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Piero Bevilacqua
Ma il berlusconismo è anche Berlusconi
22 Febbraio 2011
Articoli del 2011
Ragioniamo sul che fare nell’immediato. In calce l’articolo di Casarini. Il manifesto, 22 febbraio 2011

L'articolo di Luca Casarini pubblicato sul manifesto del 20 febbraio merita una risposta argomentata, alla quale, peraltro, egli stesso invita. Ricordo che tema del suo intervento è la critica a Nichi Vendola per aver suggerito il nome di Rosi Bindi quale guida della coalizione di centrosinistra. Ora, io non voglio entrare più di tanto nel merito di quella proposta. Ma approfitto dell'articolo in questione perché esso è fondato su alcuni nodi argomentativi che fotografano un modo di pensare la politica, all'interno della sinistra, destinato a sicuro fallimento e a certa sconfitta.

Casarini divide i militanti della sinistra tra quelli che criticano i partiti, persuasi dei loro limiti, ma li votano, e «quelli che ne stanno fuori, convinti che il cambiamento passi solo attraverso un rifiuto della rappresentanza». Ebbene, io - per quel che vale la mia testimonianza - sono fuori dai partiti, li critico aspramente, non li voto da anni, ma non rifiuto affatto la rappresentanza. La rappresentanza della sinistra, oggi in Italia è diventata l'impotenza quotidiana che abbiamo sotto gli occhi. E tuttavia essa significa, potenzialmente, la possibilità che i bisogni e i punti di vista della classe operaia, dei ceti popolari, dei movimenti abbiano voce dentro lo Stato. Tagliarsi un braccio che funziona male, pensando di essere più liberi facendone a meno, è una bizzarria concettuale prima che un pensiero politico. Anche perché, nel momento in cui lo Stato nazionale si indebolisce sotto la pressione dei poteri sovranazionali, abbandonarlo del tutto significa rendere il fronte di lotta ancora più arretrato di quanto già non sia. Aggiungo che la rappresentanza della destra è invece viva e vegeta, manovra a suo piacimento lo Stato e condiziona l'esito delle nostre lotte, degli stessi movimenti antagonisti, per usare il vocabolario di Casarini. Debbo ricordare che cosa la rappresentanza dei nostri avversari ha realizzato negli ultimi anni, grazie anche all'inconsistenza di quella della sinistra nel Parlamento? Debbo rammentare i colpi micidiali inferti dal governo nazionale al territorio, al lavoro, alla scuola pubblica e all'Università, alla politica dell'accoglienza dei diseredati che valicano i nostri confini?

Casarini ci ricorda un motivo ben noto e su cui non si può non concordare. Cacciare Berlusconi non è sufficiente per spazzare via il berlusconismo dalla scena italiana. D'accordo, ma Berlusconi è la «chiave di volta» del berlusconismo. È lui il collante generale, non solo di uno schieramento, ma di un blocco politico-affaristico, come hanno mostrato le inchieste giornalistiche più che non la denuncia del Pd. Per quale ragione, altrimenti, la canea dei servi che lo circonda avrebbe rinserrato i ranghi, ringhiando con tanto unitario furore contro ogni critica nei suoi confronti? Ma il tema Berlusconi mi consente un ragionamento più di fondo e, per alcuni aspetti, drammatico. C'è in tanta sinistra, la sinistra generosa, disinteressata, impegnata spesso duramente sul campo, l'incapacità congenita di comprendere la distanza che passa tra il piano della teoria, della testimonianza culturale, dei nostri ideali, e il territorio opaco e impervio della politica. Una incapacità (e anche, occorre dirlo, una grande difficoltà) che è la madre storica di tante nostre sconfitte. Viene in mente un passo di Gramsci nelle note di Passato e presente: «I grandi progettisti parolai sono tali appunto perché della "grande idea" lanciata non sanno vedere i vincoli con la realtà concreta, non sanno stabilire il processo reale di attuazione». La politica ha a che fare con quel che non ci piace, con le transazioni, gli accordi, i compromessi. Ma la politica è lo stato di forze reali in un momento dato. È il passaggio stretto in cui si possono conquistare margini di potere ma si può anche indietreggiare, subire pesanti e durevoli sconfitte. Ora, è proprio la critica severa alla «rappresentanza» del centrosinistra oggi presente in Parlamento che dovrebbe indurre a una visione più realistica dei rapporti di forza attualmente in campo in Italia. Un ragionamento politico aderente alla «realtà effettuale» delle cose, direbbe Machiavelli, dovrebbe possedere l'intelligenza di immaginare quali sarebbero le conseguenze, per la sinistra e per l'intero Paese, in caso di una nuova vittoria di Berlusconi. Perché, viste le condizioni dell'attuale opposizione, l'ipotesi non è del tutto remota. Qualcuno ha provato a "simulare" mentalmente che cosa accadrebbe, in questo caso, alle istituzioni della democrazia italiana, o la cosa non ci interessa, perché siamo antagonisti e puntiamo a dare l'assalto al Palazzo d'Inverno? Qualcuno ha provato a immaginare che cosa accadrebbe, dopo tante lotte, al fronte del lavoro, ai contratti collettivi, al potere sindacale in fabbrica? Qualcuno ha fatto lo sforzo di prefigurare quale devastante delusione si diffonderebbe nelle file multiformi della sinistra,tra le donne e gli uomini che hanno così appassionatamente lottato in questi anni, quali laceranti rancori finirebbe per lacerarla per almeno un decennio?

