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Piero Bevilacqua
La gaia scienza degli OGM
20 Aprile 2014
Piero Bevilacqua
Non è la prima volta che scien­ziati e stu­diosi di varia for­ma­zione, pero­rano la causa degli Ogm ...>>>

Non è la prima volta che scien­ziati e stu­diosi di varia for­ma­zione, pero­rano la causa degli Ogm ...>>>

Non è la prima volta che scien­ziati e stu­diosi di varia for­ma­zione, pero­rano la causa degli Ogm in nome della razio­na­lità scien­ti­fica, con­tro la dif­fusa super­sti­zione popo­lare che li teme. Umberto Vero­nesi in pri­mis, ma anche Edoardo Bon­ci­nelli e Giu­lio Gio­riello, per citare i più illu­stri, lo hanno fatto in pas­sato in varie occa­sioni. Ora ripro­pon­gono il motivo, con un di più di con­fu­sione, Elena Cat­ta­neo e Gil­berto Cor­bel­lini (Quelle misti­fi­ca­zioni sugli Ogm, La Repub­blica, 9/4/2014).

I due stu­diosi aprono un fronte pole­mico con­tro alcune forme di atteg­gia­mento anti­scien­ti­fico dif­fuse nel nostro paese, quali la difesa del metodo sta­mina, i sospetti con­tro il vac­cino tri­va­lente, con­si­de­rato pos­si­bile causa di auti­smo nei bam­bini, la lotta con­tro la spe­ri­men­ta­zione con­dotta sugli ani­mali, l’omeopatia e infine gli Ogm. Fran­ca­mente mi pare troppo, anche per chi, come me, lamenta la scarsa popo­la­rità delle cono­scenze scien­ti­fi­che nel nostro paese. Che cosa c’entra l’opposizione con­tro gli Ogm con tutte le que­stioni pre­ce­den­te­mente elen­cate? Non è que­sto un modo poco scien­ti­fico di sva­lu­tare un atteg­gia­mento di razio­nale cau­tela asso­cian­dolo a con­vin­ci­menti di tutt’altra natura? Cau­tela scien­ti­fica, per­ché gli Ogm sono un pro­dotto di labo­ra­to­rio appro­dato alla sto­ria umana solo da pochi anni. È poco scien­ti­fico cer­care di far pas­sare que­sta frat­tura bio­lo­gica come una con­ti­nuità sto­rica, affer­mando, come spesso si fa, che i con­ta­dini hanno sem­pre mani­po­lato le piante per miglio­rarle. Sono uno sto­rico dell’agricoltura e so bene quanto lavoro selet­tivo ha per­messo agli agri­col­tori di «costruire» il patri­mo­nio di bio­di­ver­sità agri­cola di cui dispo­niamo. Ma le sele­zioni com­piute nei mil­lenni dai con­ta­dini e dagli agro­nomi di oggi si sono mosse e si svol­gono tutte den­tro il regno vege­tale. Gli Ogm di cui par­liamo e di cui par­lano gli autori, ossia, soprat­tutto mais bt e soia round up, com­mer­cial­mente i più impor­tanti, sono piante create tra­mite un salto di spe­cie o comun­que un inne­sto tran­se­ge­nico. Nel mais Bt è stato inse­rito mate­riale gene­tico pre­le­vato dal Bacil­lus Thu­rin­gien­sis (Bt), un bat­te­rio pre­sente nel ter­reno, che difende il mais dai danni della pira­lide. Men­tre la soia tran­sge­nica, creata dalla Mon­santo, resi­ste a un potente erbi­cida, il glisofate.

Scri­vono gli autori: un «docu­mento pub­bli­cato l’anno scorso dall’European Aca­de­mies Science Advi­sory Coun­cil… sulle sfide e le oppor­tu­nità delle piante gene­ti­ca­mente miglio­rate dice espli­ci­ta­mente che gli ogm non sono dan­nosi per l’ambiente e non atten­tano alla sicu­rezza ali­men­tare» E anzi «pos­sono ridurre l’impatto ambien­tale dell’agricoltura». Non cono­sco l’autorevolissimo docu­mento – ne cir­co­lano tanti, sia con­tro che pro Ogm — ma le affer­ma­zioni non sono per nulla con­vin­centi o sono smen­tite da un’ampia let­te­ra­tura. Intanto, diciamo che c’è dif­fe­renza tra piante «gene­ti­ca­mente miglio­rate» e Ogm. Il «miglio­ra­mento» delle piante con­dotto da gene­ti­sti, bio­logi e agro­nomi — sia pure con metodi diversi — pro­se­gue la sto­ria mil­le­na­ria dei con­ta­dini e con­tri­buirà in futuro a limi­tare l’inquinamento chi­mico nelle cam­pa­gne. Ma non è così per gli Ogm di cui par­liamo. La col­ti­va­zione della soia round up è asso­ciata all’uso di un veleno che si disperde nel ter­reno, inquina le falde, è sospet­tato di pro­durre tumori negli agri­col­tori. E’ noto per­fino agli scien­ziati della Mon­santo che le piante tran­sge­ni­che disper­dono il loro pol­line nell’ambiente, inte­ra­gendo in modo ancora del tutto ignoto con le altre piante, con gli insetti, gli uccelli, i micror­ga­ni­smi del ter­reno, insomma con gli equi­li­bri gene­rali dell’ecosistema. Che cosa può acca­dere nel tempo al vasto patri­mo­nio della bio­di­ver­sità agricola?Nessuno lo sa. Nes­suno fa ricer­che e inve­ste risorse in tale ambito. Men­tre gli scien­ziati che hanno influenza e voce sui media sono impe­gnati a fare la pub­bli­cità agli Ogm.

