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Edoardo Salzano
Il PPR della Sardegna: raccontato a più voci
25 Marzo 2013
Libri da leggere
Riportiamo alcuni stralci dal libro


Riportiamo alcuni stralci dal libro Lezioni di piano. L’esperienza pioniera del Piano paesaggistico regionale della Sardegna raccontata per voci, voce guida Edoardo Salzano, Prologo di Sandro Roggio, Corte del Fòntego editore, Venezia 2013 (320 p., 25 €)

Premessa
Il libro è costituito da testi scritti o raccolti dalla viva voce di una quarantina di persone in vario modo coinvolte nella vicenda del Piano paesaggistico regionale della Sardegna. Pubblichiamo qui di seguito la nota editoriale (in calce) e alcuni stralci dei testi del curatore. Altre informazioni sul libro nel sito dell'editore Corte del Fòntego.

Prefazione

Il piano paesaggistico della Sardegna è stato un sogno, un castello di sabbia costruito su una spiaggia destinato a essere sgretolato dal calore del sole o dissolto dall’onda marina? La Giunta Cappellacci non ha né l’ardore del sole né l’impeto dell’onda. Ma certamente le prime leggi emanate rivelano che l’intenzione di distruggerlo c’è ed è forte; anzi, è già in atto con dichiarazioni, azioni, inazioni e norme eversive.

Quando il presidente Soru, nel 2004, mi chiese di collaborare alla formazione del piano paesaggistico regionale come componente del Comitato scientifico, conoscevo pochissimo della Sardegna. Mai visitata da turista, l’avevo raggiunta solo in quanto sede di incontri di studio e di lavoro. A posteriori, mi sembra significativo che una delle occasioni principali di contatto con la Sardegna e con i sardi sia stato un convegno sulla legge Galasso. Era passato un anno dalla sua approvazione, le Regioni avrebbero dovuto provvedere all’attuazione redigendo piani territoriali fondati sui suoi criteri del tutto innovativi. Benché il risultato dell’attuazione regionale della legge fosse allora assolutamente deludente (come oggi è quella del Codice del paesaggio, con l’unica eccezione della Sardegna), era certo stata avviata la costruzione di un modello di pianificazione del paesaggio capace di reggere alle insidie giuridiche derivanti dalla forza degli interessi immobiliari nell’uso del territorio.

Avevo seguito molto da vicino la formazione della legge Galasso. Franco Bassanini e Guido Alborghetti, i due deputati che su mandato della commissione parlamentare stendevano il testo definitivo della legge, mi consultavano spesso. Insieme lavorammo per trovare il corretto equilibrio – in termini di pianificazione paesaggistica – tra due esigenze in apparenza contraddittorie, poste dalla Costituzione: la tutela del paesaggio e quella della proprietà privata (ho contribuito in particolare ad attribuire la facoltà di conferire «particolare considerazione paesaggistica e ambientale» anche agli strumenti della pianificazione ordinaria).

Avevo poi seguito la redazione del piano paesaggistico dell’Emilia Romagna, unico esempio tempestivo e puntuale di attuazione della legge e primo approfondimento del suo principio essenziale: la solidità giuridica dei vincoli sull’uso della proprietà privata, sull’individuazione delle “categorie di beni a confine certo”, alla tutela delle quali è affidata la garanzia del rispetto dell’articolo 9 della Costituzione. Dalla legge Galasso e dalla sua attuazione emiliano-romagnola discendeva un modello di pianificazione che mi sembrava utile proporre per il piano della Sardegna.

La lettura delle Linee guida per il lavoro di predisposizione del ppr, predisposte dalla Giunta, e i successivi incontri mi confermarono che la Regione aveva idee chiare e condivisibili sulle finalità da raggiungere, ma non un’adeguata consapevolezza del modello di pianificazione da assumere. Ritenevo che il mio contributo nel Comitato scientifico, assieme a quello di altri urbanisti che avevano partecipato in differenti sedi e con differenti ruoli alla pianificazione paesaggistica, potesse essere utile per individuare il percorso da compiere nell’utilizzo del vasto ed eterogeneo materiale raccolto e ordinato dagli uffici della Regione, alla cui integrazione e approfondimento avrebbero certamente potuto collaborare gli altri componenti del Comitato versati in diverse essenziali discipline.

