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Da regione a protettorato: l’esperimento Campania
8 Luglio 2010
Norme valide solo per la Campania (abusi, rifiuti, spoil system a oltranza) o laboratorio politico per il regime? Nostra corrispondenza da Napoli

Conviene prestare attenzione a quanto avviene in Campania, perché questa regione è un laboratorio, il luogo dove si sperimentano novità politico-istituzionali prima o poi esportabili al resto del paese. Non per niente il laurismo, la forma politica per molti aspetti più vicina al berlusconismo, è nato da queste da parti.

L’esperimento attualmente in corso in Campania, dopo le elezioni regionali dello scorso aprile, stravinte dalle destre del neogovernatore Caldoro, ha come obiettivo il declassamento di una grande regione italiana, da partner alla pari del patto repubblicano, ad una sorta di protettorato, di provincia imperiale, non più in grado di governarsi autonomamente né, a maggior ragione, di concorrere alla definizione delle politiche e delle strategie nazionali.

Questo passaggio di status prevede, tra l’altro, il ricorso a soluzioni giuridiche prima impensabili, perché sono già tre i provvedimenti legislativi nazionali che non hanno portata generale ma valgono solo per il territorio campano: quello sui rifiuti (con l’arresto per chi abbandona rifiuti, ma solo in Campania), quello sulla moratoria degli abbattimenti delle case abusive ordinati dalla magistratura napoletana (affossato in extremis alla Camera, ma prontamente riproposto come emendamento alla finanziaria), ed ancora quello che prevede l’annullamento d’ufficio di tutte le delibere della giunta Bassolino che, a partire dal luglio 2009, avrebbero condotto allo sforamento del patto di stabilità.

Al di là dell’infrazione palese del dettato costituzionale, e della negazione pratica di ogni federalismo di bandiera, l’idea che sembra guidare il governo nazionale delle destre è che il drammatico scarto esistente in Campania tra territorio, legalità e diritti, non sia colmabile modificando la realtà con efficaci azioni di governo e politiche di sviluppo ma, più cinicamente, deformando le leggi ad hoc, adeguando gli standard di civiltà al particolare contesto territoriale e sociale.

In fondo, il vantaggio di un protettorato sta proprio in questo: nel poter allentare a discrezione i vincoli di legalità e coerenza, in una sorta di zona grigia nella quale, alla fine, non c’è più contraddizione tra il pugno di ferro di Maroni e il ghigno di Cosentino, il vero dominus del nuovo ciclo politico campano.

Il risultato è che il povero Caldoro, in carica già da quattro mesi, non governa, limitando il suo operato all’annullamento a tappeto di delibere e nomine della giunta Bassolino, giustificandosi non come farebbe ogni suo collega, in base ad un programma, o a precise prerogative costituzionali ma, piuttosto, trincerandosi dietro un articolo della finanziaria di Tremonti, che gli impone di revocare in tronco ogni decisione precedentemente assunta, buttando il bambino con l’acqua sporca, con tanti saluti ad ogni principio di continuità amministrativa.

C’è molta, troppa demagogia in questo furore. Bassolino, alla prima elezione da sindaco, ereditò una situazione ben più pesante di quella presente. Lo ricordo in un comizio ai giardinetti spelacchiati nel quartiere dove abito. Non lo conoscevo, ma una cosa di quelle che disse mi colpì: “Prendiamo sulle nostre spalle la città, e non vi diremo mai che la responsabilità dell’insuccesso è di chi ci ha preceduto”. Molte delle promesse di quella mattina non sono state mantenute, ma questa in particolare si. Una lezione di stile e di dignità politica, che pure va riconosciuta a chi ha guidato il lungo ciclo del centrosinistra in Campania, probabilmente la più grande occasione persa per accreditarsi agli occhi del paese come forza riformatrice credibile.

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