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Jody Clarke
New town africane: il futuro dell’urbanizzazione?
30 Dicembre 2011
Dalla stampa
Un’alternativa alla trasformazione della città esistente, in epoche di espansione, è fondarne di nuove. Qualche volta funzionano, altre no. The Irish Times, 30 dicembre 2011, con postilla. (i.bo.)

Titolo originale: The city of the future begins to rise in Kenya's suburbs – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Suddivisa in aree residenziali miste o commerciali e terziarie, coi suoi complessi ad appartamenti da otto piani che si affacciano su viali alberati a tre corsie, la città di Tatu dà un’impressione di ordine che di solito non evocano le altre città del Kenya. Ma si tratta della “prima città davvero pianificata dell’Africa”, secondo Cameron Rush di Planning, l’impresa promotrice di questo insediamento da mille ettari, mentre ci mostra i progetti di cosa sarà quando nel 2013 arriveranno i primi abitanti. Sicuramente non manca la domanda: ogni anno sono 200.000 i kenyani che si trasferiscono dalle zone rurali in città, e lì si vive già in una situazione congestionata.

L’attuale carenza di abitazioni nella sola Nairobi si calcola in 200.000 alloggi l’anno, dove il 60% della popolazione vive sul 6% della superficie. Tatu è una visione, magari ambiziosa, di come il paese stia cercando di trovare soluzioni al problema. “I confini della città non consentono di operare su grandi superfici per la crescita” spiega Arnold Meyer di Renaissance Capital, branca immobiliare della banca russa di investimenti Renaissance. Che da molto tempo acquista terreni in Africa, convinta delle grandi potenzialità del continente, superiori a quelle dei paesi ricchi.

Quando si è messa in vendita una piantagione di caffè vecchia di 120 anni, a nord di Nairobi, l’hanno comprata e immediatamente iniziato a riflettere su una possibile trasformazione urbana vicino alla capitale. Era l’idea iniziale di Tatu. Le dimensioni sono di due o tre volte il centro di Nairobi, più o meno identiche a quello di Johannesburg, Tatu è pensata per ospitare 62.000 persone. Se il centro terziario di Nairobi vive 12 ore al giorno, con gli impiegati degli uffici bloccati nel traffico delle ore di punta la mattina, e poi la sera per tornare a casa, Tatu dovrebbe vivere su ventiquattro ore.

La Renaissance non costruisce direttamente. Si sono acquistati i terreni, ottenuti i permessi, realizzate le infrastrutture, dalle reti dell’acqua a quelle dell’elettricità. Corsi d’acqua e falde esistenti mettono a disposizione 25 milioni di litri al giorno, e l’ente statale del Kenya per l’energia fornisce 150MW, il 10% del consumo attuale. Così si creano possibilità immobiliari, trasformando ex zone agricole in aree edificabili. L’idea è che a quel punto entrino in campo i costruttori a fare il resto.

La Renaissance sta sviluppando progetti simili di altre città in Zambia, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo e Ghana, e vorrebbe che Tatu non apparisse come certi progetti improbabili del passato, partiti e quasi mai portati a termine in Africa. Il contesto di crescita gioca a suo favore. Nel 1980 la popolazione del continente era di 400 milioni. L’anno scorso si era superato il miliardo, entro i prossimi 30 anni si arriverà a due miliardi. Nel giro di meno di dieci anni saranno almeno quindici le città a superare il milione di incremento. Nairobi è una, e poi Cairo, Lubumbashi, Accra, Lusaka e Addis Abeba. Per Lagos in Nigeria si prevede una crescita di due milioni, e la Renaissance immagina di riproporre il concetto di nuova città pianificata in tutta l’Africa.

“Ovunque si guarda, ci sono città capitali e non tanto congestionate e non più in grado di gestire alcuno sviluppo” continua Meyer. “Molti investitori capiscono in fretta quanto le città possano essere il principale fattore di crescita in Africa. Spingono l’innovazione, la creatività. Di solito si pensa all’Africa come un posto senza speranza. Pensiamo invece a come nel 1880 fosse Londra, il peggiore slum del mondo. All’epoca il censimento dava 35 persone per alloggio. Niente gabinetti, e le fogne erano a cielo aperto per strada. Sicuramente un posto poco piacevole. Ma dalla congestione è scaturita l’innovazione, con effetti moltiplicatori. Oggi la stessa cosa sta accadendo in Africa. Le città attirano persone, che nella grande densità trovano soluzioni”.

