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Edoardo Salzano
19900927 Tesi alternative su Efficacia della pianificazione e Pubblico/Privato
7 Aprile 2011
Interventi e relazioni
Le tesi alternative rispetto a quelle aprovate a maggioranza dal CDN dell’INU e presentate al 19° congresso, Milano, 27-28 settembre 1990

TESI ALTERNATIVE ALLE TESI DA 7 A 12 E ALLA TESI 16

Premessa

Le tesi alternative qui allegate sostituiscono le tesi relative alla efficacia della pianificazione (dalla n. 7 alla n. 12) e le tesi relative al rapporto pubblico-privato.

Per quanto riguarda le prime (sostituite dalle tesi alternative dalla n. 6bis alla n. 12) esse erano stato già da me piu' volte annunciate nel corso finale dei lavori e costituiscono in parte una integrazione delle tesi licenziate dal Consiglio Direttivo Nazionale e in parte una impostazione nettamente diversa, sia per quanto riguarda la sistematica che per quanto riguarda i contenuti.

Lo sforzo di raggiungere chiarezza e sinteticità ha provocato forse qualche schematismo, ma credo che questo non ostacoli una fruttuosa discussione.

Per quanto riguarda l'ultimo gruppo di tesi (dalla n. 13 alla n. 20) esse in parte (tesi n. 16) costituiscono un ritorno e un rafforzamento della stesura che avevo inizialmente proposto, e che era stata modificata nel corso del lavoro di mediazione svolto nelle riunioni finali. Le modifiche alle altre tesi di questo gruppo costituiscono solo degli snellimenti e l'eliminazione di passaggi che risultano ripetitivi rispetto alle argomentazioni delle tesi alternative precedenti.

Tesi alternativa alla n. 6

Per individuare le caratteristiche che la pianificazione territoriale e urbana deve acquisire è necessario definire preliminarmente quali sono oggi, in Italia e in Europa gli obiettivi verso i quali la pianificazione, nell'ambito delle finalità generali del governo del territorio, deve tendere. Tali obiettivi consistono nel massimo risparmio delle risorse naturali e storiche sedimentate ed espresse nel territorio, e nel massimo miglioramento della qualità dell'ambiente nel quale si svolge la vita dell' uomo e della società.

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La dissipazione di risorse naturali è divenuta, a livello planetario, ragione di preoccupazione grave per la stessa sopravvivenza del genere umano. La degradazione, disgregazione, mercificazione del patrimonio culturale sedimentato sul territorio è divenuta, particolarmente in Italia, una delle forme più intollerabili di spreco di ricchezza comune della civiltà. L'ambiente urbano nel quale vive la grande maggioranza della popolazione italiana presenta crescenti caratteri di insopportabilità umana e sociale. Dalla consapevolezza di queste condizioni occorre partire anche per definire quali debbano essere, in una parte limitata del globo terracqueo, gli obiettivi dominanti che la pianificazione deve assumere e che devono condizionarne indirizzi, metodi, tempi.Il primo obiettivo è costituito dal massimo risparmio di tutte le risorse territoriali disponibili, e in primo luogo di quelle non riproducibili, o riproducibili con tempi e co sti elevati. Essenziali e vitali tra tali risorse sono ovviamente quellecostituite dai residui elementi di "naturalità": ossia da quelle parti del territorio dove il ciclo biologico non è ancora stato soppresso e negato, oppure compromesso e degra dato, e nelle quali dunque le regole e i ritmi della natura, seppure corretti e guidati dalla cultura e dal lavoro dell'uomo, permangono nella loro essenza e nella loro leggi bilità. Indirizzo essenziale della pianificazione, a tutti i livelli, deve essere quindi quello di non sottrarre alcuna ulteriore parte del territorio alla "naturalità" come so pra definita (a meno che non sia dimostrato in modo inoppugnabile, secondo criteri di valutazione univocamente stabiliti, che tale sottrazione è resa indispensabile dalla necessità di soddisfare esigenze generali altrettanto prioritarie altrimenti non soddisfacibili), e di indirizzare le trasformazioni territoriali alla ricostruzione di aree a maggior tasso di "naturalità".Di uguale rilievo si devono considerare le risorse territoriali costituite da quelle parti ed elementi nei quali l'in treccio tra storia e natura ha più profondamente operato, e dove quindi il territorio appare particolarmente intriso di qualità culturali. Il patrimonio costituito nel territorio dai segni lasciati dalla storia (siano essi più o meno compiuti, più o meno "nobili", più o meno guastati dall'oltrag gio della speculazione o della stupidità, più o meno leggibili nella loro configurazione residua) rappresenta parte sostanziale della civiltà cui apparteniamo. Indirizzo essenziale della pianificazione, a tutti i livelli, deve es sere quindi quello di tutelare ogni elemento di tale patrimonio, con l'impiego di tutti gli strumenti capaci di garan tire il restauro o il ripristino delle strutture fisiche e la definizione rigorosa degli usi compatibili con le carat-teristiche proprie delle diverse unità di quel patrimonio.Raggiungere l'obettivo suddetto in entrambe le sue componenti significa, in definitiva, tutelare due valori essenziali della civiltà e della sua sopravvivenza: l' integrità fisica e l'identità culturale del territorio. Esso allora già di per sè fornisce un contributo al raggiungimento dell'obbiettivo di un sostanziale miglioramento della qualità del l'ambiente della vita umana e sociale. Questo secondo obiettivo richiede però azioni specifiche, dirette a trasformare integralmente il volto delle gigantesche periferie realizzate nel corso dell'ultimo mezzo secolo nelle maggiori aree urbane, come nelle informi conurbazioni formatesi lungo le principali direttrici insediative e nei siti originariamente dotati di qualità naturale e paesaggistica devastati dalla speculazione e dall'abusivismo e resi anch'essi invivibili. Indirizzo della pianificazione e delle politiche territoriali e urbane, a ogni livello, deve essere quello di tendere alla umanizzazione e socializ zazione delle aree urbane, periurbane, suburbane e semiurba ne, mediante interventi di riqualificazione funzionale e di recupero urbano, edilizio, ambientale, estetico, culturale, sociale.

