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Simona Spaventa
Dagli slum africani a Berlino il verde è bello e fa star bene
13 Aprile 2013
Libri da leggere
Tentativi di trovare una sintesi tra spazio urbano e spazio rurale: gli orti urbani come risorsa ambientale e sociale per la città globale del terzo millennio in un documentario proiettato nelle sale italiane: God Save the Green.

Tentativi di trovare una sintesi tra spazio urbano e spazio rurale: gli orti urbani come risorsa ambientale e sociale per la città globale del terzo millennio in un documentario proiettato nelle sale italiane: God Save the Green. La Repubblica Milano, 13 aprile 2013 (f.b.)

Il verde urbano raccontato con un lungo viaggio attorno al mondo, da Nairobi al Brasile, da Casablanca a Berlino, alla scoperta di orti spuntati sui tetti di grattacieli o in slum di megalopoli del Sud del mondo, coltivati in sacchi di juta o in bottiglie di plastica riciclate. È God save the green, il documentario di Michele Mellara e Alessandro Rossi che, distribuito dalla Cineteca di Bologna (che l´ha pubblicato in cofanetto dvd e libro), arriva in anteprima milanese lunedì sera al cinema Mexico, presenti i registi (e dal 19 al 23 aprile sarà in tenitura al cinema Beltrade).

Punto di partenza, un dato di cui poco si parla, ma dalla portata enorme: nel 2007, per la prima volta nella storia, la maggior parte della popolazione mondiale non vive più nelle campagne, ma in città. «Eppure - dice Michele Mellara - in chi vive in città rimane un bisogno prepotente di immergere le mani nella terra, scardinando ritmi e obblighi del vivere urbano». Un gesto primordiale che diventa atto rivoluzionario. Con modalità e fini diversissimi: «Per necessità di sussistenza nelle periferie degradate del Sud del mondo, come gesto artistico e provocatorio nel guerrilla gardening, tra i palazzi delle nostre città».

Un paesaggio antropologico variegato che gli autori declinano nel film - prodotto dall´indipendente Mammut Film con sostegno partecipato "dal basso" - in un mosaico di sette storie raccolte nel Nord e nel Sud del mondo, alternate a momenti di riflessione, con i versi della Terra desolata di Eliot e gli appunti ironici del praghese Karel Capek (da L´anno del giardiniere), letti dalla voce di Angela Baraldi sulle note della chitarra di Massimo Zamboni, ex Cccp.

Il viaggio si spinge in uno slum di Nairobi, dove «nel groviglio di lamiere delle baracche - racconta Mellara - non c´è spazio per coltivare, tanto più che il terreno è contaminato». Qui, Morris e la sua famiglia si sono inventati un metodo ingegnoso: hanno riempito sacchi di terra vergine della foresta appena fuori città, e nei fori nella tela grezza piantano il sukuma wiki, lo spinacio locale che sfama loro e che vendono ai vicini, racimolando pure qualche soldo.

Ancora più lontano, nella periferia di Teresina, nel poverissimo Nord Est del Brasile, un gruppo di donne ha vinto la miseria con la coltivazione idroponica, termine oscuro per una pratica semplice: piantano ortaggi in bottiglie di plastica riciclata, risparmiando acqua e spazio. In Marocco, il film va alla ricerca dell´ultimo orto rimasto a Casablanca, centro della vita della famiglia di Abdellah e della sua comunità. Ma l´orto è il centro della comunità anche per i turchi di Kreuzberg, a Berlino, mentre tutt´altro sapore, sempre a Berlino, hanno le azioni di guerrilla gardening di due giovani creativi che piantano fiori nelle rotonde, decisi a scalfire il sistema con la bellezza. Perché il verde è anche riappropriazione, e resistenza.

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