Il lavoro che abbiamo compiuto fino all’approvazione del piano e le testimonianze sulla sua validità (dalle sentenze della giustizia amministrativa ai riconoscimenti della cultura nazionale e internazionale) mi hanno convinto della giustezza di applicare come criterio fondamentale della pianificazione paesaggistica l’individuazione e la disciplina di elementi del territorio appartenenti alle “categorie dei beni a confine certo”, anche se non fu facile portare a ragionare tutti gli attori della costruzione del piano nella stessa direzione. Inoltre, il passaggio dalla legge Galasso al Codice del paesaggio e alle successive modifiche del 2006 aveva provocato ulteriori incertezze.

Il piano paesaggistico della Sardegna è frutto di tre elementi: la visione e la determinazione di Renato Soru, allora presidente della Regione; una cultura urbanistica e del paesaggio che parte da lontano; fecondi incontri tra le esperienze maturate in più ambiti culturali e territoriali. Proposito mio e dell’editore, nel progettare questo volume, era raccontare questa esperienza di pianificazione, per molti versi pioniera e all’avanguardia, proprio mentre è in atto la sua aggressione, iniziata con la campagna elettorale del presidente Cappellacci e surrettiziamente in corso.

Ho partecipato alla stesura di questo libro redigendo le note introduttive (più o meno ampie) a ciascun capitolo, accompagnando un ventaglio di voci, tutte in qualche modo in relazione con il piano: voci di chi lo ha voluto, costruito, attuato, e di chi lo ha contestato e aggredito. Ho accettato tanto più volentieri di partecipare a questo progetto perché sono convinto che l’esperienza di pianificazione che va sotto il titolo di “piano paesaggistico regionale della Sardegna” non si esaurisca nell’atto normativo né nei suoi dispositivi, ma viva nell’insieme di queste voci (della cultura, della società, della politica) che costituiscono l’humus dal quale è nato, colgono gli umori, gli entusiasmi e le diffidenze, i consensi e i ripensamenti. In questo senso va anche interpretato il titolo: il libro non è una raccolta di “lezioni” sul piano illustrate da una serie di testimonianze, ma il risultato di un coro (meglio, un vocìo) nel quale armonie e dissonanze spiegano ed esprimono la ricchezza del percorso della pianificazione: è questa stessa ricchezza la “lezione di piano”.

Conflitti e conquiste
[dall’introduzione al capitolo 6]

Ogni piano territoriale apre conflitti. Dalle trasformazioni del territorio c’è sempre chi guadagna e chi perde. Anche nelle scelte che influiscono sulla vita quotidiana di ciascuno di noi soddisfare un’esigenza comporta spesso sacrificarne un’altra. Se nelle scelte urbanistiche di riorganizzazione di una certa area si privilegerà l’esigenza di arrivare a casa in automobile, si entrerà in conflitto con chi vorrebbe percorrere gli spazi tra le case a piedi o in bicicletta o spingendo una carrozzina. Se vogliamo utilizzare il suolo di nostra proprietà per diventare più ricchi rendendolo edificabile, entreremo in conflitto con chi vuole utilizzarlo come terreno agricolo o parco pubblico.

Ovviamente, anche il piano paesaggistico sardo ha aperto conflitti: nei suoi primi passi quando Soru ventilò e poi fece approvare la legge Salvacoste, nel corso della sua formazione, quando infine la maggioranza che aveva voluto e approvato il piano fu sconfitta, prima in Consiglio regionale e poi nelle urne. Sia ieri sia soprattutto oggi.

