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Gianni Ferrara
La dignità non è nel Fiscal Compact
9 Gennaio 2015
Libri segnalati
«L'autore dialoga con l'ultimo libro di Stefano Rodotà, edito da Laterza,
«L'autore dialoga con l'ultimo libro di Stefano Rodotà, edito da Laterza,

Solidarietà, un'utopia necessaria. L'analisi di una parola apparentata a molte altre (natu­ra­lità, mora­lità, carità, assi­stenza, bene­fi­cenza, fra­ter­nità, dove­ro­sità, diritto, egua­glianza e gra­tuità, che la lam­bi­scono, inve­stono, assu­mono e la inter­pre­tano cur­van­dola al loro spi­rito ed essenza. Il manifesto, 8 gennaio 2015

Col suo ultimo libro (Soli­da­rietà, un’utopia neces­sa­ria, Laterza, pp.141, euro 14) Ste­fano Rodotà allarga il campo dell’impegno scien­ti­fico e poli­tico nella lotta per i diritti che, da decenni, ha ingag­giato con tena­cia inin­ter­rotta e con suc­cesso non solo dot­tri­nale. Lo amplia alle pre­con­di­zioni, ai con­net­tivi dei diritti e che ne sono forse anche i nuclei pri­mi­geni. A deno­mi­narli è un nome: prin­cipi. E, mai come a que­sto pro­po­sito, il nome è la cosa.

Di que­sti con­net­tivi Rodotà sce­glie la soli­da­rietà, il più com­plesso (a que­sto pro­po­sito il rin­vio è all’intervista rila­sciata a Roberto Cic­ca­relli sulle pagine di que­sto gior­nale il 4 dicem­bre). Com­plesso per­ché ha una sto­ria par­ti­co­lar­mente intrec­ciata con quella di altri con­net­tivi. Com­plessa per­ché matrici diverse la hanno moti­vata come pro­pria deri­va­zione, con­no­tan­dola con le rela­tive impronte, intanto che altri con­net­tivi pro­va­vano ad assor­birla. Natu­ra­lità, mora­lità, carità, assi­stenza, bene­fi­cenza, fra­ter­nità, dove­ro­sità, diritto, egua­glianza e gra­tuità lam­bi­scono, inve­stono, assu­mono la soli­da­rietà e la inter­pre­tano cur­van­dola al loro spi­rito ed essenza. Ognuna di esse, in verità, ha svolto un ruolo che va rico­no­sciuto almeno come rive­la­zione della pos­si­bi­lità e della pra­tica di un’esigenza umana mai del tutto sradicata.

Rodotà ne fa la sto­ria degli ultimi secoli e ne descrive le movenze e i ruoli col­la­te­rali che ha svolto e anche le valenze stru­men­tali che ha saputo espri­mere. Ma sa distin­guere, sepa­rare, sa indi­vi­duare le impronte che pos­sono come assor­birla ed esau­rirne — e anche degra­darne — l’essenza. Sa, soprat­tutto, sce­gliere il fon­da­mento sicuro su cui costruire la soli­da­rietà come prin­ci­pio. È quello del diritto, della norma giu­ri­dica. Pro­se­gue così l’alto e nobile inse­gna­mento di quel padre del costi­tu­zio­na­li­smo che for­mu­lava la prima enun­cia­zione dei diritti sociali attri­buendo allo stato gli obbli­ghi di offrire a «tutti i cit­ta­dini la sus­si­stenza assi­cu­rata, il nutri­mento, un abbi­glia­mento decente, e un genere di vita che non sia dan­noso alla salute», Montesquieu.

La soli­da­rietà è così che si con­cre­tizza. Per poter essere prin­ci­pio giu­ri­dico, deve poi dispie­garsi in diritti. È il modo in cui si libera dalle tante impronte che la hanno segnata. Da quelle impresse da una incerta natu­ra­lità, dalla inerme mora­lità, dalla dove­ro­sità a irri­tante garan­zia della pro­prietà, dalla eva­ne­scente fra­ter­nità, a quelle, ine­so­ra­bil­mente mor­ti­fi­canti, della carità, della assi­stenza e della bene­fi­cenza. È il modo in cui si eleva a fonte riven­di­ca­tiva della dignità umana.

