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Giorgio Cremaschi
Un piano economico e sociale alternativo
19 Novembre 2010
Capitalismo oggi
Si deve «avere il coraggio di proporre un vero e proprio piano economico e sociale alternativo alle politiche correnti, che riproponga lo spirito del piano del lavoro della Cgil di Di Vittorio». Il manifesto , 19 novembre 2010

La terribile evoluzione della crisi politica, sempre più avulsa da qualsiasi contenuto materiale, sottolinea ancora di più la necessità che, almeno fuori dal palazzo, ci si confronti sulla crisi reale del paese. Guido Viale ha proposto alla Fiom di discutere concretamente della riconversione ecologica del sistema produttivo e del modello di consumo dominanti. Credo che proprio oggi il tema vada posto all'ordine del giorno delle lotte sociali e dei movimenti in corso. Non che questo terreno sia così agevole da praticare. È evidente, infatti, che la fuga della politica nell'astratto assoluto è anche frutto della sua incapacità di padroneggiare la crisi economica e sociale. Che si sta aggravando, in Europa in particolare, e che sta sommando assieme tre crisi. Una produttiva e di modello di sviluppo, cioè una stagnazione dell'economia che nei paesi occidentali è determinata proprio da una caduta della crescita delle tradizionali produzioni e prodotti. Una crisi sociale che è determinata da una crescente e sempre più drammatica disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Una crisi finanziaria e fiscale che si riflette sia nei debiti privati che in quelli pubblici.

Mentre la Cina e i paesi di nuova crescita, seppure a prezzi sociali e ambientali enormi, continuano lo sviluppo, l'Europa accumula assieme tutte le crisi. Per questo è molto più facile continuare a blaterare di "riforme" che in realtà nascondono controriforme sociali e ha buon spazio in Italia la filosofia reazionaria di Marchionne, che semplicemente propone di rilanciare il vecchio modello di sviluppo su basi produttive molto più ristrette e con una brutale selezione sociale. In Italia, e quasi sicuramente in Europa, una ripresa economica che assorba le contraddizioni e gli squilibri della crisi non ci sarà. Da qui il trionfo di ricette sociali brutali che, dalle privatizzazioni dell'acqua, della scuola e di tutti i beni comuni, alla distruzione dei contratti nazionali, alla messa in discussione di ciò che resta dello stato sociale, hanno come unico scopo quello di rimpicciolire la base sociale dell'attuale del modello di sviluppo. Il che conduce alla scelta folle di spingere la competitività e la produttività in funzione della crescita e dell'esportazione. Obiettivo logicamente assurdo se perseguito da tutti e socialmente devastante. Obiettivo che necessariamente impone un modello puramente autoritario nei rapporti di lavoro, come chiarisce Pomigliano. Anche le persecuzioni dei migranti, lo stato di polizia che ne garantisce il supersfruttamento fanno parte di questa drammatica reazione alla crisi.

In Italia, in particolare, il liberismo si propone così di selezionare un popolo fedele al proseguimento dell'attuale modello di sviluppo, nella piena consapevolezza che la crescita per tutti, anche nelle forme più distorte e ingiuste, non c'è e non ci sarà mai più.

Per questo la manifestazione del 16 ottobre e tutte le lotte sociali più radicali non trovano interlocutori veri sul piano dei programmi, nella politica italiana di oggi. Possono anche momentaneamente vincere, come Viale ha scritto per Terzigno, ma poi si trovano di fronte al muro di un sistema bloccato. La radicalità popolare ferma il regime liberista, ma poi esso riparte come prima. Il bullismo antisindacale di Marchionne serve a mascherare il fatto che la Fiat non tornerà mai più in Italia ai volumi produttivi del passato, che solo una produzione di nicchia sarà riservata al nostro paese, fondata su un numero ristretto di operai appositamente selezionati e disposti a tutto. La Newco, la nuova società che la Fiat vuole imporre a Pomigliano e probabilmente in tutto il gruppo, diventa un modello per tutta l'Italia. Ovunque si vuol passare a una newco sociale e produttiva che abbandona una parte del paese a sé stesso e seleziona sulla base del ricatto, della fedeltà e della disponibilità coloro che devono perpetuare il modello di sviluppo.

Tutte le lotte di resistenza, leva indispensabile per cambiare, oggi reclamano così un progetto economico sociale ecologico alternativo. Tutto si tiene, ma da dove partire allora? Io non credo che basti il ritorno alle economie locali che propone Guido Viale. Le lotte locali sull'ambiente, così come sui diritti, così come sul lavoro, scagliano immediatamente le comunità contro meccanismi e i poteri nazionali e sovranazionali. L'assoluta estraneità tra i due articoli comparsi su questo giornale a firma di Alberto Asor Rosa, il primo sulla crisi politica, il secondo sulle reti locali per la difesa del territorio e dell'ambiente, dimostra che oramai ovunque la scissione tra bisogni e realtà politica, si manifesta ovunque. Se l'obiettivo che ci diamo non è la pura sostituzione di Berlusconi con Marchionne o Montezemolo o simili, è evidente che l'arcipelago di lotte che oggi c'è in Italia e che si è ritrovato assieme il 16 ottobre a Roma con la Fiom, richiede una piattaforma unificante sociale e politica che è estranea, come sostiene anche Viale, alle attuali classi dirigenti. Una piattaforma che deve toccare le tasse, la finanza, la spesa pubblica, le politiche industriali, gli interventi pubblici nell'economia, la conoscenza, il pubblico e il privato, i diritti dei lavoratori, la distribuzione della ricchezza, la garanzia del reddito e di una reale parità dei diritti.

La riconversione ecologica dell'economia si intreccia con questo processo. Si possono produrre e comprare meno auto se si riduce l'orario di lavoro, se si lanciano programmi di investimento pubblico che costringano il sistema a consumare e a produrre trasporto pubblico al posto di quello privato. Questo richiede ingenti risorse che non possono che essere reperite portando via i soldi ai ricchi. Questione sociale e questione ecologica, diritti e uguaglianza, oggi sono strettamente e immediatamente connessi, non si tocca un pezzo della crisi senza essere coinvolti nella crisi di tutto il sistema. Non ci sono soluzioni riformiste alla crisi attuale, almeno nel significato che oggi questa parola ha assunto nella politica. La forza della reazione, il ritorno continuo di Berlusconi e del berlusconismo, derivano dal fatto che l'alternativa è o cambiamenti radicali o regressione e selezione sociale.

Per questo credo che si debba avere il coraggio di proporre un vero e proprio piano economico e sociale alternativo alle politiche correnti, che riproponga lo spirito, non i contenuti, del piano del lavoro della Cgil di Di Vittorio degli anni Cinquanta. La Fiom, che ha interpretato con il 16 ottobre un sentimento diffuso di tanta parte del paese, può forse proporsi di promuovere un'operazione più ambiziosa, quella della costruzione di tale piano, facendolo nascere dall'incontro tra i saperi liberi e l'esperienza dei movimenti. Vale la pena di provarci per costruire una piattaforma alternativa alla pura conservazione e restaurazione del sistema esistente. Una piattaforma che guidi i conflitti e rifiuti i patti sociali e selezioni una nuova classe dirigente per i prossimi anni. Questo per me significa costruire una vera alternativa a Berlusconi e al berlusconismo. Ma qui torniamo ancora alla crisi della politica, della sinistra e del sindacato italiano.

Abbiamo sostenuto la stessa tesi nell’ eddytoriale 144. La nostra speranza non è mal riposta, se l’attenzione al tema da parte della Cgil non si esaurisce e, anzi, conquista sempre più consensi

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