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Jane Lumumba
Africa: attenta alle Città Nuove!
4 Maggio 2013
C'è una bella differenza tra contesti urbani magari pieni di problemi, ma potenzialmente inclusivi, e un po' di edifici messi lì spesso a vanvera con la vaga idea di guadagnarci. Dove finisce una cosa e comincia l'altra?

Next City, 2 maggio 2013 (f.b.)

Titolo originale: Why Africa Should Be Wary of Its ‘New Cities’ - Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

L'Africa aspetta le Nuove Città. Usano questo termine gli urbanisti, per descrivere il fenomeno: pianificate, autosufficienti, dove prima non c'era nulla o quasi, di dimensioni tali da garantire al tempo stesso case, servizi, cultura, attività economiche. Qualcuno si sbilancia sino a definirle “villaggi urbani”, distinguendole così dalle città “normali” cresciute ed evolute nel tempo. Queste Nuove Città emergenti per l'Africa si collocano all'esterno di città esistenti, sono pensate per funzioni residenziali, industriali, commerciali. Non si tratta di un'idea nuova.

È passato più di un secolo da quando Sir Ebenezer Howard con la sua Città Giardino voleva creare un'alternativa migliore alla Londra di allora. Oggi l'idea si applica all'Africa, pur in una situazione inedita e complessa. Il problema è che, nonostante ce ne siano parecchie di Nuove Città in progetto, nessuno sa quali effetti produrranno. C'è in corso un enorme esperimento urbanistico, ma mancano studi e previsioni sulle conseguenze economiche, ambientali, sulla vita delle persone, sia di quelle che ci abiteranno dentro che fuori.

A Nairobi sorgerà presto Konza, che già alcuni acclamano come la versione africana della Silicon Valley, e poi Tatu City, investimento da quasi tre miliardi di dollari americani sulla nuova super-autostrada regionale di Thika. Fuori da Accra, Appolonia, soprannominata “Città della Luce”, è un progetto autosufficiente multifunzionale che ha aperto i cantieri l'anno scorso, con la sua proposta “abitazioni-lavoro-tempo libero". A Lagos si pensa a costruire Eko Atlantic, città da 400.000 persone su terreni sottratti all'oceano. E a Lusaka, Zambia, si aspetta Roma Park, insediamento residenziale e commerciale su 118 ettari di campagna.

La lista di questi progetti continua ad allungarsi man mano varie città africane si uniscono alla tendenza. Che richiede analisi empiriche sulle potenzialità, i problemi, gli effetti di questi modelli urbani emergenti. Queste città nascono dal diffuso bisogno di nuovi spazi, e promettono straordinarie qualità e funzionalità, tali da consentire uno stile di vita di tipo occidentale. Si autodefiniscono coerentemente anche Eco-Città o Smart Cities, vantando innovazioni e sostenibilità ineguagliabili nelle città tradizionali. La cosa che colpisce è che qui pare del tutto scomparso il contesto, l'economia, addirittura la povertà. Il che pone diverse questioni.

A chi si rivolgono, queste città? Chi le propone? Sono davvero città vere e proprie o solo occasioni di affari? Di sicuro le Nuove Città sono progetti privati, molto ingenuamente sostenuti dai governi africani desiderosi di legare il proprio mandato a nuove stimolanti imprese. La scommessa politica è duplice. In primo luogo in Africa esiste un ceto medio emergente che richiede (ed è disposto a pagare) spazi urbani di qualità superiore. In secondo luogo la recessione economica in Europa stimola una diversa “imprenditorialità urbana” fuori da quel mercato saturo, e così i capitali stranieri riversano risorse e le idee del nuovo liberismo urbano verso le città africane.

La principale preoccupazione è che queste Nuove Città, dalla concezione alla realizzazione, mettono a tacere ed escludono completamente la cultura urbanistica, le amministrazioni locali, la cittadinanza. In molti casi sono gestite in modo esclusivo dai costruttori e dai loro architetti e ingegneri. Questa assenza di ruolo e contributi da parte di altri soggetti lascia perplessi. Ad esempio, Tatu City a Nairobi dovrebbe sorgere su terreni agricoli di ottima qualità. Producevano caffè, che è un importante prodotto da esportazione per il Kenya. Il che fa sorgere la questione dell'uso del suolo, della proprietà del suolo, del sistema di regolamentazione e decisione.

Con le città nuove si rischia anche di esasperare problemi di segregazione spaziale e polarizzazione sociale. Molti abitanti delle città africane sono poveri, per esempio a Nairobi si calcola siano il 60% della popolazione. Il tema della sostenibilità così come concepito in queste Città Nuove esclude i poveri urbani. Troveranno spazio là dentro abitazioni spontanee o mercatini informali? E quelle torri con facciate di cristallo ad aria condizionata sono adeguate a reti elettriche inaffidabili, e non escludono troppo chi non se ne può permettere i costi?

Sulle conseguenze delle città nuove possiamo per adesso solo ipotizzare, ma certo l'Africa potrebbe trarre insegnamento da alcune esperienze recenti. Quella più importante in Angola. Nova Cidade de Kilamba è stata costruita da un'impresa pubblica cinese di investimento, per rispondere alla mancanza di abitazioni e servizi alla periferia di Luanda, la capitale. Ad oggi è vuota. Gli abitanti dello slum che la circonda non possono permettersi quei costosi appartamenti, e chi potrebbe comprarli non vuole allontanarsi dalle zone centrali con le loro attività economiche e vitalità. Evidente la mancanza di considerazioni preliminari. Si trattava di una fantasia, che è restata tale, e di un segnale sinistro per le tante altre Nuove Città che stanno spuntando in tutto il continente.

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