Ma ha di fronte il mondo della glo­ba­liz­za­zione. Che è quello del mer­cato capi­ta­li­stico, per­ciò della pro­prietà pri­vata e del pro­fitto, del trionfo dell’una e dell’altra da trent’anni cele­brato senza pause e senza limiti alla deva­sta­zione delle con­qui­ste di civiltà che l’idea e le forze della soli­da­rietà ave­vano rag­giunto. È il mondo della bar­ba­rie postmoderna.

Rodotà non lo accetta, invita a riflet­tere sulla tor­tuosa sto­ria della soli­da­rietà, sulle poli­ti­che sociali che furono impo­ste dalle forze che ne ave­vano neces­sità e che ebbero ascolto nelle dot­trine giu­ri­di­che e poli­ti­che che ne recla­ma­rono forme di rico­no­sci­mento. Forme diver­si­fi­cate che anda­vano dal cor­po­ra­tivo, al cari­ta­te­vole, al com­pas­sio­ne­vole, al mutua­li­smo con­ta­dino ed ope­raio. E che, pur nei limiti e con le tor­sioni che le carat­te­riz­za­vano, testi­mo­niano tut­ta­via una pos­si­bi­lità di affer­ma­zione plu­ra­li­stica del prin­ci­pio. Con­sen­tendo in tal modo che per «l’adempimento dei doveri inde­ro­ga­bili di soli­da­rietà poli­tica eco­no­mica e sociale» dell’articolo 2 della Costi­tu­zione, all’insostituibile e pre­va­lente azione isti­tu­zio­nale pos­sano aggiun­gersi ini­zia­tive sociali (volon­ta­riato, terzo set­tore) alla base della forma-stato. A que­sto pro­po­sito, va rico­no­sciuto a Rodotà il merito di pro­porre un’interpretazione di quest’articolo della Costi­tu­zione che, nell’affermare che la Repub­blica «richiede» l’adempimento dei doveri della soli­da­rietà, estende al mas­simo i desti­na­tari della norma, uni­ver­sa­lizza la sua effi­ca­cia.

Affronta la que­stione del Wel­fare State, della sua ori­gine e crisi. Ne rico­strui­sce la mol­te­pli­cità dei signi­fi­cati, mostra come e per­ché il Wel­fare deno­mina una spe­ci­fica forma di stato costruen­dola pro­prio intorno alla soli­da­rietà. Una forma di stato che, a par­tire dai prin­cipi fon­da­men­tali che furono enun­ciati nei primi arti­coli della nostra Costi­tu­zione e pro­se­guen­done il dise­gno nor­ma­tivo per la forma-stato della con­tem­po­ra­neità, ride­fi­ni­sce la per­sona umana come cen­tro di rife­ri­mento della soli­da­rietà, sia come tito­lare del diritto sia come desti­na­ta­rio del dovere di soli­da­rietà. La ride­fi­ni­sce in ter­mini di cit­ta­di­nanza tanto com­pren­siva di diritti inte­grati l’un l’altro da assi­cu­rare il ben-essere, l’autodeterminazione, cioè il potere di crearsi un’esistenza digni­tosa, a pro­get­tarla come cre­di­bile pro­spet­tiva, a viverla come effet­tiva con­di­zione umana.

Ma quando, dove, come? Di cos’altro è indice, in quale con­te­sto la si può con­cre­tiz­zare, con quale altro pro­dotto sto­rico, per essere stata sto­ri­ca­mente deter­mi­nata, la soli­da­rietà può e deve con­vi­vere? Chi può assi­cu­rarla nella mate­ria­lità dei rap­porti umani esi­stenti, chi la può soste­nere alla base degli ordi­na­menti giu­ri­dici vigenti, insomma, di quale e quanta forza sociale dispone la soli­da­rietà oggi?

