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Fabrizio Bottini
I falchetti del quartierino
10 Luglio 2015
Milano
Perché importare dagli Stati Uniti, identica, un'esperienza artistica di oltre trent'anni fa, spacciandola come grande idea urbana, ecologica, alimentare? Qualcuno ha deciso per conto nostro di autoproclamarci Provincia dell'Impero?
Perché importare dagli Stati Uniti, identica, un'esperienza artistica di oltre trent'anni fa, spacciandola come grande idea urbana, ecologica, alimentare? Qualcuno ha deciso per conto nostro di autoproclamarci Provincia dell'Impero?

1981: esce nelle sale cinematografiche Fuga da New York, vero e proprio manifesto ideologico della crisi urbana, montata progressivamente negli anni della fuga del ceto medio verso il suburbio, della segregazione e ulteriore impoverimento di chi restava, del crollo della fiscalità locale sino alla minaccia di definitiva bancarotta. Nel momento in cui i ragazzini di tutto il mondo iniziano a entusiasmarsi per l’avventura metropolitana di Snake Plissken dentro una Manhattan immaginaria trasformata in penitenziario a cielo aperto, però, quelle atmosfere cupe nella realtà stanno già iniziando a diradarsi, grazie soprattutto a una serie di iniziative locali di investimento nell’edilizia e riqualificazione, posti di lavoro, servizi e sicurezza. Tra i simboli più vistosi di questa ancora solo annunciata rinascita, l’imbonimento di una ampia striscia di terreni lungo la sponda dell’Hudson, per predisporre gli spazi della futura Battery Park City, i cui lavori di costruzione cominciano nello stesso 1981 in cui esce nelle sale il cupo Fuga da New York.

Quartiere Porta Nuova, 9 luglio 2015 - Foto F. Bottini
Quartiere Porta Nuova, 9 luglio 2015 - Foto F. Bottini
Quartiere Porta Nuova, 9 luglio 2015 - Foto F. Bottini
L’anno successivo, in quelli che sono ancora terreni brulli della Battery, ma a pochi isolati dalle torri gemelle del World Trade Center, ha luogo un’altra iniziativa fortemente simbolica, con il Campo di Grano dell’artista Agnes Denes. Su una superficie di poco meno di un ettaro di terreno di coltura riportato, con la partecipazione degli abitanti viene piantato del grano in primavera, a cui seguirà in estate una simbolica mietitura, e consegna ai partecipanti di «semi da spargere». Il senso dell’operazione è quello di sottolineare non solo la rinascita della città dal punto di vista economico e sociale, ma il sorgere di un’idea inedita di ambiente urbano, dove anche l’agricoltura, la vita, la natura, possono giocare un ruolo fondamentale. In pratica, pur con tutti i limiti caratteristici dell’intuizione artistica, è una vera e propria anticipazione di tantissimi temi che poi diventeranno argomento di discussione quotidiana nei decenni successivi, ivi compresi quelli oggi al centro di Expo 2015.

Deve essere stata questa relativa convergenza di temi, dalla rinascita del ruolo delle città, alla rinascita locale di un quartiere di Milano, al ruolo alimentare ed ecologico dell’agricoltura, a spingere le fondazioni Catella e Trussardi, insieme a Confagricoltura, alla riproposizione paro paro, identica in ogni particolare, del Wheatfield originale newyorchese tanto tempo dopo e in un contesto tanto diverso. Contesto diverso che forse avrebbe dovuto essere meglio considerato, come osservava preventivamente Ermanno Olmi bocciando l’idea con quella frase di Mogol-Battisti: «Che ne sai tu di un campo di grano?» usata in modo ironico. Perché a Milano, inutile dirlo, i campi di grano evocano la simbologia mussoliniana ed epoche non troppo allegre, altro che rinascita. Ma ormai tra i grattacieli griffati erano spuntati i germogli verdi come la speranza, e c’era pure la speranza che qualcosa di buono potesse nascere in termini di temi da evocare e paesaggio da costruire.

Ma qualche settimana dopo le bionde messi apparivano tutt’altro che bionde, una piuttosto miserevole distesa di erbacce, del tipo che non si vede certo nei campi giusto in periferia a Milano, dove i cunei dei Parco Sud arrivano a lambire i quartieri. E tra le pareti a specchio e i boschi verticali di Porta Nuova, alle erbacce (per via dell’assenza virtuosa di diserbanti, spiegavano gli esperti) non si mescolavano però neppure papaveri e fiordalisi, con un risultato visivo a dir poco mesto. E arriviamo così alla grande giornata del raccolto: grande mica tanto, visto che si è trattato in buona sostanza di qualche macchina agricola, rotoballe che citavano la campagna padana inopinatamente intra moenia, e un pugno di presenzialisti e curiosi in buona fede affollati attorno a un chiosco che distribuiva i simbolici «semi da spargere». Se qualcosa si voleva simboleggiare, a occhio e croce si trattava di un simbolo parecchio vintage, ma non per via del richiamo all’iniziativa americana del 1982: il ricordo correva automaticamente ad altri anni ’80, quelli da bere, dalle cui ceneri in fondo è nato come araba fenice il quartiere Porta Nuova. Tra poco si svolgerà all’ombra dei medesimi volumi griffati la festa dei Democratici: sarà un tentativo di permeare di cultura diversa quegli spazi il cui senso appare ancora strascico del passato, oppure una entusiasta poco accorta dichiarazione di appartenenza?

Qui su eddyburg, le citate riflessioni sarcastiche di Ermanno Olmi, «Che ne sai tu di un campo di grano?»; su La Città Conquistatrice, a proposito del campo di Agnes Denes, qualche nota in più sul ruolo ecologico, alimentare, simbolico dell'agricoltura urbana, che ovviamente «non serve solo a mangiare»

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