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Gli esordi
11 Aprile 2011
Chi è Antonio Iannello?

Ma chi è Antonio Iannello? Antonio Iannello è morto povero, a sessantotto anni, il 2 maggio del 1998. Architetto, urbanista, per cinque anni, dal 1985 al 1990, è stato segretario generale di Italia Nostra, dopo aver fatto parte, dal '67 al '73, del Consiglio direttivo della sezione dei Campi Flegrei, e aver ricoperto dal '73 all'85 la carica di presidente della sezione napoletana e dal '76 di quella dell'intera Campania. E' dunque un ambientalista, un difensore del patrimonio italiano, del suo paesaggio, dei suoi monumenti e del modo in cui i secoli lasciano in un paese un marchio di identità, consegnandolo al movimento delle colline, a un filare di cipressi, ai muretti a secco, alle pietre di un centro storico e alle attività che gli uomini vi svolgono. Iannello vive solo in parte sul proscenio, recita molti ruoli, in nessuno dei quali si immerge portando dentro tutto se stesso. Preparare un'iniziativa, formare una decisione, per esempio, hanno per lui molto più senso, contengono molta più qualità politica che non la loro realizzazione, la loro gestione, men che meno l'usufrutto privato che ne può derivare.

Tutte le volte che si cerca di afferrarlo e di calarlo in una definizione che in modo esauriente lo tenga inchiodato in una casella, è lì che sfugge. È un ambientalista quando l'ambientalismo viene maneggiato da pochi. E' un agitatore studentesco, molti anni prima che nelle università ; italiane si scateni la contestazione. E' un politico, ricopre cariche di non grande rilievo, ma tali comunque da attribuirgli una qualche responsabilità e un qualche peso. Non è un teorico, eppure si intestardisce su alcuni temi del dibattito culturale: il rapporto fra lo Stato e i cittadini, per esempio, le forme istituzionali, arrivando ad avversare ogni ipotesi federalista. E' azzardato e irruento, e a volte si è avventa sulla sua preda come un pirata, scarta le accortezze e mira al bottino. All'opposto, tante altre volte, lavora di fino, con sottigliezza e sapienza degna di un leguleo. Il fine ha giustificato gran parte dei suoi mezzi.

Forse l'unico modo per arrivare ad acchiapparne sinteticamente la personalità sta nel proiettarne, come un'ombra, la figura sulle carte, che per tutta la vita sono una sua ossessione, quasi rispondano al bisogno di un ancoraggio fisico, oggettivo, dove pensa di insediare tutta la turbolenza soggettiva. Quando è morto, dopo una malattia che gli ha succhiato la fibra, si è scoperto che in casa custodiva un materiale d'archivio sterminato (è stato raccolto e sistemato in 289 faldoni). Articoli di giornale, lettere, documenti ufficiali, contratti, relazioni - tutto, quasi sempre, in due, tre, quattro e persino dieci copie. Ma anche minute, appunti, manoscritti martoriati da correzioni e aggiunte che attestano redazioni precedenti quelle finali, pure conservate, e che trovano posto nelle cartelline come se volessero ricordargli un'attitudine variantistica stressante, che accompagna anche nevroticamente la formulazione del pensiero. Non so se sarà mai possibi le fornire di questa massa di carte (ora acquisite dal Comune di Napoli e sistemate in archivio) un tracciato unitario. Ma quel disordinato accumulo di documenti è attraversato da centinaia di percorsi, ognuno dei quali confluisce in un altro che a sua volta, dopo un andamento sinuoso, ritorna sul primo e così di seguito. Le carte sono per Iannello una dannazione. È difficile che ragioni senza avere sotto gli occhi un documento e senza aspettare di averlo scorso e digerito. Quelle carte raccontano la storia dell'urbanistica napoletana e di molta parte dell'ambientalismo italiano.

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