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Will Doig
Possiamo fare a meno delle superstrade urbane
1 Dicembre 2011
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Dall’introduzione dell’automobile agli anni ’70 e oltre, le arterie a scorrimento veloce hanno stravolto le nostre città. Ma forse si cambia strada. Salon, 1 dicembre 2011

Titolo originale: Are freeways doomed? Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Aiuto: arriva l’Autocalisse. Sono tantissime le città degli Usa che prevedono di chiudere definitivamente le freeway. E se si parla di riprendersi la città sottratta dalle auto, questo è davvero il guanto della sfida. La spinta a demolire le enormi freeway che secondo molti hanno provocato il degrado delle aree centrali fra gli anni ’60 e ’70 è una delle tendenze più vistose dei nuovi orientamenti urbani. Chi propone queste strategie lo fa sulla base di dati che mostrano quanto non sia affatto stravagante eliminare le superstrade urbane, che è possibile tornare a vie a misura d’uomo senza cadere nell’apocalisse dell’ingorgo. Può essere vero. Ma eliminare queste icone automobilistiche sembra proprio la premessa a ridisegnare radicalmente l’idea di città americana del XX secolo: la Vendetta del Pedone. Strettamente personale.

Che siamo preparati o no, la decisione incombe. Molte di queste strade sono state pensate per durare quaranta-cinquanta anni: dovranno rapidamente essere sistemate o totalmente reinventate. “Cosa succederà da qui a dieci anni, se vogliamo investire e evitare disastri come col ponte di Minneapolis?” si chiede John Renne, professore di studi urbani all’Università di New Orleans. Per alcune città, significa l’occasione unica e irripetibile di recuperare ampie superfici a spazio pubblico come si era da sempre sognato. C’è una associazione a St. Louis che si sta muovendo molto per eliminare una striscia di ottocento metri della Interstate 70, riunendo così il centro città al fiume Mississippi e al Gateway Arch di Eero Saarinen.

Si spera che spalancando questa “porta principale” come la chiamano, per la prima volta dal 1964, si inneschi un vero e proprio rinascimento di St. Louis nella sua zona più spopolata. A Trenton, New Jersey, ci sono obiettivi simili, con l’idea di convertire una strada a quattro corsie ungo il fiume Delaware in una sponda a verde e nuovi edifici. A New Orleans si sta attuando il nuovo piano regolatore dopo l’uragano Katrina, e tutto sembra possibile, come demolire la Claiborne Expressway, la superstrada che quando fu realizzata vari decenni or sono tagliò fuori diversi quartieri neri storici. Dovrebbe essere sostituita da un bel viale a riunire quei quartieri, espressione poetica di giustizia infrastrutturale.

Difficile descrivere la radicalità di proposte del genere. Ci sono pochissimi elementi di trasformazione urbana in grado di cambiare in un istante la città, come una freeway (costruita o demolita). Lo si è sperimentato a San Francisco nel 1991, quando ben prima dell’attuale tendenza demolitrice si è eliminata la Embarcadero Freeway a due livelli, danneggiata da un terremoto. Oggi l’area occupata dalla Embarcadero si è evoluta, da pericolosa terra di nessuno a sponda vivacissima e calamita di turisti. Andandoci oggi non si riesce proprio a immaginare quel posto percorso da un traffico di attraversamento su 16 corsie.

Adesso sono tante le città che vogliono fare un loro miracolo Embarcadero. Tony Ortiz abita a Crotona Park East, quartiere del Bronx reso famoso dalla visita del Presidente Carter alle macerie bruciacchiate negli anni ‘70. Ortiz ha 84 anni, capelli bianchi ma ex pugile incredibilmente arzillo, si è trasferito qui da Puerto Rico nel 1946, e ricorda bene com’era la vita prima della Sheridan Expressway. Marciapiedi “pieni di gente” racconta, davanti al suo edificio da sei piani a un isolato dalla superstrada. Insieme agli amici tirava di boxe nelle vie, e una volta ricorda ancora con orgoglio fece perdere del tutto i sensi a un avversario. Dopo la costruzione della Sheridan però, Ortiz rammenta solo degrado e la puzza degli incendi dolosi.

Oggi l’area, certo ancora molto povera, si è notevolmente ripresa. E l’amministrazione di New York sta studiando un progetto di demolizione della Sheridan, che scorre lungo il fiume Bronx davanti alla finestra di Ortiz, per sostituirla con un parco. Dove potrebbero stare piscine, campi da calcio, un centro ricreativo da 3.000 metri quadrati, e case simili a quelle spazzate via dalle ruspe nel 1958 per farci la freeway. Sarebbe uno straordinario ribaltamento della storia, per un’area quasi dimenticata. Ma basterò davvero levare la freeway per ridare vita alla zona? Probabilmente no. Perché anche se Ortiz accosta la costruzione della Sheridan al momento in cui dalla vivacità si è passati al degrado, la verità è che luoghi come Crotona Park East probabilmente sarebbero entrati comunque in crisi. Quartieri che quasi certamente sarebbero crollati sotto il peso dello spopolamento, della criminalità legata allo spaccio, superstrada o no, semplicemente comunità più deboli nei momenti difficili.

