Regione e disposizioni per il riconoscimento della specificità dei Territori montani in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 'Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni'

[10] Gibelli M. C. (2015), “Urban crisis or urban decay? Italian cities facing the effects of a long wave towards privatization of urban policies and planning”, in Eckardt F., Sanchez J. V. (a cura di), City of crisis. The multiple contestation of Southern European Cities, Blelefeld, transcript Verlag.

[11] Proprio mentre all’EXPO2015 si continuano ad agitare questi temi come cruciali per il futuro delle grandi città e del pianeta.

[12]Altrove le cose, viste le premesse legislative della Delrio, non vanno molto meglio, ma quanto meno nella legislazione dell’Emilia Romagna e della Toscana è prevista la ‘possibilità’ di realizzare il piano strutturale metropolitano.

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