Rodotà non nasconde affatto che il pro­dut­tore sto­rico della soli­da­rietà, degli isti­tuti che la hanno con­cre­tiz­zata, dei diritti che ha gene­rato, il movi­mento ope­raio, insomma, è stato fran­tu­mato e che non c’ è più nes­suno in grado di con­te­nere e respin­gere le pre­tese e l’arbitrio dei costrut­tori del «nuovo ordi­na­mento nor­ma­tivo gover­nato da un potere sovrano, quello delle grandi società trans­na­zio­nali che dav­vero si pon­gono come il sog­getto sto­rico della fase pre­sente». La fase cioè dell’avvento e del con­so­li­da­mento del domi­nio glo­bale del capi­ta­li­smo neo­li­be­ri­sta, il nemico sto­rico e strut­tu­rale della solidarietà.

Cosa oppor­gli che sia cre­di­bile e per­ciò con­sen­ta­neo, col­le­ga­bile, cor­ri­spon­dente anche nella pro­spet­tiva dell’esigenza sem­pre più pres­sante dell’universalizzazione della soli­da­rietà? Rodotà non deflette dalla più rigo­rosa coe­renza con le pre­messe, e le scom­messe, da cui parte. Non cre­dendo alla emer­sione di sog­getti sto­rici che pos­sano, nel breve periodo, ripren­dere con suc­cesso la lotta del movi­mento ope­raio per la soli­da­rietà, intra­vede però foco­lai di resi­stenza e di con­tra­sto al potere sovrano delle cen­trali trans­na­zio­nali del capi­ta­li­smo neoliberista.

Al sociale fran­tu­mato, al poli­tico ser­vente l’economico per aver abdi­cato a suo favore, il giu­ri­dico gli sem­bra con­fer­marsi come cre­di­bile poten­ziale di pro­du­zione della soli­da­rietà. In una sen­tenza recen­tis­sima della Corte di giu­sti­zia dell’Ue scorge una sorta di riven­di­ca­zione della pre­va­lenza dei diritti fon­da­men­tali rico­no­sciuti dalla Carta di Nizza sull’interesse eco­no­mico di una cor­po­ra­tion trans­na­zio­nale della forza di Goo­gle. Attri­bui­sce a que­sta sen­tenza l’efficacia costi­tu­tiva di «una nuova gerar­chia fon­data sui prin­cipi… espressi dai diritti fon­da­men­tali». Come se, per incanto, rove­sciando la sua giu­ri­spru­denza di favore al prin­ci­pio della con­cor­renza e a danno dei diritti del lavoro, la Corte di Lus­sem­burgo avesse abro­gato quella che Rodotà chiama la «con­tro costi­tu­zione» dell’Ue, fon­data sul Fiscal Com­pact e che, invece, io credo che sia la vera «costi­tu­zione» euro­pea. Come se, la stessa Corte, avesse anche espunto dal Trat­tato sul fun­zio­na­mento dell’Ue le norme che impon­gono come vin­colo asso­luto della dina­mica e come fine dell’Unione «l’economia di mer­cato aperta ed in libera con­cor­renza». Qui l’amore paterno dell’eccellente ma non soli­ta­rio legi­sla­tore della Carta di Nizza ha fatto aggio sull’acutissimo spi­rito cri­tico del giurista.

Ma, a riflet­tere, chissà: que­sta interpretazione-ricostruzione ope­rata da Rodotà potrebbe anche assu­mere valore pre­co­niz­zante di un pro­cesso che l’astuzia della sto­ria del diritto futuro, gra­zie ad una raf­fi­na­tis­sima erme­neu­tica, con tacite abro­ga­zioni e prov­vide addi­zioni, con­senta che i prin­cipi che Rodotà ha ride­fi­nito acqui­stino effet­ti­vità giu­ri­dica. Sic­ché da «uto­pia neces­sa­ria» diventi espe­rienza vivente quella soli­da­rietà che il movi­mento ope­raio si inventò e che Rodotà ricorda come rap­porto tra eguali e per­ciò auten­tica. Affiora così il tema dell’eguaglianza. Quello sul quale chi scrive sta aspet­tando il mag­gior defen­sor dei diritti del nostro tempo.

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