Da ultimo, una parola sulla proposta in sé da parte di Nichi Vendola. Non seguo così dall'interno i giochi quotidiani dei partiti. A me, francamente, la proposta è sembrata di grande intelligenza politica. E non a caso gli oligarchi del Pd l'hanno rapidamente seppellita. Il cosiddetto "gelo" della Bindi è una comprensibile moina formale. Che cosa non va in quella proposta? La Bindi è uno dei pochissimi dirigenti di quello schieramento a conservare un profilo politico avanzato e non neoliberale. È una donna che sa parlare ai bisogni della grande maggioranza delle donne italiane. È una cattolica non bigotta, che potrebbe raccogliere consensi in quel mondo senza genuflettersi. È un personaggio che potrebbe tenere insieme una coalizione eterogenea per un passaggio temporaneo ma realisticamente obbligato se si vuol battere Berlusconi. O non è così, viste le posizioni attuali del Pd? È Vendola da solo che può conseguire la vittoria? E allora? Non accettiamo la proposta perché questo sconfiggerebbe Berlusconi e non il berlusconismo? Non partiamo perché il treno si ferma a metà strada e noi restiamo in attesa, perché vogliamo prendere solo quello che giunge alla meta? Casarini preferisce le primarie. Le preferisco anch'io. Ma le decide il gruppo del Pd, non le decide Nichi Vendola, che non può restare a guardare una situazione che marcisce. Anch'io preferirei un governo formato dai pochissimi dirigenti che stimo, e magari vedere sventolare le nostre bandiere vittoriose davanti al Parlamento. Ma questo è il sogno. La realtà ci dice ben altro. Il materiale che dobbiamo maneggiare è di scadentissima qualità. E le ombre del ventennio berlusconiano rischiano di allungarsi sinistramente sul nostro futuro.

www.amigi.org

Di seguito l’articolo di Luca Casarini cui Bevilacqua replica

Caro Nichi, è questa la nuova narrazione?

di Luca Casarini

L'uscita con cui Nichi Vendola ipotizza forma e conduzione di quella che viene definita «alleanza democratica» contro Berlusconi mi trova in profondo disaccordo. Voglio comunicarne le ragioni per tentare di aprire un dibattito politico vero non solo con Nichi, ma anche con coloro che guardano queste cose in maniera diversa: quelli che stanno dentro i partiti della sinistra, o li votano, ma percepiscono tutti i limiti che essi incarnano e quelli che ne stanno fuori, convinti che il cambiamento passi solo attraverso un rifiuto della rappresentanza. Questi due modi di vedere il problema, quello critico e quello antagonistico, li considero fondamentali entrambi per ogni processo costituente che provi ad affrontare seriamente il nodo dell'alternativa in questo paese.

Beninteso, con tutta l'umiltà e la profonda amicizia per Nichi, che chi scrive segue con attenzione perché nel desolante panorama della sinistra italiana, di certo non c'è stato nient'altro, oltre ai movimenti che si autorappresentano, di così interessante come il percorso descritto dalle sue «fabbriche» e dall'idea di «nuova narrazione» sottintesa anche dalla grande richiesta delle primarie.

Ma lo stare dentro l'eterno limbo di una transizione che non finisce mai, quella di uscita dal ventennio berlusconiano, evidentemente logora e affatica. E dunque bisogna aiutarci tra tutti, stimolarci a vicenda per non finire in cose già viste, e già sconfitte dalla storia.

