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Botte a chi protesta
8 Luglio 2010
Terremoto all'Aquila
Tre commenti (Parlato sul manifesto, Manconi su l'Unità, Fontana su Terra, 8 luglio 2010) commentano le botte ai cittadini aquilani che protestavano a Roma. Con postilla

il manifesto

Terremoto sul capo

di Valentino Parlato

Quel che abbiamo visto ieri a Roma va oltre ogni immaginazione del peggio. Guardate le immagini, nonostante le omissioni del Tg1. Migliaia di cittadini dell'Aquila, sindaco in testa, vengono a Roma per protestare contro l'abbandono nel quale sono stati lasciati dopo il gran teatro del G8, la santificazione di Bertolaso, e Berlusconi in gloria con il casco. Sembrava di essere tornati ai tempi di Scelba, cariche e manganellate senza pietà. Terremotati e mazziati. Quelle immagini esprimono la ferocia e la rabbia di un capo che ha visto crollare tutti i suoi illusionismi con i quali era sicuro di aver conquistato la popolazione dell'Aquila. L'ha considerato un tradimento e dato via libera al pestaggio degli aquilani venuti a Roma per dire la verità, per dire che L'Aquila è distrutta e abbandonata a un destino di cancellazione dal vivere civile. Venuti per protestare, perché oltre al danno vivono la beffa della «manovra» che li vuole super-tassati.

Ma forse in questa rabbiosa ferocia di Berlusconi c'è anche la paura di essere arrivato alla fine della sua parabola. Si sente travolto dalle liti e dalle ambizioni personali dei suoi gerarchi, dall'opposizione delle Regioni (anche le sue) ai tagli, dalle difficoltà con Tremonti e Bossi, dai sondaggi che lo danno in calo. Ha perso il lume della ragione e probabilmente ha avuto anche la tentazione di mandare Bertolaso alla testa delle guardie che hanno manganellato gli aquilani.

Ma tutto questo che effetto avrà in un Italia politicamente disfatta? Dove il partito, che dovrebbe essere di opposizione, il Pd - come ha scritto Ida Dominijanni sul manifesto di martedì scorso - che sa solo delegare la salvezza al «ruolo guida del Capo dello Stato». Confessando così non solo una nascosta pulsione presidenzialistica, ma anche - e soprattutto - una dichiarazione di inesistenza. Questo partito, che quando è stato al potere, col secondo governo Prodi, ha saputo solo cercare di imitare Berlusconi e adesso, da quando (dovrebbe essere) all'opposizione non è mai stato in grado, non dico di mettere in difficoltà Berlusconi, ma neppure di aprire un serio e chiaro fronte di lotta, trangugiando tutto con malmostosa impotenza. Siamo a un punto limite, quel che ancora in questo paese c'è di sinistra, pur disperso e fuori della guida illusoria dei partiti, dovrebbe entrare in comunicazione, dovrebbe aggregarsi, chiedere conto e ragione al ceto politico che pure manda in parlamento.

Il popolo dell'Aquila ci ha dato un segnale forte. Bisogna scendere in campo, mandare al diavolo quei sepolcri imbiancati che dicono di rappresentarci. Non possiamo restare travolti e schiacciati dal crollo, inevitabile, di Berlusconi.

L’Unità

Questa violenza

di Luigi Manconi

Una giornata di ordinaria violenza istituzionale. Dentro e fuori il Palazzo, dentro e fuori il Paese.

Alle ore 15.45 di ieri, 7 luglio 2010, il ministro per i rapporti con il Parlamento nel corso del question time, rispondeva così agli interrogativi posti da Livia Turco: all’origine della tragedia dei 245 tra eritrei e somali rinchiusi nel carcere di Brak, vi sarebbe «un equivoco». Ai profughi sarebbe stato sottoposto un questionario per esse- re avviati a «lavori socialmente utili», ma gli eritrei e somali si sarebbero rifiutati, temendo che, attraverso quella procedura, venissero rimpatriati a forza. Da qui il trasferimento, in condizioni disumane, nel carcere di Brak.

Il grottesco infortunio di questa risposta del Governo, che riduce un autentico dramma umanitario alle dimensioni piccine di un fraintendimento, ha segnato questa giorna- ta di ordinaria violenza istituzionale. E, infatti, che cosa è più violento tra il comportamento brutale della polizia nei confronti dei cittadini de L’Aquila che manifestavano a Roma e la menzogna sulla sorte di quegli uomini in fuga da regimi totalitari? E, anco- ra, c’è qualcosa di più violento dell’ottusa indifferenza nei confronti di quei disabili che vedono ridursi drasticamente sussidi già miserevoli e previdenze economiche tanto esigue da risultare oltraggiose? Se osservata attraverso questi fatti - e attraverso lo sguardo di tanti soggetti deboli, terremotati o disabili o fuggiaschi - quella di ieri può sembrare davvero una giornata da fine regime. Dalla sudaticcia rincorsa a rattoppare, rappezzare, rappattumare una manovra che fa acqua da tutte le parti allo sfarinarsi di una maggioranza, tanto più imponente sulla carta quanto più goffa e arrancante nei fatti, dal ricorso irresponsabile alle forze dell’ordine (minacciate, a loro volta, da tagli micidiali) all’ostentato cinismo, nei confronti di quel principio universale che è il diritto d’asilo, si ha la sensazione di un sistema di potere che si avvia a un irreparabile declino.

