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Roberto Ciccarelli
Il disastro al Sud, la nostra Grecia
31 Luglio 2015
Articoli del 2015
«Svimez. Il rapporto 2015 sull’economia racconta lo tsunami che ha travolto il Mezzogiorno nei sette anni della crisi: è cresciuto meno del paese di Tsipras devastato dalla Troika. Viaggio nel paese sotterraneo dove i poveri sono più poveri, le donne e i giovani i più colpiti dalle disuguaglianze prodotte dall’iniqua Eurozona».
«Svimez. Il rapporto 2015 sull’economia racconta lo tsunami che ha travolto il Mezzogiorno nei sette anni della crisi: è cresciuto meno del paese di Tsipras devastato dalla Troika. Viaggio nel paese sotterraneo dove i poveri sono più poveri, le donne e i giovani i più colpiti dalle disuguaglianze prodotte dall’iniqua Eurozona».

Il manifesto, 31 luglio 2015

Il Sud, la nostra Gre­cia. Al set­timo anno di crisi – sostiene un’anticipazione del rap­porto Svi­mez sull’economia del Mez­zo­giorno 2015 pre­sen­tata ieri a Roma – l’emergenza con­cla­mata oggi è un disa­stro accer­tato. Il crollo della domanda interna, dei con­sumi e degli inve­sti­menti pro­dur­ranno uno stra­vol­gi­mento demo­gra­fico impre­ve­di­bile che ampli­fi­cherà la deser­ti­fi­ca­zione indu­striale e alla civile.

Come in guerra

Per il set­timo anno con­se­cu­tivo il Pil del Mez­zo­giorno è nega­tivo (1,3%, nel 2013 era –2,7%), cre­sce il diva­rio rispetto al Centro-Nord (-0,2%). La mappa di que­sto immane slit­ta­mento è così com­po­sta: tra il 2008 e il 2014, la crisi ha pro­dotto le per­dite più pesanti in Molise (-22,8%), Basi­li­cata (-16,3%), Cam­pa­nia (-14,4%), Sici­lia (13,7%), Puglia (-12,6%). Con­si­de­rato il primo quin­di­cen­nio dell’unione mone­ta­ria 2001–2014, quella che avrebbe dovuto creare una «con­ver­genza» tra il Nord e il Sud dell’Europa, lo Svi­mez con­clude che il Sud Ita­lia sta molto peg­gio della Gre­cia. Lo si vede dal tasso di cre­scita cumu­lato: la Gre­cia ha regi­strato un calo dell’1,% (conta qui la «cre­scita» prima dei vari «memo­ran­dum»), men­tre il Sud affonda con il –9,4% e il Centro-Nord regi­stra ancora un segno posi­tivo con l’1,5%. Que­sta diva­ri­ca­zione geo-economica pesa sulla per­cen­tuale del Pil nazio­nale che ha regi­strato un meno 1,1%. È il ritratto di un paese diviso all’interno di un con­ti­nente spac­cato sia dal punto di vista eco­no­mico che da quello sociale. E le distanze con­ti­nue­ranno ad aumen­tare a causa delle poli­ti­che di auste­rità che pro­du­cono reces­sione e disoccupazione.

Mappe della povertà

Una per­sona su tre a Sud è a rischio povertà, men­tre a Nord lo è una su dieci. Dal 2011 al 2014, sostiene lo Svi­mez, le fami­glie asso­lu­ta­mente povere sono cre­sciute a livello nazio­nale di 390 mila nuclei. A Sud c’è stata un’impennata del 37,8%, ma i numeri sono impie­tosi anche al Centro-nord: il 34,4%. La regione ita­liana dove più forte è il rischio povertà è la Sici­lia con il 41,8%, seguita a ruota dalla Cam­pa­nia (37,7%). In que­sta selva di numeri e per­cen­tuali un ele­mento è certo: in con­creto, essere poveri signi­fica oggi gua­da­gnare meno di 12 mila euro all’anno. In que­sta con­di­zione si trova il 62% della popo­la­zione meri­dio­nale, con­tro il 28,5% del Centro-Nord. Dramma in Cam­pa­nia dove que­sto numero aumenta ancora al 66%.

Lo Svi­mez cal­cola solo il numero dei poveri che non lavo­rano, non quello dei cosid­detti wor­king poors che rap­pre­sen­tano un’altra fac­cia della crisi che stiamo vivendo. Tra il 2008 e il 2014 l’occupazione nel Mez­zo­giorno è crol­lata del 9%, a fronte del meno 1,4% del Centro-Nord, oltre sei volte in più. Delle 811 mila per­sone che in Ita­lia hanno perso un posto di lavoro, e dif­fi­cil­mente lo ritro­ve­ranno se e quando finirà la crisi, ben 576 mila vivono tra Abruzzo e le Isole. Pur essendo pre­sente solo il 26% della popo­la­zione attiva, a Sud si con­cen­tra dun­que il 70% delle per­dite pro­dotte dalla crisi. Gli occu­pati sono tor­nati a 5,8 milioni. L’impatto psi­co­lo­gico, e non solo sociale, è stato immenso.