(La prima parte di ogni tesi, in grassetto, è l’enunciato; la seconda parte l’argomentazione)

Tesi alternativa alla n. 7

La pianificazione territoriale e urbana è un'attività complessa, non solo perchè deve applicarsi a una realtà che è essa stessa complessa, ma anche perchè si esplica necessariamente con il concorso dei diversi enti territoriali coinvolti nella formazione delle scelte. Ma la pianificazione dev'esser vista e gestita come un'attività unitaria: deve investire cioè in un'unica logica e in unico processo tutti i livelli territoriali e di governo ritenuti necessari.

La pianificazione territoriale e urbana è un'attività complessa per più d'una ragione. In primo luogo perchè essa deve applicarsi, come strumento per la soluzione di determina ti problemi e per il raggiungimento di determinate finalità, a un territorio e a una società di cui la complessità è caratteristica sempre più marcata: illusorio sarebbe presumere di governare realtà siffatte con strumenti semplici e schematici, con risposte solo puntuali ed estemporanee, o con progetti e programmi limitati ad alcuni aspetti o setto ri o luoghi.Ma la pianificazione territoriale e urbana è un'attività complessa anche perchè essa, nell'assetto istituzionale ita liano, si esplica necessariamente come concorso dei diversi enti coinvolti nella formazione delle scelte: enti che devono potersi esprimere secondo modi e procedimenti tali da garantire la partecipazione degli interessi, di cui ciascuno di essi è portatore istituzionale, al processo di for mazione delle decisioni. L'adozione del metodo della pianificazione come criterio fondamentale di guida di tutte le azioni della pubblica amministrazione suscettibili di incidere sull'assetto del territorio ha anche il significato di garantire una partecipazione siffatta.La complessità tuttavia rischia di degenerare in complicazione, di provocare confusione e inefficienze, di vanificare infine la stessa attività di pianificazione, di rendere irraggiungibili i suoi obiettivi. Segni preoccupanti di que sta tendenza è il proliferare delle figure pianificatorie, il sovrapporsi di piani a tutti i livelli senza chiarezza sulle reciproche connessioni e gerarchie, la separatezza e, spesso, la contraddizione con le quale le esperienze di pia nificazione sono vissute. In questa situazione sarebbe sbagliato proporsi di riordina re i livelli di pianificazione (come pure è necessario) li-mitandosi a semplificare la congerie di piani esistenti. Ciò che è invece necessario è ritrovare una unitarietà di metodi, criteri e indirizzi per tutto il processo di pianificazione. Occorre cioè comprendere come deve svolgersi un' attività di pianificazione coerente e continua su tutto il territorio nazionale, che investa in una unica logica, e in un unico processo, tutti i livelli territoriali e di governo: nazionale, regionale, provinciale e metropolitano, comu nale.

Tesi alternativa alla n. 8

Affinchè un'attività complessa e unitaria, quale la pianificazione deve essere, possa essere condotta con efficacia, è in primo luogo necessario chiarire in modo univoco e rigoroso quali sono gli elementi e gli aspetti territoriali di competenza di ciascun livello di governo (e di piano). Da questo chiarimento dipende la possibilità di definire in modo convincente, da un lato, il contenuto degli atti di pianificazione a ciascun livello e, dall'altro lato, il potere che ciascun livello esercita.

L'efficacia del processo di pianificazione richiede che si chiarisca in modo univoco e rigoroso quali sono le competenze dei diversi livelli di governo. Il criterio oggi di fatto prevalente è quello di assicurare a ciascun livello di governo un ambito di "autonomia sorvegliata" all'interno di un determinato ritaglio territoriale, risolvendo i conflitti, inevitabili finchè la materia è"confusamente ordinata", con defatiganti procedure o con opachi scambi politici. Occorre invece, più produttivamente, partire dalla definizione di quali siano gli elementi e gli aspetti territoriali di competenza di ciascun livello di governo. Su questa base diviene anche possibile definire in modo convincente, da un lato, il contenuto dei piani ai differenti livelli e, dall'altro lato, il potere che ciascun livello di governo esercita, e quindi le conseguenti procedure.Per definire le competenze dei diversi livelli di governo (nel caso della Repubblica italiana, lo stato, le regioni, le provincie e le città metropolitane, i comuni), occorre assumere il criterio per cui devono spettare all'ente esponenziale dell'aggregazione comunitaria più vasta tutte, e soltanto, le determinazioni relative agli elementi e agli aspetti territoriali che incidono su interessi la cui titolarità non sia interamente riconducibile alle aggregazioni comunitarie meno vaste. E' evidente che le determinazioni relative alla tutela dell'integrità fisica e dell'identità culturale del territorio rispondono a interessi la cui titolarità è, oggi, dello Stato, ma che oggettivamente appartengono all'intera umanità presente e futura, tant'è che si va opportunamente assisten do a forme di intervento sovrastatuale o interstatuale. Le scelte relativa alle trasformazioni territoriali volte ad altre finalità, invece, possono riguardare interessi di aggregazioni comunitarie più o meno vaste, in relazione agli ambiti direttamente segnati da tali trasformazioni, oppure modificati dai loro effetti, singoli o cumulativi, nei loro assetti fisici o relazionali. Nella pratica della pianificazione, l'esercizio delle competenze proprie di ciascun livello di governo (e di piano) do vrà esprimersi in forme differenziate in ragione sia della natura e delle caratteristiche degli elementi e aspetti ter ritoriali considerati, sia della congruità delle "forme espressive" (localizzazioni precise, ambiti di localizzazione, soglie, ecc) con le specifiche competenze pertinenti a quel livello. Così, gli strumenti di pianificazione dei livelli di governo sovraordinati e di tipo "generale" dovranno definire pre cise localizzazioni o esatti tracciati per alcuni elementi (per es., un porto o una grande infrastruttura lineare), am biti, o direttrici, di localizzazione, da osservare nell' attività pianificatoria di livello sottordinato o di tipo attuativo per altri elementi (per es., la localizzazione di un aereoporto a livello nazionale, di una sede universitaria a livello regionale, di un istituto scolastico superiore a livello provinciale), quantità o soglie quantitative per altri elementi ancora, e in particolare per quelli influenti sull'assetto dei livelli superiori solo nella somma toria degli effetti che ne risultano.