Oggi, anno 2013, c’è chi parla del piano paesaggistico – tuttora vigente – come il “vecchio piano” (anche la stessa stampa sarda). C’è addirittura chi ha avviato, e in parte attuato, il suo svuotamento – come il baco svuota la mela lasciandone intatta la scorza – e ha avviato l’iter per il suo definitivo affossamento

Ilconflitto di fondo
Evidentemente è rimasto aperto – e non poteva che essere così – il conflitto di fondo: tra chi vuole il territorio come risorsa di cui i più potenti possono appropriarsi per utilizzarlo a piacimento, trarne guadagno finanziario e maggior potere (chiamiamolo territorio come strumento per accrescere la rendita) e chi considera il territorio un patrimonio da usare con parsimonia, come bene comune delle generazioni attuali e future, delle persone che lo abitano o che vogliono conoscerlo e goderne (chiamiamolo territorio come habitat dell’uomo).

Il conflitto tra queste due concezioni del territorio ha storicamente provocato la debolezza giuridica della tutela del paesaggio affermata dalla Costituzione nei confronti della tutela degli interessi proprietari, che pervade il resto del sistema giuridico italiano. Le sentenze costituzionali 55 e 56 del 1968 che abbiamo più volte richiamato (in "Cultura del piano") hanno costituito il momento più evidente di quel conflitto, e la legge Galasso del 1985 l’avvio del suo superamento.

Negli anni dell’approvazione del piano paesaggistico e in quelli immediatamente successivi, i segnali più evidenti del prevalere degli interessi legati alla prima delle due concezioni sono stati segnati dall’isolamento politico che ha avvolto i suoi protagonisti.

La stampa sarda era divisa tra «La Nuova Sardegna» che ha abbracciato in qualche misura la linea dell’accoglimento del ppr e «L’Unione Sarda» che ha contrastato con forza la posizione di Soru («L’unione» è di proprietà di un costruttore cagliaritano).

Non bisogna dimenticare che Cagliari e il sud della Sardegna sono informati quasi esclusivamente dall’«Unione Sarda» e dall’emittente televisiva Videolina (dello stesso proprietario). In quegli anni Soru non è mai stato intervistato dall’«Unione Sarda» e dalle televisioni che fanno riferimento a quel gruppo editoriale: non ha mai potuto spiegare in televisione la “filosofia” del piano. Lo racconta bene Soru stesso: «I proprietari di aree sulle coste, gli immobiliaristi e diversi amministratori dei comuni costieri facevano fatica a pensare a un modello di sviluppo per le loro comunità differente, un modello non legato al cantiere edilizio, all’aumento della cubatura sulle coste e all’aumento degli introiti dell’ici. Questi si sono subito mossi in maniera massiccia e, malauguratamente, gli interessi più forti coincidevano con il controllo di gran parte della comunicazione in Sardegna, sia giornalistica che televisiva. La comunicazione si è caratterizzata da subito da un verso. Abbiamo dovuto faticare molto per far passare la nostra idea. Questo tipo di comunicazione è riuscito a veicolare un’idea del ppr e della politica della pubblica amministrazione come un blocco. Un blocco per il territorio e per l’economia. E uno slogan facile, veicolato in continuazione, ogni giorno, finisce piano piano per passare se, dall’altra parte, le capacità di comunicazioni sono più deboli e se non sono sostenute da una vasta comunità politica che si prende a cuore la tutela e la salvaguardia del territorio». Ha prevalso, prosegue Soru, «un’idea sbagliata: l’idea che le norme di salvaguardia, che dovevano durare solamente fino a che i diversi comuni approvavano i piani urbanistici comunali, fossero il “Piano paesaggistico”, non facendo comprendere ai cittadini della Sardegna che le norme di salvaguardia rimanevano in vigore solo fintanto che il piano urbanistico veniva approvato e adeguato al ppr» («Gazzetta ambiente», 2011, p. 52-53). Fino all’approvazione dei nuovi piani comunali, insomma, si manifestava solo la faccia della tutela costituita dal vincolo, mentre con il puc poteva esprimersi tutta l’ampia realtà della tutela come opportunità di sviluppo (naturalmente di uno sviluppo alternativo rispetto a quello svillettatore e distruttore che il ppr contrastava).

