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Mauro Agnoletti
Viva l’Italia dei paesaggi
3 Novembre 2012
Il paesaggio e noi
Cometrasformare il nostro territorio in risorsa – anche - economica. Siapre oggi a Firenze la Biennale dei Beni culturali. L’Unità 3 novembre 2012 (f.b.)

Cometrasformare il nostro territorio in risorsa – anche - economica. Siapre oggi a Firenze la Biennale dei Beni culturali. L’Unità 3 novembre 2012 (f.b.)

La Biennale dei beni culturali ed ambientali che inizia oggi a Firenze e andrà avanti fino all’undici novembre affronta alcuni temi di crescente interesse nel dibattito in corso sul modello sviluppo, con particolare attenzione al paesaggio e all’ambiente, argomenti i cui significati e le cui reciproche relazioni sonoin rapida evoluzione. Oltre alle giuste proteste per la cementificazione, lascarsità di risorse finanziarie, o le inefficienze degli enti delegati allatutela, la valorizzazione dei beni ambientali e paesaggistici richiede unatrasformazione culturale ed una diversa consapevolezza, da parte di tutti,compresi gli addetti ai lavori. Il paesaggio è oggi interpretato come ilrisultato dell’integrazione di processi economici, sociali ed ambientali nelterritorio, piuttosto che una semplice «bellezza naturale » di Crocianamemoria, incorporando le tematiche ambientali al suo interno piuttosto cheviceversa.
Si tratta di una risorsa economica del Paese, un valore aggiunto nonriproducibile dalla concorrenza specialmente quando legato alle «unicità » chel’Italia presenta, sia nei suoi centri storici, sia nelle sue campagne.Parliamo di quella «identità competitiva» che governi, regioni e città cercanodi valorizzare e che l’Italia possiede in abbondanza, venendo spesso citata adesempio per la sua dotazione di risorse culturali, ma non come modello di buonagestione. Il corrente Piano Strategico Nazionale di Sviluppo Rurale ha giàindicato il paesaggio come risorsa strategica, mettendo a disposizione delle regioniparte dei 17 miliardi di euro delle politiche agricole comunitarie, ma pochiconoscono le difficoltà non solo per fare accettare questa idea, ma anche dichiarirne significato e funzioni e di sviluppare strategie adeguate.

Se il riconoscimento della importanza della sua conservazione per laprevenzione del rischio idrogeologico inizia ad essere esplicitata conchiarezza, vedi il caso delle Cinque Terre, molto più problematico e carico disignificati simbolici è, ad esempio, l’idea dei rapporti fra paesaggio e naturadiffusa nel Paese. Come altri Paesi occidentali l’Italia ha incorporato nella pubblicaopinione e nella legislazione il concetto di «ritorno alla natura» permigliorare ambiente e paesaggio, in omaggio a correnti di pensiero nordamericane e nord europee, che tali culture «forti» hanno esportato in tutto ilmondo, assieme a molti altri aspetti della globalizzazione, ma fortementesostenuto nella letteratura scientifica. Da un po’ di tempo si è però iniziato ariflettere in modo meno superficiale sulle strategie fin qui seguite. Se, comescriveva Emilio Sereni, il nostro paesaggio rurale sono le forme impresse dall’uomoalla base naturale per le esigenze delle attività agricole, pastorali eforestali, la sua conservazione non può essere interpretata come il ritornoalla «natura primigenia ».

Un processo in realtà favorito da un abbandono delle campagne che oggiprocede al ritmo di più di 100.000 ha all’anno, di cui solo un piccola parte(8.000 ha ) è trasformato in cemento, ed una parte molto di più grande, 70.000ha, in vegetazione arborea ed arbustiva che invade i campi abbandonati,valutato positivamente e favorito sia dalla legislazione ambientale che da quellasui beni culturali. Si tratta di un fenomeno senza reali vantaggi economici edambientali, ma che ha poco a che vedere con il significato ed i valori delpaesaggio italiano, anche in termini di biodiversità, concetto il cuisignificato viene scambiato con il proliferare incontrollato di animaliselvatici e aree boscate. Peraltro, non potremo mai competere con laScandinavia o il nord America per naturalità, ma possiamo competereegregiamente come quantità di cultura di cui anche la nostra natura, modellatada secoli di storia, è l’espressione. Abbiamo invece bisogno di contadini e diun maggiore valore da assegnare al loro lavoro e alle produzioni locali chemantengono il paesaggio. Si tratta di temi non semplici da affrontare, ma ancherischiosi e facili da equivocare, perché legati ad orientamenti politici,interessi economici e sensibilità sociali diverse.

Nonostante tutto questo, alcuni piccoli ma significativi cambiamenti, indicanoche è in corso una trasformazione nel sentire comune. L’inserimento dellaqualità del paesaggio rurale tradizionale come indicatore del benessere dellapopolazione operata dall’Istat, seppure frutto di un confronto accesso all’internodel Cnel è stato un passaggio importante. Analogamente, le nuove competenzeassunte dal Ministero dell’Agricoltura per le politiche sul paesaggio rurale,il decreto che consente di rimuovere la vegetazione che ha invaso aree ruralidi valore storico abbandonate, così come l’istituzione dell’InventarioNazionale dei Paesaggi Rurali Storici e delle pratiche tradizionali, segnano unsignificativo cambiamento nelle competenze e nella gerarchia dei valoriassegnati al territorio. Si registrano poi significative sinergie fraimportanti fondazioni, enti, associazioni e privati, che hanno preso ilpaesaggio come tema centrale delle loro attività. Sono segnali da tenere inconsiderazione anche da parte della classe politica, in un paese che hacertamente bisogno di lavoro e giustizia,ma anche di riconoscere i proprivalori e le proprie risorse durante crisi che lo attraversano e cherappresentano, come spesso avviene, le poche reali occasioni per operare uncambiamento.
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