Una delle critiche al progetto di Tatu, è che possa togliere vitalità al centro di Nairobi, inducendo una migrazione di case e uffici nel suburbio. La Renaissance risponde che invece Tatu avrà un effetto di stimolo sulla capitale, non diverso da quanto accaduto a Johannesburg anni fa. “Sandton era un’area interessante e ci si trasferirono da un momento all’atro molte attività. Si crearono dei vuoti in centro. Arrivarono alcuni imprenditori a convertire quegli spazi a uso residenziale, era una cosa che avrebbe dovuto succedere anni prima. Così cominciarono ad arrivare dei giovani, che apprezzano lo stare vicino alla vita sociale”. Se non ci si può spostare a piedi, allora arriva l’idea della città coordinata come Tatu, che integra servizi e trasporti collettivi.

“Tatu sarà gestita in modo integrato per assicurare una qualità urbana, ambientale, di gestione scarichi e rifiuti senza pari nelle municipalità del Kenya” conclude Rush. “Ciò significa migliore spazio pubblico, qualità della vita e dell’ambiente per tutti”.

Nota: il sito ufficiale con molte informazioni e materiali a disposizione, è http://www.tatucity.com Scaricabile qui di seguito il piano urbanistico generale della nuova città

POSTILLA

In realtà la critica principale che viene sollevata a Tatu City da un certo numero di professionisti, ricercatori e movimenti urbani non è che la nuova città satellite possa sottrarre forza al centro di Nairobi. Piuttosto viene contestata la capacità del progetto di essere una soluzione al vero problema di Nairobi, rappresentato dal degrado degli insediamenti informali, che accolgono due terzi della popolazione urbana.

La nuova Tatu City non sarà in grado di ospitare nessuno dei due milioni di abitanti che vivono oggi a Nairobi e che infittiscono le fila dei poveri urbani. La nuova città è pensata e progettata in funzione di una middle upper class, in ascesa ma che comunque rappresenta una percentuale molto bassa della popolazione attuale, e oggi può già contare su un offerta abitativa di tutto rispetto. Negli ultimi due anni infatti a Nairobi si è costruito moltissimo. Non mancano le case, mancano le case per i poveri, che è tutta un’altra faccenda.

Peraltro l’espansione urbana collegata a Tatu city non consisterà solamente nella costruzione della nuova città. Tutt’intorno sorgeranno automaticamente nuovi quartieri informali, dove la lower class - che sarà impiegata per mantenere puliti e sorvegliati i nuovi quartieri – troverà posto non potendosi di sicuro permettere l'affitto o l'acquisto di uno dei nuovi immobili. La nuova città quindi attirerà una nuova popolazione urbana tendenzialmente abbiente, o sposterà quella esistente, lasciando invariato l’enorme problema dei quartieri informali, e aprendo la strada a nuovi problemi, infrastrutturali, di espansione delle baraccopili e di gestione dell’area metropolitana.

Il processo di acquisizione delle terre a piantagione e la loro parziale rivendita ha già consentito alla multinazionale di intascare un’enorme rendita sulla base della trasformazione del suolo da inedificabile ad edificabile. Il processo che ha reso la trasformazione di queste aree in edificabile è stato poco trasparente e presumibilmente viziato da ‘corruption deals’. Tra l’altro l’amministrazione ha concesso l’autorizzazione senza chiedere in cambio oneri di urbanizzazione adeguati che avrebbero consentito di coprire spese infrastrutturali e alla costruzione della “città pubblica” così carente di servizi e infrastrutture.

Anzi, la rete di trasporto per collegare la nuova città con il centro e l’aeroporto (dall’altra parte della città) è completamente a carico dei contribuenti e assorbe una parte del bilancio che potrebbe essere investito in altre zone della città, più bisognose. Per non parlare della sostenibilità ambientale di occupare terre agricole e aumentare lo sprawl di questa città che già soffre di inquinamento e invivibilità ambientale. Magari è proprio l’insalubrità del centro di Nairobi che crea la spinta e la domanda di nuovi insediamenti ai margini della bella e pulita campagna keniota. Non è comunque un mistero che oggi il settore immobiliare risulti trainante più del caffè e del tè!

Si tratta di una vera e propria città privata: Tatu City è solo l'ennesima ‘gated community’, solo un po’ più grande delle altre! La regia di questo progetto è totalmente privata, il governo nazionale, per parola di alcuni ministri, ha dato il suo beneplacito, mentre la municipalità di Nairobi è rimasta estranea all’intero processo e i cittadini completamente all’oscuro. Certamente non è questo che rappresenterà il progetto giusto per Nairobi, certamente non per la maggior parte dei suoi abitanti che rimarrà estranea al processo di sviluppo e beautification così auspicato dalle forze politiche ed economiche del paese.

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