«Gli 11 chilometri del litorale romano soffocano tra stabilimenti e strutture fuorilegge, inclusi i parcheggi di Esercito e Finanza. Ma l’assessore alla legalità della capitale, l’ex pm Sabella, annuncia il via libera all’iter per revocare le licenze». La Repubblica, 18 gennaio 2015
È il corpo di reato più lungo di Roma, 11 chilometri e 300 metri. Fatto di cemento, a tratti è decorato da un filo spinato come le torrette delle prigioni. Dietro il grande muro di Ostia c’è un mare che non si vede mai.
È sempre troppo alto o sempre troppo grosso, impasto di calcestruzzo e malaffare, questo recinto senza fine l’hanno tirato su corrompendo e calpestando leggi, decreti, normative, codici, regolamenti. Un muro che è diventato deposito di illeciti accumulati nel tempo con il silenzio complice di giunte, vigili urbani, presidenti e consiglieri municipali, uffici tecnici e giudiziari. Sono abusivi perfino i parcheggi di Esercito e Finanza. Abusiva è la Caritas nell’ex colonia fascista per bambini Vittorio Emanuele, abusiva è la moschea, i chioschi, la grande libreria al Pontile della Vittoria, abusive sono birrerie e paninerie, palestre e scuole di danza. Tutto sprofonda sul mare e nel mare di Ostia. E tutto è appuntato e protocollato nelle carte del Comune di Roma.
Eccolo il grande muro circondato da quella che è una città nella città, un bastione che ci ricorda con le sue vedette sul territorio e le sue sanguisughe la Brancaccio palermitana degli anni ’80, con i suoi roghi la Gela degli anni ‘90, con la sua paura certi paesi della Calabria di oggi. Ma Ostia è solo Ostia, costola di Roma Capitale e di Mafia Capitale, sfregiata e sottomessa ai padroni del lungomare che l’hanno fatta brutta. Per non far bere l’acqua dalle fontanelle qualcuno le ha interrate, così la minerale si compra per forza nei loro bar. Undici chilometri e 300 metri e il mare lo devi sempre immaginare, c’è ma è oltre quella case e quei casotti a volte colorati e a volte grigi, incastrati uno all’altro che sottraggono alla vista sale da gioco e cabine trasformate in mini residence (antenne satellitari e condizionatori e bombole di gas nei box de Le Dune per cambiarsi un costume?), gabbie di ferro, cubi, lussi e volgarità architettoniche che si mischiano, 11 chilometri e 300 metri dove a ogni passo si inseguono sempre gli stessi nomi. Quelli dei Fasciani, degli Spada, dei Triassi, usura e ricatti, droga e delitti. E quelli dei Balini e dei Papagni, gli affaristi più presentabili, porto e lidi, appalti e poltiglia politica.
Ostia di Levante e Ostia di Ponente, 100 mila abitanti che diventano mezzo milione quando è estate, un lungomare che comincia alla rotonda e finisce dove - sempre chiuso con catene – c’è il cancello del parco che ricorda il luogo dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Ecco il Kursaal con il suo famoso trampolino, l’Hibiscus Beach, poi gli storici stabilimenti come il Battistini e poi ancora l’Hakuna Matata affidato in gestione dal presidente del porto Mauro Balini a Cleto Di Maria, uno che vent’anni fa l’hanno preso in Brasile con un carico di stupefacenti. Ecco il chiosco delle suore di Vito Triassi, il Village che era dei Fasciani, un po’ più indietro l’Orsa Maggiore dove erano soci gli Spada. Sono 71 gli stabilimenti, uno per uno censiti in queste settimane dall’assessore alla legalità del Comune di Roma Alfonso Sabella, voluto dal sindaco Ignazio Marino commissario ad Ostia dopo i primi scandali. Il quartiere generale di Sabella, magistrato del pool antimafia di Palermo con una spiccata attitudine nella caccia ai latitanti, è in una delegazione sulla strada verso la tenuta presidenziale di Castelporziano che ha una sigla apparentemente incomprensibile (Uoal, Unità organizzativa ambiente litorale) dietro la quale sono nascosti gli interessi più indicibili di Ostia. L’anno scorso, a ottobre, qualcuno ha dato fuoco ai locali per ridurre in cenere i documenti che registrano ufficialmente gli imbrogli. Sabella quei documenti li ha recuperati, fotocopiati e inviati a una ventina di destinatari. La prudenza non è mai troppa. Dice: «Ormai solo Nerone, incendiando tutta Roma, potrebbe farli sparire».
Lungomare Amerigo Vespucci, lungomare Lutazio Catulo, lungomare Duilio, di fronte a Le Dune di Paolo Papagni c’è quel capolavoro che è il Polo Natatorio costruito per i Mondiali di Nuoto del 2009, progettista Renato Papagni, fratello di Paolo e presidente di Federbalneari. È un altro ammasso di cemento costato tre volte in più di quanto doveva costare (13 milioni di euro), le piscine sono 5 cm in meno di quelle regolamentari. Possono fare tutto certi personaggi qui ad Ostia. I Papagni e poi quegli altri come Mauro Balini, uno immerso – testuale dall’ordinanza di custodia cautelare di una delle tante operazioni antimafia ad Ostia, «in un ambiente economico finanziario inquietante ». Balini tratta con i signorotti locali e con colossi come le coop rosse. Un piede di qua e uno di là, commercio clandestino e buone entrature per gli affari che contano.
Nella città della città dove il mare non si vede mai ci spingiamo fino nel regno degli Spada, piazza Gasparri, via Forni, via degli Ebridi. Intorno tappezzerie e bische che passano di mano in mano, la comparsa di un certo Armandino che alza le corna per comandare, il traffico di compravendita di case popolari curato da Salvatore I, gli Spada «cucinati » che insultano via Facebook, la ciurma che inneggia sempre ai «miti» vivi o morti di questa Ostia lercia, nomi di battaglia «Baficchio» e «Cappottone », «Maciste», «Sorcanera». E voci che si accavallano. Come quelle su alcuni funzionari dell’ufficio tecnico – ce le racconta uno del ramo molto informato – che hanno un tariffario estorsivo: 300 euro per un inizio lavori per un tramezzo, 1000 euro per sanare una veranda, 10-15 mila euro per avere la licenza di costruzione di una villetta. Il muro di Ostia non finisce mai.