Tesi aggiuntiva n. 8 bis

Le procedure che regolano i rapporti tra i diversi livelli di governo responsabili della pianificazione territoriale e urbana devono essere radicalmente riconsiderate, sulla base di pochi principi chiari e ragionevoli. Ogni livello di governo deve potersi esprimere sugli atti di pianificazione di competenza di ciascun altro livello, ma la decisione ultima spetta al livello di governo che ha competenza per quel determinato elemento o aspetto della struttura territoriale. Conseguentemente, ad ogni livello di governo deve essere riconosciuto un mero potere di controllo della conformità delle scelte di copetenza dei livelli sottordinati alle decisioni proprie e degli altri livelli sovraordinati.

Complicazione e burocratismi spesso inutili, incertezza degli esiti e dei tempi, deresponsabilizzazione dei soggetti: queste sono le regole che attualmente determinano, di fattoe nella maggioranza dei casi, le procedure attraverso le quali si concretizza il concorso dei diversi enti territoriali nella formazione degli atti di pianificazione. L'atteggiamento dei livelli di governo sopraordinati oscilla (spetto toccandoli entrambi) tra i due estremi, entrambi negativi, della rinuncia ad esercitare le proprie responsabilità istituzionali, e della più penetrante e ossessiva incidenza nelle decisioni proprie del livello sottordinato.Le procedure, che regolano il rapporto tra i differenti livelli di governo nella formazione degli atti della pianifi-cazione, devono essere radicalmente riconsiderate e riformulate, sulla base di principi chiari e ragionevoli che sosti tuiscano l'intera legislazione nazionale vigente in materia e inducano a rinnovare (semplificando, finalizzando e razio nalizzando) una legislazione regionale che è stata finora molto più ossequiosa della lettera della vecchia legislazio ne nazionale che attenta a enuclearne i principi e a innovarne i contenuti.Ogni livello di governo dovrebbe innanzitutto avere l'obbligo di esprimere le proprie scelte territoriali mediante un atto di pianificazione, ossia una serie di elaborati, rife riti a una definita base cartografica, che rappresentino il quadro di coerenza dell'insieme delle scelte formulate a quel livello. (E' il caso di affermare, a questo proposito, che una Regione che non abbia formato il proprio atto di pianificazione non ha alcuna autorità morale, alcun diritto sostanziale e comunque alcun criterio oggettivo sulla cui base valutare un piano comunale).Gli enti territoriali elettivi di livello sottordinato dovrebbero contribuire alla formazione degli atti di pianificazione di livello sovraordinato esprimendo osservazioni, cui dovrebbe essere sempre obbligatorio controdedurre motivatamente. Parimenti, gli enti di livello sovraordinato dovrebbero contribuire alla formazione degli atti di pianificazione di livello sottordinato mediante pareri e osservazioni, ai quali dovrebbe essere ugualmente obbligatorio controdedurre motivatamente, ma che dovrebbero essere vincolanti solamente ove concernenti la tutela di interessi la cui competenza sia riconosciuta ai predetti enti di livello sovraordinato.E ove gli enti di livello sovraordinato abbiano provveduto ad esprimere tali interessi mediante gli strumenti di pianificazione di propria competenza, la vigenza degli strumenti di pianificazione di livello sottordinato dovrebbe essere soggetta soltato al controllo della loro conformità alle de terminazioni dei primi. Non dovrebbe infine essere previsto alcun controllo di merito, da parte degli enti di livello sovraordinato, sugli atti di pianificazione di tipo "attuativo", che vengano dichiarati, e siano, meramente esecutivi delle prescrizioni di strumenti di tipo "generale" già vigenti.

Tesi alternativa alla n. 9

Complessa per la realtà che esprime e per i soggetti che coinvolge, unitaria nello spazio nella capacità di configurare l'intero territorio come un sistema coerente, la piani ficazione territoriale e urbana deve essere concepita e praticata come un'attività continua nel tempo. Dalla generalizzazione della prassi distorcente delle varianti e delle deroghe è necessario passare a quella, adeguatamente formalizzata, dell'aggiornamento sistematico degli atti di pianificazione, per avvicinare i tempi delle decisioni sul ter ritorio ai tempi delle necessità sociali.

Si afferma spesso, e a ragione, che occorre passare dalla formazione di piani a un'attività continua, costante e sistematica di pianificazione. Questa affermazione non può in dicare solamente lo spostamento dell'accento da un atto (il piano) a un processo (la pianificazione), concependo e praticando però quest'ultimo come la mera successione di una serie di piani. L'efficacia del governo del territorio, e la possibilità di rispondere in tempi ragionevoli alle domande della società richiedono più profonde modificazioni nei modi di pianificare. Lo dimostra, del resto, la frequenza con la quale si impiega l'istituto della Variante. In molte città la sommatoria delle varianti (cui poi si aggiungono le concessioni in deroga autorizzate da leggi statali e regionali) ha pesantemente distorto le originarie scelte del PRG, ha reso incomprensibile la disciplina urbanistica ai cittadini, ha cancellato ogni possibilità di ottenere coerenza nell'assetto del territorio. Dietro l'impiego perverso della Variante, oltre agli evidenti interessi privatistici o di torbido scambio politico, si nasconde però anche un'esigenza reale: quella appunto di avvicinare i tempi delle decisioni ai tempi delle necessità sociali. Alcune esperienze compiute consentono di confermare che è possibile superare, senza negarlo, l'istituto del Programma pluriennale d'attuazione (travolto dalla deregulation negli anni in cui avrebbe dovuto invece consolidarsi). Che è possibile concepire e praticare la pianificazione come un insieme di scelte, tra loro coerenti, alcune formulate in relazione al lungo periodo (invarianti) e altre di carattere programmatico e di medio periodo (3-5 anni). Che è perciò possibile rivedere, periodicamente e sistematicamente, le scelte di piano, verificando ed eventualmente correggendo la parte di lungo periodo e proiettando di un altro periodo pluriennale la parte programmatica.Da un piano formato una volta per tutte, e variato "a macchie di leopardo" e alla fine (dopo 15 o 20 anni) rifatto ricominciando da capo, è insomma possibile e necessario pas sare a un'attività di pianificazione la quale preveda l'ag giornamento sistematico (p.es., ogni quinquennio) delle scelte sul territorio.

