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Frank Swain
Un territorio a misura di robot
14 Ottobre 2011
Dalla stampa
Lo spazio che abitiamo deve adattarsi a certi requisiti per l’automazione, come successo con le automobili? Il dubbio è lecito. Slate, ottobre 2011 con postilla. (f.b.)

Titolo originale: The Future Is Machine-Readable – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Quando si chiede a qualcuno di descrivere la città del futuro, ci si aspettano immagini di metropoli scintillanti magari di quelle che si intravedono in Giappone o in Corea, o i quei disegni tutti acciaio e cristallo e auto senza pilota che scivolano silenziose sull’autostrada .

E invece il vero modello di città del futuro è una minuscola cittadina medievale nella campagna toscana, Peccioli. Con oltre un quarto della popolazione residente che ha superato l’età della pensione, qui anche la gente appare un po’ antiquata. E invece Peccioli è all’avanguardia della rivoluzione tecnologica europea. Nel quadro di una collaborazione con la Scuola Sant'Anna di Pisa iniziata nel 1995, la cittadina si è trasformata nel campo di applicazione delle ricerche avanzate sull’invecchiamento, telesoccorso, energie alternative, tutela ambientale, e molto altro. Qui hanno iniziato ad lavorare per strada in mezzo alla gente i primi operai robot.

Dopo una breve sperimentazione nel 2009, due unità del tipo DustCart [più o meno letteralmente carretto delle pulizie n.d.t.] si sono fatti carico della raccolta rifiuti nel centro di Peccioli per due mesi del 2010. Gli abitanti richiedono un intervento, il supervisore dei robot (un’intelligenza artificiale che si chiama AmI) spedisce il DustCart più vicino all’interessato, a prelevare la spazzatura e portarla al centro smistamento. Li hanno soprannominati Oscar, quei robot (il riferimento è al signore che faceva prima quel lavoro, non al Muppet).

Può anche sorprendere che nel XXI secolo i robot più avanzati a contatto con l’uomo debbano solo raccogliere spazzatura, modelli Roomba o DustCart. Perché l’ascesa di queste macchine non è stata travolgente come ci si aspettava? Perché se è abbastanza facile sostituire al meglio gli esseri umani per lavori semplici e ripetitivi, trovano invece enormi difficoltà nell’operare in ambienti estranei. Limiti che li tengono incatenati a luoghi monotoni e lineari, come una catena di montaggio, e di solito lontano dagli sguardi della gente. Quando sono alla fine arrivate, le auto senza pilota hanno subito imboccato la via con meno ostacoli: quella dell’aria.

Se i robot vogliono diventare una presenza corrente quotidiana, si pensa di solito, dovranno adattarsi ad operare in un ambiente aperto del tutto non controllato. Credo invece che sia molto più probabile il contrario: in futuro, modificheremo lo spazio per renderlo più robot-centrico, per rispondere alle necessità delle macchine.

Per esempio le strade, oggi del tutto sconcertanti per un robot. Anche la famosa automobile a guida automatica di Google si sposta solo dopo che un essere umano l’ha programmata inserendo "segnali, semafori e tutto il resto" spiega il responsabile Jay Nanncarrow. L’auto della Google non può funzionare in un ambiente che non conosce già, e non è neppure chiaro se sia in grado di gestire eventi imprevisti come semafori aggiunti per lavori, o chiusura temporanea di corsie.

Se il futuro è anche delle auto automatiche, dovremo anche investire parecchio sulle infrastrutture, per adeguarle al robot. Ciò può voler dire segnali radio in corrispondenza degli attraversamenti pedonali, o guide elettroniche inserite nell’asfalto per capire dove fermarsi in caso di incroci complicati. Ci sarà anche bisogno di segnali che avvertano il passeggero che sta uscendo dalla rete delle strade attrezzate alla guida automatica.

Per le vie, negozi e altre attività aggiungeranno al tipo di visibilità attuale anche quella elettronica. Già oggi in Corea i pendolari possono fare la spesa in metropolitana scansendo immagini di alimentari sui muri delle pensiline. L’introduzione massiccia di sistemi robotizzati a basso costo potrebbe anche voler dire un grande ritorno del negozio tradizionale, dove i cliente arriva con una lista e si rivolge all’addetto.