Sarebbe un errore credere che questo significhi, quasi automaticamente, l’inizio di un tempo nuovo. La fine del berlusconismo è destinata a passare attraverso una crisi lunga e devastante, che non si limiterà a logorare i suoi protagonisti, ma che avrà effetti velenosi e conseguenze debilitanti per l’intera società. Per dirne una, la campagna ideologica contro lo straniero e quel sistema di interdizioni e divieti, obblighi e sanzioni che, tramite delibere di amministrazioni locali, intendono disciplinare la vita sociale, non sono revocabili né in breve tempo né attraverso semplici azioni positive. I guasti, e che guasti, hanno inciso in profondità nella mentalità condivisa, nelle relazioni sociali e nei modelli di vita. Proprio per questo è fondamentale che, da subito e in ogni spazio agibile, si operi per affermare un punto di vista diverso. La vicenda dei cittadini de L’Aquila è così importante proprio perché dimostra come la cosiddetta “politica del fare” si riduca a un osceno esercizio di retorica, dove - tra effetti speciali e cotillon - si cancella la vita vera delle perone. E la vicenda degli eritrei è, sì, una questione umanitaria, ma è anche molto di più: è in gioco la vita di quei profughi e, insieme, la nostra civiltà giuridica.

Terra

Non può durare

di Enrico Fontana

Emma Marcegaglia se l’è cavata con un colpo di telefono. Per i rappresentanti dei Cocer, i “sindacati” delle forze armate, è stata sufficiente una conferenza stampa. I cittadini de L’Aquila, invece, hanno dovuto invadere il centro di Roma, prendersi una buona dose di manganellate e non avere comunque la certezza di essere ascoltati. Ai rappresentanti delle associazioni dei disabili sono state risparmiate le botte, ma è la prima volta che devono scendere in piazza, tutti insieme, per difendere il diritto a una vita dignitosa. Il governo Berlusconi, quando si tratta di scegliere con chi trattare e chi lasciare fuori dalla porta, ritrova la sua vera identità. Forte con i deboli e debole con i forti. Le immagini di ieri, insieme alla minaccia di abdicazione ripetuta da giorni come un mantra dai presidenti delle Regioni, danno davvero l’idea di un governo alla sbando. E più che dall’iniziativa dell’opposizione parlamentare, è proprio dalla pancia del Paese che sembrano arrivare i segnali di un possibile disfacimento di questa maggioranza.

In evidente deficit di credibilità, con due ministri dimissionari (Scajola e Brancher), il titolare dell’economia impegnato in un rovinoso «Tremonti contro tutti», la stampa in rivolta contro la legge bavaglio, Berlusconi annaspa alla ricerca di una via d’uscita. E cerca come può di turare le falle. Senza una strategia, però. E si vede. Lui, che pure è uno stratega della comunicazione, commette errori grossolani. Ma come si fa, con la crisi che azzanna persino la spesa alimentare delle famiglie, da un lato consentire alla presidente della Confindustria di sorridere beata in tv dicendo «ho sentito al telefono Berlusconi e Tremonti, le nostre richieste sono state accolte» e dall’altro far prendere a manganellate i terremotati de L’Aquila, che chiedono una ragionevolissima solidarietà?

E che senso ha spingere le rappresentanze delle forze armate fino al punto di mostrare le stellette in tv per attaccare il governo, perché con i tagli della finanziaria mette in pericolo la sicurezza del Paese, per poi concedergli d’un colpo 160 milioni di euro in due anni?

Siamo al suk, altro che il rigore che pure sarebbe necessario per evitare l’assalto della speculazione finanziaria alla disastrate casse nazionali. Nei palazzi, Chigi e Grazioli indifferentemente, si mercanteggia con i “poteri forti” e nelle strade si fa la voce grossa con chi rivendica diritti e pretende risposte. Non può durare a lungo. O almeno si spera.

Postilla

I commenti di altri giornali, che abbiamo ascoltato a “Prima pagina”, avrebbero meritato di essere raccolti in quella specie di Colonna infame che abbiamo in questo sito, la cartella “Stupidario”. Ma a certi giornali non siamo abbonati né vogliamo farlo. Un nostro commento ai fatti di ieri e all’indignazione che hanno suscitato (fuorchè in quei giornali lì, e nelle televisioni del Padrone dello stato) riguarda la distrazione con cui la stampa ha seguito fin dall’inizio i fatti dell’Aquila, e con cui ancora oggi persevera nell’errore. La tesi prevalente è la seguente: il Governo, e Bertolaso in prima persona, all’inizio hanno fatto bene, poi hanno trascurato e sbagliato.

No, non è così: fin dall’inizio l’impostazione che è stata data al dopo terremoto è stata palesemente errata: qualcuno (pochi) l’ha denunciato fin dai primi giorni (aprile 2009), e la cartella di eddyburg dedicata all’evento lo testimonia. La corruzione, la speculazione, l’indifferenza per le condizioni reali, sono tutte cose che vengono dopo e sono in gran parte conseguenza degli errori di fondo, che sono stati denunciati (da pochi) fin dall’inizio: era già nelle scelta della mistificazione delle “New towns” alla Berlusconi anziché nella ricostruzione delle strutture urbane, fisiche e sociali; era già nella scelta della soluzione autoritaria e militaresca anziché quella che fa leva sugli enti locali e sulla popolazione. Continuare a dire oggi che “all’inizio andava tutto bene poi hanno cominciato a sbagliare” significa non aver capito nulla, e continuare a ingannare l'opinione pubblica.

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