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Alberto Ziparo
La città che ha divorato l'Italia
25 Agosto 2013
Napoli
Rinasce, grazie al prezioso lavoro della Cineteca nazionale un altro splendido film: dopo la Roma della lotta al fascismo (

Rinasce, grazie al prezioso lavoro della Cineteca nazionale un altro splendido film: dopo la Roma della lotta al fascismo (Roma città aperta, di Rossellini) è la volta della Napoli del comandante Lauro e della speculazione, Le mani sulla città di Rosi: quasi un documentario di un'Italia che è dura a morire. Il manifesto, 25 agosto 2013

Martedì 27 Agosto, a Venezia, verrà proiettato “Le Mani sulla Città” di Francesco Rosi, nella versione ristrutturata dalla Cineteca Nazionale. Si celebra così il cinquantennio del conferimento del Leone D’Oro al Festival Cinematografico al capolavoro neorealistico del Grande Regista (alla stessa ora RAI Movie ne offrirà visione TV).

Rosi denunciava lo sfascio urbanistico e politico di Napoli, in grande espansione in quegli anni. Non poteva sapere –forse lo intuiva- che la sua opera avrebbe costituito una magistrale, anche se assai inquietante, previsione circa i disastri delle politiche, non solo urbanistiche , che avrebbero segnato tutto il Paese,l’Italia intera, nei cinquantenni successivi. Sfregiandone irrimediabilmente quel volto “illuminato e gentile” colto dai viaggiatori del Gran Tour e che le era valso il soprannome di “Belpaese”.

Rod Steiger, nei panni del costruttore e politico Nottola, che spiega come un terreno agricolo “che vale 500 lire”, se diventa edificabile “ne vale 50.000”, costituisce una significativa interpretazione del ruolo della rendita speculativa nella crescita urbana, più efficace di molte lezioni di analisi urbanistica.,Il film spiega appunto il disfacimento delle politiche urbane rispetto agli interessi della rendita speculativa (la camorra restava sullo sfondo, allora, o come “utilizzatore finale” di piccolo cabotaggio).
Il film venne premiato con il Leone D’Oro nel settembre 1963: un mese dopo si sarebbe registrato il disastro del Vajont, seguito qualche tempo dopo dalla Frana di Agrigento e d’Alluvione di Firenze (1966). Eventi che dimostravano già come la crescita urbana, pure ancora relativa –e circoscritta alle città grandi e medio grandi- avveniva a scapito della sicurezza territoriale e della qualità ecopaesaggistica.

Nonostante i disastri, i tentativi di riforma urbanistica e di “nuovo regime dei suoli”, portata avanti dal democristiano Fiorentino Sullo con l’appoggio della sinistra socialista e del PCI venne bloccata, segnando addirittura la fine politica dell’ex ministro. Le emergenze ambientali della crescita territoriale portarono ad una serie di provvedimenti normativi, parziali, che nell’arco di un decennio, dal 1967 alla fine dei settanta, avviarono un processo pure timidamente riformista; la legge Ponte-Mancini, sulla scissione tra diritto di proprietà e di superficie, del ‘67; i decreti su zoning e standard, nel ‘68; la legge sulla casa e gli espropri, del ‘71; l’onerosità della concessione a costruire e degli oneri di urbanizzazione, del ‘77; l’avvio dei piani di recupero, del ‘78.