I partiti della coalizione che sostiene Soru non organizzano mai un dibattito pubblico per spiegare il lavoro della Giunta e di fatto lo lasciano solo: questo isolamento all’interno della stessa compagine che lo aveva espresso, applaudito e sostenuto nel momento delle elezioni raggiunge forse il punto più basso e metaforico proprio all’alba del tentativo della Giunta di aprire un ampio dibattito con i cittadini. Si può quasi affermare che esiste una continuità tra l’isolamento politico che si è manifestato negli anni del governo Soru e la volontà di cancellare il piano che si è espressa con la Giunta Cappellacci. Gli esponenti di quest’ultima sostengono, è vero, di avere un’ottima opinione del piano. A parole lo difendono e lo apprezzano. Ma le parole, per quanto importanti, non sono sufficienti a modificare la realtà. A volte, anzi, assumere le parole altrui è una mossa tattica per tentare di sorprendere ciò che si vuole abbattere e divorare, come fece il lupo quando indossò la pelle di pecora per divorare l’agnello.
[…]

Come andare avanti
[ introduzione del al capitolo 7

Per andare avanti – e proseguire nel solco tracciato dalla vicenda del ppr – occorre innanzitutto domandarsi quali siano i risultati raggiunti. In primo luogo bisogna sottolineare che, nonostante le riserve espresse sullo strumento delle intese con i Comuni e dell’applicazione delle norme transitorie, sono state eliminate dalle previsioni dei piani urbanistici vigenti 15 milioni di metri cubi.

Tra i risultati mi sembra anche che si debba sottolineare il raggiungimento, almeno in Sardegna, di una più solida capacità di resistenza della tutela del paesaggio nei confronti del diritto proprietario, almeno nella sua dimensione di vincolo. La validità giuridica del piano è confermata da un lato, a più riprese, dalle sentenze dei tribunali amministrativi, che hanno sconfitto gli attacchi sferrati dai suoi avversari in nome degli interessi proprietari, dall’altro da una serie di episodi di successo nella difesa di paesaggi e specifici beni culturali il più emblematico dei quali è il caso dei colli di
Tuvixeddu-Tuvumannu. Le sentenze amministrative hanno dimostrato che i reiterati vincoli tradizionali apposti su diverse porzioni dello straordinario complesso sono stati integrati e resi solidi nella sostanza territoriale e nella consistenza giuridica solo grazie alla tutela attribuita dal ppr.
La qualità del piano e la sua calibratura tra diritti del paesaggio e diritti della proprietà hanno assegnato alla Sardegna un nuovo primato. Anziché essere considerata come isola bella ma corrotta dalla distruzione delle sue coste, essa appare oggi come portatrice di un modello di tutela del paesaggio, valido sia a livello nazionale sia internazionale.

Resistere, attuare, completare
Voglio domandarmi che cosa occorra fare perché le parole del piano si traducano più compiutamente in fatti. Per farlo sono necessari almeno tre passaggi: resistere, attuare, completare.

Di fronte ai tentativi di smantellare il piano e di abbandonare nelle mani dei saccheggiatori la parte ancora bella dell’Isola (ed è tanta) occorre resistere a ogni incrinatura, indebolimento, “alleggerimento”, e perfino a una ragionevole semplificazione del piano paesaggistico. La sua funzione di vincolo deve essere rafforzata (coinvolgendo il mibac, coautore, come abbiamo più volte affermato, del piano paesaggistico). Resistere rafforzando il vincolo, pur nella consapevolezza che ciò non è sufficiente: è necessario infatti, per la pienezza della tutela, anche attuare le previsioni, i programmi, le iniziative che la pianificazione paesaggistica aveva previsto e avviato. Innanzitutto adeguare al ppr tutti i piani urbanistici comunali nei quali l’iter si è interrotto per difficoltà di gestione, per disinteresse delle amministrazioni o in attesa del promesso “azzeramento” dei vincoli.

