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Emanuele Bompian
“Città e ambiente, destino comune”
9 Febbraio 2010
In una intervista a Daniel Lerch sul quotidiano Terra, 9 febbraio 2010, le strategie urbanistiche per il cambiamento climatico di cui da noi si parla ancora troppo poco (f.b.)

«È l’ora di costruire città pronte ad affrontare ogni aspetto economico, sociale e ambientale della crisi derivante dal picco della produzione di petrolio e dal peggioramento del riscaldamento globale. Bisogna da subito pensare come fare quando il petrolio non ci sarà più e come le città muteranno in seguito ai cambiamenti climatici». Secondo Daniel Lerch, l’autore del saggio Post-carbon cities. Pianificare nell’incertezza climatica ed energetica, produzione di oro nero, emissioni metropolitane ed effetto serra sono intimamente correlati. Ma per prevenire la catastrofe non si deve commettere l’errore di pensare a una soluzione univoca. «Ogni città ha un contesto specifico», avverte Lerch, e aggiunge: «Ridurre le emissioni è fondamentale, ma bisogna anche tutelare il fabbisogno energetico».

La priorità consiste dunque nel valutare uno scenario ipotetico dove il petrolio superi i 200 dollari a barile. «Meglio spendere due anni e costruire un piano solido, che ridurre le emissioni qua e là e poi scoprire che pianificare il mutamento delle città è diventato ancora più dispendioso e difficile».Città, picco della produzione petrolifera e cambiamento climatico sono intimamente correlati. Le città, dove oggi vive più della metà della popolazione sono responsabili del 40 delle emissioni di gas serra. Secondo climatologi, economisti e geografi urbani sono anche i luoghi dove cambiamento climatico e crisi energetiche legate ai picchi di produzione dei combustibili fossili produrranno effetti devastanti. Crisi idriche, salinizzazione del suolo, cambiamenti negli ecosistemi e nella produzione alimentare, inondazioni, aridità derivanti dai cambiamenti climatici altereranno inevitabilmente le strutture urbane.

Terra ha incontrato Daniel Lerch, autore del saggio Post Carbon Cities. Pianificare nell’incertezza climatica ed energetica per fare il punto su come amministratori devono agire per affrontare le sfide del futuro per costruire città resistenti alle mutazioni del clima.

Nel suo libro lei richiama l’urgenza di ripensare le città in maniera indipendente dai combustibili fossili e con una sempre maggiore attenzione alle minacce che possono derivare delle mutazioni del clima. Perché?



La priorità oggi è creare “Post carbon communities”, comunità (intese come abitanti di una città, ndr) il cui obbiettivo è divenire resistenti a un mondo di incertezza legata al clima e alle risorse energetiche. Comunità che devono fare molto di più che ridurre semplicemente le emissioni di gas serra e pianificare in maniera sostenibile. È giunto il tempo di costruire città pronte ad affrontare ogni aspetto economico, sociale ed ambientale della crisi derivante dal picco della produzione di petrolio e dal peggioramento del riscaldamento globale.

Come si può intervenire dunque?



Non esiste una soluzione univoca, ogni città ha un contesto specifico e non esistono ricette uniche. Molti municipi oggi hanno tagliato l’uso di combustibili e hanno rivoluzionato il modo di fare progettazione. È importante soprattutto osservare le buone pratiche, gli esempi e le tecnologie virtuose e soprattutto comprendere quali possono funzionare e quali no. Io raccomando sempre che le città non abbiano come primo obbiettivo la mera riduzione delle emissioni. Ridurre le emissioni è fondamentale, ma bisogna anche mantenere il fabbisogno energetico dei centri urbani. La prima cosa che le città devono fare è svolgere un’analisi attenta delle debolezze e delle opportunità in uno scenario ipotetico dove il petrolio superi i 200 dollari a barile e dove il cambiamento climatico produca effetti visibili sull’economia e sulla giustizia sociale. Comprendendo quali sono le aree più deboli si può agire in maniera più sensata. Meglio spendere due anni e costruire un piano solido per un intervento ventennale, che fare “cosucce” per ridurre le emissioni qua e là e poi scoprire che pianificare il cambiamento delle città è diventato ancora più dispendioso e difficile.

Oggi si parla di pianificazione urbanistica legata alla mitigazione, ovvero per contenere le emissioni e di pianificazione orientata all’adattamento, cioè a progetti per adattare le città a fenomeni come scarsità idrica, innalzamento delle acque, crisi energetiche. Lei cosa ne pensa?



In generale io credo che le comunità devono concentrarsi sull’adattamento, ovvero su come il territorio muterà e quali rischi ci si troverà ad affrontare. A livello globale è importante le mitigazione delle emissioni. Ma a livello locale l’impatto delle emissioni è indiretto, quindi ha un peso minore sull’economia locale e sulla struttura sociale che problemi derivati da clima e scarsità energetica che avrebbero invece effetti immediati, diretti e catastrofici. Mettiamo che una città riduca del 10 per cento le emissioni tra 2010 e il 2015. E poi si trovi improvvisamente nel mezzo di una crisi globale energetica, completamente impreparata. Ci sarebbero conseguenze sociali ed economiche drammatiche, specie se in concomitanza con disastri causati dal cambiamento climatico. Avendo pensato solo a tagliare emissioni ha creato seri problemi ai suoi cittadini e fatto poco per risolvere il global warming.

È importante invece che si arrivi ad un accordo sulle emissioni a livello nazionale ed internazionale. Governi e mercato globale sono contesti più efficienti per fermare l’effetto serra che milioni di regolamenti locali. I trasporti sono la chiave per adattare le città ad un futuro condizionato da scarsità energetica e cambiamenti climatici. La regola d’oro è ottimizzare le risorse. Le auto usano una quantità assurda per muovere cose e persone. Per muovere una persona spostiamo anche un oggetto di varie tonnellate, per di più usando energia non rinnovabile. Usare tutta quell’energia per andare al lavoro o fare la spesa è semplicemente da stupidi.

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