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Fabrizio Bottini
Processo al progetto
25 Novembre 2011
Recensioni e segnalazioni
Esperienze di governo del territorio, a cura di Antonietta Mazzette, Laterza 2011, ci aiuta a ripercorrere in una prospettiva nuova l’evoluzione disciplinare italiana e il suo rapporto con la realtà sociale e politica

Uno noto critico di architettura italiano, recensendo su un supplemento culturale Architettura e Potere di Deyan Sudjic, notava come in fondo la storica tendenza dei progettisti ad un approccio molto adattabile ai ricchi e potenti non sia di per sé un fatto negativo: in fondo consente la realizzazione di opere il cui senso va ben oltre la caducità di chi le ha commissionate.

Difficile però applicare una prospettiva del genere al piano urbanistico, ancor meno se di pianificazione di area vasta si tratta, o addirittura di schemi di programmazione territoriale in cui lo spazio fisico è solo una delle componenti, e dove il processo dovrebbe sempre prevalere sul progetto. Non sempre è stato così, e forse a comprendere davvero i problemi che il governo dei processi territoriali ha incontrato e incontra in Italia servono nuove prospettive di osservazione e studio.

Risulta di particolare attualità la pubblicazione per i tipi Laterza di Esperienze di Governo del Territorio, a cura di Antonietta Mazzette (2011), in cui un gruppo eterogeneo di studiosi si confronta con l’approccio critico-storico al tema, declinato in vari contesti geografici e culturali italiani dal varo delle regioni a statuto ordinario ai nostri giorni. Particolari i punti di vista, e per vari motivi convergenti. Innanzitutto l’insieme dei saggi esprime il punto di vista della sociologia urbana, ma l’abbondanza di riferimenti alla pianificazione territoriale e urbanistica in senso stretto (sia sul versante dei processi esaminati che della documentazione) contribuisce a restituire un quadro e un giudizio, anche storico, davvero inatteso.

I saggi regionali toccano i casi della Lombardia (F. Zajczyk, F.Memo, S. Rancati) evoluta dalla cultura del riformismo delle origini al trionfo attuale della deregolamentazione ormai sedimentata da lustri; del Piemonte (S. Crivello, A. Mela) dove invece si evidenzia una certa virtuosa continuità, forse grazie alle particolari e complesse radici di un cultura territoriale locale, dall’area vasta alle strategie complesse per il rilancio socioeconomico del Capoluogo; poi il caso dell’Umbria, in particolare i programmi strategici per la città di Perugia (R. Segatori) che paradossalmente non parrebbero in grado di perseguire obiettivi davvero strategici; alle inefficienze nello sfruttamento del Fondi per le Aree Sottoutilizzate in Sicilia (M. Morello); infine alle speranze in un nuovo modello di sviluppo accese dal Piano Paesaggistico per la Sardegna (C. Tidore).

La portata del particolare intreccio fra il punto di vista del progetto e quello del processo si coglie però forse appieno confrontando questi contributi con lo sfondo messo a disposizione dal lungo saggio introduttivo della curatrice Antonietta Mazzette. Che prova a ricondurre sia i contributi sui casi regionali e locali, sia la varietà dei temi disciplinari e delle prospettive di osservazione, ad un’unica prospettiva storica e critica, ripercorrendo la vicenda (le vicende) della pianificazione spaziale in Italia, dei suoi aspetti culturali e multidisciplinari, di formazione degli operatori e confronto internazionale, in rapporto agli obiettivi di sviluppo e sociali delle varie fasi storiche e degli equilibri politici. Via via articolandola per aspetti via via propriamente urbani, territoriali, di programmazione complessa.

Da questo esame, che attinge a piene mani dalla pubblicistica degli architetti/urbanisti del nostro paese, ma esaminandola come si diceva in un’ottica esterna e quasi forzatamente problematica, emerge una visuale piuttosto inedita. In cui – forse è il caso di dire: era ora – il giudizio complessivo su vicende, casi, protagonisti, culture prevalenti e sconfitte, non sfiora mai la classica tesi del “piano tradito”, dei principi corretti che si scontrano con vari ostacoli nel tentativo di affermarsi. Anche se fosse solo questo, l’elemento di novità, vale da solo l’intera raccolta, le cui tesi a volta fanno tornare in mente in una nuova luce il vecchio adagio del planner suo malgrado William H. Whyte, quando scriveva “qualunque urbanista preferisce di gran lunga avere un buon piano, anziché un problema risolto”. Battuta un po’ cattivella, ma tutto sommato piena di verità, per chi vuole capire: Esperienze di Governo del Territorio col suo rileggere tante cose apparentemente note ci aiuta a farlo.

( questa recensione era stata scritta per il Giornale dell'Architettura; per motivi di spazio il Giornale l'ha poi drasticamente ridimensionata a un piccolo riquadro scheda a pag. 28 del numero di dicembre 2011, col titolo "Pianificazione spaziale in 5 regioni italiane")

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