Finché dura l’attuale maggioranza l’attuazione del piano non sarà semplice. E del resto, le difficoltà che si incontreranno per proseguire l’impresa avviata dalla Giunta Soru non provengono solo dalla compagine di destra. Del completamento del piano fa parte anche l’approvazione degli ambiti interni. La Giunta Soru ha dovuto dimettersi sostanzialmente perché una parte della coalizione che la sosteneva si oppose alla sua approvazione. Se oggi è difficile completare e attuare il piano, sarà addirittura impossibile compiere gli ulteriori passi che già sarebbero stati necessari, e affrontare e risolvere un paio di questioni che la brevità del tempo concesso a Soru e alla sua amministrazione non ha consentito di affrontare adeguatamente. Mi riferisco in particolare a due questioni: l’urbanistica e la partecipazione.

L’urbanistica e la pianificazione Il paesaggio è figlio della collaborazione tra natura e storia. Un paesaggio è il risultato delle trasformazioni che le civiltà apportano alla superficie terrestre per rendere l’habitat dell’uomo idoneo alle funzioni che deve soddisfare. Un bel paesaggio è quello che si ottiene “conservando l’intatto”, “non toccando quello che è venuto bene” e cercando di ripararne i guasti. In un contesto culturale virtuoso (conforme a quello raccontato in Cultura del piano) si ritiene che ogni trasformazione del paesaggio debba iniziare dall’individuazione delle qualità preesistenti e proseguire nel rispetto delle regole che hanno caratterizzato il rapporto tra storia e natura (ecco perché è importante conservare i tracciati della viabilità storica, la continuità dei filari di alberi e dei cespugli, la tessitura dei muretti a secco, l’organizzazione dell’edilizia storica ecc.). Il ppr definisce e regolamenta proprio questi elementi. Ciò costituisce però solo il primo passo di un processo di pianificazione che deve successivamente stabilire quali trasformazioni sia possibile compiere nel rispetto delle regole stabilite dal ppr. La tutela di cui la pianificazione paesaggistica costituisce l’avvio deve perciò prolungarsi attraverso una pianificazione territoriale e urbanistica che definisca quali e quante trasformazioni siano necessarie per soddisfare le altre esigenze degli abitanti finalizzate al loro benessere e non all’arricchimento di questa o di quell’altra categoria di cittadini. È perciò necessaria una nuova legge urbanistica regionale che stabilisca in che modo, mediante quali istituzioni, procedure, strumenti, debba svilupparsi una pianificazione territoriale e urbanistica coerente con quella del paesaggio.

Il tentativo di una nuova legge urbanistica era stato compiuto dalla Giunta Soru con una proposta che allora mi sembrò, e sembrò al Comitato scientifico, ampiamente inadeguata. E' necessario riprendere il lavoro di una nuova legislazione urbanistica la quale però non può avere una dimensione solo regionale poiché il nodo di fondo è quello al quale abbiamo più volte accennato e cioè il prevalere in Italia di una concezione del diritto proprietario prevalente su ogni altro diritto.

Va insomma portato avanti il lavoro sul nodo tra tutela e proprietà che già le sentenze 55 e 56 del 1968 avevano individuato, invitando il legislatore a scioglierlo. Occorre affermare con forza alcuni principî che dovrebbero assumere valore costituzionale: non esiste alcuna “vocazione edificatoria” del suolo; la terra biologicamente attiva (non laterizzata) è un valore in sé; non ne può essere sottratta ai ritmi della natura un’ulteriore porzione a meno che questa serva (e là dove serve) per altre esigenze socialmente rilevanti, non soddisfacibili in altro modo; la sottrazione di terra libera al ciclo biologico deve comunque avvenire in modo trasparente e secondo criteri inoppugnabili, quindi mediante i metodi e gli strumenti della pianificazione della città e del territorio.

Anche il tema della partecipazione conduce ad affrontare un analogo nodo, questa volta nel campo della cultura e non in quello del diritto. Abbiamo accennato a una componente dell’anima sarda: quella che ritiene il paesaggio un elemento determinante dell’identità stessa del popolo e la sua tutela prioritaria. Ma ne esiste anche un’altra insofferente alle regole, animata, afferma Giorgio Todde, «da sentimenti innati come l’istinto individuale del possesso, della “roba”, del territorio, di un’idea di proprietà che consiste nell’intolleranza a ogni limitazione d’uso».

