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Ilaria Agostini
Firenze: un piano già vecchio.
20 Maggio 2013
Legislazioni regionali
Un pessimo piano urbanistico alla luce di un’ottima proposta di modifica d’una pessima legge regionale. Il tutto nella città di Matteo Renzi. Intervento al convegno organizzato dalla "L

Un pessimo piano urbanistico alla luce di un’ottima proposta di modifica d’una pessima legge regionale. Il tutto nella città di Matteo Renzi. Intervento al convegno organizzato dalla "Lista di cittadinanza perUnaltracittà", 22 aprile 2013 Lo pubblichiamo tardivamente, ma in certi casi è meglio tardi che mai.
Firenze: un piano già vecchio.alla luce delle modifiche proposte per la LR 1/2005.
Intervento al convegno “Per una nuova urbanistica regionale. La riscrittura della legge sul governo del territorio”, Firenze, Palazzo Vecchio, 23 aprile 2013

La legge urbanistica regionale (LR 1/2005) è uno dei frutti più maturi dell’«esasperata concezione del pluralismo istituzionale paritario, derivato dalle infelici modifiche al titolo V della Costituzione». L’attuale proposta di modifica mira a contenere il consumo di suolo, incrementando la pianificazione sovracomunale, e a coordinare e omogeneizzare gli atti di governo del territorio al fine di conferire loro la necessaria trasparenza ed efficacia.

Dare trasparenza ed efficacia al piano strutturale fiorentino, approvato con pompa mediatica nel giugno 2012 a cinquant’anni esatti dal piano Detti, è opera ardua. Del piano strutturale è stata criticata l’assenza di un’idea specifica di città, l’esiguità dell’indagine conoscitiva, la non convincente formulazione delle invarianti strutturali e la mancanza di strumenti di tutela specifica del centro storico. Il piano si presenta come mera sommatoria di slogan, tra i quali i “volumi zero”, smentiti, a pochi mesi dalla sua approvazione, dai grandi volumi edilizi già partiti in variante al vigente PRG – dodici in tutto, tra cui la Manifattura Tabacchi. Nelle righe che seguono vedremo come l’applicazione della proposta nuova legge urbanistica contribuirebbe a dare alla città di Firenze un piano e un regolamento urbanistico di effettiva valenza pianificatoria. Ci concentreremo in particolare sugli aspetti inerenti la parte statutaria del piano, sul riconoscimento, interpretazione e rappresentazione dei fenomeni territoriali di lunga durata, sul possibile rapporto città-campagna.

Le modifiche proposte dall’assessore Anna Marson (che per comodità chiameremo “proposta Marson”) danno qualità culturale alla legge vigente. Fondamentale in tal senso il passaggio dal concetto di “risorsa” e “prestazione” territoriale, a “patrimonio territoriale”, ovvero il passaggio dal valore di scambio (risorse), al valore di esistenza e di uso (patrimonio) insito nel paradigma adottato dalla legge. Per patrimonio territoriale, si legge nel proposto art. 3, c. 1, «si intende l’insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future». Si passa così dalla “tutela delle risorse” alla «promozione e garanzia di riproduzione del patrimonio territoriale» attribuendo, positivamente, accezione evolutivo-genetica ai contenuti di legge e dunque ai futuri piani e progetti urbanistico-territoriali.

Gli elementi che costituiscono il patrimonio – «la cui percezione da parte delle popolazioni esprim[e] l’identità paesaggistica della Toscana» (è evidente la citazione della Convenzione europea del paesaggio) – derivano dalla lettura strutturale del territorio e si riferiscono alle quattro voci dei sistemi: idrogeomorfologico; ecosistemico; insediativo; agroforestale. Esse richiamano le invarianti sui cui si fonda il piano paesaggistico, contenuto a sua volta nel piano di indirizzo territoriale e attualmente in fase di revisione.

La proposta Marson rafforza il côté statutario dell’impostazione legislativa che separava, fin dalla sua prima versione (LR 5/1995), il piano urbanistico in: parte statutaria, appunto, e parte operativa. Lo statuto, «atto di riconoscimento identitario mediante il quale la comunità locale riconosce il proprio patrimonio territoriale e ne individua le regole di tutela, riproduzione e trasformazione», sarà costruito con la partecipazione dei cittadini. Le «invarianti strutturali», già previste dalla citata LR 5, vengono ora definite con chiarezza, lasciandosi alle spalle il fumoso articolo 4 della LR1/2005, perla nera di quel pessimo italiano che, lungo tutto l’articolato, si è dimostrato funzionale alla creatività esegetica e, quindi, speculativa (non solo in senso filosofico). Le invarianti strutturali si attengono agli aspetti morfologici del patrimonio territoriale, agli assetti tipologici, alle loro interrelazioni e alle «regole generative, di manutenzione e di trasformazione del patrimonio territoriale che ne assicurano la persistenza» (versione proposta, art. 4, comma 1, lett. c).

