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Salvatore Settis
Porcellum e costituzione
13 Agosto 2013
Articoli del 2013
Come si sta violando la Costituzione per garantire, dietro l’alibi della “stabilità”, la subordinazione del centrosinistra agli interessi di un evasore fiscale condannato da una sentenza definitiva. Domani sapremo se Giorgio Primo avrà saputo dire le parole giuste.
Come si sta violando la Costituzione per garantire, dietro l’alibi della “stabilità”, la subordinazione del centrosinistra agli interessi di un evasore fiscale condannato da una sentenza definitiva. Domani sapremo se Giorgio Primo avrà saputo dire le parole giuste.

La Repubblica, 13 agosto 2013

Che differenza c’è tra la temuta paralisi e l’auspicata “stabilità”? In attesa che se ne discuta in apposito concilio (da convocarsi a Bisanzio), alcuni soloni d’accatto stanno illustrando urbi et orbi quale è oggi il prezzo della “stabilità”: un scambio di salvacondotti. A Berlusconi, condannato per frode fiscale, dev’essere garantita “agibilità”, cioè l’impunità; in cambio, si assicura la sopravvivenza del governo Letta. Il suo ruolo di capopartito e capopopolo conferirebbe a Berlusconi, secondo costoro, uno status speciale, come il capo di un esercito invasore che tratti alla pari col governo del luogo; compito precipuo del capo dello Stato, o se no del governo, o se no del Parlamento, sarebbe dunque inventarsi un inghippo per cancellare la condanna appena pronunciata. Ma, come ha scritto Ezio Mauro, «il fatto è che in democrazia, e vigente una Costituzione, non c’è modo di trascrivere questa specialità nel diritto, nei suoi codici e nelle procedure».

Questo preteso “stato di eccezione” (che suona come una campana a morto per la legalità) ha già provocato un capovolgimento delle priorità del governo Letta, del quale i voti controllati da Berlusconi sono essenziale puntello. Si era detto che una nuova legge elettorale e le emergenze dell’economia e del lavoro sarebbero state in cima alla lista, ma non è più così, perché anche qui vige la logica dello scambio (più appropriata, a dire il vero, per i sequestri di persona): non vi sarà riforma elettorale senza riforma della Costituzione, come è infatti previsto nel disegno di legge costituzionale 813. Ed è giusto così, secondo la Road Map delle riforme costituzionali, redatta da Massimo Rubechi, che il Pd ha diffuso il 7 agosto fra i suoi deputati del Pd, dato che «la riforma della legge elettorale è naturalmente legata alla forma di governo e pertanto vi è un nesso di consequenzialità tra revisione costituzionale e forma elettorale ». Si alza dunque il prezzo dello scambio: per garantire la precaria “stabilità” che il governo deve conquistarsi centimetro per centimetro e giorno per giorno, il Pd deve impegnarsi a portare a termine la riforma della Costituzione (la Road Map può sembrare una specie di catechismo per deputati riottosi o distratti).

Secondo Alessandro Pizzorusso, «le revisioni della Costituzione devono essere necessariamente puntuali e circoscritte, dovendosi far luogo a una specifica legge costituzionale per ogni singolo emendamento»; secondo Alessandro Pace, il ddl 813 configura «un uso illegittimo del potere di revisione al fine di poter modificare surrettiziamente la Costituzione », anche perché configura una radicale modifica della Carta nel vasto ambito di “supermaterie” come (recita testualmente il ddl 813) «la forma di Stato e la forma di governo». Eppure, ci assicura la Road Map,chiunque sollevi dubbi sul ddl 813 «sposa impostazioni estremiste », e lo fa «per fini propagandistici ». La Costituzione va cambiata, e in fretta: perciò la procedura prevista dal ddl 813 è in deroga all’articolo 138 della Costituzione (unica procedura legittima per modificarla): ma, secondo la famosa formula di Alf Ross, in tutte le Costituzioni «la norma chestabilisce le condizioni del mutamento si colloca a un livello superiore a quello della norma da modificare » (Groppi). Secondo la Road Map, al contrario, le deroghe all’articolo 138 sono legittime, per «non sottoporre il processo di revisione alle storture del nostro sistema parlamentare», cioè al bicameralismo. In altri termini, per modificare la Costituzione che prevede il bicameralismo, bisogna dare per scontato (prima della modifica) che esso è una stortura, e agire in deroga, come se fosse stato già abolito.