Tesi alternativa alla n . 10

E' necessario perseguire il massimo coordinamento tra le analisi che i diversi livelli di governo eseguono o promuovono come indispensabile base del processo di pianifica zione. Le analisi effettuate dalle regioni, dalle province e dalle città metropolitane, dai comuni devono essere condotte secondo criteri, parametri, indirizzi coerenti, comparabili, integrabili. Quelle relative alle scale minori de vono poter essere sistematicamente verificate e integrate da quelle relative alle scale maggiori; le une e le altre devono costituire le maglie più larghe e più fitte d'una medesima rete di conoscenze costruita su di un'adeguata base cartografica, unitariamente concepita, sistematicamente aggiornata, multilateralmente utilizzata.

La necessaria unitarietà del processo di pianificazione (un unico processo, che si sviluppa articolandosi e integrandosi ai diversi livelli territoriali e di governo) rende indi spensabile ottenere il massimo coordinamento tra le analisi che i diversi livelli di governo svolgono o promuovono come base per la redazione dei relativi atti di pianificazione.Le analisi che vengono condotte dalle regioni, dalle provin cie, dalle città metropolitane, dai comuni, sia sulla struttura fisica che su quella economico-sociale, non possono più esser condotte secondo criteri, parametri, indirizzi differenti, non comparabili nè integrabili.

Le analisi impostate ed eseguite alle scale minori devono poter essere si stematicamente verificate e integrate da quelle impostate ed eseguite alle scale maggiori. Le une e le altre devono costituire le maglie più larghe e più strette d'una medesi ma rete di conoscenza.

E' una rete di conoscenze che ha il suo primo elemento e la sua base di riferimento al territorio nel sistema cartogra fico, elemento primordiale d'ogni processo di pianificazione.

E' un danno grave per la capacità di governare con efficacia il territorio, e per lo stesso pubblico erario, che tutti gli enti (salve pochissime eccezioni) costruiscano la propria cartografia di base separatamente l'uno dall'altro. Certamente benemerita è l'attività del Centro interregionale di coordinamento e documentazione per le informazioni territoriali, ma la sua è un'attività monca se e finchè le regioni si disinteressano della cartografia alle scale mag giori, se e finchè gli enti locali non sono coinvolti nella formazione di un unico e coerente sistema cartografico nazionale.

La rete della conoscenza del territorio, in tutte le sue componenti tecniche e di livello (nella sua componente a ma glie più larghe e in quelle a maglie via via più fitte) deve essere aggiornata con periodicità e sistematicita. Un obiettivo da porre è quello di rendere sincroniche le cadenze dell'aggiornamento per i diversi enti territoriali, che il complessivo sistema informativo (dalla cartografia ai censimenti, dalle analisi dirette a quelle campionarie) sia unitario, o quanto meno coordinato, non solo nella concezione ma anche nella dinamica della sua trasformazione e nei modi della sua gestione.

Tesi aggiuntiva n. 10 bis

Non solo nelle analisi, ma anche nella definizione degli indirizzi della pianificazione i diversi enti territoriali elettivi devono coordinare le loro azioni, finalizzandole al raggiungimento dei grandi obiettivi strategici che devo no caratterizzare i prossimi decenni, e la cui assunzione deve condizionare le scelte della pianificazione a tutti i livelli. I già enunciati obiettivi del massimo risparmio delle risorse territoriali in funzione delle esigenze dell'umanità di oggi e di domani, e il massimo possibile miglioramento della qualita della vita, non possono essere rinviati al 3° millennio, ma devono ispirare subito gli atti di politica territoriale e di pianificazione territoriale e urbana degli organi centrali dello Stato, delle regioni, delle province e delle città metropolitane, dei comuni.

La complessità e la drammatica urgenza degli obiettivi che devono essere assunti per la pianificazione territoriale e urbana, soprattutto se considerate nel contesto dei proces si di trasformazione del territorio che caratterizzano l'attuale fase storica, rendono essenziale il coordinamento degli impegni nei quali dovrebbe esprimersi l'azione di piani ficazione e, più in generale, le politiche territoriali di tutti gli enti territoriali elettivi, ciascuno secondo le proprie competenze e responsabilità. Come si è già argomentato, gli obiettivi della pianificazione consistono essenzialmente, e sinteticamente, nel massimo risparmio delle risorse (fisiche e culturali, naturali e storiche, organizzative ed estetiche) sedimentate nel territorio, e nel massimo miglioramento della qualità dell'ambiente di vita in termini igienici, funzionali, sociali edestetici. Mentre il secondo obiettivo assume priorità assoluta per le condizioni di vita della popolazione di oggi (la quale in grande maggioranza vive, lavora e si muove in ambienti urbani e territoriali caratterizzati dall'inquinamento, dall'assenza di ogni riconoscibile forma, dalla dequalifica zione funzionale e sociale), il primo obiettivo va persegui to ricordando che la società di oggi è responsabile del ter ritorio, e della risorsa che esso costituisce, nei confronti non solo di singoli gruppi sociali oggi presenti, ma del l'intera umanità di oggi e di domani. Ciascuno degli enti territoriali elettivi corresponsabili del governo del territorio ha una serie specifica e non dif feribile di compiti da svolgere e di responsabilità da assu mere, per raggiungere quegli obiettivi sui quali tutti sembrano concordare, ma che appaiono ben lungi dall'essere anche solo esser presi in seria considerazione.

