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Paolo Maurizio; Cacciari Acerbo
COMMONS. La potenza di un lessico dimenticato
7 Aprile 2011
Recensioni e segnalazioni
Radici antiche di un tema di oggi per domani: i beni comuni. Il manifesto, 7 aprile 2011

Come un back to the future; sono i beni comuni il futuro del comunismo. Questa – in grande sintesi - è la tesi di un breve, bellissimo saggio di Peter Linebaug pubblicato sul web journal «The Commoner» (www.thecommoner. org) che è stato tradotto sul numero in edicola del mensile «Su la testa», la rivista di Rifondazione diretta da Lidia Menapace. Peter Linebaugh, assieme a Markus Rediker, è autore de I ribelli dell’Atlantico (Feltrinelli), bellissimo saggio sulle origini del capitalismo nelle due sponde dell’oceano, l’espropriazione delle terre di uso comune, la loromessa a profitto e la nascita delle coltivazioni industriali. Insomma l’«accumulazione originaria», che non è affatto una a tantum, ma un processo di conquista progressivo e totalizzante, di penetrazione del dominio del capitale sulla natura, fin dentro il genoma umano e la «noosfera ».

Antiche utopie

Gli studi storici di Linebaugh dimostrano come il processo di espropriazione combinato con lo sfruttamento industriale (la trasformazione della terra e del lavoro in merci) abbia trovato sempre forti resistenze nelle campagne (le rivolte proletarie urbane verranno dopo). I commons non erano un residuo anacronistico ma la consuetudine che diviene illegale e quindi criminalizzata. I levellers erano coloro che abbattevano le enclousures e i diggers coloro che le coltivavano senza autorizzazioni. Non possedevano il concetto della proprietà privata e costituivano società alternative nelle Americhe, luoghi «senza leggi, senza libri e senza giudici». In un manifesto dei Diggers del 1649 (due secoli prima di quello di Marx ed Engels) c’è scritto: «noi possiamo lavorare in rettitudine e porre le fondamenta per fare della terra un tesoro comune a tutti, ricchi e poveri. Che chiunque sia nato sulla terra possa essere nutrito dalla terra, la madre che l’ha partorito, secondo la ragione che governa il creato, senza racchiudere parti in possedimenti privati, ma tutti come un solo uomo lavorando insieme e nutrendosi insieme come figli di un solo padre, membri di una sola famiglia; non che uno comandi sugli altri, ma che tutti si considerino pari nel creato».

Da allora gli esperimenti di «comunità utopiche» (come pratiche concrete di forme di condivisione dei beni, come società emancipate ed autonome, ma nient’affatto pacificate con l’ordine sociale circostante) si sono succeduti intrecciandosi con gli eventi rivoluzionari del secolo dei Lumi, ma differenziandosi proprio sulla questione della «proprietà borghese». Sono loro, i commoners (la gente comune spossessata dagli usi collettivi, esclusa dall’accesso ai mezzi di sussistenza, privata dei diritti comunitari consuetudinari) ad inventarsi per primi – secondo gli studi di Linebaugh – la parola communism. Prima è Restif de La Bretonne, nel 1793, a usare la parola comunismo per indicare proprio la proprietà comune: i commons. Poi, e siamo già nel 1840, fu la volta di un altro progenitore del comunismo, seguace di Babeuf (ispiratore degli Egualitari), Goodwyn Barmby fondatore della «Communist Church» e della Società centrale di propaganda comunista. Da notare che il termine comunismo viene usato come se fosse un verbo: «comunistare».

Una economia morale

Il modo migliore per tradurre commons, infatti, dovrebbe essere «comunanze »; la dimensione tipica di tutte le resistenze e le rivolte che contraddistinguono quei secoli compresi gli esperimenti utopistici. Un modo di dire molto vicino al neologismo coniato da Linebaugh: commoning, per indicare il fare pratiche sociali di condivisione; riconoscere, rivendicare e gestire collettivamente beni comuni. Altrimenti detto: i commons, la gestione collettiva dei beni e servizi comuni, sono forme di economie sociali alternative e solidali che concretizzano il concetto molto potente di «economia morale» (secondo lo storico inglese Edward P. Thompson, maestro di Linebaugh, la economia morale riguardava la difesa di regole nel commercio del grano che le comunità avevano conquistato nei secoli e che il capitalismo abbandona affamando la gente comune che si ribella), mentre il communism è la complementare teoria politica. Il comunismo viene così reinserito nella storia lunga delle classi subalterne e che democrazia e comunismo camminano insieme dentro un percorso lungo secoli che non è cominciato aMosca o Pietrogrado nel 1917.

Nel corso dell’800 i commons erano il passato e il comunismo il futuro. I due termini si sono disaccoppiati ed è stata una vera tragedia, sia per i beni comuni (ridotti a fattori e mezzi di produzione) ancor più per il comunismo. Ciò che pare vecchio e superato del comunismo – centralismo, autoritarismo, ecc. - è ciò che lo ha reso l’opposto di quello che era quando la parola infiammava commoners e proletari tra Parigi e Londra. «Ora – dice Linebaugh – nel XXI secolo la semantica dei due termini sembra essersi rovesciata, con il termine comunismo che appartiene al passato dello stalinismo, all’industrializzazione dell’agricoltura e al militarismo, mentre i commons appartengono ad un dibattito internazionale sul futuro planetario di terra, acqua e mezzi di sussistenza per tutti».

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