Però togliere le freeway, che non erano l’unico catalizzatore di declino, potrebbe comunque stimolare evoluzioni positive. Le città sono molto più reattive oggi di quanto non fossero negli anni ‘60. Nel 2011 ci sono molte più possibilità di rivitalizzazione: basta porre le premesse. Come potrebbe spiegare John Norquist, che da sindaco di Milwaukee ha gestito la demolizione della superstrada Park East nel 2002. Una struttura sopraelevata che rappresentava “la morte di qualunque immobile lì attorno” ricorda Norquist. Oggi gli sforzi concertati di attirare nuove attività sembrano finalmente dare frutti. Dopo una partenza faticosa, nell’area riqualificata ci sono oltre dieci ettari a parco, affaccio sull’acqua e molta attività commerciale. Il Manpower Group, agenzia per l’impiego, si è trasferito qui dalla sua sede centrale suburbana, e un percorso nel verde lungo il fiume collega la zona alla cosiddetta “Beerline” insediamento lineare residenziale per il ceto medio sull’ex tracciato ferroviario merci.

Ma la proposta di demolizione più audace è sicuramente quella di New Orleans, dove i gruppi e le associazioni lavorano al ripristino di un corridoio un tempo orgoglio commerciale della popolazione afroamericana. Claiborne Avenue, elegante viale famoso per le centinaia di alberi di quercia, una volta era l’arteria di negozi del quartiere Treme e di altre zone nere. Ma a fine anni ‘60, come al passaggio di un aratro invece del viale spuntò la Claiborne Expressway (se ne può ascoltare il suono minaccioso delle macchine da costruzione nelle scene dell’acido al cimitero di Easy Rider).

Il progetto per il corridoio Claiborne potrebbe ripristinare il viale più o meno com’era un tempo (salvo le querce), ricucire il tessuto stradale, e far crescere il commercio sulle fasce. Unificherebbe anche il quartiere che la freeway ha diviso, consentendo agli abitanti della zona nord di approfittare della vicinanza di quella sud al French Quarter. Per i timori di gentrification fears, John Renne non prevede arrivi in massa di persone agiate che posano scacciare gli abitanti attuali. “Se il ciclo di questo tipo di sostituzione sociale funziona come un pendolo, noi ci troviamo sicuramente all’altra estremità dell’oscillazione. Stiamo nella fase di degrado. Ce n’è parecchia di strada da fare prima di arrivare alla gentrification”. Dai sondaggi emerge che la città è molto favorevole al progetto, e gli esponenti delle associazioni devono coinvolgere di più il sindaco Mitch Landrieu. Lui sinora ha definito l’idea un potenziale “cambiamento di carte in tavola” ma non la sostiene ancora ufficialmente.

E che fine fanno con tutti questi grandiosi progetti i poveri pendolari costretti a muoversi in auto? Gli va benissimo, a quanto pare. Nel caso non abbiate frequentato una freeway urbana negli ultimi tempi, lasciate che ve lo spieghi io: non funzionano proprio come dovrebbero. Si deteriorano rapidamente, si intasano nei momenti sbagliati, sono pochissimo versatili quando sorgono dei problemi, basta un tamponamento e arrivano in ritardo in ufficio diecimila persone. In realtà, il segreto irriferibile delle superstrade urbane è che non riducono affatto il traffico, ma lo creano. Basta chiedere a un urbanista qualunque: più strade, più automobilisti. Gli studi mostrano che nella maggior parte dei casi eliminando una freeway si aggiungono al massimo pochi minuti al percorso. E quelle che oggi hanno i giorni contati sono comunque sottoutilizzate (quando sono andato in macchina nel Bronx per intervistare Tony Ortiz, la Sheridan era deserta a sufficienza per poterla attraversare a piedi). E poi lo stereotipo dell’automobilista contro l’utente del mezzo pubblico non esiste: una ricerca degli studenti di Renne ha rilevato come a New Orleans la stragrande maggioranza degli abitanti voglia disfarsi della Claiborne Expressway, compreso il 50% degli automobilisti che la usano regolarmente. “Non c’è nessuno che vorrebbe ricostruirla [la freeway]” a Milwaukee dopo che è stata tolta, racconta Norquist. Sbarazzarsene “ha anche fatto sparire per sempre l’idea di fare una circonvallazione a superstrada attorno al centro”.

Flusso di traffico migliorato, meno strade da mantenere, quartieri migliori, cosa si vuole di più? Ma la cosa divertente della freeway è che la gente ci si affeziona, anche quando fanno più male che bene. Gli studenti di Renne hanno rilevato una piccola quota di abitanti attorno alla Claiborne a cui piaceva, anche a gente che non la usa. Qualcuno teme la gentrification se la si togliesse. Altri hanno qualche tipo di legame emotivo con la sopraelevata: un signore era triste all’idea di dover smettere con la sua tradizione di fare le grigliate sotto i piloni.

Ma si tratta di eccezioni, anomalie. La maggior parte degli abitanti dei quartieri è convinta che demolire la freeway che ha sfondato il loro quartiere mezzo secolo fa raddrizzi un antico torto. Eliminare le freeway può spalancare le porte a nuove attività, offrire spazi per il verde là dove è più necessario, terreni su cui costruire case economiche, a volte recuperare aree di sponda di interesse anche turistico. A Seul, in Corea del Sud demolendo una sopraelevata si è anche recuperate il corso di un fiume tombato che attraversa la città. Sepolto sotto la strada da trent’anni, il Cheonggyecheon si è trasformato in uno degli spazi verdi più frequentati, e il sindaco che ha demolito la freeway riportandolo alla luce è diventato poi presidente con una valanga di consensi. Probabilmente perché anche così glie lettori arrivavano ai seggi senza alcun problema.

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