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Ida Dominijanni
Giovane Italia
2 Gennaio 2011
Articoli del 2011
Un giudizio - fuori dalla «ipocrisia congenita del galateo istituzionale» - della critica all’eclissi della politica da parte del Presidente della Repubblica. In calce test del discorso di Napolitanoi. il manifesto, 2 gennaio 2011

I giudizi sull'operato del governo non pertengono al presidente della Repubblica, sottolinea a un certo punto del suo messaggio di fine anno Giorgio Napolitano perché sia chiaro che la sua diagnosi sullo stato del paese non è, o non è solo, un atto d'accusa contro la compagnia di giro di Silvio Berlusconi: essa guarda lontano nel tempo, alle scelte necessarie per il prossimo decennio e ai ritardi accumulati nell'ultimo, e nello spazio, a una nuova collocazione dell'Italia in una Europa incompiuta, in un Occidente in crisi di egemonia, in un mondo globale con nuovi protagonisti.

Ma solo l'ipocrisia congenita del galateo istituzionale può acquietarsi, nei commenti del giorno dopo, dello stile impeccabilmente sopra le parti del discorso e di un'adesione bipartisan ai suoi contenuti. Coperta dietro la dedica ai giovani e l'invito a rilanciare sul loro futuro, la preoccupazione per il presente è grave e tutt'altro che leggera nei toni, e se non c'è attacco diretto alle colpe di governo non è per esentare la classe politica dalle sue responsabilità ma casomai per metterla tutta intera, maggioranza e opposizione, di fronte ai suoi fallimenti. Puntare il dito contro il «distacco ormai allarmante» fra politica e società, ammonire che «senza nuove prospettive la democrazia è in scacco», evocare gli anni della ricostruzione postfascista a pungolo delle capacità di rinascita dell'Italia, significa, nella retorica non certo ridondante di Giorgio Napolitano, dire che la situazione è oltre il livello di guardia. E rivolgersi direttamente a «ogni cittadino», «perché voi non siete semplici spettatori: la politica siete voi, voi potete rinnovarla con i vostri comportamenti», significa, per un uomo delle istituzioni non certo sospettabile di populismo come Giorgio Napolitano, sottolineare due volte un altro passaggio cruciale del discorso, laddove il presidente invoca «un salto di qualità della politica, essendone in gioco la dignità, la qualità, la capacità di offrire un riferimento e una guida».

È vietato dunque, o dovrebbe, accodarsi al perentorio invito del presidente a fare dei giovani la molla per una scossa della politica facendone invece un'arma per il prolungamento della sua paralisi. E siccome è prevedibile che dopo il discorso di Napolitano il genere «giovani» godrà di ampia fortuna nella retorica e della maggioranza e dell'opposizione, merita ricordare qual è il sottile confine che separa un impegno urgente nei loro confronti da un paternalismo stucchevole e controproducente. Napolitano ci ha risparmiato, nel suo messaggio, riferimenti alla situazione più che traballante del governo, ma ci ha pensato Umberto Bossi ad aprire l'anno con un richiamo alla probabilità più che ravvicinata delle elezioni.

Nel gioco dei sondaggi e delle percentuali virtuali, sarà il caso di non tralasciare quel segnale evidente dello stato delle cose che si chiama astensione, e che non è la malattia infantile della democrazia ma il suo sintomo giovanile, e oltre una certa soglia non esprime più un disagio ma un esodo.

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