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Marco Revelli
Chi ha paura di un nuovo inizio in Grecia
23 Settembre 2015
2014-2015 La Grecia di Syriza
Se parliamo di politica e non di farfalle, allora bisogna ammettere che l'Alexis di"l'Altra Europa con Tsipras ha vinto, e che Syriza non ha nulla a che fare col PD di Matteo Renzi (né con la "sinistra tremula").
Se parliamo di politica e non di farfalle, allora bisogna ammettere che l'Alexis di"l'Altra Europa con Tsipras ha vinto, e che Syriza non ha nulla a che fare col PD di Matteo Renzi (né con la "sinistra tremula").

Il manifesto, 23 settembre 2015

Con la netta vit­to­ria elet­to­rale di dome­nica, Syriza e Ale­xis Tsi­pras si affer­mano sal­da­mente alla guida della Gre­cia e al cen­tro della poli­tica euro­pea. E’ un risul­tato straor­di­na­rio per tutti noi, in primo luogo per­ché dimo­stra che il piano degli oli­gar­chi, greci ed euro­pei, per­se­guito con ottusa arro­ganza fin dal 25 di gen­naio, è fal­lito. Vole­vano libe­rarsi dell’anomalia greca. Dell’unico governo di sini­stra che si oppo­neva al loro modello fal­li­men­tare. E se lo ritro­vano più vivo che mai nelle urne, legit­ti­mato da un nuovo, testardo, indi­scu­ti­bile con­senso elettorale.

Dopo una via cru­cis che avrebbe logo­rato qua­lun­que altro governo nel mondo e che qui, invece, l’ha raf­for­zato. Vole­vano ste­ri­liz­zare i loro lindi tavoli euro­pei dalla pre­senza fasti­diosa di un capo di governo non alli­neato ai loro voleri, e se lo ritro­vano ora davanti, in que­sti stessi giorni, a que­gli stessi tavoli, soprav­vis­suto al fuoco, a lot­tare per quello che ha sem­pre chie­sto e che a luglio gli è stato negato: ristrut­tu­ra­zione del debito, abban­dono delle folli poli­ti­che d’austerità, radi­cale riscrit­tura dei trat­tati, poli­ti­che redi­stri­bu­tive, con­ti­nuando a bat­tersi lì per cam­biare i ter­mini del dik­tat «inso­ste­ni­bile» impo­sto­gli col ricatto e la minac­cia a luglio. E insieme offrendo un punto di rife­ri­mento a tutte le forze che nello spa­zio euro­peo si bat­tono per que­gli obbiettivi.

Ed è que­sta la seconda ragione per gioire del risul­tato di Atene. Per­ché lì è nata, non più in embrione, ma ormai allo stato visi­bile, una sini­stra euro­pea, trans­na­zio­nale e post-nazionale, dichia­ra­ta­mente deter­mi­nata a bat­tersi nello spa­zio con­ti­nen­tale della poli­tica che viene, ten­den­zial­mente mag­gio­ri­ta­ria per­ché impe­gnata a rap­pre­sen­tare l’enorme disa­gio che le poli­ti­che di que­sta Europa pro­du­cono e a sfi­dare la «pra­tica del disu­mano» che le isti­tu­zioni euro­pee con­trap­pon­gono alla mol­ti­tu­dine sof­fe­rente che preme ai pro­pri con­fini blin­dati. Sini­stra nuova, diversa dai resi­dui logori della vec­chie social-democrazie, mise­ra­mente nau­fra­gate nella bat­ta­glia di luglio, fisi­ca­mente visi­bile sul palco di Piazza Syn­tagma dove si sono schie­rati i lea­der e le lea­der di Pode­mos e della Linke, dei Verdi tede­schi e del Par­tito della sini­stra euro­pea, stretti intorno a Tsi­pras in un patto che va al di là della tra­di­zio­nale soli­da­rietà inter­na­zio­nale, e che segna in potenza un «nuovo inizio».

