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La Fiom-Cgil riconquista la piazza per i lavoratori e i cittadini
20 Ottobre 2011
Articoli del 2011
Massimo Franchi e Oreste Pivetta intervistano Maurizio Landini e Susanna Camusso sulla manifestazione della FIOM e il suo contesto. L’Unità, 20 ottobre 2011

Metalmeccanici

La Fiom ottiene Piazza del Popolo

di Massimo Franchi

Il segretario della Fiom, Maurizio Landini, al termine di una giornata di trattative per la piazza di domani, può annunciare che la sua organizzazione potrà manifestare a Roma. La Questura concede Piazza del Popolo.

Dopo almeno cinque proposte e altrettanti dinieghi da parte di Alemanno e Questura, la Fiom chiede di poter tenere la sua manifestazione di domani a Roma nella “storica” piazza del Popolo, scelta fra le “sette piazze citate dallo stesso sindaco”. E la ottiene. Ieri sera la Questura di Roma ha dato il via libera. Lo sciopero dei gruppi Fiat (e affini, componentistica e autobus) e Fincantieri (e anche di tutti i metalmeccanici del Lazio) di venerdì non sarà una questione di Stato. Anche se ancora una volta i lavoratori che rischiano il posto di lavoro sono stati costretti a subire le conseguenze di comportamenti non loro. Il ricordo degli scontri e delle devastazioni di sabato scorso ha portato il questore di Roma Francesco Tagliente ad essere, in un primo tempo, perfino più prudente del sindaco Alemanno, autore della contestata ordinanza che vieta per un mese i cortei nel centro storico della Capitale. E allora la Fiom trasforma il corteo in un comizio collettivo a più voci dando spazio dal palco a tanti lavoratori dei due gruppi prima dei discorsi conclusivi di Maurizio Landini e di Susanna Camusso. «Abbiamo scoperto spiega il leader dei metallurgici della Cgil che anche fuori dal I Municipio non c'è la possibilità di fare cortei. Nonostante una lettera scritta e firmata dal sindaco Gianni Alemanno, la Questura dice che per questione di ordine pubblico non è possibile fare cortei. Non si può negare il diritto a manifestare spiega ancora Landini -. Di fronte a questa situazione, dopo aver fatto presente alla Questura la possibilità di usare tutte le piazze messe a disposizione dal sindaco, riteniamo necessario nel rispetto lavoratori verrano di fare un atto di grande responsabilità. Chiederemo piazza del Popolo come sede della manifestazione, facendola diventare la piazza di Roma per la riconquista di spazi della democrazia». E aggiunge: «Se ci diranno di no occuperemo la piazza». Ma non ci sarà bisogno. La Fiom, in risposta alla proposta di Maroni di fidejussione per manifestare, risponde con l'iniziativa «Un euro per la democrazia, un euro per la libertà di manifestare».

«Daremo inizio a questa raccolta tra tutti i partecipanti alla manifestazione». Con quanto ricavato «si finanzieranno le altre iniziative». Una iniziativa per far capire che «agli atti di violenza non si risponde limitando gli spazi della democrazia». E, a proposito degli scontri di Roma, Landini assicura: «Non ci saranno caschi, facce coperte o guanti. Come sempre, ci sarà il nostro servizio d'ordine che assicurerà che tutto vada per il meglio».

Una manifestazione aperta ai rappresentanti del mondo della cultura e delle forze sociali quella della Fiom, chiamando a raccolta tutti coloro i quali «sentono con forte senso di responsabilità il desiderio di riappropriarsi degli spazi della libertà e della democrazia». A tutti, il segretario offre il palco di Piazza del Popolo. Ma «la politica, gli esponenti dei partiti sono invitati a manifestare con noi», quindi senza intervenire dal palco. Su quel palco si alterneranno invece delegati Fiat e Fincantieri, arrivati a Roma con gli oltre 90 pullman previsti per domani. E ancora una volta le polemiche stanno mettendo in ombra le ragioni dello sciopero.

Che Landini ribadisce a maggior ragione alla luce delle dichiarazioni di ieri di Marchionne: «Dice che l'Alfa Romeo andrà in America, è la dimostrazione che il piano “Fabbrica Italia” non c'è. La scelta della Fiat è il disimpegno dal Paese.

Ecco perché chiediamo di andare in piazza».

Camusso:

«Vogliono una politica per ricchi.

È nostra la battaglia di libertà»

di Oreste Pivetta

La segretaria Cgil: «Sabato una grande domanda di futuro. Ma sul no alla violenza bisogna essere espliciti. Per cambiare le cose non serve un governo d’emergenza»

Un’antica questione: il discrimine violenza-non violenza . «No, su questo, contro la violenza, non si transige», dice Susanna Camusso, segretaria della Cgil, ieri a Berlino, dove si è discusso di due Risorgimenti, assai vicini negli anni, quello italiano e quello tedesco. Il commento di Susanna Camusso arriva a qualche giorno di distanza dal sabato romano e dopo gli annunci del ministro degli Interni, denunciando da un lato la strumentalizzazione, dall’altro però il limite «di una discussione non condotta sino in fondo».

Che cosa si sarebbe dovuto fare? È stata comunque una grande manifestazione...