Affrontare in modo adeguato il tema della partecipazione significa non accontentarsi di coinvolgere nel processo delle decisioni la popolazione così come questa oggi si manifesta e si esprime. Chi critica il piano e anche molti di quelli che hanno contribuito a costruirlo ritiene che questo sia sufficiente o addirittura pretende che già oggi si costruisca un nuovo piano basato sull’attuale “percezione” che le popolazioni hanno del territorio. Mi sembra una visione straordinariamente ottimistica della realtà: un ottimismo che, se condiviso dai decisori, condurrebbe alla distruzione completa dei paesaggi che oggi tutti si propongono di difendere.

La «sfiducia nei confronti dei cittadini, delle imprese e degli amministratori locali» non è – come ritiene l’onorevole La Spisa – frutto di un pregiudizio ma della constatazione dei modi in cui, prima del ppr, le coste delle Sardegna sono state massacrate e degli interessi che oggi spingono per svuotarlo con gli strumenti (Piano casa e provvedimenti per il golf) che l’onorevole La Spisa, autorevole componente della Giunta regionale, non ha certamente contrastato. Sembra inoltre che la sua opposizione al ppr sia basava su un equivoco, dove dice che lo strumento dell’intesa tra Regione e Comuni ha significato «concentrare il potere nelle mani di una o di poche persone»: se una critica è da muovere sarebbe quella opposta, aver affidato attraverso quello strumento troppo potere proprio a chi, in buona o cattiva fede, aveva più contribuito al degrado della costa sarda.

Quando si parla di “percezione del paesaggio” occorre tener conto, come afferma Angioni, che essa è il risultato «di abitudini e di modi di sentire radicati nel tempo da millenni». È possibile ipotizzare che il tempo di elaborare un piano paesaggistico sia sufficiente a modificare radicalmente siffatta “percezione”? Abbiamo già sostenuto che la definizione di paesaggio può essere assunta come il punto di arrivo di un processo di maturazione che sarà certamente lungo. Se si vuole che al termine di questo processo qualcosa dell’attuale bellezza dei paesaggi sopravviva non c’è altra strada che quella di adoperare l’arma «centralistica» e «dirigistica» del vincolo, per usare le espressioni di Angioni nei confronti del «vecchio» piano. In realtà, per ottenere che oggi ciò non avvenga è indispensabile che le regole di salvaguardia siano ferreamente stabilite, che ne siano represse (alla maniera di Luigi Cogodi) le violazioni, e che la consapevolezza dell’obbligo morale, per ciascuno, di tutelare il paesaggio sia divenuto pensiero corrente e prassi quotidiana di azione. Ciò richiede non di modificare nell’immediato, o aggiustare, o revisionare il piano paesaggistico, o di formarne addirittura uno nuovo, ma di impegnarsi in una campagna necessariamente lunga che si ponga l’obiettivo di far prevalere, nell’ideologia egemonica, quella componente dell’anima sarda che ha portato al successo Renato Soru.

Da questo punto di vista ciò che è necessario in Sardegna non è diverso da ciò che è necessario nel resto dell’Italia e del mondo. «Programmare un aggiornato senso comune e paesaggistico», come Angioni giustamente ritiene necessario, è un’impresa certamente di lungo respiro che coinvolge in primo luogo il processo di formazione in tutte le sue fasi, a partire da quelle elementari, sebbene richieda un impegno del tutto particolare a quelle persone che hanno avuto la possibilità di studiare, comprendere, svolgere un lavoro intellettuale, e che abbiano in più l’umiltà di sapersi esprimere in modo semplice e a tutti comprensibile. Cosa che in questo libro abbiamo tentato di fare. E.S.


Nota dell’editore
L’idea del libro è nata correggendo le bozze di Memorie di un urbanista di Edoardo Salzano: la lettura del breve appassionato capitolo dedicato all’esperienza della costruzione del piano paesaggistico della Sardegna pretendeva un racconto molto più ampio ed esauriente di quella impresa. Ho pensato di affidare il “racconto del piano” a coloro che lo avevano fatto o ne erano stati coinvolti. Un’unica storia, un grande affresco, diversi punti di vista. Eddy, dal suo osservatorio competente e privilegiato, si sarebbe riservato il compito di condurre e di spiegare.