É quanto già accaduto alla nuova biblioteca James B. Hunt della North Carolina State University costata 115 milioni di dollari. L’ateneo la presenta come il proprio "simbolo di una nuova era di sviluppo". Fra le novità di questa nuova era, c’è che agli studenti non è più consentito girare liberamente per gli scaffali, come si è fatto per generazioni. I due milioni di volumi saranno in sale climatizzate sotterranee, a cui ha accesso esclusivamente un impianto robotizzato. Queste scaffalature occupano solo una minima parte dello spazio che si prendevano prima, e la consegna è di gran lunga più rapida (con questo sistema dovrebbe anche finire il vecchio vizio di tenersi troppo libri che possono anche servire ad altri). Insomma invece di progettare un robot in grado di muoversi nella biblioteca, l’Università ha concepito l’intera biblioteca attorno al robot.

Ma cosa potrebbe accadere se si introducessero i robot anche in altri aspetti della nostra vita? Rendere le strade adatte alle auto che si guidano da sole può essere abbastanza facile, visto che si tratta di un ambiente già piuttosto controllato e standardizzato, dall’organizzazione planimetrica alla segnaletica. Le strade sono anche gestite da un’autorità centralizzata, il che rende relativamente semplice introdurre le modifiche necessarie, quindi non dovremmo sorprenderci troppo se diventasse normale progettare strade leggibili dalle macchine. A Peccioli, i ricercatori hanno introdotto parecchi accorgimenti per guidare DustCart. É stata contrassegnata una particolare "corsia per robot " dipinta di giallo, per separare la macchina dal traffico normale ed evitare ingorghi nelle vie più strette. C’è anche una segnaletica rivolta agli automobilisti per avvertirli della presenza di questo insolito collega. L’area è del tutto coperta da Wi-Fi ad alta velocità e telecamere a circuito chiuso, che garantiscono un contatto costante coi droni, e ci sono segnali dappertutto nella zona di raccolta della spazzatura per guidare DustCart.

Ma una maggior diffusione di robot non significa solo realizzare ambienti più controllati; vuol dire anche rendere i nostri spazi il più possibile leggibili alle macchine. I codici QR evoluzione mutante di quelli a barre non sono nulla di nuovo, ma si stanno oggi affermando grazie all’enorme diffusione degli smartphone. Anziché concepire sistemi di lettura ottica simili al nostro, diventa assai più facile sostituire al testo scritto qualcosa che è leggibile alla macchina, ma incomprensibile agli esseri umani. Improbabile che si possa rinunciare del tutto alle nostre normali informazioni, per passare a una scacchiera di icone, ma se vogliamo che degli androidi ci servano al banco della spesa o trasportino i pazienti in barella in ospedale, dovremo almeno accettare il diffondersi di questa forma di bilinguismo.

Stiamo vivendo una digitalizzazione di massa dei nostri dati. Si prevede che enormi proporzioni delle informazioni quotidiane, dal giornale alla corrispondenza, passino a un formato gestibile digitalmente. Mentre gli archivisti lavorano a mettere a disposizione interi cataloghi storici di materiali scritti. Il futuro ci riserba anche molto di più, portandoci verso un mondo tutto leggibile dalle macchine.

postilla

Comprensibile e in parte anche condivisibile, l’entusiasmo dell’adepto per un mondo che vede spuntare ogni giorno dappertutto i segni dell’ascesa trionfante del robot, nella forma poco inquietante e assai diversa dalle problematiche domande di Isaac Asimov (che paiono loro, fantascienza in negativo, per certi versi).

Però, se ripensiamo col senno di poi ad esempio a tutti i guai portati dall’automobile alla forma delle città e del territorio, o allo schematismo con cui certa cultura architettonica e urbanistica novecentesca ha inglobato l’entusiasmo per la macchina delle avanguardie artistiche, qualche problemino in effetti sorge. Certo non ci aspetta un futuro da rincoglionimento ameboide, tutti lì come un nerd da barzelletta a guardare ad occhi spalancati un apparecchio che vive in nostra vece.

Ma ci tocca, ragionevolmente, evitare sia il solito atteggiamento da diffidenza contadina (che poi sotto sotto ci fa accettare quasi tutto, se ce lo propongono nel modo giusto), sia appunto l’accettare tutto quanto come dono del cielo, fino alla santificazione dei suoi angeli vista dopo la morte di Steve Jobs.

L’urbanista consapevole dovrebbe saperlo: la differenza, nel bene e nel male, è un po’ come quella fra le utopie sociali ottocentesche e il sogno immerso nel verde alla Silvio Berlusconi e dintorni. Ci sono un sacco di vie di mezzo, o anche del tutto nuove, da inventarsi e/o esplorare (f.b.)

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