Lo Svi­mez riprende i dati dell’Istat secondo la quale viviamo al livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono dispo­ni­bili le serie sto­ri­che dell’istituto nazio­nale di sta­ti­stica. Tra il primo tri­me­stre 2014 e quello del 2015 è arri­vato un riflesso di miglio­ra­mento: gli occu­pati sono saliti nel paese di 133 mila unità, 47 mila vivono al Sud e 86 nel Centro-Nord. Segnali festeg­giati a suo modo come il segnale della “ripresa” dal governo che non con­si­dera il calo delle per­sone in cerca di occu­pa­zione. Nel primo tri­me­stre 2015, cal­cola lo Svi­mez, sono scese a 3 milioni 302 unità, 145 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2014.

Deser­ti­fi­ca­zione industriale

I sog­getti più col­piti sono le donne e i gio­vani under 34. Quanto alle prime, nel 2014 a fronte di un tasso di occu­pa­zione fem­mi­nile medio del 51% nell’Ue a 28, il Mez­zo­giorno era fermo al 20,8%tra le 35enni e le 64enni. Ancora peg­gio per le gio­vani donne con un’età com­presa tra i 15 e i 34 anni: solo una su 5 ha un lavoro. E quando si parla di lavoro, si parla nella mag­gio­ranza dei casi di pre­ca­riato. Que­sta frat­tura tra le gene­ra­zioni, e i sessi, si allarga nella tra­sfor­ma­zione della com­po­si­zione del mer­cato del lavoro che pena­lizza chi ha meno di 34 anni, e in par­ti­co­lare i gio­vani tra i 15 e i 24 anni, men­tre gli over 55 strap­pano qual­che posto di lavoro in più. 622 mila under 34 hanno perso un posto di lavoro tra il 2008 e il 2014, men­tre gli over 55 ne hanno gua­da­gnati 239 mila. Se a livello nazio­nale nel 2014 il tasso di disoc­cu­pa­zione era del 12,7%, al Sud que­sta per­cen­tuale arri­vava al 20,5% men­tre al Centro-Nord era al 9,5%.

Que­sta situa­zione è il pro­dotto di una «deser­ti­fi­ca­zione indu­striale» — così la defi­ni­sce lo Svi­mez – che ha visto crol­lare il valore aggiunto del set­tore mani­fat­tu­riero del 16,7% in Ita­lia, con­tro il 3,9% dell’Eurozona. A pesare è sem­pre il Sud che ha perso il 34,8% della pro­dut­ti­vità in que­sto set­tore e ha più che dimez­zato gli inve­sti­menti. In que­sto caso il crollo è totale: meno 59,3%. La crisi è pro­fonda anche al Centro-Nord dove la per­dita è stata però meno della metà del pro­dotto mani­fat­tu­riero (-13,7) e circa un terzo degli inve­sti­menti (-17%).

Tsu­nami demografico

Nel 2014 al Sud si sono regi­strate solo 174 mila nascite, livello al minimo sto­rico regi­strato oltre 150 anni fa, durante l’Unità d’Italia. Il tasso di fecon­dità è arri­vato a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 neces­sari a garan­tire la sta­bi­lità demo­gra­fica e infe­riore comun­que all’1,43 del Centro-Nord. Que­sta con­di­zione riguarda anche i cit­ta­dini stra­nieri nel Centro-Nord. Il Sud è desti­nato a per­dere 4,2 milioni di abi­tanti nei pros­simi 50 anni, arri­vando così a pesare per il 27,3% sul totale nazio­nale a fronte dell’attuale 34,3%. Una pre­vi­sione sostan­ziata dai dati della migra­zione interna e infra-europea. Dal 2001 al 2014 sono migrate dal Mez­zo­giorno verso il Centro-Nord oltre 1,6 milioni di per­sone, rien­trate 923 mila, con un saldo migra­to­rio netto di 744 mila per­sone, di cui 526 mila under 34 e 205 mila laureati.

Sot­to­svi­luppo permanente

Que­sta deser­ti­fi­ca­zione è dovuta «all’assenza di risorse umane, impren­di­to­riali, finan­zia­rie che potreb­bero impe­dire di aggan­ciare la pos­si­bile ripresa e tra­sfor­mare la crisi ciclica in un sot­to­svi­luppo per­ma­nente». Si parla di denu­tri­zione, man­cati acqui­sti di vestia­rio e cal­za­ture (-16%, il dop­pio del resto del paese: 8%). Senza red­dito si rinun­cia ai ser­vizi per la cura della per­sona e non si inve­ste sull’istruzione. In altre parole, i tagli a que­sti set­tori pro­du­cono la per­ma­nenza del sot­to­svi­luppo e il sot­to­svi­luppo ali­menta la cre­scita dei ren­di­menti dei pochi ai danni dei molti. La cre­scita mini­male che sarà regi­strata nel 2015 in Ita­lia (+0,7% si dice) non sia il pro­dotto del sot­to­svi­luppo di alcune aree del paese a dispetto delle altre, e di que­ste rispetto ad altre zone dell’Eurozona. La «cre­scita» invo­cata è il risul­tato dell’impoverimento dra­stico e irre­ver­si­bile delle classi medio-basse e dei poveri che lavo­rano da dipen­denti pre­cari o da auto­nomi a favore di un’élite di oli­gar­chi sem­pre più ric­chi (lo 0,1% della popo­la­zione mon­diale). Que­sto è l’effetto del crollo dei con­sumi delle fami­glie, oltre due volte mag­giore a Sud (13,2%) rispetto a quella regi­strata in Ita­lia (-5,5%). Oggi ogni paese euro­peo ha il suo «Mezzogiorno».

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