«Una manifestazione straordinaria per la partecipazione di giovani e di meno giovani, un grande popolo di studenti, di precari, di disoccupati, di gente stanca, un popolo tutt’altro che ripiegato su se stesso, sulle vicende italiane, capace invece di guardare al resto del mondo, non genericamente critico ma pronto a contestare quelle soluzioni, tra banche mondiali e finanza globale, che non sono soluzioni per il futuro, mentre la domanda fondamentale è proprio: quale futuro ci aspetta? Però poi ci siamo imbattuti anche nell’altra faccia della manifestazione, faccia che si è delineata a partire da un punto non risolto: proprio il discrimine violenzanon violenza. Credo che nell’organizzazione di quella giornata si sia naturalmente riflettuto su questo, ma lasciando qualcosa in sospeso, come si può dedurre da quanto è accaduto. Con le conseguenze che sappiamo: che si è oscurato il senso della protesta, nonostante il tentativo della maggioranza assoluta dei manifestanti di distinguersi dai violenti, e che è andata persa quella domanda, quale futuro?, che esprime volontà di costruire, non di distruggere. Da quella domanda bisogna che si ricominci, ciascuno ovviamente per la sua parte di responsabilità. Noi siamo il sindacato, abbiamo compiti nostri, non mettiamo il cappello su un movimento che è di tanti soggetti, fortunatamente, con i quali interloquire. Ma la discussione sulla violenza deve essere ripresa e in modo assolutamente esplicito. Non possiamo ripassare attraverso tragiche storie del passato».


Non possiamo neppure consentire che una manifestazione democratica venga impugnata da qualcuno, magari da un ministro, come questione di ordine pubblico...

«Eppure, come è evidente, è successo proprio questo. L’effetto era scontato. Alemanno e Maroni non hanno perso un attimo, oscurando un principio fondamentale in ogni democrazia e della nostra Costituzione: la libertà di manifestare il proprio dissenso, purchè venga rispettato il principio della non violenza. Maroni ha escogitato questa idea delle fideiussione, così può manifestare solo chi ha i soldi e i disoccupati non potrebbero mai manifestare. Può sembrare un’idea strana, ma corrisponde a una loro logica, di destra: la politica sulla base del censo... Cioè: può candidarsi chi ha i soldi, farsi eleggere chi ha i soldi, manifestare infine chi ha i soldi. C’è un’altro aspetto: tra i cittadini e lo Stato s’è stabilito un patto, per cui si pagano le tasse per godere in cambio di alcuni servizi, compreso quello che dovrebbe garantire l’ordine pubblico. Anche in questa negazione (o ignoranza) del patto di cittadinanza, vedo una loro coerenza: visto che ti lascio evadere le tasse, pagami poi il servizio eventuale».

Si potrebbe aggiungere: così pagano sempre i soliti. Comunque c’è stato, anche da parte del governo, un deficit di previsione.

«Ora denunciano la violenza organizzata. Lo dice il ministro. Non si capisce perché non abbiano tentato di individuare prima la macchina di questa organizzazione, invece di immaginarsi dopo misure repressive che non risolvono nulla». Senza soldi che decreto sulla crescita potrebbe mai essere?

«La verità è che non vogliono mettere mano a una politica di giustizia fiscale, che sarebbe anche una politica di giustizia sociale. Adesso si inventano il concordato, che è un altro condono, cioè un altro modo per premiare l’evasione. D’altra parte Berlusconi ci ha fatto sapere che non gli piace la patrimoniale...».

Teme di dover pagare lui più di tutti.

«C’è di mezzo anche il conflitto di interessi, infatti. Non vuole la patrimoniale anche perché, da furbo, non vuole scontentare lo zoccolo duro del suo elettorato, che ha sempre premiato. Paghino gli altri: la diseguaglianza è la tragedia di questo Paese, diseguaglianza tra ricchi e poveri, diseguaglianza tra Nord e Sud, tra chi paga le tasse e chi no. Ma Berlusconi non ha fretta. Lui ha fretta solo per il processo breve e ha dimostrato di poter nominare in pochi minuti due viceministri e due sottosegretari».

Ancora ieri abbiamo ascoltato un altro richiamo di Napolitano.

«Il presidente sta compiendo uno sforzo straordinario per riportare il Paese nella giusta direzione».


Un governo d’emergenza nazionale potrebbe essere la direzione giusta?

«Il problema non è Berlusconi. Il problema sono le politiche che il suo governo ha espresso. Un governo d’emergenza, un governo di tecnici, rischia di muoversi nella continuità. Lo stato del Paese dice che è necessaria un’altra politica, che è necessaria una rottura. C’è solo un modo per scegliere quale politica: ridare il voto ai cittadini».

Sì, però, davanti all’urna, qualcuno può chiedersi: dove sta l’alternativa?

«Intanto non dobbiamo lasciarci suggestionare dal ritornello che ci stanno cantando all’infinito governo, maggioranza, certa stampa, in varie versioni: tanto sono tutti uguali. C’è un difetto all’origine in questa affermazione: un conto è stare al governo, un conto è vivere all’opposizione. Quindi inviterei tutti a rifuggire dal mito del leader. Quella del leaderismo è una cultura imposta da questo centrodestra e da Berlusconi, inclini al populismo. Prima non viene il leader, prima viene la politica. Basta con i candidati che si candidano a vicenda e che si silurano a vicenda. Avviare un processo democratico: questo bisogna fare».

L’economista Giavazzi sul Corriere vi ha messo in compagnia della Confindustria: due corporazioni che si sorreggono a vicenda.

«Dovrebbe dirci dove noi del sindacato avremmo peccato di corporativismo. Chi ha sempre pagato i conti? I lavoratori e il sindacato dei lavoratori. Il giudizio mi sembra ingeneroso anche nei confronti di Confindustria: in vario modo il sistema produttivo ha cercato di reagire alla crisi».

Ma la vostra ricetta è diversa da quella di Confindustria?

«Profondamente. Loro insistono sulla riforma delle pensioni e sull’innalzamento dell’età pensionabile. Noi insistiamo sui giovani e sulla necessità di far posto ai giovani».

Lasciamo stare Marchionne? Sembra un disco rotto...


«Finora ha solo chiuso stabilimenti. Siamo qui ad aspettare gli investimenti».

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