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Ugo Olivieri
Uscire dalla servitù volontaria al berlusconismo
24 Agosto 2013
Articoli del 2013
La parola "crisi" è diventata l'alibi per proseguire ad infinitum ciò che è, ed è marcio. Per uscirne c'è un passo obbligato: la Costituzione e le forze che la difendono devono affrontare il nodo della legge elettoraleUn appello per una proposta di legge d'iniziativa popolare.
La parola "crisi" è diventata l'alibi per proseguire ad infinitum ciò che è, ed è marcio. Per uscirne c'è un passo obbligato: la Costituzione e le forze che la difendono devono affrontare il nodo della legge elettoraleUn appello per una proposta di legge d'iniziativa popolare.

Il manifesto, 24 agosto 2013

La nostra vita politica, come la nostra quotidianità, sono da tempo dominate da un termine, crisi , che ne determina l'auto-rappresentazione simbolica, l'azione politica e ogni prassi di mutamento. Il termine ha perso uno dei significati originari, ossia "stato di tensione verso un nuovo equilibrio" per imporsi solo nell'accezione di "stato di sofferenza" e quindi di negazione di ogni progettazione del futuro. Se viviamo politicamente, dentro e fuori di noi, la crisi come inarrestabile e necessario declino e quindi come impossibile cambiamento, siamo ben dentro quella condizione moderna di cui parla Hannah Arendt, la condizione di de-realizzazione, l'incapacità, cioè, di conoscere e aderire alla vita reale e alla vita delle emozioni legate alla volontà di cambiamento e quindi permanendo in una sorta di assoggettamento al potere presente. Forse a descrivere le ultime vicende italiane possono essere paradossalmente delle considerazioni elaborate nel Cinquecento in un libello, Il discorso sulla servitù volontaria , da un giovane magistrato francese, Etienne de La Boétie: «Colui che vi domina così tanto ha solo due occhi, due mani, un corpo [....]come farebbe ad avere tante mani per colpirvi, se non le prendesse da voi? Ha forse un potere su di voi che non sia il vostro? Oserebbe attaccarvi se voi stessi non foste d'accordo?». Visto che sono parole scritte da un magistrato, la tentazione di attualizzare questo passaggio e vedervi il ritratto anticipato di Berlusconi è grande. Non voglio cedere a questa banalizzante attualizzazione e voglio invece appuntare l'attenzione su questo "voi", su questo soggetto politico collettivo che crea e accresce il potere dell'uno e agisce in sua vece. E' esattamente quello che sta accadendo nelle scelte politiche del Pd da molti anni, ma adesso con un'accelerazione degna di nota poiché sta mostrando una sorta di volontà di perpetuare il potere carismatico dell'Uno anche al di là del suo effettivo potere. Come interpretare diversamente l'intervista di Luciano Violante Corriere della sera (10 agosto), dove delinea gli impegni futuri del governo che al di là degli interventi economici dovrebbe varare una nuova legge elettorale e immediatamente dopo la riforma dell'articolo 138 della Costituzione «poiché la vera stabilità può venire soltanto da una riforma costituzionale». Pensare di legare la nuova legge elettorale e la riforma della Costituzione a questo scenario delle precarie "larghe intese", che riescono a portare avanti solo le compatibilità di bilancio e quelle priorità finanziarie discendenti dall'agenda Monti e dai diktat della Ue e del Fmi, significa non avere della democrazia la stessa idea di chi si professa di sinistra. E soprattutto significa dare una legittimità a farlo a chi in più occasione questa stessa carta Costituzionale ha disprezzato e tacciato di parzialità e di stalinismo. Ma si sa gli italiani hanno la memoria corta e facilmente dimenticano chi li offende, lo aveva già detto Machiavelli a proposito del popolo nei confronti del Principe.

Ma il popolo quando si fa non volgo ma cittadino, e cittadino di una repubblica fondata sul lavoro è capace di sottrarsi a questo rapporto di servitù come fascinazione dell'Uno e ritrovare un'idea forte di democrazia come costruzione e rischio della libertà. Rischio perché la libertà è pratica quotidiana di cambiamento, è appunto crisi , come mutamento, a cui non è assicurato il risultato se non dalla capacità di farsi "maggioranza". Rischio perché, come sta avvenendo in una serie di iniziative spontanee sorte a difesa della Costituzione, quanti si stanno coinvolgendo nell'organizzazione di un'assemblea da tenersi il 5 ottobre a Roma su questi temi - dall'iniziativa di Rodotà, Maurizio Landini e Gustavo Zagrebelsky, ai firmatari dell'appello promosso dal Fatto , alle associazioni come "Viva la Costituzione", ai cattolici dei "Comitati Dossetti" per finire con il coinvolgimento di Azione Civile - lo stanno facendo rischiando in prima persona, al di fuori dei luoghi deputati della politica, portando avanti una volontà di rinunciare a soggettività politiche escludenti, a steccati d'appartenenza rigidi. Almeno questo dovrebbe essere lo spirito generale, pena la riedizione della fallimentare lista di Rivoluzione civile e della sinistra radicale alle scorse elezioni. E qui in poche battute vorrei delineare il problema del rapporto tra movimenti e organizzazioni che siano forme maggiormente strutturate rispetto alle forme della politica che stanno agendo nel tessuto civile italiano. Il rischio che quest'iniziativa sulla difesa della Costituzione coinvolga uno strato d'intellettuali o di scontenti della politica del Pd ma resti senza peso sul mondo dei movimenti, delle associazioni, si può evitare quando si sappia delineare un collegamento tra diritti costituzionalmente tutelati e tutte quelle forme di resistenza e riappropriazione del territorio, dei beni comuni, del diritto alla conoscenza o di rifiuto del debito che innervano la vita civile in Italia.
Resta, ineludibile, il nodo della legge elettorale. Per alcuni strategico, per altri, soprattutto nei movimenti, meramente tattico. Ma un nodo che andrebbe comunque affrontato e risolto se vogliamo uscire realmente dalla servitù ad un esecutivo che governa grazie alla continua minaccia della mancanza di alternative politiche. E allora perché non cercare un minimo comune denominatore tra le forze che stanno lavorando alla difesa della Carta costituzionale proprio sull'iniziativa di raccogliere 50.000 firme per la presentazione in Parlamento, tramite Sel o il M5S, di un disegno di legge d'iniziativa popolare su una legge elettorale, di pochi articoli, che abbia come obiettivo primario non solo la governabilità ma la rappresentatività della società italiana dentro il momento della delega di sovranità.
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