Questa intenzione –ed i modesti tentativi di pianificazione progressista che avevano comportato- venivano frustrati all’alba del decennio successivo da una serie di sentenze della Corte Costituzionale che mettevano in discussione vincoli urbanistici e criteri di esproprio. Annunciavano gli anni ottanta, con la crisi di Welfare state, l’avvio di un ventennio abbondante di iperconsumismo e una sorta di controriforma urbanistica, introdotta dalle sentenze citate e continuata con i tentativi di svuotare le capacità prescrittive dei piani con la cosiddetta “programmazione concertata”, in nome di un “Nuovo”, che invitava a “Fare”, in realtà a consumare senza senso e limiti,anche il territorio. E meno male che di lì a poco esplodeva anche in Italia la “questione ambientale”. In realtà, le criticità urbane e le “mani sul territorio nazionale” non si erano mai interrotte; la rendita speculativa, agraria ed edilizia, diventava industriale, poi commerciale e infrastrutturale,infine finanziaria dettata dal marketing urbano globalizzato:la semplice operazione di trasformazione diventava un affare, con i relativi lavori,più o meno grossi;migliore, se la nuova,anche ipotetica destinazione d’uso,trovava dei potenziali investitori. Neutralizzata la pianificazione efficace, razionalmente basata sulla domanda sociale, la città diffusa pervadeva sempre più i vari ambiti del territorio nazionale: una blobbizzazione cementizia industriale, che cancellava il paesaggio, seppelliva i beni culturali, degradava l’ambiente, deterritorializzava.

L’ex Belpaese diventava la Bengodi delle costruzioni e del consumo di suolo: laddove nel mondo, dal 1945 al 2005, si sono quintuplicati i volumi urbanizzati, e in Europa si è registrata una crescita di quasi otto volte, in Italia tale tasso supera i dieci punti, e nelle tre regioni ad alta densità mafiosa (in cui la criminalità organizzata era divenuta uno degli attori dominanti la scena politica) l’incremento è di oltre 13 volte!
Così, mentre si intensificavano i disastri sismici ed idrogeologici di un territorio fortemente indebolito dalla cementificazione, la quota di suolo nazionale consumato è oggi pari ad oltre il 20% dei 301.000 Kmq di superficie (raddoppio dell’ingombro negli ultimi 15 anni) e si producono costruzioni per una domanda inesistente (oltre 25 milioni di stanze vuote), mentre il bisogno sociale di abitazioni permane inevaso. Certo, questo è dovuto anche al fallimento della politica: il film di Rosi rappresentava perfettamente il dissolvimento dell’etica e della razionalità sociale che dovrebbe caratterizzare la gestione della cosa pubblica: il sistema decisionale viene prima circuito, poi incorporato dall’offerta di trasformazione urbana e territoriale, dettata da interessi speculativi. Finchè –a partire dagli anni novanta- una governance “ubriacata di pseudoliberismo” se ne fa strumento dichiarato: oggi, le politiche urbane e territoriali ai diversi livelli sono spesso extraistituzionali, dettate dalle imprese e soprattutto dagli istituti finanziari. Carlo Fermariello, che nel film rappresenta se stesso, è un’icona della buona politica legata alla reale domanda sociale: figura sempre più rara, poi quasi sparita, dalle nostre assemblee elettive.

.Per “aver fornito un contributo fondamentale alla cultura e alla cultura urbanistica nazionale”, Francesco Rosi qualche anno fa è stato insignito della Laurea ad honorem dal Corso di laurea in Urbanistica dell’Università di Reggio Calabria. È emblematico come –a causa dei tagli e delle controriforme Gelmini/Tremonti/Profumo - oggi, perfino quel Corso di laurea sia stato cancellato (i Corsi di laurea di Urbanistica e Pianificazione peraltro si continuano a tenere in diverse altre sedi). Nonostante le accorate declaratorie e denuncie sulla necessità di svolte radicali nelle politiche ambientali nazionali, il sistema politico decisionale restringe anche ricerca e formazione. Per tutto questo –ha ragione Roberto Saviano- il film resta un capolavoro, “una grande rappresentazione non solo di Napoli,ma dell’Italia, anche di oggi”. Anche se oggi forse Rosi girerebbe gli esterni in Val di Susa e gli interni tra Parlamento e Ministeri.

Riferimenti:
A proposito del film di Francesco Rosi e di un'iniziativa in proposito dell'Università di Reggio Calabria vedi anche qui su eddyburg un articolo in proposito e alcune scene del film

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