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Nadia Urbinati
Quel mattino è cominciata un´emergenza infinita
11 Settembre 2011
Articoli del 2011
L’11 settembre 2001 visto da gli USA, con uno sguardo controcorrente. La Repubblica, 11 settembre 2011

Quel martedí mattina come ogni martedí stavo preparando la mia lezione dopo la consueta corsa in Riverside Park quando ricevetti la telefonata di un´amica che gridava come impazzita «ci stanno bombardando». Non capivo e istintivamente ho acceso la televisione. Tutti i canali mostravano le stesse immagini, quelle del primo aereo che sfonda una delle torri. Difficile non pensare a un film. Ma é realtà quando il secondo aereo finisce il lavoro. Ci hanno davvero bombardato. Questa é una guerra: ho avuto vivida questa sensazione di fatalitá di fronte al disastro, una sensazione che non conoscevo. Chiamo tutti gli amici che conosco. Nessuna risposta dagli amici di Downtown. Ne trovo due, che vivono a Tribecca, a due passi dal City Hall, in quella che sará subito dichiarata "zona rossa", di massimo rischio; rischio di crolli ma anche di contaminazioni tossiche a causa delle esalazioni provocate dagli incendi.

L´amico di Tribecca era uscito di casa alle otto per andare a giocare a tennis, mentre la moglie accompagnava il figlio a scuola. Usciti per ritornare dopo poche ore sarebbero rientrati a casa loro solo quaranta giorni dopo. L´emergenza é proprio questo: l´interruzione imprevedibile e imprevista della quotidianità. Chiedere il permesso alla Guardia Nazionale, essere scortati fino all´uscio di casa da un militare in tenuta da guerra batteriologica, accettare di essere muniti di maschera anti-gas per raccogliere le proprie cose. Invito questi amici a casa, darò loro un letto in attesa che trovino una soluzione. Quando arrivano, hanno negli occhi e sulla pelle il segno di quel che hanno visto e sentito piovere addosso. Un inferno di fuoco e polvere. E di quell´inferno per giorni ho sentito il fetore nell´aria. Dalle finestre aperte a 11 chilometri di distanza dal luogo dell´attentato si é sentito per settimane il fetore emanato dai corpi bruciati.

Mi é stato chiesto varie volte come ha reagito la gente di New York. Da bolognese adottiva, abituata nella gioventù a notizie di attentati terroristici, sono istintivamente portata a uscire in strada. E così ho fatto quella mattina. Ma nessuno era in strada. Tutto sembrava scorrere come prima, come sempre in un giorno lavorativo. Sono andata dopo il crollo della seconda torre verso il campus di Columbia. Nessun allarmismo, nessun segno della tragedia che si stava consumando a Downtown. Dopo poche ore un segno: nei palazzi i portieri affiggevano indicazioni su come procedere per la raccolta di latte e succhi di frutta, poiché le polveri sono state uno degli effetti tremendi delle esplosioni e dei crolli, che oltre a uccidere migliaia di persone hanno provocato problemi seri alle vie respiratorie di migliaia di sopravvissuti.

Ma da quel martedì le cose sono cambiate radicalmente. L´emergenza non é più uscita dalla nostra vita. L´Amministrazione Bush, resa disgraziatamente attiva da quell´attentato, ha deciso di entrare in uno stato di guerra non solo in Afghanistan, e poi in Iraq, ma anche nel Paese. Fu aperto il campo di reclusione di Guantanamo, una terrificante violazione dei diritti umani, mentre la presidenza degli Stati Uniti avocava a sé poteri eccezionali di tipo dittatoriale. Le guerre invocate in nome della vendetta e per prevenire altri attentati sarebbero durate 10 anni, dissanguando le casse dello Stato e senza aver creato quello che irragionevolmente volevano creare, ovvero la democrazia; soprattutto senza riuscire a colpire il nascondiglio di Osama Bin Laden. Le ripercussioni della preemptive strategy sono state pesantissime e hanno scatenato la crisi economica più grave che l´America abbia sofferto dal 1929. Un impero che affonda nelle guerre che provoca: questo é il lascito dell´Amministrazione Bush, nata con un bluff elettorale e costata un danno incalcolabile i cui effetti durano ancora.

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