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Loris Campetti

La Cgil non è sola
7 Settembre 2011
Articoli del 2011
«C'è un popolo capace di indignarsi. Può avere in futuro almeno una sponda sociale?». Il manifesto, 7 settembre 2011

Quello di Raffaele Bonanni è un modo ben curioso per accogliere l'appello del presidente Napolitano alla «coesione»: lo sciopero della Cgil, dice il segretario della Cisl, «dà un ulteriore segnale negativo alle Borse». Neanche al ministro Sacconi è venuta in mente una trovata di questo livello, e forse neanche all'associazione degli operatori di Borsa. Se c'è una coesione che dovrebbe interessare un sindacato è quella sociale, tanto più dentro una crisi come questa e a fronte delle politiche liberiste prigioniere della finanza e dei mercati che ripropongono le stesse modalità della crisi che hanno generato. E che ora tentano di scatenare una guerra tra poveri trasformando il conflitto tra capitale e lavoro in una lotta tra gli ultimi della scala sociale. Chi vive di lavoro o di pensione, chi il lavoro non ce l'ha o l'ha perduto, dovrebbe pagare il conto per tutti. La coesione necessaria a questo paese come agli altri paesi europei è fuori da Piazzaffari e dai palazzi della politica, è tra la gente tartassata, che non potrebbe evadere il fisco anche se volesse. Quelli che ieri hanno risposto alle provocazioni con rabbia e dignità. Uno striscione sostenuto dalle militanti Fiom interpretava bene questi sentimenti: «Ci volete schiave, ci avrete ribelli».

Bonanni si preoccupa per le Borse: ma la Cisl, un'organizzazione che ha una storia nobile e un radicamento di massa, è ancora un sindacato? Chiedetelo agli operai metalmeccanici della Fim della Lombardia, del Veneto, delle Marche, della Toscana, dei cantieri di Palermo che ieri hanno scioperato insieme alla Cgil. O a quell'anziano militante con il volto tirato che a Roma alzava un cartello con la scritta: «Dopo 35 anni mi vergogno di essere un tesserato Cisl».

La Cgil non è sola. Per un giorno è stata capace di intercettare la rabbia e la protesta delle persone perbene, sindacalizzate e non, occupate e non, precarizzate, impoverite, commercializzate, buttate su un mercato chiuso senza prospettive come capita agli studenti. In piazza sono scesi in tantissimi in tutte le città italiane, con gli operai e gli impiegati, maestre d'asilo e operatori delle cooperative sociali, infermieri, artisti, registi, medici, sfrattati, handicappati privati del sussidio, pensionandi in speranzosa attesa, ministeriali, insegnanti, giovani dei centri sociali. Anche la decisione di alcuni sindacati di base di proclamare il loro sciopero nello stesso giorno scelto dalla Cgil rappresenta un segnale positivo.

I politici di centrosinistra si sono fatti vedere nei cortei, anticipando via mail l'ora e il luogo del loro ingresso per non lasciare delusa l'informazione politica. Meglio che fossero lì, ma avranno imparato qualcosa prima di andare in Senato a fare «coesione»?

C'è un popolo capace di indignarsi, qui come nel resto del Vecchio Continente, nelle forme più diverse. Un popolo privo di rappresentanza, capace di lanciare alla politica segnali forti: con le proteste sociali a partire da Pomigliano, con i referendum in difesa dei beni pubblici, persino con le elezioni amministrative. Può avere in futuro almeno una sponda sociale? Può la Cgil, dopo aver intercettato i sentimenti della maggioranza della popolazione, rappresentare questa sponda, impedendo il riflusso e il ripiegamento dei movimenti, offrendo un'alternativa alla guerra tra poveri? E' alla Cgil che va rivolta questa domanda, che noi formuliamo così: lo sciopero straordinario di ieri che ha svuotato i posti di lavoro e riempito le città è un una tantum, oppure rappresenta l'inizio di un conflitto capace di durare nel tempo, di imporre innanzitutto il ritiro dell'odioso articolo 8 della manovra che toglie il diritto di parola e di sciopero a chi lavora, dando ai padroni la libertà di licenziare, cancellare le leggi, lo Statuto, la Costituzione, i contratti nazionali e i sindacati non complici? Con questo governo (e con questa languida e prigioniera opposizione) non c'è alternativa possibile. Berlusconi dev'essere rimandato a casa. E ancora: indignarsi è il primo passo, ma poi bisogna costruire un'alternativa sociale, politica, culturale. Di sistema. E' una strada lunga e sconnessa, passa attraverso la rifondazione della politica che non può essere delegata a nessuno.

La Cgil potrebbe essere un buon compagno di viaggio, prendendo atto che non c'è futuro nell'inseguimento di un'unità di vertice impossibile con la Cisl che si preoccupa della Borsa, la Uil che si preoccupa della Uil e i padroni che si preoccupano solo dei loro affari. Ieri lo sciopero ha fermato le linee di montaggio di tutti i simboli nazionali: i Baci Perugina, la nazionale di basket bloccata a Riga, il Colosseo e i Fori imperiali. Piccoli segnali importanti, che dovrebbero dare coraggio al gruppo dirigente della Cgil e a tutti gli uomini e le donne che ieri non sono andati al lavoro ma in piazza, prenotandosi per il prossimo appuntamento.

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