Lo Stato, dopo anni e anni di colpevole e irresponsabile inerzia, provocata dalle forze che si sono succedute al governo e tollerate dalle stesse opposizioni, deve finalmente assumere le sue competenze istituzionali di indirizzo e coordinamento in materia di assetto territoriale e adottare per primo il rispetto degli obiettivi sopra richiamati nel-le politiche di settore più direttamente incidenti sul territorio, invertendo a tal fine, drasticamente, le tendenze in atto (basta pensare alla scandalosa politica nazionale dei trasporti).

Le Regioni, dopo aver per un ventennio deluso le aspettative di chi (a cominciare dai Costituenti) attribuiva loro competenze e responsabilità decisive nelle politiche territoriali, devono finalmente decidersi a completare la politi ca di ricognizione, di vincolo e di determinazione delle in varianti dettate dall'esigenza di tutelare l'integrità fisi ca e l'identità culturale del territorio, timidamente avvia ta con l'attuazione della legge 431/1985 e quasi ovunque vergognosamente interrotta, a pianificare il proprio terri-torio e a fornire agli enti locali indirizzi e, dove occorre, sostegni tecnici e finanziari. Esse non possono poi dimenticare o trascurare la responsabilità dell'esercizio del la funzione sostitutiva in caso di inadempienze.

Le province, le città metropolitane, i comuni ai quali ultimi fino a oggi è stata lasciata pressochè interamente, nel bene e nel male, la responsabilità della pianificazione devono finalizzare la formazione dei nuovi atti di pianificazione al risparmio di suolo, alla riorganizzazione funzionale dei sistemi insediativi, alla valorizzazione e riqualificazione dell'armatura urbana esistente, alla umanizzazione e socializzazione (con interventi di recupero urbano, edilizio, ambientale, estetico, culturale, sociale) dei quartieri realizzati, soprattutto nelle maggiori aree urbane (ma anche nelle bidonville del turismo di rapina e nelle aree devastate dall'abusivismo) nel corso dell'ultimo mezzo secolo.

Tesi alternativa alla n. 11

Ogni atto di pianificazione deve avere il proprio preliminare fondamento scientifico in un'analisi finalizzata della struttura fisica del territorio: più precisamente, in una lettura attenta delle risorse territoriali, in tutte le loro componenti. E per ciascuna delle componenti del terri torio (specifiche porzioni o classi di unità di spazio) la lettura deve consentire di individuare i gradi e i modi del la trasformabilità e della utilizzabilità.

Gli esiti della pianificazione sono in larga misura prede-terminati dalle analisi che vengono svolte e dal modo in cui lo sono. La scelta degli elementi della realtà che devo no esser letti e interpretati, e il modo di farlo, non sono mai neutrali rispetto agli esiti; a maggior ragione, a tali esiti devono essere strettamente finalizzati.Il primo fondamento scientifico di ogni atto di pianificazione (e del processo di pianificazione nel suo complesso) deve essere costituito da una lettura attenta delle risorse territoriali, individuate e classificate in tutte le loro componenti: sia quelle che costituiscono elementi della qua lità del territorio (prevalentemente costituite, nel nostro paese, dal prodotto del sapiente intreccio tra lavoro e cul tura da un lato, e le caratteristiche, i ritmi, le regole della natura dall'altro lato), sia quelle nelle quali si ma nifestano le varie forme di degrado che caratterizzano le periferie urbane e molte e crescenti porzioni del territorio extraurbano. Le risorse territoriali, le qualità e i disvalori dell'ambiente, devono essere visti e interpretati nel loro insieme e nei loro caratteri specifici, con i livelli di approfondi mento pertinenti ai diversi livelli di pianificazione. Dalla foresta all'orto urbano, dal terreno franoso alla villa settecentesca, dal centro storico al lotto intercluso, dal complesso monumentale alla costruzione degradante, dal corso d'acqua alla discarica abusiva, ogni elemento del territorio deve essere individuato e classificato in ragione del la qualità che storia e natura hanno in esso impresso, o delle devastazioni e degradazioni che hanno cancellato, totalmente o parzialmente, le qualità preesistenti. La lettura delle caratteristiche fisiche del territorio deve consentire di individuare, per ciascuna delle componenti o delle classi di componenti, quali sono i gradi, i modi, e insomma le regole della trasformabilità, sia fisica (cioè quali operazioni tecniche, secondo quali criteri, con quali specifiche finalità relative all'"oggetto" si possano o deb bano fare), sia funzionale (cioè quali siano le utilizzazio ni compatibili con le caratteristiche proprie di quell'"oggetto", porzione del territorio o classe di unità di spazio che sia). Deve poi consentire di definire quali priorità debbano essere seguite nelle trasformazioni (per impedire, ad esempio, che terreni agricoli vengano urbanizzati prima di quelli già sottratti al ciclo naturale), quali sono i costi necessari, quali i benefici ottenibili dalla trasformazione e i danni derivanti dall'inerzia o dall'incuria.Alcune esperienze e indicazioni utili per una lettura del territorio in tal modo finalizzata sono venute negli anni recenti, sviluppando antiche intuizioni della cultura urbanistica italiana. In particolare la legge 431/1985, la cosiddetta"legge Galasso",se da una parte è valsa a stimola re un'azione di salvaguardia attiva delle qualità del terri torio (malauguratamente condotta dalle Regioni e dagli orga ni centrali dello Stato, come l'INU ha più volte puntualmen te documentato e denunciato, in modo assolutamente inadegua to rispetto alle aspettative, alle esigenze e alle stesse potenzialità della legge), dall'altra parte è valsa a dimostrare, nelle più convincenti applicazioni, la concreta pos sibilità di operare nel modo suddetto. L'obiettivo che deve essere assunto oggi è quello di porre la lettura delle qualità del territorio e la definizione delle regole della trasformabilità alla base dei processi di pianificazione non solo in tutta la pianificazione regionale ma anche nella pianificazione territoriale e urbanistica ai livelli provinciale o metropolitano e comunale

Tesi aggiuntiva n. 11 bis

Ogni atto di pianificazione deve essere basato su una lettura altrettanto attenta, e sistematicamente aggiornata, della struttura economico-sociale del territorio, con particolare riferimento alla domanda sociale, cioè alle esigenze, ai fabbisogni, alle necessità che richiedono di operare trasformazioni territoriali, e alle risorse economiche disponibili e impiegabili.

