Un po´ di populismo, a mio parere, affiora anche in paesi diversi dal nostro. Sono tramontate le ideologie, si sono indeboliti i partiti, e personaggi come Blair in Inghilterra, Sarkozy in Francia hanno raccolto i voti per la loro personalità piuttosto che per i loro programmi. Per le sue doti personali Barack Obama, un afro-americano privo di un retroterra politico o sociale, è diventato presidente degli Stati Uniti. La straordinaria carriera di Silvio Berlusconi nella vita pubblica, senza un partito vero e proprio alle spalle, non è pertanto un fenomeno unico al mondo.
È vero, tuttavia, che ogni paese foggia il populismo (se così vogliamo chiamarlo) a modo suo, e noi stiamo vivendo da ormai quindici anni un populismo all´italiana. Un leader come Berlusconi sarebbe inconcepibile in qualsiasi altra democrazia occidentale. Le sue frasi, il suo comportamento, le sue ostentazioni sono state descritte tante volte in articoli e libri, in Italia e fuori, e si è attribuita la grande ostilità che ha suscitato in metà del paese alle cause più disparate: si è tirata in ballo, scioccamente, un´invidia atavica degli italiani verso i ricchi, o l´insofferenza, attribuita al retaggio comunista, verso le regole liberali, che prevedono l´alternanza al governo di destra e sinistra. Alexander Stille, in un articolo pubblicato di recente in queste pagine, è stato l´ultimo, in ordine di tempo, a dimostrare che il comportamento e il linguaggio di Berlusconi, oltre al suo passato e alla sua spregiudicatezza, hanno contribuito a radicalizzare la vita politica italiana. Quali che siano le cause della radicalizzazione, comunque, sono sempre più frequenti gli appelli a spegnere il fuoco, ad attenuare i toni. Tutto giusto: l´Italia ha bisogno di un governo che governi, e di un´opposizione costruttiva. Ma temo che gli appelli siano destinati a cadere nel vuoto.
C´è infatti un ostacolo insormontabile: la giustizia. Il populismo potrà anche essere, come io credo, una tendenza visibile in altri paesi occidentali; ma il protagonista del populismo all´italiana ha un passato burrascoso, e molti conti aperti con la giustizia. È proprio per difendersi dai processi, dalle "toghe rosse", dai "comunisti" delle procure che Silvio Berlusconi ha deciso quindici anni fa di fare politica. Adesso i giudici, sia pure a lento passo, col loro passo, avanzano inesorabili, e sempre più si avvicinano. Ormai incombono. La fuga dalla giustizia, dopo la cancellazione del lodo Alfano, è diventata pertanto l´ossessione di Berlusconi: gli impedisce di governare, sembra quasi che gli impedisca di ragionare. Non pensa ad altro. Per sciogliere il nodo c´è una sola strada: qualche legge ad personam, che metà del paese, se non più, giudicherebbe una grande ingiustizia, un´infamia. Singoli uomini politici di vocazione pragmatica potrebbero scendere a compromessi. Ma di fronte a nuovi abusi il paese più che mai sarebbe diviso in due; la turbolenza, invece di placarsi, sarebbe destinata a crescere.
Certo l´Italia ha bisogno di tranquillità, ha bisogno di un governo efficiente; di governanti che non siano distratti dalla guerra continua, in Parlamento e fuori. Gli appelli alla pacificazione fra un centro-destra che ha pieno diritto di governare fino al termine del suo mandato, e un´opposizione costruttiva, sono sacrosanti. Ma il ritorno a una vita politica normale sarebbe possibile, come hanno scritto negli ultimi tempi autorevoli giornali stranieri, solo se Berlusconi decidesse di uscire di scena.