Gli atti della pianificazione dovranno adeguarsi al paradigma interpretativo sopra esposto: ne discende che il PS fiorentino, nella sua parte strutturale, sarà totalmente da riscrivere. Basti ricordare in questa sede che le quattro invarianti strutturali riconosciute («nucleo storico»; «tessuti storici e di relazione con il paesaggio aperto»; «i fiumi e le valli»; «il paesaggio aperto» [sic! cfr. la tav. 2 (Invarianti strutturali) facente parte dei documenti del PS] e sommariamente concepite come areali non arrivano a coprire l’intero territorio comunale. La villa medicea di Careggi, la sequenza dei borghi medievali lungo la via Pistoiese, l’area di Castello, Novoli, rientrano senza distinzione nel dominio dell’hic sunt leones. Il travisamento concettuale dello statuto del territorio, strumento fondativo di riconoscimento dei principi della pianificazione comunale, è palesemente dimostrato dall’inserimento dello stesso nelle norme tecniche di attuazione (un po’ come se la carta costituzionale si venisse a trovare inglobata nel novero delle leggi ordinarie).

Per scontentare preventivamente quei comuni che finora hanno flirtato con i poteri forti della speculazione fondiaria, la proposta Marson ristruttura il comma 4 dell’art. 3, attualmente vigente ma mai attuato, il quale sanciva che «nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti» (LR 1/2005). Il comma è approfondito e si trasforma in un articolo autonomo (art. 3 bis, Condizioni per le trasformazioni) che perentoriamente definisce il territorio urbanizzato, tracciando idealmente una linea rossa tra città e campagna. Ne riportiamo la definizione: «Il territorio urbanizzato è costituito da: i centri storici, le aree residenziali edificate con continuità dei lotti, gli insediamenti produttivi, commerciali, direzionali, le attrezzature e i servizi, gli impianti tecnologici, i lotti interclusi dotati di opere di urbanizzazione primaria. Non sono considerate territorio urbanizzato le aree che presentano caratteri riconoscibili di ruralità, ancorché incluse al suo interno, così come i singoli edifici, l’edificato sparso o discontinuo nonchè i borghi presenti nel territorio rurale» (prop. Marson, art. 3 bis, comma 3).

In conformità con il principio espresso al comma 1 del medesimo articolo, per cui «nessun elemento costitutivo del patrimonio territoriale [...] può essere ridotto in modo significativo e irreversibile», fuori dal territorio urbanizzato è impedito qualsiasi nuovo impegno di suolo non edificato. Nel caso in cui invece lo strumento urbanistico comunale proponga nuovo impegno di suolo al di fuori delle aree urbanizzate, «limitatamente a destinazioni produttive, infrastrutturali e di grandi strutture di vendita» (ma non residenziali, che non sono consentite eccetto eventualmente le residenze rurali), le trasformazioni saranno consentite previa verifica di sostenibilità per ambiti di area coincidenti con gli ambiti di paesaggio (ai sensi del CBCP art. 135, c. 2) su cui è impostato l’elaborando piano paesaggistico; procede alla verifica di sostenibilità una “conferenza di pianificazione”, in cui la Regione avrebbe «parere vincolante» (prop. Marson, art. 17 septies).