Ogni atto di pianificazione deve essere basato su una lettura attenta e rigorosa delle componenti della domanda socia le che richiedono di operare trasformazioni territoriali. Su un'analisi, cioè, delle esigenze, dei fabbisogni, delle necessità, espresse o esprimibili da parte delle diverse componenti della realtà sociale ed economica, che richiedono di modificare assetti fisici preesistenti per migliorarne la vivibilità o per ospitare funzioni nuove, oppure che richiedono trasferimento di funzioni non insediate corretta mente, oppure per rendere i siti nei quali sono insediate funzioni con essi compatibili più idonei alle funzioni ospi tate.Una lettura della domanda sociale (e, più in generale, dei diversi aspetti della struttura economico-sociale di cui la domanda sociale è l'espressione) non ha senso, in un pianificazione quale quella cui si fa riferimento, se non è fin dall'inizio predisposta per essere aggiornata con continui tà e sistematicità. Mentre infatti la struttura fisica del territorio ha una consistente inerzia e le sue trasformazioni operano su archi temporali lunghi, quella economico-sociale si modifica con grande velocità e le sue trasformazioni devono essere registrate e valutate in tempo reale. La progettazione di sistemi informativi, rigorosamente legati a una base territoriale restituita in modo omogeneo con i criteri di analisi della struttura fisica del territorio,e la sua messa in opera contestualmente alle prime fasi del processo di pianificazione, non sono dunque un lusso ma una necessità insopprimibile per la correttezza e l'efficacia del governo del territorio, e un modo per evitare gli attua li sprechi (d'energie, di tempo, di soldi) derivanti dalla ripetitività delle analisi, dalla loro non finalizzazione,dalla loro sostanziale casualità e dispersività. Nell'ambito di queste analisi, attenzione particolare deve esser posta alla individuazione, analitica o stimata, delle risorse economiche, pubbliche e private, attivabili per la realizzazione delle previsioni della pianificazione, con particolare riferimento a quelle adoperabili per realizzare o promuovere gli interventi programmabili nel medio periodoe quelli aventi priorità strategica.

Tesi aggiuntiva n. 11 ter

La pianificazione deve distinguere le scelte che, concernen do qualità e valori propri della struttura fisica del territorio, devono costituire le invarianti delle trasformazionida quelle che, esprimendo esigenze, realtà, priorità più di rettamente legate alla situazione economica, sociale e politica, sono suscettibili di mutamenti in tempi relativamente brevi. In tal modo la pianificazione, sistematicamente veri ficata nelle scelte invarianti e di lungo periodo e aggiornata nelle scelte programmatiche e di medio periodo, può costituire un quadro di coerenza dinamico, capace di adattarsi alle modificazioni conservando costantemente una coerenza complessiva.

Una lettura della struttura fisica del territorio, e in particolare delle sue qualità, quale quella i cui criteri si sono sopra esposti, consente di definire quali sono le gamme di trasformazioni (fisiche e funzionali) compatibili con una utilizzazione del territorio rispettosa dei suoi valori: ossia quali sono le invarianti che l'esigenza di tutelare l'integrità fisica e l'identita culturale del territorio pone alle trasformazioni territoriali e urbane.

Una lettura adeguata della struttura economico-sociale, e le opzioni politico-sociali espresse nelle sedi istituzionali, consentono di definire quali sono, all'interno della gamma delle trasformazioni teoricamente possibili per una corretta utilizzazione del territorio, lo operazioni che è concretamente possibile operare in un determinato e prevedibile arco di tempo, in relazione alla domanda socialmente prioritaria e alle risorse impiegabili per le trasformazioni necessarie per soddisfarla.

La pianificazione, allora, deve contenere indicazioni valide per il lungo periodo (perchè le caratteristiche della risorsa territorio sono sostanzialmente invariabili nel tempo), ma deve anche indicare, tassativamente e precisamente, quali sono le trasformazioni operabili e/o prescritte nel breve periodo: nel periodo, cioè, per il quale le previ sioni sono certamente attendibili, la volontà politica è certamente costante, le risorse economiche sono certamente disponibili.

La pianificazione quindi, sistematicamente aggiornata e resa scorrevole, può finalmente costituire il quadro di coerenza sia per il lungo periodo (a causa della relativa invariabilità temporale delle condizioni alle trasformazioni poste dalla risorsa territorio) che per il breve periodo: per il periodo cioè nel quale in modo più diretto e pro grammatico esplica la propria efficacia.

Tesi alternativa alla n. 12

La progettazione urbanistica e la progettazione edilizia sono entrambe ovviamente con ruoli diversi e diversa importanza momenti tecnici rilevanti del processo di pianificazione, con le cui scelte interagiscono.

Intendiamo per progettazione quall'insieme di tecniche capaci di prefigurare, e con ciò stesso di rendere facilmente comprensibile, un assetto fisico e funzionale totalmente o parzialmente diverso da quello attuale, esprimendo tale pos sibile assetto mediante la forma, o la simulazione, di un progetto. In tal senso, momento tecnico essenziale della pianificazio ne è il progetto urbanistico, il quale prefigura (in tuttala sua complessità e articolazione, in tutta la sua ricchezza di elementi e d'interazioni), l'assetto d'un organico spazio territoriale o urbano (d'un sistema ambientale, o d' un sistema insediativo o della realtà che entrambi li comprende) soggetto al processo di pianificazione. Il progetto urbanistico può anche costituire il momentodella simulazione dei possibili esiti di diverse scelte territoriali, anche alternative; costituisce un rilevante strumento di verifica o di avvicinamento alla formulazione o de finizione delle scelte della pianificazione generale. Ma anche il progetto edilizio, il quale prefigura l'assetto fisico e funzionale di una porzione limitata di spazio compresa all'interno di un più complesso ambito soggetto a pia nificazione, può costituire un utile momento di verifica a priori delle soluzioni di pianificazione generale configura bili o già configurate, e di approfondimento delle ipotesi normative formulate. Esso è poi lo strumento essenziale per la pianificazione attuativa, dove l'approfondimento e la traduzione in termini precisamente morfologici e funzionali è finalizzata a una rapida realizzazione dell'intervento. Sembra infatti inopportuno prefigurare (in termini prescrit tivi o con ridotte possibilità di scostamento dal "disegno planovolumetrico" o altro) configurazioni formali per parti della città e del territorio che saranno realizzate in un tempo non certo, e comunque non vicino.Sia il progetto urbanistico che il progetto edilizio sono quindi differenziatamente funzionali a gli atti di pianificazione. La loro elaborazione interagisce con le più complessive scelte della pianificazione e ne costituisce parte integrante.