La maggior parte dei contributi riuniti in questo volume è stata scritta per questo libro e una decina sono le interviste raccolte da me tra giugno e luglio 2012. Un piccolo gruppo infine è costituito da testi già editi.
In linea con gli intenti della collana, agli autori è stato chiesto ciò che per molti specialisti risulta uno sforzo ma che in questo caso era una condizione: produrre testi semplici, chiari, senza tecnicismi, in un linguaggio quasi domestico e a tutti accessibile. Molti si sono adeguati e li ringrazio.

Sono stati uniformati gli usi grafici e le maiuscole. Non è sembrato opportuno sciogliere – quando reiterate – le abbreviazioni ppr (piano paesaggistico regionale), puc (piano urbanistico comunale), ptp (piano territoriale paesistico).

Dopo aver cercato un’idea per la copertina nel mondo della pittura sarda antica, moderna e contemporanea, un particolare, un frammento, uno scoglio che facesse al caso mio, e dopo aver passato in rassegna decine e decine di foto che ritraggono devastazioni di tratti di costa dell’Isola (ricerca inutile perché le fantasie che forgiano il ferro e il cemento sono simili in tutta Italia) ho ricevuto in dono un libro fotografico. Un doppio dono, perché, proprio alla fine ho visto la mia copertina. Una foto potente di una gonna nera – sarda – messa ad asciugare all’aria, tenuta aperta da tre sostegni. L’ho letta subito come una metafora ideale della Sardegna e l’ho fatta girare. La foto l’hanno vista in tanti e le metafore sono uscite sempre diverse: «la gonna è l’Isola vuota al centro ma popolata e costruita sulle coste»; «la gonna è un sipario, tolto il quale c’è il paesaggio sardo che è nei nostri cuori, non sempre raggiungibile»; «è così che io vedo la mia Isola, solo attraverso un buco, una visione sempre costretta e parziale»; «la gonna è una lavagna, su cui idealmente sono scritte le lezioni di piano». E si potrebbe continuare.

Senza Sandro Roggio, autore del prologo, generoso amico di questa impresa, il libro non esisterebbe. Maria Paola Morittu mi ha offerto la sua costante e premurosa consulenza, punteggiata da vivaci discussioni e vivificanti scambi di fioretto. La lavorazione di questo volume, durata quasi un anno, non ha avuto un andamento lineare e non ha seguito una vera traccia. Macchie di leopardo si sono allargate, altre sono sbiadite lungo la strada. Quando Giorgio Todde mi ha informato che il libro c’era, è stata la prima volta in cui l’ho visto anch’io. Gli sono particolarmente riconoscente per questo.

Mi scuso per le incursioni telefoniche, sempre urgenti, con cui ho cercato di annullare la distanza tra la Sardegna e Venezia, incurante del giorno e dell’ora, per sciogliere dubbi e incongruenze soprattutto attorno alla redazione del piano e alla sua cronologia: in particolare con Paola Cannas, Gian Valerio Sanna, Renato Soru, Paolo Urbani. Un pensiero affettuoso va a Helmar Schenk, scomparso alcuni giorni prima di rilasciare la sua intervista.
Con viva gratitudine ringrazio chi, pur non condividendo la posizione del libro sul piano paesaggistico sardo, ha accettato di esserci, arricchendolo con il suo punto di vista. E infine ringrazio chi in Sardegna mi ha accolto, ascoltato, ospitato, non solo in occasione delle interviste: Bachisio Bandinu, Umberto Cocco, Piero Cuccu, Piero Filigheddu, Antonietta Mazzette, Maria Antonietta Mongiu, Pierfranco Picci, Antonello Sanna, Enzo Satta. Con simpatia ricordo Nadir, Nicolas, Peppe, Tore, i ragazzini di Orosei che mi hanno fatto compagnia per un lungo pomeriggio e a cui ho facilmente concesso di prendersi una certa confidenza con il mio camper. Ovunque in questo libro si dice che il futuro sono loro. E a loro dedico questo lavoro.
Marina Zanazzo

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