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Maurizio Giannattasio
Piste ciclabili come parcheggi. Masseroli: «Patto sociale»
10 Novembre 2010
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Il garrulo assessore ciellino all’urbanistica la gira sullo scontro di civiltà con gli automobilisti. Ma chi vuole prendere in giro? Corriere della Sera ed. Milano, 10 novembre 2010, con postilla(f.b.)

Pennellate gialle contro piste protette. E un «patto» tra automobilisti e ciclisti per affrontare il nuovo corso delle piste ciclabili cittadine. L’assessore Masseroli vuole andare avanti con le strisce gialle che delimitano le aree per le biciclette. C’è già un progetto pilota che parte da Melchiorre Gioia per raggiungere la periferia Est della città, fino a Forlanini. Pennellate gialle contro piste protette. E un «patto sociale» tra automobilisti e ciclisti per affrontare il nuovo corso delle piste ciclabili. Palazzo Marino intende andare avanti con le strisce gialle «pitturate» sulla strada che delimitano le aree per le biciclette. C’è già un progetto pilota che parte da Melchiorre Gioia per raggiungere la periferia Est della città, fino a Forlanini.

Una scommessa che l’assessore all’Urbanistica, Carlo Masseroli vuole giocare fino in fondo. Anche se i primi risultati non sono stati incoraggianti. Il modello «berlinese» stenta a prendere piede. Come nel caso della Cerchia dei Navigli — con le strisce gialle dal Policlinico alla biblioteca Sormani — dove le auto se ne infischiano delle corsie riservate e invadono prepotentemente lo spazio destinato alle bici. Tanto che il Comune ha dovuto inserire dei piccoli dissuasori per evitare incidenti e invasioni di campo. «Sono convinto che in città — attacca Masseroli — stia maturando la voglia di muoversi anche in bici. La grande sfida è generare delle regole nuove di convivenza tra pedoni, auto, biciclette e moto. Questo è il concetto del progetto pilota che vogliamo realizzare». E a differenza della Cerchia dei Navigli, un vecchio progetto dell’amministrazione, la nuova sperimentazione avrà delle regole ben precise: «Stiamo individuando delle vie dove si possano muovere insieme i vari tipi di veicoli, con dei limiti di velocità e con priorità ciclabile».

Una «rete di mobilità ciclabile» sul modello berlinese, insiste Masseroli, con una segnaletica molto leggera. «Perché non dobbiamo pensare alle piste ciclabili come a delle infrastrutture e neanche come una guerra tra auto contro bici». Restano i comportamenti scorretti degli automobilisti, liberi di scorrazzare negli spazi riservati alle bici: «Stiamo introducendo delle nuove regole ed è chiaro che devono essere assimilate dalla cittadinanza. Non mi stupisce che le prime pennellate trovino una certa incomprensione. Il rispetto delle regole crescerà quanto più la gente userà le piste ciclabili. E le userà quando ci saranno dei percorsi che ti permettono di muoverti veramente in città. È chiaro che per raggiungere questo obiettivo ci vuole un patto sociale tra automobilisti e ciclisti, ci vuole fiducia e ci vuole coraggio».

Per questo, accanto alla sperimentazione nella zona Nord-est, si procederà alla definizione di massima di una «rete ciclabile» dell’intera città. «E chiederemo ai cittadini — conclude Masseroli — di darci i loro suggerimenti via per via, strada per strada. Così da non calare il progetto dall’alto o di entrare in modo violento sulla città, ma di dare a tutti un’opportunità in più».

postilla

Al solito commoventi, queste eroiche “scommesse” dove la posta in palio è sempre la pelle altrui, perché tanto poi ai convegni basta usare la parola magica del “ma il problema è un altro”. No?

Sembrerebbe contenere qualche grano di ragionevolezza, la dissertazione di Masseroli, se non facesse a pugni con tutto il resto del mosaico di cui necessariamente si compone il tema: l’organizzazione urbanistica, l’orientamento prevalente della mobilità e dei rapporti di forza relativi fra i vari modi, le possibilità di rete continua, magari a scala un po’ più ampia del piccolo gruppo di isolati. E poi, molto poi, anche l’approccio psico-sociale-culturale, che come tra l’altro ci insegnano decenni di cultura architettonica e urbanistica non sgorga spontaneo dall’anima, risucchiato su dalla Provvidenza assessorile e da un predicozzo mediatico, ma da quelle forme virtuose di rapporto pubblico/privato che sono i dialoghi fra spazi fisici e comportamenti individuali. Tanto per fare qualche nome noto e riassumere il concetto, si può buttare lì, che so William “Holly” Whyte (sponsor della giovane Jane Jacobs a suo tempo), o per passare ai vivi il danese Jan Gehl. I quali ci raccontano appunto come la civiltà, l’educazione, le pie intenzioni, siano tutte cose sacrosante, ma che è la pubblica amministrazione a doverne tener conto, nelle sue politiche spaziali, che si traducono in regole e interventi diretti coerenti. Non viceversa. Eh? (f.b.)

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