Tesi alternativa alla n. 13

Sul principio della titolarità pubblica della pianificazione territoriale e urbana tutti, in teoria, si dichiarano d'accordo. Esso però è pesantemente contraddetto nella prassi corrente, ad opera sia dei maggiori gruppi del potere economico, sia di parti e spezzoni dello stesso potere pubblico.

Si contraddice il principio della titolarità pubblica della pianificazione quando si delega, o si propone di delegare, ad aggregazioni di interessi economici privati la formulazione di scelte che incidono sull'organizzazione territoriale e urbana, riducendo il ruolo dell'ente pubblico elettivo alla mera copertura formale mediante atti di pianifi cazione redatti e adottati ex post di scelte compiute da altri poteri.

E' quel che è avvenuto o che si propone in numerosi casi re centi. Come a Firenze, dove il piano per l'urbanizzazione della piana a nord-ovest della città è stato redatto in fun zione degli interessi delle società già proprietarie (Fiat) o divenute proprietarie (Fondiaria) delle aree coinvolte.

Come a Napoli, dove grandi interessi economici raggruppati sotto la sigla del "Regno del possibile" propongono al Comune di delegare ad una società per azioni privata, appositamente costituita, la progettazione e la gestione del recupe ro di quasi 70mila alloggi nel centro storico, inclusi gli oltre 5mila di proprietà dello stesso Comune da conferire in proprietà alla s.p.a.

Come a Roma, dove l'Italstat, sulla base del possesso di una parte consistente delle aree su cui dovrebbe sorgere il nuovo Sistema direzionale orientale, si è proposta come capofila di un pool di imprese che vorrebbe pianificare, progettare e realizzare un sistema strategico per la trasforma zione della città.

Come infine a Milano, dove la subordinazione agli interessi dei proprietari di aree è divenuta, a partire dagli inizi degli anni 80, prassi corrente, attraverso un intenso processo di sostituzione funzionale di cui si rinuncia program maticamente a verificare gli effetti sul contesto urbano e metropolitano. Con una rapidissima sequenza di varianti pun tuali si sono infatti autorizzati, e si stanno in molti casi realizzando, oltre 12 milioni di nuove strutture edilizie per il terziario (di cui solo 2 già previsti dal Prg vi gente): come se le nuove funzioni avessero lo stesso carico urbanistico delle precedenti, come se fosse del tutto indif ferente la loro collocazione nella città, e come infine se non fosse del tutto evidente che il territorio comunale è saldato ed inserito in una agglomerazione a sua volta caotica e destrutturata.

E come in numerose altre città italiane, dove la prassi della cosiddetta "urbanistica contrattata" nasconde la sostanziale abdicazione del potere pubblico elettivo di fronte a nuovi intrecci di interessi economici, dove sono presenti, insieme, il capitale privato, pubblico e cooperativo, interessi industriali, finanziari, assicurativi e fondiari, com plessi multinazionali e aziende locali.

E si contraddice ugualmente il principio della titolarità pubblica della pianificazione quando le decisioni sull'assetto del territorio, anzichè essere adottate dagli istituti rappresentativi della volontà popolare, sono prese da organismi che, pur essendo parte del sistema dei pubblici poteri, esprimono legittimamente solo interessi parziali (singoli ministeri e assessorati, aziende statali o parastatali e così via).

Una forma peculiare di contraddizione della titolarità pubblica della pianificazione è quella che va affermandosi nel Sud in riferimento alle modalità nuove dell'intervento stra ordinario nel Mezzogiorno (legge 64). Data l'impossibilità dagli enti locali, generalmente privi di adeguate strutture tecnico-operative, di predisporre in modo autonomo i proget ti esecutivi, sui quali chiedere i finanziamenti, sono le tecnostrutture aziendali o gli studi professionali ad esse collegati a produrre in proprio tali progetti decidendone essi contenuti e caratteri e ad offrirli agli enti locali dietro l'impegno di questi a ripagare i "promotori" con l' affidamento delle opere

Tesi alternativa alla n. 14

Affermare la titolarità pubblica della pianificazione non significa escludere la possibilità di rilevanti ruoli dei soggetti privati, e neppure attribuire un valore positivo a qualunque forma dell'intervento pubblico. Oggi, anzi, è necessario denunciare con chiarezza una forma particolare, edestremamente grave, di svuotamento della pianificazione compiuto dalla mano pubblica con l'alibi della "straordinarietà".

Negli ultimi anni la straordinarietà di eventi spesso imprevedibili (come i terremoti), altre volte prevedibili o addi rittura programmati (come i Mondiali di calcio), è stata utilizzata come occasione per introdurre, e via via generalizzare, procedure, indirizzi, poteri assolutamente alterna tivi rispetto a quelli della pianificazione.

Ogni problema, locale o generale, divenuto insostenibile per la lunga inerzia dei poteri istituzionalmente competenti, viene artificiosamente presentato come emergenza cui far fronte oggi con interventi speciali, il cui primo connotato sia la facoltà di non rispettare i piani urbanistici. E si può fondatamente individuare in tale prassi la matrice di una pericolosa legittimazione di poteri pubblici speciali non a caso intestati a singoli fondamentalmente intesi come potestà di deroga. Mentre la deroga, invocata e ottenuta oggi per questa o quell'altra situazione particolare ed emergente,viene poi estesa e tendenzialmente generalizza ta fino a diventare deregulation e cioè (nell'accezione i taliana del termine)deroga da qualsiasi regola, sregolatezza.