Pre­oc­cupa, certo, nel qua­dro altri­menti con­for­tante delle ele­zioni gre­che, l’alto livello dell’astensione. È, potremmo dire, il lato oscuro della forza, che i com­men­ta­tori mali­gni di casa nostra non hanno man­cato di sot­to­li­neare per ten­tare di ridi­men­sio­nare il valore del risul­tato, pur essendo gli stessi che in ogni altra occa­sione ci ave­vano spie­gato (ricor­diamo l’Emilia Roma­gna, o le ultime regio­nali?) che è cosa nor­male, che le demo­cra­zie moderne fun­zio­nano bene così. Noi con­ti­nuiamo a con­si­de­rarlo, a dif­fe­renza di loro, un grave pro­blema, ovun­que si mani­fe­sti, sapendo bene che, in par­ti­co­lare in que­sto caso, esso è sin­tomo di un fal­li­mento, non certo dei greci (per i quali la noti­zia è tutt’al più l’altra, che abbiano con­ti­nuato a votare a milioni e a cre­derci), ma dell’Europa. Della gab­bia di ferro in cui ha chiuso i popoli, facendo di tutto per con­vin­cerli che la loro volontà (la «volontà popo­lare», appunto), non conta nulla. Che le regole che nes­suno ha votato sono dogmi immo­di­fi­ca­bili. E fun­zio­nando così come una gigan­te­sca mac­china che erode e riduce ai minimi ter­mini la demo­cra­zia, svuo­tan­dola di significato.

Indi­gna, d’altra parte, lo spet­ta­colo, dav­vero inde­cente, della nostra stampa quo­ti­diana. I com­menti a caldo degli edi­to­ria­li­sti embed­ded, impe­gnati in acro­ba­zie spe­ri­co­late per soste­nere – sulla scia delle veline ren­ziane — che la vit­to­ria di Syriza e la scon­fitta secca dei fuo­riu­sciti di Unità popo­lare dimo­stre­rebbe nien­te­meno che «non c’è spa­zio alla sini­stra del Pd», come se Tsi­pras fosse Renzi (si sa benis­simo che quel 12 luglio feroce Renzi era tra i ricat­ta­tori e Tsi­pras il ricat­tato, e nes­suno può per­met­tersi di nascon­dere la distanza abis­sale tra le poli­ti­che dei due, si tratti dei diritti del lavoro o dei rap­porti con la Mer­kel). E come se, che ne so, Ber­sani e Cuperlo fos­sero Varou­fa­kis (!). O Civati, Fra­to­ianni e Fer­rero Lafa­za­nis. Sono, quei com­menti senza pudore, la misura di quanto sgan­ghe­rato sia il nostro sistema dell’informazione. Quanto ser­vile, pie­gato ai voleri dei suoi tanti padroni, poli­tici o eco­no­mici. Ma soprat­tutto sono il frutto di una grande paura. Del timore che l’esempio greco possa dif­fon­dersi per con­ta­gio, e che cre­sca in Europa un’alternativa al sistema di pri­vi­le­gio di cui anche quel démi monde è parte.

Da quella «grande paura» dovremmo trarre uno sti­molo. E una con­ferma della nostra pos­si­bile forza. Ad Atene, su quel palco euro­peo, la sini­stra ita­liana non era rap­pre­sen­tata. Per il fatto che non c’è. O meglio: «non c’è ancora». Resta la grande attesa, sem­pre in costru­zione, mai nella realtà. Non la si fac­cia pro­lun­gare troppo quell’attesa. C’è un grande lavo­rio, dal basso e non solo. Si discute di date, di eventi, di pro­cessi costi­tuenti. Non fac­cia­mone un eterno Godot. Fac­ciamo subito quello che dob­biamo fare: una sini­stra capace di andare oltre i pro­pri fram­menti e di pren­dere in Ita­lia e in Europa il posto vuoto che in tanti si aspet­tano che occupi. Chiun­que ral­len­tasse o osta­co­lasse que­sto pro­cesso, tanto più ora, si assu­me­rebbe una respon­sa­bi­lità tremenda.

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