Tanta è la fretta, e tanta la voglia di cambiare la Carta, che si è inventata un’inedita procedura: la Costituzione-matrioska. Come in un gioco di scatole cinesi, la nuova Costituzione che sarà approvata dalle Camere contiene una scatola più piccola, quella della Commissione dei 42 (nominati dai capigruppo e dei presidenti delle Camere) prevista dal ddl 813, che predisporrà i testi da portare poi in aula. Dentro questa scatola, un’altra ancora: la Commissione per le riforme istituzionali nominata dal governo Letta il 12 giugno (i 35 “saggi”, oggi 34 dopo le dimissioni di Lorenza Carlassare), che è al lavoro nell’ombra, tanto per non perdere un secondo. E infine la scatola più piccola, i “saggi” nominati dal Presidente della Repubblica il 30 marzo, che in quattro e quattr’otto ha prodotto le sue proposte di riforma costituzionale, datate 12 aprile. Si dà per scontato che le idee prodotte dai “saggi” del Presidente in dodici giorni siano il seme di quelle su cui lavorano i “saggi” del Governo, per consegnarle poi ai 42 delle Camere, e infine alle assemblee. Peggio, si dà per scontato che cambiare la Costituzione debba essere un lavoro fatto en petit comité, da gruppi nominati dall’alto e non (come la Costituente del 1946) eletti dal popolo con il compito specifico di definire la forma di Stato e la forma di governo.

La Road Map descrive con esultanza questa procedura, neppure adombrata nell’unica norma vigente per la modifica della Carta, l’articolo 138, anzi ricorda come precedente la Commissione nominata da Berlusconi nel 1994 e presieduta dal leghista Speroni, ministro per la devoluzione. Ma il paradosso principale è un altro: quello che abbiamo è, grazie al Porcellum, un Parlamento non di eletti ma di nominati, eppure è ad esso che dobbiamo chiedere a gran voce, noi cittadini, un atto di resipiscenza e la difesa, non lo stravolgimento, della Costituzione.

Il Filibustering del M5S che ha rimandato di un mese la discussione alla Camera del ddl 813 ci dà un piccolo spazio di riflessione, nel quale è da sperare che i parlamentari sappiano recuperare legalità per le istituzioni, dignità per se stessi. La stessa Costituzione offre gli strumenti per farlo, per esempio l’articolo 50 («Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere »). L’articolo 67 prescrive che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». È un articolo andato in desuetudine anche per effetto del Porcellum, che rinforza i vincoli di obbedienza al capopartito: perciò non piace a Grillo, ma non piace neanche a chi sostiene che un presidente del Consiglio incaricato (come qualche mese fa Bersani) non possa presentarsi alle Camere se non con la certezza previa della maggioranza. Ma se i parlamentari hanno libertà di coscienza, come si fa ad avere questa certezza senza presentarsi alle Camere? L’accordo dietro le quinte coi capipartito e coi capigruppo ignora l’articolo 67, presuppone la santa ubbidienza di deputati e senatori a chi li ha messi in lista, stravolge la Costituzione. Perché la “stabilità” tanto agognata non si trasformi in paralisi sotto il ricatto dell’“agibilità” di Berlusconi, è sulla dignità del Parlamento e dei suoi membri che bisogna puntare. Perché non sia sotto sequestro la Costituzione, ostaggio di scambi impensabili.

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