Torniamo al PS del Comune di Firenze. Malgrado i proclami dei “volumi zero”, affidati dal sindaco all’etere peninsulare, il piano si è guardato dal definire e riconoscere i confini dell’urbanizzato: sappiamo che il PS non è conformativo della proprietà e pertanto siamo in attesa di vedere se un segno di tanto peso sarà tracciato nel regolamento urbanistico. Nelle intenzioni dell’assessorato, per ora, non se ne legge alcun indizio. Come non vi è traccia di una proposta organica a scala urbana del riuso dei contenitori dismessi sui quali dovrebbe concentrarsi il disegno dell’assetto futuro della città che non cresce. Si tratta di un enorme patrimonio pubblico e privato, in dismissione o già vuoto, sul cui destino il documento di avvio del regolamento urbanistico si chiede: «chi è in grado di dire – oggi – quale mix di funzioni potrebbe essere sostenuto da quegli edifici?» Al fine di definire le previsioni del RU, il Comune procede alla consultazione dei proprietari di immobili in trasformazione di superficie maggiore ai 2000 mq, facendo uso del “bando di pubblico avviso” – peraltro emanato dal sindaco con propria “determina”, senza passare dalla discussione in Consiglio. Il “pubblico avviso”, strumento previsto dall’art. 13 del reg. 3/R/2007 alla LR 1/2005 (con criteri più inclusivi rispetto a quelli individuati a Firenze) va nella direzione dell’esproprio della titolarità pubblica della pianificazione: pertanto auspichiamo che, a legge riscritta, si abroghi questo istituto che contribuisce fortemente alla degenerazione in senso privatistico dello strumento urbanistico.

A rafforzare la portata innovativa della linea rossa – invisa all’ANCI, all’INU e all’assessore Meucci di conserva – è la previsione di possibili “ambiti di pertinenza” paesaggistica. Si tratta di una disposizione presente nella letteratura urbanistica: ricordiamo, in Toscana, il PTCP di Siena, arch. Gian Franco Di Pietro (e ora ritoccato dalla matita consenziente di Silvia Viviani), che definiva le aree di pertinenza paesistica di centri urbani, aggregati, ville ed edifici specialistici, eliminate tuttavia in fase di approvazione del piano (che amplificava il malessere dei comuni con la contestuale previsione dell’ “ambito preferenziale di completamento e crescita urbana”). Oppure, nella pianificazione delle regioni a statuto speciale, la cosiddetta Tutela degli insiemi o Ensembleschutz messa in atto dalla legge urbanistica della Provincia di Bolzano che riconosce il valore paesaggistico-memoriale di insiemi formati da manufatti edilizi e rurali, sottoponendoli a specifica normativa relativa alle relazioni intercorrenti tra gli elementi dell’insieme stesso. Anna Marson propone che nei propri piani strutturali i comuni, oltre ad individuare gli ambiti di pertinenza dei centri e nuclei storici, identificandone gli aspetti di valenza paesaggistica da mantenere e riprodurre, definiscano le aree caratterizzate dalla prossimità con il territorio urbanizzato, definite “ambiti periurbani”. In riferimento alle corone dei centri urbani e delle periferie, tema oggi al centro delle riflessioni disciplinari, le proposte per la nuova legge urbanistica raggiungono una lucidità progettuale che chiama in causa l’intersettorialità necessaria alla buona pianificazione territoriale: i piani di settore dovranno promuovere «il sostegno di tutte quelle forme di agricoltura che possano garantire il mantenimento o il recupero delle sistemazioni agrarie tradizionali di valenza anche paesaggistica» (proposta Marson, art. 41, c. 2), nonché, nelle fasce periurbane, «quelle forme di agricoltura utilmente integrabili con gli insediamenti urbani, dagli orti sociali all’agricoltura multifunzionale» (ivi, art. 42, c. 2) salvaguardando gli elementi del paesaggio rurale storico ancora presenti, favorendo il loro incremento, e garantendo le connessione ecologiche e fruitive tra il territorio urbanizzato e quello rurale.

Arriviamo infine alla definizione dei contenuti degli atti di governo del territorio (ivi inclusi anche i piani intercomunali promossi dall’assessorato), limitandoci nella nostra analisi ai piani comunali. La parte statutaria dovrà contenere il quadro conoscitivo redatto ai sensi di quanto già detto sopra in merito a invarianti e riconoscimento del patrimonio territoriale, la perimetrazione dei centri e dei nuclei storici (oltre a quella delle aree di pertinenza) e delle aree urbanizzate, l’individuazione delle invarianti strutturali, nonché le regole di tutela e disciplina del patrimonio territoriale, comprensive dell’adeguamento alla disciplina paesaggistica del PIT (prop. Marson, art. 53). In molti dei passaggi sottolineati in queste pagine, risulta evidente l’interconnessione tra le proposte di legge e la disciplina pasaggistica. Attraverso questi due strumenti, legge regionale riformata e nuovo piano paesaggistico, l’assessorato Marson – senza intaccare l’autonomia – tenta la messa in pratica di politiche locali coordinate e omogenee nel segno dell’innalzamento della qualità degli ambienti di vita, della tutela e della riproducibilità dei paesaggi regionali. Con l’appoggio, per ora, di comitati e movimenti.

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