Sul piano ali­men­tare, i cibi con­te­nenti Ogm sem­brano non dare pro­blemi. Non viene il mal di pan­cia a man­giare una pan­noc­chia di mais bt. Ma che cosa può suc­ce­dere con il tempo, in caso di assun­zione con­ti­nuata, negli ani­mali e nell’uomo, in seguito alle inte­ra­zioni che il prin­ci­pio attivo del bat­te­rio Bt può inne­scare nei bat­teri dell’intestino ? Se io oggi sbri­cio­lassi in aria un pugno di pol­vere di amianto e la respi­rassi non farei nep­pure uno star­nuto. Ma fra 10–15 anni le pro­ba­bi­lità di con­trarre il can­cro della pleura o il bla­stoma ai pol­moni sarebbe ele­va­tis­simo. Non sarebbe dun­que sag­gio rispet­tare il prin­ci­pio di pre­cau­zione, adot­tato dall’ Unione Euro­pea, oggi sem­pre più tra­bal­lante sotto la pres­sione siste­ma­tica delle lob­bies? Gli autori lamen­tano che in Ita­lia, dove gli Ogm sono proi­biti, non pos­siamo pro­durre «man­gimi eco­no­mi­ca­mente com­pe­ti­tivi» e li impor­tiamo «ipo­cri­ta­mente» dal Bra­sile o dall’Argentina. Anche in que­sto caso la pero­ra­zione della libertà della scienza, asso­ciata alla sacra «cre­scita eco­no­mica» fa pren­dere degli abba­gli ai nostri autori. Ma hanno idea i due stu­diosi di che cosa signi­fica la col­ti­va­zione di soia in Bra­sile e in Argen­tina? Ster­mi­nate aziende con col­ti­va­zioni inte­ra­mente mec­ca­niz­zate, e assog­get­tate alla chi­mica per tutte le fasi della pro­du­zione. Come potrebbe mai com­pe­tere l’agricoltura ita­liana su que­sto ter­reno? E non è piut­to­sto con­ve­niente, anche sotto il pro­filo eco­no­mico, avere soia e gran­turco non Ogm, cioé piante più sicure, che si pre­sen­tano sul mer­cato come un pro­dotto qua­li­ta­ti­va­mente supe­riore, se non altro per­ché non hanno dovuto coe­si­stere con erbi­cidi e pesti­cidi deva­sta­tori dell’ambiente?

Ma chi ci ha ordi­nato di inse­guire l’agricoltura tran­sge­nica, quando noi pos­se­diamo un patri­mo­nio di bio­di­ver­sità agri­cola unica al mondo, indi­sgiun­gi­bile da una sto­ria mil­le­na­ria e dai carat­teri ori­gi­nali del nostro ter­ri­to­rio, dalle forme del pae­sag­gio, dalle tra­di­zioni delle nostre innu­me­re­voli cucine locali? Che senso ha par­lare di pro­dotti e di com­pe­ti­zione se non si ha un’idea di che cosa sia il nostro sistema agri­colo? Dob­biamo indi­riz­zare la ricerca scien­ti­fica alla mani­po­la­zione delle piante, per get­tare sul mer­cato nuovi pro­dotti bre­vet­tati, e assog­get­tare sem­pre più gli agri­col­tori all’agroindustria? Oggi sem­pre più gio­vani scien­ziati pas­sano la loro vita in labo­ra­to­rio, impe­gnati a mani­po­lare il dna dei semi, senza mai vedere una cam­pa­gna nep­pure in gita. E’ que­sta la ricerca da pri­vi­le­giare? Non dovremmo stu­diare le piante nel loro ambiente, nella rete delle loro inter­con­nes­sioni con l’ecosistema, per pro­durre beni sem­pre più sani e sicuri, in un habi­tat più salu­bre per tutti i viventi? Non abbiamo il com­pito di pro­durre cibo abbon­dante e sano senza distrug­gere la casa in cui viviamo?

L’ecologia, vale a dire lo stu­dio degli esseri viventi nel loro habi­tat, ha aperto un oriz­zonte del tutto nuovo alle scienze natu­rali e anche alle scienze dell’uomo. Per­ché essa con­sente di vedere la rete di con­nes­sioni che lega i vari feno­meni del mondo vivente. Oggi la gene­tica, per le sue poten­zia­lità mani­po­la­tive, per la pos­si­bi­lità di ritorni imme­diati e cre­scenti che offre all’industria, spinge le scienze della natura nel vicolo stretto del ridu­zio­ni­smo. La curva ascen­dente dei pro­fitti la tra­scina verso il basso. Non è per­ciò cor­retto riven­di­care indi­stin­ta­mente la buona causa della ricerca scien­ti­fica in campo tran­sge­nico. Que­sta è una strada, ma non è neces­sa­ria­mente la più con­si­glia­bile. E una scelta può pre­giu­di­carne un’altra, più feconda e più utile all’umanità. La sto­ria ci inse­gna qual­cosa in merito. Nei decenni cen­trali del XX secolo la fisica si è con­cen­trata sullo stu­dio dell’atomo. Nata come scienza di guerra, desti­nata al geno­ci­dio della bomba ato­mica, essa è diven­tata la Big Science per creare ener­gia, assor­bendo lo stu­dio delle più grandi menti del secolo e con­cen­trando inve­sti­menti immensi da parte dei mag­giori stati indu­striali. Ci si può chie­dere che cosa sarebbe acca­duto se la ricerca si fosse incam­mi­nata su un’altra strada, se si fosse stu­diata l’energia solare? Forse oggi non avremmo di fronte lo sce­na­rio del riscal­da­mento cli­ma­tico glo­bale che incombe sul nostro avvenire.

Questo articolo è inviato contemporaneamente al manifesto
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