Il cattivo uso della tattica

Veniamo alla questione delle dichiarazioni di Nichi: le considero sbagliate sia nella sostanza che nei tempi. Appare quasi superfluo dire che la «mossa del cavallo», come viene definita, tutta giocata per mettere in difficoltà il quadro dirigente del Pd, è pura tattica. Uno dei mali della sinistra italiana è questo continuo gioco di tattica, capace di trasformare in politicismo ogni cosa. La tattica, in politica, dovrebbe essere usata con parsimonia, e mai sostituirsi alle ragioni, alle speranze, agli ideali e alle convinzioni.

Bisognerebbe, di questi tempi innanzitutto, vergognarsi un po' di ricorrere a mosse tattiche, esserne onestamente e pubblicamente imbarazzati, perché tattica è un sinonimo ormai di assenza di proposte vere, di alternativa. Suggerire la Bindi come leader di uno schieramento innaturale come quello immaginario che mette insieme tutti, da Fini a Vendola appunto, può apparire «geniale» a chi vive la politica dai Palazzi, a chi la osserva solo tramite sondaggi, organigrammi, equilibri di potere. Per il «popolo», invece, è semplicemente disarmante.

Quello stesso popolo che ci crede veramente al fatto che più che Berlusconi, come diceva Vendola, bisogna battere il berlusconismo. Cioè quel tanto di Marchionne e della Gelmini che c'è dentro i programmi degli oppositori «democratici» di Berlusconi, quella dose di pericoloso giustizialismo che pure anima anche coloro che farebbero di tutto per buttare giù il Cavaliere, quell'idea di etica pubblica che scivola rapidamente verso il moralismo patriottico dei vizi occulti, che sacralizza istituzioni che invece andrebbero rese terrene e contradditorie, e per questo più vicine alla realtà degli uomini e delle donne che dovrebbero servirsene, non esserne prigionieri. È un fatto culturale, prima che politico, e proprio per questo, culturalmente, nessuna tattica può giustificare l'idea che il problema risieda solo in un uomo, per quanto potente ed odioso esso sia.

Con i «se» non si costruisce nulla

I tempi sbagliati, persino incomprensibili, dell'uscita di Nichi, aumentano la preoccupazione: ma è tattica oppure, peggio, convinzione? Certo, perché quella proposta forse avrebbe messo in difficoltà il Pd e coloro che non vogliono le primarie, se le elezioni fossero alle porte, se il Quirinale si preparasse a sostituire un governo con un altro, se la Lega togliesse la spina, se, se... ma la vita nuova non si costruisce con i se. Abbiamo già la versione veltroniana, quella del «ma anche», ci manca solo quella di continui «se...».

Tempistica controproducente dunque, anche rispetto alle migliori intenzioni, e sostanza preoccupante: siamo veramente convinti che la Santa Alleanza, che si dice dovrebbe limitarsi a fare due o tre cose, sia una strada culturalmente prima che politicamente praticabile? Io penso il contrario.

Servono idee e pratiche nuove

Per «sparigliare» le carte in tavola, servono idee nuove, sul reddito e sul lavoro, sulla crisi ambientale e su quella finanziaria, sul conflitto di genere. Nuove idee e nuove pratiche sulla democrazia e anche sulla rappresentanza, che sono materie in crisi terminale e vanno affrontate con cure shock: le primarie o sono questo o diventano sì una specie di americanata giocata in provincia, come in qualche caso può succedere.

Ho imparato anche da Nichi che le proprie biografie vanno superate, se si vuole ambire ad un «comune» politico e sociale. Ma mi spingo a dire che bisogna farlo non solo con quelle personali, ma anche con quelle collettive: bisogna indicare l'oltrepassamento del partito, del sindacato, del movimento così come li abbiamo conosciuti e così come ci siamo rapportati ad essi finora.

Un patto continuo

Anche per questo, l'ordine simbolico che le cose assumono, in questo caso dichiarazioni a mezzo stampa, non può riguardare semplicemente i sondaggi o il consenso: esso stipula con la nostra vita un patto continuo, producendo l'orizzonte che ci è necessario vedere per potere rimetterci in cammino.

Il nostro, di tutti, non può essere che quello di una grande marcia per la democrazia, che si gioca dentro e fuori, nei vecchi meccanismi della rappresentanza in crisi e nelle piazze piene di gente che vorrebbe essere nuova, e quindi ha bisogno di una innocenza che diventi originalità, di un sodalizio che diventi amicizia, di una franchezza che sia verità. Su questo, proprio perché mi interessa contribuire e penso che nulla sia facile, vorrei che si aprisse una discussione.

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