Riaffermare la pianificazione come metodo di governo del territorio implica anche la ricerca di un rinnovamento delle forme e dei procedimenti che consenta di raggiungere migliori livelli di efficacia, operatività e verificabilità degli interventi. In questa logica, va perseguita l'individuazione accurata e scientificamente fondata della aree a rischio, nelle quali rendere sistematica la prevenzione delle calamità come con tenuto specifico della pianificazione tanto in termini di riduzione del pericolo quanto ai fini degli indirizzi strutturali di riorganizzazione e riqualificazione insediativa.

Tesi alternativa alla n. 15

La titolarità pubblica della pianificazione, per poter essere esercitata coerentemente con le finalità generali precedentemente richiamate, ha bisogno di alcune condizioni indispensabili. Molte di queste riguardano la definizione di un rapporto corretto tra le diverse articolazioni del potere pubblico e soprattutto tra poteri pubblici e soggetti privati, attraverso un nuovo sistema di regole e di comportamenti relativi agli aspetti economici, istituzionali, etici e professionali.

Dichiarare la titolarità pubblica della pianificazione resta una mera posizione di principio, o un’affermazione accademica, se non è in grado di indicare e determinare (a seconda degli specifici ruoli) quali sono le condizioni indispensabili per il suo esercizio.

Tali condizioni riguardano diversi e fondamentali aspetti della vita e dell'organizzazione della società: quello economico (e in primo luogo la questione del regime degli immobili), quello istituzionale Dove il riordino del sistema amministrativo è una componente rilevante ma non esclusiva di un più ampio complesso di question) quello etico (in cui è necessaria una riflessione critica soprattutto sul rapporto tra momento politico-decisionale e momento tecnico-culturale), e infine su quello professionale (dove si ritiene indispensabile ridefinire il ruolo delle professionalità coinvolte nel processo di pianificazione).

Su questi argomenti l'Inu avverte in modo particolare la necessità di ampliare e qualificare il confronto con altre dimensioni, competenze e saperi presenti nella cultura e nella società italiane, nell consapevolezza che si tratta di nodi che hanno una portata ben più ampia di quella che può essere dominata da uno specifico istituto culturale.

Tesi alternativa alla n. 16

La distribuzione differenziata ai soggetti proprietari dei vantaggi economici della valorizzazione immobiliare conseguente ai piani non può nè deve essere obiettivo di una pianificazione che sia nell'interesse generale. La pianificazione deve farsi carico della concreta realizzabilità delle scelte previste, tenendo conto dell'ambiente economico complessivo e non delle convenienze di questo o di quell'altro specifico soggetto privato. I capitali d'investimento e le capacità imprenditive delle aziende a capitale priva to, pubblico e cooperativo devono trovare nell'attuazione delle scelte della pianificazione, e nella certezza e chiarezza da esse determinate, il campo del loro intervento.

E' noto, oltre che evidente, che il ruolo degli interessi e conomici è determinante nelle trasformazioni territoriali. Il modo in cui vengono definite le regole del rapporto tra scelte sul territorio e concreti interessi economici è perciò essenziale ai fini della qualità (formale, funzionale, sociale) dell'assetto territoriale e urbano. Oggi, gli interessi economici della proprietà, immobiliare e finanziaria, e dell'impresa, sono sempre più spesso i promotori di scelte di localizzazione, urbanizzazione, realizzazione e gestione di interventi complessi i quali (come è attestato dagli esempi già citati) prescindono pressochè totalmente sia dal corretto ruolo dei poteri pubblici elettivi, cui viene chiesto di fornire una mera copertura formale, sia dei metodi e delle procedure della pianificazione, e quindi della valutazione degli effetti che le scelte producono su ambiti territoriali vasti e della trasparenza delprocesso di formazione delle decisioni.

Questo modo distorto di praticare il rapporto tra poteri istituzionali e poteri economici tende a generalizzarsi sianella prassi della cosiddetta "urbanistica contrattata" sia in un uso improprio dell'istituto della concessione, sempre più impiegato come delega piena, indiscriminata e incontrol lata di poteri pubblici a soggetti privati. Esso deriva, e comunque così viene giustificato, come un effetto dell'inca pacità di molte istituzioni pubbliche ad esercitare con efficacia le loro competenze di pianificazione e programmazione. Per combatterlo, e instaurare un rapporto corretto con gli interessi economici, occorre ricondurre questi ultimi al loro giusto ruolo di strumenti di un interesse generale definito dagli enti territoriali elettivi mediante la pianificazione del territorio.

A questo fine è necessario riprendere la classica distinzio ne (tuttora valida nonostante il più complesso carattere dei rapporti tra le diverse categorie d'interessi) tra le figure economiche legate alla produzione, alle attività im-prenditoriali e alla formazione di profitto, e le figure economiche legate alle attività immobiliari e alla formazio ne di rendita. Queste due figure economiche avevano comin ciato a distinguersi anche nei concreti comportamenti negli anni, e nelle situazioni territoriali, in cui la mano pubblica aveva esercitato una moderna politica delle aree. La massimizzazione delle aree acquisite dai comuni con i pur imperfetti strumenti disponibili (in particolare le leggi 167/1962 e 865/1971) e la cessione alle imprese costruttrici delle aree urbanizzate avevano consentito di incrinare il blocco tra proprietà e impresa, tra rendita e profitto. Uno dei risultati più gravi della fase del cosiddetto riflusso urbanistico, e del deperimento o dell'abbandono degli strumenti legislativi disponibili, è stato proprio la ricostituzione di quel blocco e la ripresa di processi di trasformazione immobiliare guidati da interessi speculativi.

Finchè non sarà varata una riforma del regime degli immobili capace di risolvere radicalmente il problema, è necessario che almeno gli interventi strategici nelle aree urbane avvengano secondo il modello dell'acquisizione preliminare degli immobili da parte dei comuni, della loro cessione a-gli utilizzatori, e del convenzionamento degli esiti economici per evitare che le rendite si ricostituiscano sugli immobili trasformati.

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