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Giulio Marcon
Dopo Venezia, ancora in marcia contro i muri
20 Settembre 2015
2015-EsodoXXI
«Non si tratta solo di acco­gliere chi -dopo inter­mi­na­bili sof­fe­renze - arriva ai con­fini della nostra Europa, ma farsi carico anche chi non può, non rie­sce a fug­gire e rischia la morte e la vio­la­zione dei diritti umani nelle zone di guerra. E alle nostre fron­tiere non arri­verà mai».
«Non si tratta solo di acco­gliere chi -dopo inter­mi­na­bili sof­fe­renze - arriva ai con­fini della nostra Europa, ma farsi carico anche chi non può, non rie­sce a fug­gire e rischia la morte e la vio­la­zione dei diritti umani nelle zone di guerra. E alle nostre fron­tiere non arri­verà mai».

Il manifesto, 20 settembre 2015 (m.p.r.)

Lo scorso 11 set­tem­bre più di 250mila per­sone hanno mani­fe­stato a piedi scalzi in 71città ita­liane chie­dendo diritti e acco­glienza per i migranti e pro­fu­ghi, senza sé e senza ma. E’ stata prova di par­te­ci­pa­zione e di mobi­li­ta­zione straor­di­na­ria che ci con­se­gna la domanda di come far vivere nei pros­simi mesi un’azione di denun­cia poli­tica e di soli­da­rietà con­creta con i migranti. «La mar­cia delle donne e degli uomini scalzi non si fer­merà. Con­ti­nuerà anche dopo l’11 settembre».

Que­sto è stato detto nell’appello finale letto alla con­clu­sione della mani­fe­sta­zione a Vene­zia: «E’ una mar­cia per la dignità, per la vita, per la libertà: per tutti quei valori per cui abbiamo voluto costruire un’Europa aperta al mondo e fon­data sulla pace. Una spe­ranza che vogliamo con­ti­nuare a difen­dere e per cui vogliamo lottare».

I motivi ci sono tutti. Infatti, dopo qual­che sus­sulto euro­peo, tra Ber­lino e Bru­xel­les, sull’onda dell’emozione della fuga dei pro­fu­ghi siriani, la Mer­kel ha annun­ciato che ora le fron­tiere si chiu­dono, i paesi dell’est euro­peo hanno riba­dito che non accet­te­ranno nes­suna quota per l’accoglienza dei migranti, l’Ungheria fini­sce di costruire il muro, spara lacri­mo­geni e usa can­noni d’acqua con­tro i migranti, e la Fran­cia minac­cia nuovi raid aerei in Siria.

Invece sono altre le strade che andreb­bero seguite per cer­care di affron­tare un flusso di pro­fu­ghi - che ormai avrà carat­te­ri­sti­che di per­ma­nenza - verso l’Europa. Sem­pre nell’appello con­clu­sivo è stato affer­mato: «Molte sono le cose da fare e molti i rischi all’orizzonte. Biso­gna creare un vero e pro­prio cor­ri­doio uma­ni­ta­rio per chi scappa dalla guerra e biso­gna isti­tuire un diritto di asilo euro­peo che superi l’anacronistico rego­la­mento di Dublino».

E pro­prio nella mani­fe­sta­zione con­clu­siva di Vene­zia, una dele­ga­zione della mani­fe­sta­zione di migranti e richie­denti asilo sono sim­bo­li­ca­mente saliti sul red car­pet della Mostra del cinema aprendo uno stri­scione davanti a foto­grafi e pub­blico in attesa delle star: huma­ni­ta­rian cor­ri­dors, now. E’ que­sta la prio­rità oggi. Que­sto il punto che non può essere più eluso. Non si tratta solo di acco­gliere chi -dopo inter­mi­na­bili sof­fe­renze - arriva ai con­fini della nostra Europa, ma farsi carico anche chi non può, non rie­sce a fug­gire e rischia la morte e la vio­la­zione dei diritti umani nelle zone di guerra. E alle nostre fron­tiere non arri­verà mai.

Oggi i cor­ri­doi uma­ni­tari sono ine­lu­di­bili. Ne ser­vono almeno due: uno dalla Siria e l’altro dal Medi­ter­ra­neo, assi­cu­rando in que­sto caso pas­saggi in mare sicuri. Ma su que­sta strada l’Europa e l’Italia per il momento non ci sen­tono e si bar­ca­me­nano tra quote per la ripar­ti­zione dei pro­fu­ghi - quote molto mode­ste e non accet­tate - nuovi hot spot da isti­tuire e che rischiano di pro­durre non mag­giori tutele ma altre discri­mi­na­zioni e nes­suna resi­pi­scenza sulla con­ven­zione di Dublino.

Al governo Renzi dob­biamo chie­dere di pren­dere una ini­zia­tiva che vada in que­sta dire­zione non solo in Europa, ma anche in Ita­lia: chiu­dendo i cen­tri di deten­zione, intro­du­cendo il diritto di voto alle ammi­ni­stra­tive per i migranti, isti­tuendo uni­la­te­ral­mente un cor­ri­doio uma­ni­ta­rio dalle coste meri­dio­nali del Medi­ter­ra­neo. Si tratta, dun­que, di rilan­ciare una mobilitazione.

La mar­cia delle donne e degli uomini scalzi - con tutto il suo carico sim­bo­lico e di con­cre­tezza nella forma della par­te­ci­pa­zione - ha dimo­strato che c’è una grande dispo­ni­bi­lità, che non va dispersa, ma raf­for­zata e svi­lup­pata. Una grande alleanza delle donne e degli uomini scalzi che fac­cia argine alla xeno­fo­bia e al raz­zi­smo e che sia da ariete con­tro tutti quei fili spi­nati e muri che si cer­cano di alzare in Europa ancora una volta.

C’è un primo appun­ta­mento: domani, 21 set­tem­bre mani­fe­ste­remo alle 18 davanti all’ambasciata d’Ungheria a Roma (via dei Vil­lini 12) e davanti ai con­so­lati unghe­resi in Ita­lia (come a Milano, Vene­zia, Palermo, Trie­ste e altre città che si stanno aggiun­gendo) per dire basta ai muri e ai fili spi­nati, basta alla cri­mi­na­liz­za­zione dei pro­fu­ghi, basta all ipo­cri­sie euro­pee (qui info). Se c’è qual­cuno che deve andare fuori dall’Europa non sono i migranti, ma Vik­tor Orban.

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